Seneca e il rapporto col potere

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Testo

Seneca

Per analizzare il rapporto che Seneca aveva col potere, prima bisogna fare un’introduzione sull’epoca del quale quest’ultimo fa parte.
Ci troviamo sotto il principato neroniano, un epoca molto difficile piena di tensioni e dominata dalla paura, anche se tutto ciò non avviene da subito. Infatti appena salito al potere Nerone, anche grazie al saldo appoggio di uomini come Seneca e Afranio Burro, riuscì a mantenere un equilibrio all’interno dell’impero romano. Questo periodo di prosperità venne chiamato dagli storici quinquennium felix, proprio perché furono cinque anni di pace e serenità.
Purtroppo dopo questo periodo un altro più tremendo era alle porte, un periodo dominato dalla paura e dalla follia di Nerone, che pone una svolta autocratica sul principato, sostituendo le due figure che prima lo affiancavano, Burro da Tigellino, invece nessuno occupò la precedente carica di Seneca, ed eliminò la madre prendendo totalmente il controllo dell’impero.
Quest ultimo decise di ritirarsi dalla vita politica e dedicarsi ai suoi scritti fino al 65, anno nel quale fu implicato nella congiura dei Pisoni e venne costretto a uccidersi da parte di Nerone, con lui morirono altre figure rilevanti come ad esempio Lucano. Seneca non rinunciò ad esporsi in prima persona e non si tirò indietro di fronte ai compromessi che la partecipazione alla vita politica gli impose, ma più volte pagò il prezzo della fama e della ricchezza fino ad essere costretto al suicidio. Dopo aver rischiato la vita sotto Caligola, fu costretto all’esilio in Corsica da Claudio: per ottenerne il perdono lo adulò nella Consolatio ad Polybium, ma dopo la morte lo sbeffeggiò ferocemente nell’Apocolocyntosis. Fu precettore di Nerone e cercò di improntare il suo governo ai principi del rex iustus, teorizzando la figura del principe illuminato nel De clementia, ma presto l’indole autoritaria e spietata del giovane imperatore prese il sopravvento.

Seneca, a differenza di altri scrittori a lui contemporanei, sente il dovere di partecipare per buona parte della vita all’attività politica: per lui è molto importante il rapporto tra vita attiva e vita contemplativa, vita pubblica e vita privata, individuo e società.
Seneca resta in ogni caso saldo ad un principio: compito dell’uomo è di essere utile agli altri uomini. Per essere utile, Seneca afferma che l’uomo virtuoso non deve sottrarsi alle sue responsabilità umane e civili. La morale di Seneca è una morale attiva, fondata sul principio del bene comune.

Quindi il rapporto di Seneca con il principato fu un rapporto travagliato. Inizialmente contento del principato neroniano scriverà un’opera al novello imperatore Nerone, intitolata De Clementia. In quest’opera Seneca elogia la moderazione e la clemenza del princeps, dando anche un modello di comportamento che questo dovrebbe seguire.
Il sovrano clemente, dice l'autore, dovrebbe comportarsi con i suoi sudditi come un padre con i figli. Il metodo migliore per educare i sudditi è sempre quello della persuasione e dell’ammonizione, mai quello della minaccia e del terrore. Seneca non mette in discussione il potere assoluto dell'imperatore, ed anzi lo legittima come un potere di origine divina. A Nerone il destino ha assegnato il compito di governare sui suoi sudditi, ed egli deve svolgere questo compito senza far sentire su di loro il peso del potere, e deve anche essere garante della ratio universale.
Egli propone una sola norma nel trattare con gli schiavi: “Vivi con l’inferiore come vorresti che il tuo superiore vivesse con te”. Il re è il capo dello stato, i sudditi sono le membra, perciò questi sono pronti ad ubbidire al re come le membra ubbidiscono al capo e sono disposti ad affrontare anche la morte per lui: “Egli, infatti, è il vincolo grazie al quale sussiste unito lo Stato, egli è lo spirito vitale che tutte queste migliaia di uomini respirano. Essi, di per sé, non sarebbero null’altro che un peso e una preda per altri, se quell’anima dell’Impero venisse a mancare”.

Una volta accortosi del fallimento dell’educazione morale di Nerone, Seneca scrisse il De Beneficis, trattato di sette libri che affronta il tema di saper donare e ricevere un beneficio, e secondariamente il fatto che tutti gli uomini per natura e solo la fortuna può determinare la condizione di libertà o schiavitù. Ogni uomo deve sapersi costruire una propria gloria con la fatica e duri sforzi, senza contare su quella lasciatagli dai propri antenati.

Seneca è riuscito a mantenere nei secoli una notevole fama. Per un duplice motivo. Proprio per le sue 'incoerenze' nei confronti con il potere: i regimi totalitari e dispotici ne hanno apprezzato i comportamenti da suddito, mentre gli intellettuali si consolarono col suo modo di opporsi in qualche modo al potere.
Seneca ai nostri occhi, ci appare come un miscuglio di idealità e realismo. Affascinato dalla morale stoica, la piegò alle esigenze della vita pratica.
Ma con il suicidio riuscì a consegnare la propria immagine alla storia, riscattando una vita non certamente monolitica. Fu forse proprio questo a dargli la maggiore fama, e con il proprio suicidio scrisse la migliore pagina della sua esistenza.
Seneca come moralista fu tra quanti, nell'antichità, individuarono e parlarono di quello che è uno dei limiti dell'uomo, e cioè il non riuscire ad esprimersi liberamente, anche nei confronti di persone con un carica più alta della propria.

Seneca nelle sue tragedie metterà a tema un lato della sua personalità pressoché sconosciuto, e cioè quello del vir sapiens et bonus che si suicidà per la giusta causa della libertà. La libertà, per Seneca, è dentro di noi e nessuno può comprimerla: nella sapienza, nel disprezzo del nostro corpo caduco è la libertà più sicura. Se sapremo rivolgerci a cose più grandi della schiavitù del corpo, conquisteremo la libertà interiore, diventeremo possesso di noi stessi. “Mi domandi quale sia la strada per andare verso la libertà? Una qualsiasi vena del tuo corpo”.
Quello che veramente importa è soltanto saper distinguere il bene dal male perché chi riesce a tanto sarà davvero libero, perché la libertà non viene dal fatto che uno nasca in un determinato ceto, che sia esso povero o nobiliare. Per lo scrittore la battaglia per la conquista della libertà si poteva combattere solo con l’arma della filosofia, tanto è vero che egli affermava che solo il saggio è libero.

Nella situazione di insanabile instabilità politica e sociale dell'impero romano dell'epoca, Seneca espresse tutte le ambiguità i limiti e le velleità di un ceto intellettuale rimasto l'unico a far da diga al potere politico dispotico, dopo la sottomissione della classe senatorile. Con Seneca fallisce la possibilità del ceto intellettuale di svolgere una funzione organica al potere politico. Dopo di lui i 'consiglieri del prìncipe' saranno liberti e cortigiani, e gli intellettuali potranno solo raccontarequanto avviene.

Esempio



  


  1. eleonora menichini

    compito in classe su seneca! AIUTO