Giovanni Verga

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

Giovanni Verga (1840 - 1922)
Giovanni Verga è lo scrittore più rappresentativo del verismo italiano. Nacque a Catania nel 1840. Trascorse la giovinezza in Sicilia per poi trasferirsi a Firenze e a Milano, dove visse a contatto con i più grandi letterati della Scapigliatura. Ritornato a Catania morì nel 1922. Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita, una concezione fatalistica e immobile dell’uomo che però non contrasta con la fede nel progresso dell’autore, sicché il Verga considera il progresso in riferimento all’umanità intera, mentre l’uomo singolo è sempre dolorante ed infelice, in balia del Fato. Egli pensava infatti che tutti gli uomini sono sottoposti ad un destino crudele che li condanna all’infelicità e al dolore e chi cerca di uscire da tale condizione piuttosto che trovare la felicità va solo incontro a sofferenze maggiori, in una visione pietrificata della società in cui non esiste alcuna possibilità di cambiamento o riscatto. Tale visione pessimistica del mondo sarebbe la più desolata di tutta la letteratura, perfino di quella del Leopardi (il quale ha fede nella forza liberatrice della filosofia illuministica e nella lotta solidale degli uomini contro la natura) se non fosse per tre elementi positivi che la addolciscono. Il primo è quel sentimento dell’eroismo e della grandezza umana, che porta l’autore ad assumere un atteggiamento di pietà misto ad ammirazione verso quelli che lui chiama i vinti, ossia coloro che nella lotta all’esistenza sono destinati inevitabilmente al fallimento e dunque alla sofferenza. Altro elemento è la fede in alcuni valori, come la famiglia, la casa vista come centro di affetti, la dedizione al lavoro, l’onore e la dignità, lo spirito di sacrificio, la fedeltà alla parola data, l’amore profondo. Il terzo elemento positivo è la saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti, consapevolezza che aiuta a sopportare le delusioni e a non cercare invano di migliorare la propria condizione, per evitare di andare incontro a sofferenze maggiori. Piuttosto è saggio chi, in tale consapevolezza, sa accettare la propria vita per quella che è, accontentandosi e attingendo da essa le piccole gioie da ritrovare in quei valori in cui ha fede l’autore (la famiglia, l’amore, …). Nell’attività letteraria del Verga dobbiamo distinguere tre periodi: il periodo romantico patriottico, il periodo romantico passionale e il periodo verista. Al primo periodo appartengono i romanzi giovanili quali Amore e patria, I carbonari della montagna, Sulle lagune, ispirati alla storia del Risorgimento e a motivi patriottici e amorosi. Al secondo periodo appartengono i romanzi scritti durante il periodo del soggiorno fiorentino e milanese quali, Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Eros, Tigre reale, durante il contatto con la Scapigliatura. La svolta verista si ha con la novella Nedda in cui il Verga abbandona i personaggi passionali e raffinati dei romanzi giovanili e ritrae la vita degli umili, abbandonando quelle analisi psicologiche dei primi romanzi per dedicarsi ad una narrazione sobria, con un linguaggio semplice, scarno e crudo, aderendo a questa nuova corrente culturale del verismo che prendeva le mosse dal naturalismo francese. Infatti tale svolta del Verga fu dovuta principalmente alla scoperta dei francesi Zola, Flaubert, Maupassant, Daudet, de Balzac. Il naturalismo nella letteratura francese corrisponde a uno dei tre rami in cui si articola il periodo del Realismo della seconda metà dell’800. In questo periodo vengono abbandonati i problemi metafisici, gli idealismi esagerati e i languori sentimentali del Romanticismo aderendo ad una letteratura che si prefigge di rappresentare il reale, occupandosi degli strati della popolazione più umili, fornendo crudi ritratti della società coeva in modo freddo, distaccato, impersonale, col fine di denuncia sociale, per richiamare lo Stato al dovere di rendere concreti quei valori di libertà, eguaglianza, giustizia, benessere, che rimanevano spesso solo buone intenzioni. Il Realismo assume il nome di Positivismo in Filosofia, Naturalismo nella letteratura francese, Verismo in Italia. Le ragioni che scaturirono la nascita di questa nuova corrente letteraria-filosofica furono principalmente storiche e dovute al fallimento in Europa dei moti insurrezionali del 1848, e precisamente, per quanto riguarda l’Italia, al fallimento della Prima Guerra d’Indipendenza, conclusasi con la sconfitta di Novara. Fra il Naturalismo francese ed il verismo Italiano, però, esistono alcune differenze sostanziali. Innanzitutto la prima riguarda gli ambienti e le classi sociali oggetto di studio. Infatti mentre i naturalisti francesi ritraevano la vita di periferia delle grandi metropoli, dilaniata da problemi quali emarginazione sociale, depravazione, miseria, alcol, droga, i veristi italiani ritraggono la vita primitiva e di stenti delle della provincia, dedicandosi alle ceti meno abbienti come pescatori, contadini, pastori, minatori, artigiani. Differente è l’atteggiamento degli scrittori dinanzi alla realtà, l’uno, quello dei naturalisti, polemico, volto alla denuncia sociale, accompagnato da una fiducia ottimistica nel superamento delle ingiustizie sociali, l’altro, quello dei veristi, più contemplativo delle miserie degli umili, senza una precisa volontà di denuncia ne tantomeno una fiducia nel loro riscatto. Tale differenza è dovuta sia alla diversa estrazione sociale degli scrittori francesi e italiani, sia al pubblico, maturo ed evoluto, sensibile alla protesta ed al rinnovamento, in Francia, arretrato, rassegnato ed incapace di recepire qualsiasi messaggio di riscossa, in Italia. Questo spiega lo scarso successo dei veristi, che saranno conosciuti ed apprezzati solo in seguito. Sicché, mentre il naturalismo assunse carattere nazionale, il Verismo rimase in un ambito meridionale, regionale, per l’arretratezza sociale ed economica del sud Italia, nelle quali condizioni di miseria, fame sfruttamento, oppressione, trovava i suoi spunti più vivaci. Giovanni Verga si dedicò ad un progetto letterario in cui volle rappresentare il movente dell’agire umano che genera il progresso, con il famoso ciclo dei Vinti. Questo comprendeva la novella Nedda, Vita dei campi e Novelle rusticane, i romanzi I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo. Ad essi dovevano seguire La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni, L’uomo di lusso, ma il ciclo fu interrotto, secondo alcuni, per ragioni artistiche, perché Verga consapevole della sua concezione pessimistica senza svolgimento, voleva evitare la monotonia; per altri l’interruzione fu dovuta a ragioni morali, in quanto il Verga non poteva più trattare di quella vanità aristocratica che egli ormai disprezzava, per l’insorgere della nuova poetica verista dell’impersonalità. Nonostante tale l’adesione, però, l’autore non riuscì mai, alla stregua dei naturalisti, ad assumere quell’atteggiamento imparziale, oggettivo, distaccato, volto a ritrarre la cruda realtà in modo anonimo, connotante la nuova corrente letteraria, finendo sempre per rispecchiare una personale visione del mondo ed un forte sentimento di dolore misto a insofferenza di fronte alla vita. Il genere verista rassomiglia e si differenzia dal romanzo storico in alcuni punti. Come il romanzo storico aderisce ad uno stile umile, poco dotto, adatto al popolo, con altrettanto umili protagonisti, con scene di vita quotidiana, entrando nella vita delle persone meno abbienti. Ma seppur simili, esistono alcune differenze sostanziali fra i due generi che possiamo dedurre mettendo a confronto i due autori maggiori delle rispettive letterature: Verga e Manzoni. Innanzitutto, i protagonisti del Verga sono i vinti, quelli del Manzoni gli umili. Gli umili del Manzoni sono i poveri, i deboli, che lottano contro i soprusi dei potenti e dei violenti. I vinti del Verga sono potenzialmente tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla classe a cui appartengono. Essi sono tutti coloro che spinti dal bisogno di migliorare la propria condizione di vita, urtano contro il volere del destino, che non permette loro di risalire la scala sociale in cui sono inseriti. Perciò a differenza del Manzoni, il dolore e l’infelicità dei personaggi, non sono dovuti al contesto storico e sociale in cui sono immersi, ma bensì al Fato che incombe su tutti gli uomini, che bisogna accettare con rassegnazione. Un’altra differenza sostanziale consta nella fede nella Provvidenza da parte degli umili manzoniani, a differenza dei vinti verghiani. Nel Manzoni, gli umili hanno la certezza che la Provvidenza non potrà mai abbandonarli, e che dalla loro sofferenza deriverà il bene. I vinti del Verga sono piuttosto tristi, rassegnati, senza alcun conforto di una fede religiosa. Dio è assente dal mondo del Verga e le uniche tracce di religiosità all’interno della sua letteratura sono quelle utilizzate in maniera beffarda e sarcastica. Se di cristianesimo si può parlare nel Verga si tratta di un cristianesimo elementare e primitivo, che induce alla rassegnazione paziente, senza speranza. Il mondo del Verga è l’immobilismo rassegnato, elevato a sistema. Per questo il pessimismo di Verga si discosta dalla letteratura di ispirazione sociale che si diffondeva in quel periodo. Per Verga nessuna forza può risollevare la condizione di miseria e degrado sociale delle plebi meridionali. L’opera più famosa del Verga è I Malavoglia. L’autore narra le vicende di una famiglia di pescatori, i Toscano, detti Malavoglia, composta dal nonno padron ‘Ntoni, dal figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza, detta la Longa, e da cinque nipoti: ‘Ntoni, Luca, Mena, detta Sant’Agata, Alessi e Lia. Il loro patrimonio consiste in una grossa barca, la Provvidenza e nella casa del Nespolo, detta così per il nespolo che le cresceva accanto. Le vicende si svolgono a pochi chilometri da Catania e prendono le mosse da una piccola speculazione commerciale che padron ‘Ntoni intraprende per migliorare le condizioni della famiglia, aggravatesi quando il nipote ‘Ntoni va a fare il soldato, venendo meno il suo lavoro. Dunque padron ‘Ntoni acquista a credito dallo zio usuraio, Crocifisso, una partita di lupini che Bastianazzo imbarca sulla Provvidenza per venderli a Riposto. Durante il tragitto una tempesta provoca la perdita del carico di lupini e la morte di Bastianazzo. A questa seguono altre disgrazie: la morte di Luca nella battaglia di Lissa, la morte di Maruzza per il colera, la perdita della cassa del Nespolo per l’insolvenza del debito e degli interessi, il traviamento di ‘Ntoni, che tornato dal servizio militare, mal si adatta alla vita di stenti e si unisce ad una compagnia di contrabbandieri ferendo con una coltellata, in un episodio, il brigadiere don Michele, che lo ha sorpreso in flagrante. Durante il processo, per alleggerire la pena, l’avvocato difensore insinua che ‘Ntoni abbia ferito don Michele per motivi d’onore, perché se la intendeva con la sorella Lia. ‘Ntoni è condannato a cinque anni di carcere, e Lia, sconvolta dalle chiacchiere del paese, scappa di casa e si perderà. Il disonore affligge i Malavoglia e padron ‘Ntoni, affranto, si ammala e muore all’ospedale. Intanto Alessi, che ha sposato la Nunziata, con la sua laboriosità riscatta la casa del Nespolo, dove torna ad abitare insieme alla sorella Mena, la quale rifiuta di sposare Alfio, perché disonorata per la perdizione di Lia. Quando il giovane ‘Ntoni ritorna dal carcere, si sente colpevole per non essere stato solidale con la famiglia e per aver provocato la rovina della famiglia, e pertanto non può rimanere presso i suoi e va via per sempre. Nell’opera nomi e nomignoli sono usati in senso ironico, tant’è che i Malavoglia sono tutt’altro che svogliati, o anche la Provvidenza, ad esempio, non mantiene fede al suo nome augurale. Nell’opera si scontrano due concezioni della vita diametralmente opposte: c’è chi, come padron ‘Ntoni, si sente legato alla tradizione, riconoscendo la saggezza dei valori antichi come la famiglia, la dedizione al lavoro, il senso dell’onore, e si rassegna al proprio stato; e la concezione di chi, come il nipote ‘Ntoni, si ribella all’immobilismo dell’ambiente in cui vive, rifiutandone i valori e aspirando ad uscirne, col miraggio di una vita diversa. Chiaramente la simpatia del Verga è per padron ‘Ntoni, dunque verso determinati antichi valori volti a ricostruire il focolare domestico andato distrutto. Per quanto riguarda la lingua, Verga riuscì a creare una prosa parlata, popolare, modulata sul dialetto con la cadenza cantilenante della antiche rapsodie, insomma un linguaggio semplice, antiletterario, che aderisce dunque alla fiorente corrente letteraria verista.

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