De Clementia di Seneca parte VI

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Testo

Autore: Seneca
Opera: De Clementia – VI
Traduzione:Daesty
LATINO
1. Adice, quod sapiens et providet et in expedito consilium habet; numquam autem liquidum sincerumque ex turbido venit. Tristitia inhabilis est ad dispiciendas res, utilia excogitanda, periculosa vitanda, aequa aestimanda; ergo non miseretur, quia id sine miseria animi non fit. 2. Cetera omnia, quae, qui miserentur, volo facere, libens et altus animo faciet; succurret alienis lacrimis, non accedet; dabit manum naufrago, exsuli hospitium, egenti stipem, non hanc contumeliosam, quam pars maior horum, qui misericordes videri volunt, abicit et fastidit, quos adiuvat, contingique ab iis timet, sed ut homo homini ex communi dabit; donabit lacrimis maternis filium et catenas solvi iubebit et ludo eximet et cadaver etiam noxium sepeliet, sed faciet ista tranquilla mente, voltu suo. 3. Ergo non miserebitur sapiens, sed succurret, sed proderit, in commune auxilium natus ac bonum publicum, ex quo dabit cuique partem. Etiam ad calamitosos pro portione improbandosque et emendandos bonitatem suam permittet; adflictis vero et forte laborantibus multo libentius subveniet. Quotiens poterit, fortunae intercedet; ubi enim opibus potius utetur aut viribus, quam ad restituenda, quae casus impulit? Voltum quidem non deiciet nec animum ob crus alicuius aridum aut pannosam maciem et innixam baculo senectutem; ceterum omnibus dignis proderit et deorum more calamitosos propitius respiciet.
4. Misericordia vicina est miseriae; habet enim aliquid trahitque ex ea. Imbecillos oculos esse scias, qui ad alienam lippitudinem et ipsi subfunduntur, tam mehercules quam morbum esse, non hilaritatem, semper adridere ridentibus et ad omnium oscitationem ipsum quoque os diducere; misericordia vitium est animorum nimis miseria paventium, quam si quis a sapiente exigit, prope est, ut lamentationem exigat et in alienis funeribus gemitus.
ITALIANO
[1] Aggiungi che il saggio prevede ed ha sempre pronto un consiglio: ora ciò che è limpido e puro non viene mai da ciò che è torbido. La tristezza è incapace di distinguere le cose, di escogitare qualcosa di utile, di evitare i pericoli, di valutare esattamente ; dunque, il saggio non prova compassione, perché ciò non può avvenire senza miseria nel suo animo. [2] Tutte le altre cose che voglio facciano coloro che hanno compassione, egli le farà spontaneamente e con animo elevato: porgerà aiuto alle lacrime altrui, ma non vi parteciperà; tenderà la mano al naufrago, offrirà ospitalità all’esule, farà l’elemosina all’indigente, non però quell’elemosina umiliante che getta sprezzantemente la maggior parte degli uomini che vogliono apparire misericordiosi, mentre provano disgusto per coloro che aiutano ed hanno paura di esserne toccati: ma donerà come un uomo dà ad un altro uomo qualcosa che appartiene ad un patrimonio comune; donerà un figlio alle lacrime della madre, e ordinerà di sciogliergli le catene e lo sottrarrà ai giochi dell’arena e seppellirà nella terra il cadavere anche se ha commesso dei delitti: ma farà tutto questo con mente tranquilla, con immutato. [3] Dunque, il saggio non proverà compassione, ma soccorrerà e gioverà, nato com’è per aiutare tutti e per contribuire al bene pubblico, del quale darà una parte a ciascuno. Farà giungere la sua bontà, mantenendo la proporzione, anche a uomini dannosi e degni di riprovazione, ma suscettibili di miglioramento; assisterà molto più volentieri le persone afflitte e sofferenti per la cattiva sorte. Ogni volta che sarà possibile, si opporrà all’avversa fortuna; dove potrà usare meglio le sue ricchezze o le sue forze che per rimettere in piedi quello che il caso ha abbattuto? Egli non chinerà il volto né l’animo di fronte alla gamba stecchita di qualcuno o ad una magrezza rugosa o ad una vecchiaia che si appoggia al bastone: ma darà aiuto a tutti coloro che ne sono degni e, come fanno gli dèi, guarderà con favore gli sventurati.[4] La compassione è vicina alla miseria: ha, infatti, qualcosa di essa e partecipa della sua natura. Sappi che sono deboli gli occhi che, al vedere altri occhi malati di congiuntivite, si velano anch’essi di lacrime, e così pure che è una malattia, e non allegria, il ridere sempre vedendo altri che ridono, e davanti ad ogni sbadiglio spalancare anche noi la bocca; la compassione è un vizio degli animi che sono troppo spaventati dalla miseria: se uno la pretendesse dal saggio, sarebbe quasi come se gli richiedesse di effondersi in lamenti o di piangere ai funerali di persone estranee.

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