Gertrude nei Promessi Sposi

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Testo

N. 10 GINDRO CHRISTIAN 2B P.N.I AOSTA, 29 MARZO 2008

TESTO ARGOMENTATIVO SUI PROMESSI SPOSI

_Secondo voi Manzoni esprime un giudizio negativo , di colpevolezza totale su Gertrude?

Il personaggio di Gertrude, anche se il ruolo è abbastanza secondario, è uno di quelli più importanti nei Promessi Sposi, tant’è che Manzoni riserva l’intera prima cerniera, che corrisponde ai 2 capitoli 9 e 10, alle sue vicende, soprattutto a quelle passate. Infatti, per quasi tutta la durata di questi 2 capitoli è presente un flashback, in cui il Manzoni racconta la vita di questa monaca singolare, dall’infanzia fino all’incontro con Lucia. Ed è proprio nel flashback che l’autore rivela le cause del comportamento di Gertrude. La ragazza è abituata sin da piccola a un futuro di monaca, senza che lei lo abbia mai voluto. Però in convento, durante la sua istruzione scolastica, cambia drasticamente idea, pensando di essere lei padrona della sua vita,e perciò vuole farlo sapere al padre. Qui commette un grave errore: infatti sa di andare contro la decisione paterna, ma crede che prima o poi se ne sarebbe fatto una ragione. Ciò non avviene mai e dopo quasi un mese di convivenza difficile, in cui Gertrude scrive anche un biglietto al paggio, l’unica persona che mostra per lei un po’ di interesse, è costretta a cedere e a prendere i voti. Quindi entra in convento, dove non si fa nessun amico, e sfoga la sua rabbia repressa sulle giovani che doveva educare. Inoltre, quando ormai è monaca già da un po’ di tempo, intraprende una relazione amorosa con Egidio, che la trasforma talmente tanto da farla diventare una assassina. Bisogna però concedere molte attenuanti a questa povera ragazza per questo suo comportamento. Lei era infatti la figlia di una importantissima famiglia milanese ed era perciò tenuta a rispettare le decisioni sul suo futuro da parte dei genitori, per la terribile legge del maggiorasco: così “La nostra infelice era nascosta ancora dentro il ventre di sua madre che la sua condizione era stabilita. Rimaneva solo da decidere se era monaco o monaca”(CAP 9, vv 293-295). Quando, pero, nel suo cervello avvenne “quel brulichio che produrrebbe un gran paniere di fiori appena colti messi davanti a un alveare”(CAP 9,vv 369-371), vale a dire che si presentarono immagini di lusso, di sfarzo, di banchetti, portate dalle sue compagne, volle anche lei partecipare a tutto questo e scrisse quindi quella fatidica lettera al padre. Inoltre Gertrude era totalmente dominata dalla figura del padre, che è un vero padre-padrone, che la comandava a bacchetta e il quale non poteva permettere che una sua decisione non venisse rispettata. Così, a causa di questa sua eccessiva severità d’animo, una vera e propria intransigenza, tant’è che lo stesso Manzoni non osa chiamarlo padre (CAP 10, vv 18-19), la ragazza fu talmente umiliata che “il solo castello nel quale Gertrude potesse immaginare un rifugio onorevole era il monastero, quindi, si risolvette d’entrarci per sempre”(CAP 9, vv 575-577). Infine, tuttavia, alle vicende che seguirono la monacazione e culminarono nella morte per mano sua di una conversa e del suo stesso figlio, non si può dare alcuna attenuante: infatti l’unica vera causa si trova in lei stessa: è perciò lei la colpevole, perché non fece “di necessità virtù”.
Molto spesso, però, il suo comportamento, soprattutto quando gli veniva imposto, portava a conseguenze dolorose sia per se stessa che per gli altri. Per esempio, dopo aver preso i voti, divenne burbera verso le altre monache, associale, oltremodo severa verso le sue alunne, cosicché non solo lei cambiò il suo atteggiamento in peggio, ma ciò influì anche sulle altre persone che non avevano niente a che fare con i suoi problemi. O è ancora il caso di quando si innamorò, fuori da ogni regola e logica ecclesiastica, di Egidio. Questo, difatti, portò non solo a un cambiamento morale di lei , ma bensì alla morte di una conversa e di un neonato: la punta più estrema che Gertrude poteva toccare, l’omicidio. Naturalmente, come per ogni personaggio, nel testo è presente il giudizio che Manzoni dà a Gertrude, personaggio storico, ma ricreato e integrato psicologicamente dalla penna dell’autore. Questo giudizio manzoniano è da dividersi in 2 momenti: nel primo momento prova molta pietà e comprensione. Invece, c’è una seconda parte, che si può far partire dalla parola “sventurata”, in cui Manzoni è più intransigente e aspro, proprio perché sa che Gertrude è padrona delle proprie azioni.
Per quanto riguarda il mio parere, penso che Gertrude non abbia mai avuto una propria personalità, ma che la sua personalità sia stata plagiata dal padre padrone: con questo voglio dire che, anche se Gertrude aveva una certa predisposizione verso arroganza, l’imperiosità, l’invidia e la vanità, in verità non è stata lei a svilupparli, ma è stato il padre a incentivarli, con l’aiuto della moglie e del principino. Perciò Gertrude è cresciuta con queste caratteristiche e quindi penso che una buona parte della colpa per ciò che Gertrude ha fatto sia dovuta al padre, mentre la parte restante sia da attribuire a Gertrude, che non ha combattuto abbastanza per cercare di liberarsi da questi tratti caratteriali che gli sono stati imposti dal padre.

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