Età augustea

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Testo

L’Età Augustea

Il vuoto di potere che si determinò a Roma dopo la morte di Cesare mise, in chiara evidenza la mancanza di un preciso programma politico da parte dei congiurati, che con l’assassinio del dittatore avevano ingenuamente sperato nell’automatico ritorno del regime repubblicano. Mentre i congiurati erano incerti e divisi sul da farsi, si fece avanti Marco Antonio, un energico ed ambizioso luogotenente di Cesare che quell’anno era console. Temendo per la propria vita, i congiurati si barricarono nelle loro case per poi fuggire da Roma. Marco Antonio rimase così incontrastato leader politico in Roma, ma dovette presto fronteggiare Caio Cesare Ottaviano, il giovane pronipote di Cesare, da lui indicato nel testamento come erede universale. Rientrato a Roma da Apollonia, in Epiro, dove si trovava in attesa di affiancare Cesare nella guerra partica, Ottaviano cominciò a tessere le fila di una complicata trama politica che alla fine lo avrebbe visto vincitore su tutti gli avversari. Nel 43 a. C. fondò il secondo triumvirato con Antonio e Lepido. A Filippi nel
42 a. C. Bruto e Cassio, uccisori di Cesare, furono sconfitti. Nel 31 a. C. Sconfisse Antonio ad Azio. Chiuso con la battaglia di Azio il funesto periodo delle guerre civili che per tanto tempo avevano insanguinato l’Italia, Ottaviano, padrone ormai incontrastato di Roma, governò per oltre quarant’anni senza mai assumere le vesti di un monarca assoluto. Il nuovo Cesare non sollecitò onori, non si circondò di una corte fastosa, non assunse le vesti di un sovrano orientale, pur rendendosi conto che un impero così vasto e con un carico di lavoro così pesante non poteva essere amministrato dai magistrati annuali della vecchia repubblica. Ottaviano, avendo sempre presente la reazione della nobiltà senatoria alla politica e agli atteggiamenti autoritari di Cesare, mantenne in vita le istituzioni repubblicane, dal senato ai comizi alle magistrature, ma pian piano, con grande abilità politica, le svuotò dei loro effettivi poteri. Egli, infatti, ottenne l’imperium, cioè il comando delle legioni; il titolo di principe del senato, che gli dava il diritto di votare per primo le varie proposte di legge influenzando così gli altri senatori, pochi dei quali erano ovviamente disposti a metterglisi apertamente contro; la potestà tribunizia a vita, che gli permetteva di porre il veto sulle deliberazioni legislative. A questi poteri di grande significato politico, si aggiungevano inoltre il consolato a vita e la carica di pontefice massimo. Ottaviano ricevette inoltre l’appellativo di Augusto, che attribuiva valore sacrale alla sua persona, e il titolo onorifico di padre della patria. Convinto che per affrontare i tanti e complessi problemi dell’impero fosse necessaria una salda organizzazione di governo, Augusto attuò una vasta riforma amministrativa dello stato, con l’obiettivo principale di impedire ingiustizie e abusi a danno dei provinciali. Infatti, le diverse cariche inerenti l’impostazione fiscale e l’ispezione nelle provincie furono affidate ad un corpo di funzionari generalmente competenti, efficienti ed onesti, da lui stesso scelti e nominati. In questi incarichi di fiducia, appannaggio in passato pressoché esclusivo della nobiltà senatoria e degli alti magistrati usciti di carica, fu soprattutto favorito il ceto dei cavalieri, formato dalla borghesia arricchitasi con i commerci, gli appalti, l’attività industriale e finanziaria. Augusto, inoltre, creò nuovi magistrati nella capitale per meglio garantire l’ordine pubblico, la sicurezza degli abitanti e la stabilità delle istituzioni pubbliche:
• Il prefetto urbano, che aveva il compito di prevenire e reprimere disordini nella capitale e attorno ad essa per un raggio di 100 miglia;
• Il prefetto dei vigili, che comandava sette coorti formate soprattutto da liberi e destinate a compiti di polizia, di vigilanza notturna e di spegnimento degli incendi;
• Il prefetto dell’annona, che era incaricato di provvedere all’approvvigionamento delle derrate alimentari e alla distribuzione gratuita del grano ai cittadini poveri.
Diversamente dai magistrati tradizionali, questi nuovi funzionari, come quelli permanenti delle monarchie ellenistiche, conservavano le loro mansioni senza rotazione annuale e ricevevano in cambio della loro opera generosi onorari.
Per rendere più efficiente e sicura la riscossione dei tributi, Augusto divise l’Italia, di cui faceva parte ora la Gallia Cisalpina, in 11 regioni e l’impero in 25 provincie, collegate da una rete stradale facilmente percorribile, lungo la quale si svolgeva un efficiente servizio postale. Le provincie più turbolente e quelle situate lungo i confini, che avevano necessità di una difesa militare, furono poste sotto il diretto controllo dell’imperatore ed affidate a luogotenenti da lui stesso nominati e responsabili direttamente nei suoi confronti. Le restanti furono invece lasciate sotto il controllo del senato e , come in passato, continuarono ad essere governate da proconsoli o da propretori nominati dal senato. Le provincie senatorie versavano il loro tributo all’erario (aerarium, il tesoro dello stato); le provincie imperiali lo versavano invece alla cassa personale dell’imperatore, il cosiddetto fisco, creando così una doppia contabilità delle entrate e delle spese. La stessa suddivisione si verificava per la monetazione: l’imperatore coniava monete d’oro e d’argento, il senato monete di rame. Anche nella giurisdizione penale e civile furono invase le competenze prima riservate ai pretori e ai giudici: nelle provincie imperiali, ad esempio, spettava ad Augusto il giudizio di appello, naturalmente delegato ai suoi funzionari, per una vasta serie di reati. Il procedimento per far giungere le lamentele a Roma fu riformato a un’accusa di estorsione era presa ora in attenta considerazione dal senato, timoroso della possibile indignazione dell’imperatore. Estendendo il criterio del reclutamento volontario introdotto da Mario, Augusto dette all’esercito un carattere ancor più professionale: fu infatti un regolare reclutamento basato sul volontariato, con possibilità di carriera e con una ferma fino a venti anni per la fanteria e a dieci anni per la cavalleria. Consapevole infine che solo la forza delle armi poteva garantirgli il potere, Augusto istituì un corpo di pretoriani costituito da 9.000 uomini, con una paga tre volte superiore a quella dei legionari. Essi erano scelti tra la migliore gioventù italica ed avevano il compito di proteggere il principe, di intimorire il sempre infido senato, di prevenire o di soffocare ogni tentativo rivoluzionario. L’età di Augusto rappresenta il periodo più splendido della civiltà romana. Le ferite provocate dalle guerre civili si cicatrizzano rapidamente e nelle provincie dell’impero risuonò, con il celebre verso del poeta Virgilio, la nuova parola d’ordine: “pascolate come un tempo i buoi, aggiogate i tori”. Augusto incoraggiò con apposite leggi il ritorno alla terra, represse la rilassatezza dei costumi, fece rivivere antiche cerimonie religiose; inoltre, consapevole che il rispetto del mos maiorum era il miglior baluardo del suo regime, divenne protettore della famiglia emanando apposite disposizioni che incoraggiavano il matrimonio e penalizzavano il celibato. Stabilì l’età minima per sposarsi (12 per le femmine e 14 per i maschi) e alcune norme restrittive per chi rifiutava di sposarsi o di avere figli; con un’apposita legge stabilì che l’adulterio era un reato pubblico e non solo privato: in caso di infedeltà della moglie, il marito avrebbe dovuto divorziare e la donna sarebbe stata mandata in esilio. Per volontà di Augusto anche la moglie, ufficializzando le sue intenzioni di fronte ad alcuni testimoni, ebbe il diritto di abbandonare il marito e di ottenere la restituzione della dote; un altro passo sulla via della pacificazione giuridica fu concedere alle donne con almeno tre figli la possibilità di concludere affari o comunque di prendere decisioni economiche di una certa rilevanza. \ Per dare lavoro alla plebe di Roma e liberarla dalla miseria e dall’abbrutimento in cui era caduta, l’imperatore ordinò la costruzione di grandiosi monumenti ed edifici di pubblica utilità, tanto che poté dire, con legittimo orgoglio, di avere trovato la città di mattoni e di averla lasciata di marmo. Augusto è passato alla storia come uno degli amministratori di maggior talento, energia e abilità che il mondo abbia mai conosciuto. La sua vastissima opera di ricostruzione e riorganizzazione, opera che interessò tutti i rami dello stato e tutte le provincie dell’impero, portò al consolidamento e alla diffusione della pax romana, la pace della quale tutti beneficiarono, grazie soprattutto al miglioramento delle comunicazioni e al rifiorire dei commerci. Il principato che egli instaurò procurò stabilità, sicurezza e prosperità per oltre 200 anni a un gran numero di popoli, garantì inoltre la sopravvivenza e la successiva trasmissione dell’eredità culturale e politica del mondo classico, infine contribuì, con la sua stabilità politica, a fornire il tessuto sociale in cui il cristianesimo potrà più facilmente diffondersi. Fra i tanti compiti che Augusto si era proposto vi era anche quello di restituire dignità e valore all’antica religione di stato, osteggiando i culti e le superstizioni introdotti dalla cultura ellenistica soprattutto fra i ceti colti di Roma. Il popolo, infatti, era in genere rimasto fedele alla vecchia religione e coltivava una profonda religiosità, ridestata anche dalle drammatiche vicende delle guerre civili. Per celebrare la rinnovata venerazione verso le divinità romane, elevò a dignità senza precedenti i collegi sacerdotali, largheggiò in doni ai templi, ripristinò antiche cerimonie religiose, processioni e feste sacre. Sostenuto da questo potente appoggio imperiale, l’antico culto riprese vigore e mantenne il proprio posto per oltre tre secoli in mezzo alle religioni “rivali” che affluirono a Roma dopo Augusto. Ma la restaurazione religiosa augustea introdusse anche un elemento nuovo, il culto imperiale, distinto nei due aspetti dell’adorazione dell’imperatore vivente, che tanta importanza ebbe durante le persecuzioni contro i cristiani, e l’apoteosi, cioè l’assunzione fra gli dei dell’imperatore defunto, che prenderà il nome di Divo. Infatti, alla morte di Augusto, il senato decretò che il suo spirito tutelare fosse venerato come una delle divinità ufficiali di Roma. Augusto volle anche che la grandezza di Roma fosse celebrata da poeti, scrittori ed artisti. Per questo incoraggiò e favorì gli ingegni del tempo, affidando il compito di organizzare e promuovere l’attività letteraria a uno dei suoi più fidati collaboratori, Gaio Cilnio Mecenate, che costituì un circolo culturale attorno al quale gravitano numerosi poeti e scrittori. Le lettere e le arti assunsero una nuova dignità, assorbendo ed esaltando quelle energie creative che prima erano state soffocate dalle guerre e dai sanguinosi turbamenti sociali. Questa ricchezza spirituale doveva ora esaltare le gioie dell’agricoltura, l’austera morale degli antenati, la gloria di Roma, gli ideali augustei. Si manifestò così l’ “età dell’oro” della letteratura, perfetta nella forma e nell’espressione, che ebbe fra i suoi maggiori esponenti Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio e Ovidio. Virgilio nelle “Bucoliche” e nelle “Georgiche” canta l’amore per la campagna e la vita semplice e laboriosa, mentre nell’“Eneide” celebra l’epos di Roma rievocando la missione sacra di Enea, antico progenitore dei Romani. Orazio nelle Odi, oltre a d esaltare la gloria romana, non trascura i temi dell’amore, dell’amicizia e della brevità della vita; nelle Satire e nelle Epistole esprime invece con amabile urbanità aspetti de vissuto quotidiano e della società del suo tempo. Tibullo e Properzio esplorano il mondo dei sentimenti nelle loro Elegie, tratteggiando con semplicità e tenerezza quadri idilliaci di pacifica dolcezza. Ovidio, geniale inventore di narrazioni, illustra nei Fasti le feste religiose di Roma, ma lega il proprio nome di poeta soprattutto alle Metamorfosi, la raccolta di favole che, secondo la tradizione ellenistica, descrive la trasformazione di alcuni esseri umani in piante, animali, astri, concludendosi con l’apoteosi di Augusto. Sotto Augusto, oltre ai poeti e agli scrittori, emerse uno dei più grandi storici romani, Livio, che nell’opera Ab urbe condita narra la storia di Roma dalle origini ai suoi tempi, con il preciso intento di celebrare la virtus romana, capace di operare il miracolo delle più splendide rivincite dopo le più drammatiche disfatte. Dopo di lui Tacito, vissuto nel I secolo d. C. , analizza con imparzialità e scrupolo, nei suoi Annali e nelle sue Storie, le fonti e i documenti che gli permettono di ricostruire il periodo che dalla morte di Augusto giunge a quella di Domiziano, evidenziando la crisi delle istituzioni come segno premonitore della crisi dell’impero. Ricercatore diligentissimo fu Svetonio, l’autore delle Vite dei dodici Cesari, da Cesare a Domiziano, che fornisce preziosi documenti per la ricostruzione della vita degli imperatori romani.

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