Lettere a Lucilio (Seneca), libro V lettera IX

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Testo

LETTERA IX

NON DOBBIAMO ATTRIBUIRE I NOSTRI DIFETTI A CAUSE

ESTERIORI. QUANTO INTERESSA IL NOSTRO EMENDAMENTO

Ho ricevuto la tua lettera molti mesi dopo che tu l'avevi spedita, ed ho quindi ritenuto inutile chiedere a colui che la portava che cosa tu facessi. Dovrebbe avere una memoria straordinariamente buona per ricordarsene: tuttavia io spero che tu sia giunto a tale forma di vita che io possa sapere che cosa tu fai dovunque ti trovi. Infatti tu altro non fai che cercare di renderti ogni giorno migliore, correggere qualcuno dei tuoi errori, e renderti conto che quei difetti che tu attribuisci alle cose sono invece proprio tuoi. Noi li attribuiamo talora ai luoghi o alle circostanze: ma essi ci seguiranno dovunque noi possiamo essere andati. Tu sai che Arpaste, quella folle donna che и stata compagna di mia moglie, и rimasta come un peso ereditario nella mia casa. Per conto mio sono assolutamente contrario a portare la mia attenzione sulle stranezze. Se un certo momento voglio cercare un folle con cui divertirmi, non ho bisogno di andare lontano, rido di me stesso. Questa pazza improvvisamente ha perduto la vista: ebbene, cosa incredibile ma vera, essa non ha consapevolezza di essere cieca, e di quando in quando prega il suo custode che la conduca altrove perchй dice che la nostra casa и oscura. Tu puoi facilmente constatare che questo che in lei ci fa ridere, in altre forme capita a tutti noi: nessuno crede di essere avaro o di essere avido. I ciechi almeno cercano una guida, noi andiamo errando senza guida e diciamo: "io non sono affatto ambizioso e se posso sembrare tale, il fatto и che nessuno a Roma potrebbe vivere diversamente: io non sono un prodigo, ma la cittа stessa richiede grandi spese: non и difetto mio se talvolta monto in collera, e se non mi sono ancora fatto un sicuro metodo di vita, questo и dovuto alla giovinezza. "
Ma perchй vogliamo ingannare noi stessi? Il nostro male non viene dal di fuori, и dentro di noi, risiede nelle nostre viscere, e ci и difficile giungere alla sanitа proprio perchй ignoriamo di essere ammalati. Se cominceremo a curarci, in quanto tempo potremo liberarci dalla violenza di tante malattie? Pur troppo noi non chiamiamo nemmeno il medico, mentre se fosse chiamato subito a combattere un male ancora di recente formazione, troverebbe minore difficoltа: anime, ancora tenere e semplici seguirebbero chi mostrasse loro la retta via del bene. Ognuno puт essere ricondotto senza difficoltа alle leggi della natura se non si и fatto ad essa ribelle: pur troppo in questo caso quasi arrossiamo con un senso di pudore a formarci un animo virtuoso. Ma se ci pare cosa turpe cercare un maestro di virtщ, non possiamo poi sperare che un tale bene entri nelle nostre anime per caso. Certo bisogna faticare: ma per dire la veritа, non и poi nemmeno una grande fatica, se cominciamo, come si и detto, a formare e correggere l'animo nostro prima che in lui s'indurisca il vizio. Perт io non perdo la speranza nemmeno quando il vizio и indurito: non vi и nulla che un lavoro pertinace e una cura attenta e diligente non possa vincere. Tu puoi sempre raddrizzare tronchi d'albero per quanto contorti: il calore ridа la linea a travi ricurve, che per quanto diverse nella loro origine possono essere ridotte in forma conveniente al nostro uso. Quanto piщ facilmente assume tale sua forma l'anima, flessibile qual и, piщ docile di qualsiasi liquido! Che altro и l'anima se non un'alitante sostanza costituita in un suo modo speciale? E tu vedi che questa и tanto piщ facile a trattare di ogni altra sostanza, quanto и piщ sottile. Non t'impedisca dunque, o mio Lucilio, di sperare bene per noi tutti il fatto che il male da tanto tempo ci tiene servi e ci possiede. Nessuno riesce a formarsi un animo buono senza passare prima per il male. Tutti siamo sempre in un momento anteriore posseduti dal male ed apprendere le virtщ significa sgombrare l'animo dai vizi. Ma noi dobbiamo accingerci a quest'opera di emendamento con tanto piщ risoluto animo in quanto che il possesso del bene una volta conquistato dura in perpetuo. La virtщ non si disapprende. Le cose contrarie come il vizio non possono attecchire e far presa forte nell'animo umano che non и campo loro proprio: rimangono sempre costanti quelle cose che sono in luogo adatto al loro essere. La virtщ и secondo natura, invece i vizi sono nemici e compiono opera infesta all'anima. Ma mentre и facile custodire le virtщ che una volta accolte in noi non possono piщ uscirne, invece и ardua opera muovere loro incontro perchй carattere specifico di un'anima debole e inferma и proprio temere le cose non sperimentate ancora. Bisogna perciт costringerla a cominciare. In seguito la medicina non и piщ amara, anzi a misura che ci risana ci diventa anche piacevole. Altri rimedi danno piacere solo quando la sanitа и completamente conquistata: la filosofia invece и nel tempo stesso parimenti salutare e gradevole. Addio.

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