Le stelle, il sole, e i moti della Terra

Materie:Tesina
Categoria:Geografia Astronomica

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Testo

Guardando il firmamento si ha l’impressione che la Terra stia al centro di un’enorme sfera cava, sulla cui superficie interna vediamo proiettati tutti gli astri. Questa sfera celeste sembra ruotare intorno a noi da Est verso Ovest; in realtà è il nostro pineta che ruota su se stesso in senso anti-orario (da Ovest a Est), girando attorno a un ideale Asse Terrestre (o asse del mondo), il cui prolungamento nello spazio, dalla parte del Polo Nord, sfiora una piccola stella, che per la sua posizione, è stata chiamata Stelle Polare. Altri riferimenti sono : Lo Zenit, il punto in cui la verticale, innalzata sopra la testa di un osservatore, incontra la Volta Celeste; il punto opposto è il Nadir, (agli antipodi). Polo nord e Polo sud celesti, Zenit e Nadir si trovano su una stessa circonferenza massima che viene chiamata meridiano celeste del luogo di osservazione;
a sua volta l'orizzonte celeste coinciderà con una circonferenza, chiamata Equatore celeste, che rappresenta il circolo massimo descritto dalle stelle nell'apparente moto di rotazione della Sfera celeste attorno all'asse: tutte le stelle che non si trovano su questo circolo massimo descrivono apparentemente ogni giorno sulla Sfera celeste delle circonferenze (paralleli celesti) di diametro via via sempre più piccolo quanto più sono vicine a uno dei poli. Quando l'Equatore celeste e l'orizzonte celeste non coincidono, la loro intersezione individua due punti Est (oriente o levante) e Ovest (occidente o ponente)
L'orizzonte è tagliato in altri due punti notevoli dal meridiano del luogo: sono il Nord e il Sud, che si trovano ognuno dalla parte del polo Celeste dello stesso nome.
Le più usate unità di misura delle distanze sono:
➢ Unità astronomica (U.A.): è usata in genere entro i limiti del Sistema solare e corrisponde alla distanza media tra Terra e Sole, che è di circa 149 600 000 km.
➢ Anno-luce (a.l): è la distanza percorsa in un anno dalla radiazione luminosa
➢ Parsec (parallasse-secondo, pc): è la distanza di un punto dal quale un osservatore vedrebbe il semiasse maggiore dell'orbita terrestre, perpendicolarmente, sotto "l'angolo di 1";
L'unità di misura parsec deriva dal metodo usato per determinare la distanza delle stelle dalla Terra, che si basa sulla misura dell''angolo di parallasse.
Magnitudine apparente e assoluta. La diversa luminosità delle stelle è la caratteristica che ha suggerito, fin dai tempi di IPFAKCO DI NICEA (II secolo a.C.) e di TOLOMEO (II secolo d.C), di suddividere le stelle in classi sulla base del loro splendore, introducendo sei ordini di grandezze: la prima grandezza per le più luminose, la sesta per le più deboli, ancora visibili a occhio nudo. Oggi il termine «grandezza» è sostituito da magnitudine e la luminosità di una stella viene accuratamente misurata con appositi fotometri fotoelettrici, simili a esposimetri fotografici, montati su telescopi.
Ma a cosa sono dovute queste differenze di luminosità? Oggi sappiamo che una stella appare più o meno luminosa in parte perché può emettere effettivamente più o meno luce, ma soprattutto perché è più o meno lontana da noi. Le misure di cui abbiamo finora parlato si riferiscono, quindi, alla magnitudine apparente (che si indica con m); per conoscere invece la luminosità intrinseca di una stella, si ricorre alla magnitudine assoluta (che si indica con M), che corrisponde alla luminosità che le singole stelle mostrerebbero se fossero poste a una distanza standard da noi pari a 10 parsec (32,6 a.l.). Il nostro Sole, portato alla distanza standard, sarebbe appena visibile a occhio nudo.
Non tutte le stelle hanno una magnitudine costante: di alcune la luminosità si indebolisce e si accresce a intervalli regolari; sono le variabili pulsanti, o variabili intrinseche, che a cicli regolari emettono maggiore o minore energia. Tra esse sono note le variabili tipo Cefèidi (cioè simili a quelle della Costellazione Cefeo), grandi e gialle, che cambiano di splendore con periodi regolari, compresi tra 2 e 50 giorni.
➢ Stelle doppie e sistemi di stelle. Oggi conosciamo decine di migliaia di stelle doppie: stelle che ruotano una intorno all'altra (o, meglio, ruotano intorno a un baricentro comune). In alcuni casi è possibile distinguere al telescopio i due componenti di un sistema {binarie visibili), altre volte una stella in apparenza singola si riconosce come doppia per le variazioni di luminosità ora descritte {variabili a eclissi); sono noti anche sistemi multipli, con tre o più stelle associate, rilevabili per variazioni di luminosità.
➢ Colori, temperature e spettri stellari. Con l'impiego di spettroscopi, un qualunque raggio luminoso (come quello che proviene da una stella) dà origine_a_uno spettro, cioè a una striscia formata da bande con tutti i colori dell’iride (dal rosso, che corrisponde a luce con lunghezza d'onda maggiore, al blu, con lunghezza d'onda minore), oppure da una serie di righe luminose, la cui posizione e il cui numero dipendono dalla natura chimica della sorgente luminosa (fig. 2.5.). Gli spettri sono una specie di impronte digitali dei vari elementi chimici e costituiscono un potente strumento di indagine.
Ma il «tipo spettrale» dipende dalla temperatura del corpo emittente e le stelle non hanno tutte la stessa temperatura, come rivelano i differenti colori con cui ci appaiono (fig. 2.6.), strettamente legati alle temperature superficiali delle singole stelle.
All'analisi spettroscopica, le diverse temperature delle stelle si traducono in differenti tipi spettrali: le stelle vengono perciò classificate in classi spettrali, ordinate in funzione di valori decrescenti della temperatura. Le analisi spettrali, effettuate su centinaia di migliaia di corpi celesti, mostrano una notevole uniformità nella composizione chimica delle atmosfere stellari (la parte più e-sterna dell'ammasso di materia di cui è formata una stella). Per la maggior parte tale materia è costituita di idrogeno (H: 80%) e di elio (He: 19%), mentre meno dell'I % comprende tutti gli altri elementi chimici che conosciamo.
➢ Stelle in fuga e stelle in avvicinamento. Le stelle si muovono nel firmamento, ma nella maggior parte dei casi il loro movimento è per noi impercettibile, a causa della grande distanza.
Diamo uno sguardo agli immensi spazi che separano le stelle, nei quali sono diffusi polveri finissime e gas. Tale Materia interstellare risulta spesso concentrata in ammassi di fine materia che hanno un aspetto simile alla nebbia e che vengono chiamati perciò nebulose (dal latino nebula): ammassi scuri perché privi di luce (nebulose oscure), che si stagliano come ombre su un fondo luminoso di stelle, o debolmente luminosi se attraversati dalla luce di stelle molto brillanti e molto vicine (nebulose a riflessione). Vi sono anche ammassi dotati di una tenue luce propria (nebulose ad emissione): sono essenzialmente gassosi ed emettono luce per un fenomeno di fluorescenza, provocato nei gas da radiazioni ultraviolette provenienti da qualche stella vicina.
Evoluzione dei corpi celesti
Tutte le stelle, come il Sole, producono energia con la loro fornace in cui avvengono reazioni nucleari. E quando il loro combustibile è tutto bruciato? Evidentemente, anche le singole stelle hanno una loro evoluzione, tanto più che nuove stelle nascono continuamente da nubi cosmiche di gas e polvere.
La chiave per leggere l'istantanea del nostro Universo è stata fornita dagli astronomi E. HERTZSPRUNG e N.H. RUSSELL, che, indipendentemente l'uno dall'altro, hanno ideato un diagramma (diagramma H-R) in cui si possono collocare le varie stelle, ponendo in ascissa la loro temperatura (da cui dipende il loro colore e la loro classe spettrale) e in ordinata la luminosità.
Come si può facilmente osservare, nel diagramma H-R le stelle non si distribuiscono a caso, ma in grandissima parte si raccolgono lungo una fascia, chiamata sequenza principale, disposte secondo un ordine regolare, mentre altre si riuniscono in gruppi che occupano settori specifici del diagramma.
COME NASCE UNA STELLA
È probabile che le stelle nascano dai cosiddetti globuli di Bok, veri addensamenti di grandi quantità di polveri e gas che appaiono come nuclei oscuri e nettamente circoscritti all'interno della diffusa luminosità delle nebulose. All’interno dei globuli possono innescarsi moti turbolenti, che frammentano i globuli in ammassi più piccoli, all'interno dei quali la reciproca attrazione gravitazionale tra le particelle della nebulosa, costrette ad avvicinarsi, dà inizio ad un processo di aggregazione. Con il proseguire dell'addensamento e della contrazione l'energia gravitazionale si trasforma in energia cinetica e di conseguenza aumenta la temperatura del corpo gassoso, che si trasforma in una protostella, da cui partono gran copia di radiazioni infrarosse.
A causa della forza di gravità, la contrazione prosegue e il nucleo della protostella si riscalda: ma se la massa iniziale è scarsa la temperatura non arriva a far innescare le reazione termonucleari: la contrazione si arresta e il corpo si raffredda, lasciando un’oscura nana bruna.
➢ Se invece la massa é sufficiente, continua a riscaldarsi, fino a raggiungere temperature di 15 milioni di K, sufficienti a far innescare il processo termonucleare di trasformazione dell'idrogeno in elio. Il calore liberato da tale reazione fa aumentare la pressione dei gas verso l'esterno, fino a compensare la forza di gravità: si giunge così a una fase di stabilità durante la quale la stella, si 'trova sulla sequenza principale del diagramma H-R, in una posizione che dipende dalla massa iniziale della nebulosa da cui si è originata.
Quando quasi tutto l'idrogeno è ormai consumato, il nucleo di elio che si è formato, molto più denso del nucleo di idrogeno originario, finisce per collassare, cioè per contrarsi su se stesso; in tale processo si riscalda progressivamente fino a temperature di 100 milioni di K, sufficienti ad innescare nuove reazioni termonucleari, che trasformano [l'elio in carbonio] Per l'alta temperatura l'involucro gassoso esterno della stella si espande enormemente;
La stella è entrata in una nuova fase e appare come una gigante rossa;
➢ Stelle con massa iniziale poco inferiore a quella del Sole devono collassare, gradualmente, fino a divenire corpi delle dimensioni della Terra, le nane bianche che, ormai prive di una fonte di energia nucleare, sono destinate a raffreddarsi lentamente.
.. Se la massa originaria della stella è qualche decina volte quella del Sole, dopo la fase di supernova il collasso gravitazionale non Trova più forze sufficienti a contrastarlo: la contrazione prosegue, la densità continua ad aumentare e sì forma un corpo sempre più piccolo, circi
➢ Stelle con massa iniziale come quella del Sole o alcune volte maggiore finiscono ugualmente come nane bianche, ma prima attraversano una fase particolare (fig. 2.9.). Ar-rivate allo stadio di giganti rosse, finiscono per espellere i loro strati più esterni che, trascinati via da un imponente vento stellare, danno origine a nubi sferiche di gas in espansione, chiamate nebulose planetarie. Dopo alcune migliaia di anni, la fusione nucleare si esaurisce e la stella inizia a raffreddarsi; alla fine, la nebulosa_scompare e la stella centrale, compatta e nuda, diventa una nana bianca.
In alcuni casi si osservano invece vere e proprie esplosioni stellari, che si manifestano con un' improvviso aumento di luminosità; Tali stelle sono dette novae (dal latino nova, cioè «nuova», come veniva indicata dagli antichi una stella sconosciuta prima dell'improvviso aumento di luminosità).
➢ Se la massa della stella supera di almeno una decina di volte quella del Sole le temperature interne arrivano gradualmente a miliardi di gradi, facendo innescare via via nuove reazioni termonucleari, con la formazione di nuovi elementi. Ma il collasso si fa così rapido e violento da liberare infine un'enorme quantità di energia, che provoca un' immane esplosione: la stella, definita supernova.
Il materiale che rimane dopo l'esplosione collassa e raggiunge una densità inconcepibile, fino a un milione di volte maggiore della densità del nucleo di una nana bianca. In tali condizioni, elettroni e protoni si fondono e si forma una stella di neutroni, un corno di soli 2u o 30 km di diametro.
➢ Se la massa originaria della stella è qualche decina di volte quella del Sole, dopo la fase di supernova il collasso gravitazionale non Trova più forze sufficienti a contrastarlo: la contrazione prosegue, la densità continua ad aumentare e sì forma un corpo sempre più piccolo, circondato da un campo gravitazionale immenso. E’ come se una porzione di spazio, non più grande di una decina di kilometri, si trasformasse in un vortice oscuro in grado di attirare entro di sé e di far scomparire qualunque corpo o particella entri nel suo raggio d’azione; neanche le radiazione, compresa la luce, potrebbero uscire da un Buco Nero (black hole).
Tutte le stelle e le nebulose visibili dalla Terra senza l'aiuto di grandi strumenti fanno parte della nostra Galassia, cioè di quell'insieme di corpi celesti, circondato da un vastissimo spazio vuoto, che comprende il Sole con il suo sistema planetario.
Oltre alle circa 6000 stelle visibili a occhio nudo, essa comprende la Via Lattea, la fascia di aspetto lattiginoso che, come dimostrò GALILEO, è formata da innumerevoli stelle. Oggi sappiamo che la Galassia ha la forma di un_ disco centrale (nucleo galattico) da cui si dipartono lunghi bracci a spirale. Per completare il quadro della nostra Galassia rimangono ancora da ricordare gli ammassi stellari gruppi di stelle relativamente vicine tra di loro, che si muovono tutte insieme
IL SISTEMA SOLARE
Il Sistema solare, di cui fa parte il nostro pianeta, è infatti un insieme di corpi {corpi celesti) diversi tra loro per natura e dimensioni, ma accomunati per l'origine e costretti a muoversi in uno spazio ben definito, «governato" dalla forza gravitazionale del Sole. Il Sistema solare comprende:
➢ una stella di modeste dimensioni, il Sole;
➢ i suoi nove pianeti_
➢ almeno 63 satelliti principali e numerosi anelli di materiali in frammenti, che, variamente distribuiti tra i pianeti, ruotano intorno a questi ultimi;
➢ migliaia di asteroidi (o «pianetini»), piccole masse concentrate in un'ampia fascia che circonda il Sole a distanze tra 2 e 3 U.A.;
e, infine, numerose piccole masse ghiacciate che si muovono all'estrema periferia del Sistema solare e che solo occasionalmente o periodicamente si avvicinano al centro, manifestandosi sotto forma di comete. Lo spazio tra i vari corpi celesti non è completamente vuoto: vi si trova, estremamente rarefatta, la materia interplanetaria») formata da pulviscolo (in pratica micrometeoriti, con diametro pari a frazioni di mm), gas e frammenti subatomici (protoni ed elettroni liberi).
Quasi tutta la massa di materia complessivamente presente nel Sistema solare è concentrata nel Sole, che ne comprende il 99,85% e che è il centro dell'intero sistema.
La nostra «esplorazione» del Sistema solare comincerà, quindi, dal suo centro caldo e abbagliante e ne raggiungerà poi, di pianeta in pianeta, la gelida periferia, da dove il Sole apparirebbe non più grande di un punto luminoso.
«Una stella e una manciata di sassi»: questa definizione del Sistema solare, dovuta a un noto astronomo, può apparire riduttiva, ma descrive efficacemente il ruolo del nostro sistema nell'immensità dell'Universo.
Il Sistema solare, di cui fa parte il nostro pianeta, è infatti un insieme di corpi {corpi celesti) diversi tra loro per natura e dimensioni, ma accomunati per l'origine e costretti a muoversi in uno spazio ben definito, “governato" dalla forza gravitazionale del Sole. La porzione di spazio entro cui tali corpi si muovono ha le dimensioni di una sfera con il diametro di circa 200000 U.A. (pari a circa 30000 miliardi di km o 3 al): uno spazio che può apparire sconfinato, ma che è poco più di un punto, un minuscolo angolo verso la periferia della Galassia che, a sua volta è solo una tra i miliardi di galassie che si muovono nell'Universo, separate da vastissime distese di spazio deserto, anche se non totalmente vuoto.
Il Sistema solare comprende: una stella di modeste dimensioni, il Sole; i suoi nove pianetini almeno 63 satelliti principali e numerosi anelli di materiali in frammenti, che, variamente distribuiti tra i pianeti, ruotano intorno a questi ultimi; migliaia di asteroidi (o «pianetini»), piccole masse concentrate in un'ampia fascia che circonda il Sole a distanze tra 2 e 3 U.A.; una quantità di frammenti di varia origine e natura, troppo piccoli per essere chiamati pianetini, anche se il limite tra le due categorie non è netto: tali frammenti, se attratti dalla Terra tanto da attraversarne l'atmosfera, si arroventano per attrito e possono o bruciare completamente, come le meteore (le ben note «stelle cadenti»), o consumarsi solo in parte, nel qual caso il loro nucleo colpisce il suolo come meteorite;
e, infine, numerose piccole masse ghiacciate che si muovono all'estrema periferia del Sistema solare e che solo occasionalmente o periodicamente si avvicinano al centro, manifestandosi sotto forma di comete. Lo spazio ra i vari corpi celesti non è completamente vuoto: vi si trova, estremamente rarefatta, la materia interplanetaria») formata da pulviscolo (in pratica micrometeoriti, con diametro pari a frazioni di mm), gas e frammenti subatomici (protoni ed elettroni liberi).
Quasi tutta la massa di materia complessivamente presente nel Sistema solare è concentrata nel Sole, che ne comprende il 99,85% e che è il centro dell'intero sistema.
La nostra «esplorazione» del Sistema solare comincerà, quindi, dal suo centro caldo e abbagliante e ne raggiungerà poi, di pianeta in pianeta, la gelida periferia, da dove il Sole apparirebbe non più grande di un punto luminoso.
La stella da cui riceviamo luce e calore ha un raggio medio di circa 700 000 km (pari a 109 volte il raggio della Terra). Il suo volume è di 1,412 IO18 km3 (pari a 1300000 volte il volume terrestre); la sua densità media (cioè il rapporto massa/volume) è di 1,41 g/cm3 (pari a 1/4 di quella della Terra, che è 5,52 g/cm3), quindi molto vicina a quella dell'acqua. U accelerazione di gravità, alla sua superficie, è circa 28 volte quella terrestre, tanto che un uomo di 70 kg sulla superficie del Sole peserebbe circa 2 000 kg. J1_5Q1P ruota intorno a un proprio asse, ma con velocità diversa a seconda della latitudine: la rotazione dura 25 giorni all'Equatore, mentre al polo dura più di 30 giorni, per cui almeno la parte più esterna della nostra stella non si comporta rigidamente (come avviene, per esempio, per la Terra), ma come un fluido.
Il Sole è una potentissima fonte di energia, che viene irradiata senza posa in ogni direzione dello spazio. La potenza di irraggiamento totale del Sole è di 380 000 miliardi di miliardi di kW (kilowatt, cioè 1000 watt): per avere un'idea un po' meno vaga di cosa significhino questi numeri, si può dire che il Sole emette in un solo secondo più energia di quanta ne abbia consumata l'intera umanità in tutta la sua storia. La potenza per unità di superficie è detta costante solare. Per comodità di esposizione possiamo suddividere la struttura del Sole in una serie di involucri concentrici, pur tenendo presente che, essendo tutti gassosi, non esistono tra di essi limiti netti (fig. 2.18.). Distinguiamo, in tal modo:
• l'interno del Sole, formato da un nucleo avvolto da una zona radiativa, che passa a sua volta a una zona convettiva; esso contiene quasi tutta la massa solare e non è accessibile, come già ricordato, all'osservazione diretta;
• la superficie visibile, denominata fotosfera («sfera di luce»);
• l'atmosfera, distinta in due strati: cromosfera e corona.
All'interno della fornace solare. Nel cuore del Sole è in funzione un reattore nucleare a fusione mantenuto stabile dalla forza di gravità. A quella profondità, infatti, la pressione gravitazionale dell'enorme involucro di materiali sovrastanti è in grado di contenere la violenza esplosiva delle reazioni termonucleari, fatte innescare da temperature elevatissime, prossime a 15 milioni di kelvin. Si è individuato, così, un nucleo che è la zona di vera produzione di energia, in cui aumenta continuamente l'elio a spese dell'idrogeno (vedi par. 2.2.1.) e che attualmente ha un raggio di circa 150000 kilometri. L'energia in esso prodotta si tra-smette verso l'esterno con un processo di radiazione che interessa l'involucro gassoso circostante per uno spessore di circa 450000 km, chiamato zona radiativa, in cui gli atomi dei gas assorbono ed emettono energia, ma, per la minor temperatura, non danno luogo a reazioni nucleari.
Alla profondità, rispetto alla superficie del Sole, di circa 10000 km i gas, per la minore pressione, diventane meno stabili e si innescano giganteschi movimenti convettivi (ricordiamo che si chiamano così tutti i movimenti di materia che sale e scende secondo tragitti ciclici attivati da differenze di temperatura).
Il trasporto di energia avviene quindi per convezione e questo involucro di gas più esterno (con pressioni e temperature minori) viene chiamato zona convettiva: la parte sommitale delle grandi celle convettive è direttamente osservabile e forma la superficie luminosa del Sole.
Sulla superficie del Sole: granuli abbaglianti e materia scura. Dopo un viaggio di centinaia di milioni di anni le particelle prodotte dalla fornace nucleare raggiungono la superficie della sfera di materia solare e diventano visibili come fotosfera.
La fotosfera («sfera di luce») è l'involucro che irradia quasi tutta la luce solare e corrisponde, quindi, al disco luminoso del Sole. Quella che vediamo, in realtà, è solo la parte sommitale dell'involucro di gas incandescente che costituisce l'intera zona convettiva; la temperatura media superficiale del Sole è di 5785 K (= 5512 °C) e ad essa è dovuto il suo colore giallo (vedi par. 2.1.3.).
La superficie della fotosfera non è liscia, ma presenta - su un fondo meno chiaro - una struttura a granuli brillanti {granulazione) (fig. 2.19.). Questi granuli segnano l'affiorare di gigantesche bolle di gas molto caldi e corrispondono alla parte sommitale dei movimenti in atto nella sottostante zona convettiva. Ogni granulo dura solo pochi minuti, ma il movimento di tutti i granuli fa sembrare la superficie della fotosfera in continua ebollizione.
La superficie brillante della fotosfera non è omogenea, ma appare costellata, con una certa periodicità, da macchie solari, continuamente variabili per dimensioni, per forma e, soprattutto, per numero. Sono piccole aree scure (fig. 2.19.), depresse rispetto alla superficie circostante, nelle quali si distingue una zona centrale più scura.(ombra) circondata da una fascia più chiara (penombra). In realtà, come aveva riconosciuto GALILEO (che per primo riconobbe la natura delle macchie), tali strutture appaiono scure solo per contrasto con la fotosfera, rispetto alla quale la loro luminosità è ridotta a 1/3; sono punti relativamente «freddi» della fotosfera: la loro temperatura è infatti di circa 1500 K inferiore a quella della superficie solare.
Dopo la loro comparsa, le macchie aumentano di dimensioni e di numero, poi cominciano a ridursi fino ad estinguersi, mentre nascono e si sviluppano altri gruppi di macchie. L'osservazione sistematica della superficie solare ha messo in evidenza che il numero di macchie non è costante, ma passa da valori minimi (che arrivano fino all'assenza di macchie) a valori massimi, con una periodicità che ha permesso di individuare un ciclo di 11 anni.
Una «sfera colorata» (cromosfera) e una gigantesca corona. La cromosfera è un involucro trasparente di gas incandescenti che avvolge la fotosfera, con uno spessore di circa 10000 km (fig. 2.20.). È visibile per un breve tempo durante un'eclissi totale di Sole, quando la Luna nasconde completamente il disco della fotosfera: la Cromosfera appare allora come un sottile alone roseo, il cui bor-do esterno è sfrangiato in numerose punte luminose, det-te spicole, che ricordano l'aspetto di una prateria in fiamme; la sua temperatura è di 10000 K. • La corona è la parte più esterna dell'atmosfera solare ed è formata da un involucro di gas ionizzati (i cui atomi, cioè, sono elettricamente carichi) sempre più rarefatti man mano che ci si allontana dalla sottostante cromosfera (fig. 2.21.). La sua luminosità è così bassa che la corona si può osservare direttamente solo durante un'eclissi totale, quando assume l'aspetto di un tenue alone con una luminosità pari a metà di quella della Luna piena: tale luminosità decresce regolarmente fino a circa 17 milioni di kilometri dal Sole. Nella parte più estrema della corona le particelle ionizzate hanno velocità sufficienti per sfuggire all'attrazione gravitazionale del Sole e si disperdono nello spazio come vento solare. Questo continuò flusso di particelle, che in certi momenti viene notevolmente rafforzato da particolari aspetti dell'attività solare, interagisce con i corpi celesti che incontra nella sua propagazione (come vedremo nel par. 2.5.2.).
Abbiamo già esaminato alcuni aspetti dell'attività del Sole nel descriverne la struttura: ci riferiamo alla continua produzione di energia, che dal nucleo, attraverso la zona radiativa e la zona convettiva, raggiunge la superficie e viene irradiata nello spazio, e al flusso di particelle che si disperde come vento solare. I granuli della fotosfera e l'evanescente terminazione della corona sono, quindi, tracce visibili della normale attività del Sole, dalla quale dipende la cosiddetta radiazione stazionaria.
Esistono però altri aspetti molto vistosi dell'attività della parte più esterna del Sole, che ne possono modificare sensibilmente lo stato «normale»: uno è rappresentato dal periodico formarsi e scomparire delle macchie, di cui abbiamo già parlato, gli altri sono le Protuberanze e. soprattutto i brillamenti (i flares).
Le protuberanze sono grandi nubi di idrogeno che si innalzano dalla cromosfera e penetrano nella corona, in genere fino a quote di 20-40 000 km (fig. 2.22.). Sono immense fiammate, vortici, archi giganteschi lunghi anche 100-200000 km. La temperatura della materia gassosa delle protuberanze è compresa tra 15 000 e 25 000 K: sono molto più calde, perciò, della cromosfera, ma «fredde» rispetto alla corona solare entro cui si spingono.
I brillamenti (o, come vengono più spesso chiamati, con" termine inglese, i flares) sono violentissime esplosioni di energia, veri e propri lampi di luce intensissimi associati a potenti scariche elettriche: compaiono di tanto in tanto in prossimità di grandi gruppi di macchie e nel giro di pochi minuti (raramente di qualche ora) si propagano su un'area di milioni di km2, per poi estinguersi.
Nel corso di tali esplosioni la temperatura può raggiungere parecchi milioni di gradi e vengono liberate enormi quantità di energia, con un'ampia gamma di radiazioni, dai raggi X alle onde radio, che rinforzano notevolmente la radiazione stazionaria del Sole oltre a un flusso di particelle atomiche (elettroni e protoni).
Nel caso dei flares più intensi, si osserva anche l'emissione di un'ultraradiazione, formata da particelle ad altissima energia che si propagano a velocità prossima a quella della luce.
Considerazioni teoriche, su cui ci siamo in parte già soffermati, hanno portato a concludere che l'interno del Sole è costituito per almeno il 98% da idrogeno ed elio allo stato di plasma, cioè sotto forma di una miscela di elettroni liberi e di nuclei atomici. I due elementi sono presenti in quantità uguali, mentre elementi più pesanti non rappresentano complessivamente che il 2% della massa totale.
La natura degli strati più esterni del Sole è stata definita, invece, attraverso l'analisi spettrografica: essi sono composti per l'85% di idrogeno, per circa il 15% di elio e per la restante frazione (meno dell'1 %) di elementi più pesanti. Tra questi ultimi sono stati riconosciuti quasi tutti gli elementi noti sulla Terra.
La scoperta sul Sole di elementi più pesanti dell'elio, per la cui formazione sono necessarie reazioni nucleari che richiedono temperature enormemente più elevate di quelle finora raggiunte dal Sole, ha portato, come si ricorderà (vedi par. 2.2.4.), a una conclusione inaspettata: la nostra stella è fatta di materia evidentemente «riciclata». cioè di atomi che per formarsi hanno avuto bisogno di fornaci nucleari cHe esistono solo all'interno di stelle ben più grandi e massive del Sole
Struttura e dimensioni del Sole, che dovrebbe trovarsi nel corso di una lunga fase relativamente stabile (all'interno della sequenza principale del diagramma H-R; fig. 2.9.), sono il risultato di un delicato equilibrio tra la tendenza all'esplosione per le reazioni termonucleari e la pressione antagonista della forza di gravità. Esse sono state condizionate, quindi, dalla massa di materia da cui il Sole ha tratto origine, sufficiente, lo ricordiamo, per un periodo di «vita» di 10 miliardi di anni, metà dei quali già trascorsi: una massa maggiore o minore all'origine avrebbe portato a un'evoluzione e a una struttura diverse
Abbiamo dedicato ampio spazio al Sole perché è il centro, non solo in senso geometrico, del Sistema solare: la sua forza di attrazione tiene vincolati in una modesta regione dello spazio numerosi altri corpi, verso i quali irradia un continuo flusso di energia che interferisce con le loro superfici (nel caso della Terra condiziona anche la vita). D'altra parte, quasi tutta la massa di materia del sistema è concentrata nel Sole: il 99,85%. Eppure quel modestissimo 0,15% di materia che rimane è tutt'altro che insignificante: intorno alla gigantesca fornace solare formata da idrogeno ed elio ruotano corpi molto diversi dal Sole, per aspetto, per dimensioni e natura: gli involucri gassosi sono sostituiti o accompagnati da involucri liquidi e solidi, mentre l'idrogeno e l'elio sono assai meno abbondanti.
Le immagini e i dati raccolti dalle sonde automatiche stanno rivelando per ogni pianeta e satellite caratteristiche e aspetti diversi, che suggeriscono storie evolutive differenti anche se inserite nelle vicende comuni della nascita ed evoluzione del Sistema solare. Passiamo, perciò, in rassegna brevemente quello che oggi si conosce sui pianeti e i loro satelliti e sugli altri corpi cosiddetti «minori» (asteroidi, meteoriti e comete); prima, però, ricordiamo brevemente le leggi che governano i moti del Sole e dei pianeti o, più in generale, dei corpi celesti. I pianeti visibili ad occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) si distinguono dalle stelle perché cambiano sensibilmente e con regolare periodicità la loro posizione nella volta celeste rispetto agli altri corpi.
Il primo a riconoscere che i pianeti ruotano intorno al Sole fu COPERNICO, che, con il suo sistema eliocentrico, rivoluzionò in modo definitivo la concezione di TOLOMEO, che poneva la Terra al centro dell'Universo. Secondo Copernico i pianeti seguivano orbite circolari: fu KEPLERO a stabilire che i pianeti percorrono invece orbite a forma di ellisse, di cui il Sole occupa uno dei fuochi.
IL PIANETA TERRA E LE SUE LEGGI
Il movimento dei pianeti attorno al Sole è regolato dalle tre leggi di KEPLERO, che sono le seguenti:
• I I pianeti descrivono orbite ellittiche, quasi complanari, aventi tutte un fuoco comune in cui si trova il Sole. Il senso della rivoluzione intorno al Sole è in genere antiorario, cioè contrario a quello delle lancette dell'orologio, per un osservatore che si trovi al Polo nord celeste (cioè sulla verticale del piano ideale sul quale si disegnano le orbite dei pianeti).
• II Il Raggio che unisce il centro del Sole al centro di un pianeta (raggio vettore) descrive superfici con aree uguali in intervalli di tempo uguali. Le aree sono perciò .proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle, per cui un pianeta si muove più velocemente quando è più vicino al Sole (al perielio) e più lentamente quando è più lontano (all'afelio) (fig. 2.24.).
• III I quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite (periodi di rivoluzione) sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole. Questa legge permette anche di calcolare la distanza di un pianeta dal Sole, conoscendone il periodo di rivoluzione, o di calcolare il periodo di rivoluzione ove sia nota la distanza.
Fu NEWTON a intuire l'esistenza di una forza di attrazione tra i corpi e a descriverne gli effetti attraverso la legge della gravitazione universale, in base alla quale «due corpi si attirano in modo direttamente proporzionale alla loro massa e in ragione inversa al quadrato della loro distanza». A causa della forza di gravità, quindi, ogni corpo celeste viene attratto dalle masse circostanti (e a sua volta le attrae).
Un pianeta subisce perciò una forte attrazione da parte del Sole, vicino e dotato di grande massa, mentre è debolmente attratto dagli altri pianeti (di piccola massa) e dalle stelle circostanti (molto lontane).
I CORPI MINORI
Pianeti e satelliti non sono gli unici componenti del Sistema solare: intorno al Sole ruotano innumerevoli altri corpi, con dimensioni dal centimetro ad alcune decine di kilometri, su orbite prossime a quelle dei pianeti o a distanze di oltre 1,5 a.l. (cioè 15000 miliardi di km). Si pos-sono suddividere, per l'aspetto con cui ci si rivelano, in tre gruppi, che sono comunque strettamente collegati tra loro per l'origine e l'evoluzione:
• asteroidi (o pianetini): corpi formati dallo stesso mate-riale da cui si è formato il Sistema Solare di cui hanno conservato la composizione originale;
* meteoroidi: corpi la cui orbita interseca quella terrestre, per cui vengono attratti e cadono sul nostro pianeta, consumandosi nell'atmosfera (meteore o stelle cadenti) o arrivando fino al suolo (meteoriti);
comete: corpi di polveri e ghiacci che stazionano a grandissime distanze dal Sole ma che possono immettersi su orbite lunghissime, fino a giungere in vicinanza del Sole, perdendo nello spazio lunghe scie di materiali finissimi («code»).
1 Gli asteroidi (o pianetini o planetoidi) finora catalogati sono circa 20000, ma il loro numero totale è almeno il doppio; sono localizzati in gran parte tra le orbite di Marte e di Giove, dove formano la fascia degli asteroidi, larga circa
2 U.A.; ma non solo: alcuni gruppi hanno orbite che si avvicinano a quelle della Terra o addirittura la intersecano. Hanno dimensioni medie di decine di km, ma alcuni arrivano a centinaia di km; la loro superficie, almeno nei maggiori, è segnata da numerosi crateri da impatto (fig. 2.39.).
L'ipotesi sull'origine degli asteroidi oggi più coerente con il quadro del Sistema solare è quella di un'origine «planetesimale», cioè per graduale aggregazione di corpi minori, così come sarebbe avvenuto nella formazione dei pianeti. Nell'attuale fascia degli asteroidi, però, tale aggregazione sarebbe stata interrotta da qualche meccanismo non ancora ben chiaro, ma legato a perturbazioni gravitazionali provocate dalla vicina enorme massa di Giove.
Il materiale degli asteroidi è quanto di più simile ci sia al materiale originario del Sistema solare, e sulla Terra sono arrivati e arrivano di continuo frammenti (meteoriti) provenienti in gran parte dalla fascia degli asteroidi.
Oltre che con le meteoriti, gli asteroidi sono «imparentati» anche con le comete: uno di essi, con l'orbita estesa oltre Urano, ha cominciato a manifestare segni di attività cometaria (espulsione di gas) avvicinandosi al Sole; il più lontano finora identificato sta seguendo un'orbita circolare al di là di Plutone, che lo porta addirittura entro la «fascia di Kuiper», da cui, come vedremo, proviene gran parte delle comete.
Il termine meteoroide indica gli innumerevoli frammenti di materiale extraterrestre sparsi nel Sistema solare in orbita attorno al Sole, troppo piccoli per essere chiamati asteroidi o comete. Quando un meteoroide si avvicina all'orbita della Terra, può essere attratto dal nostro pianeta e attraversarne l'atmosfera: l'attrito lo rende incandescente e lo fa evaporare e il fenomeno dà origine a una scia luminosa che viene chiamata meteora (o anche «stella cadente»); se il corpo è abbastanza grande da non venire tutto consumato dall'attrito, il materiale che raggiunge la superficie costituisce una meteorite,. Mentre meteore isolate si osservano tutto l'anno, a intervalli precisi compaiono sciami di meteore, le spettacolari «piogge di stelle» con centinaia di meteore all'ora. Essi si formano quando la Terra attraversa il pulviscolo disseminato da una cometa lungo la sua orbita. Le ben note «lacrime di San Lorenzo», per esempio, sono meteore che compaiono ogni anno intorno al 12 di agosto.
Le meteoriti note vanno da 1 g a 10 tonnellate e raggiungono la superficie con impatti violentissimi; a volte esplodono rompendosi in numerosi frammenti o vaporizzandosi completamente. Nell’urto producono nel suolo una cavità , una cavità semisferica, detta cratere da impatto.
In base alla composizione mineralogica, le meteoriti si possono dividere in 3 gruppi:
• Lititi, simili a rocce
• Sideriti metalliche (essenzialmente ferro in lega con il nichel)
• Sideroliti
Alle lititi appartengono le cosiddette condriti (l’80 % delle meteoriti raccolte) contenenti tipiche sferette di aspetto vetroso, di dimensioni millimetriche, chiamate condurle.
4 560 milioni di anni (l'età attribuita al Sistema solare) e non mostrano tracce di trasformazioni, per cui sono il miglior «campione» della composizione media del materiale da cui si è originato il Sistema solare.
Altri tipi di lititi sono meno antiche e simili a certe rocce magmatiche terrestri e si sono formate per raffreddamento di materiale che in precedenza aveva subito una totale fusione: sono frammenti della parte esterna di qualche asteroide o, in alcuni casi, di un corpo maggiore, come la Luna e Marte (vedi Approfondimento, Un messaggio da Marte, a pag. A39, e fig. 2.41.).[Le sideriti), infine, sono frammenti del nucleo metallico di piccoli asteroidi frantumati da qualche collisione.
Le comete sono state definite «palle di neve sporca», perché sono formate da gas e vapori congelati (acqua, metano, ammoniaca, anidride carbonica), misti a piccoli frammenti di rocce e metalli. Si muovono lungo orbite molto allungate, molte delle quali arrivano ben oltre Plutone.
Quando si avvicinano al Sole, le radiazioni fanno sublimare i gas congelati, che trascinano con sé le polveri imprigionate nei ghiacci; attorno ad un nucleo, del diametro di alcuni kilometri, si forma un alone rarefatto e luminoso, la chioma, le cui dimensioni sono spesso prossime a quelle di Giove (fig. 2.43.)..Successivamente, in quasi tutte le comete si sviluppa la coda, un velo brillante che si allunga per milioni di kilometri in senso opposto alla direzione del Sole, provocato dal pulviscolo spinto dalla luce solare in direzione radiale. Ad.ogni passaggio intorno al Sole una cometa perde una parte di massa (anche molte tonnellate al secondo) e col tempo diviene meno luminosa, fino ad estinguersi dopo un certo numero di passaggi.
Da dove provengono le comete? La ricostruzione delle orbite delle comete a lungo periodo, cioè con tempi di percorrenza dell'orbita di oltre 200 anni e che percorrono, quindi, distanze grandissime, portò l'astronomo olandese J. OORT a ipotizzare che tali corpi siano distribuiti nello spazio a formare una specie di alone sferico intorno al Sole e ai pianeti. La nube di Oort, come oggi viene chiamata, inizia_ all'esterno del sistema di pianeti e si estende per oltre 15 000 miliardi di km (1,5 al), circa un terzo della distanza del Sole dalle stelle più vicine; la sua parte più interna è la fascia di Kuiper un'estensione del sistema planetario.
In quello spazio, migliaia di miliardi di nuclei ghiacciati si muovono lentamente su orbite lontanissime dal Sole; il passaggio ravvicinato di una stella provoca delle perturbazioni nel loro moto, in grado di scagliarli verso lo spazio interstellare o di farli deviare su orbite che li portano in prossimità del Sole e dei pianeti, dove si manifestano con la tipica attività delle comete.
Le stime indicano che la nube di Oort dovrebbe contenere 6 000 miliardi di nuclei, sparsi in uno spazio così ampio che la distanza media tra uno e l'altro è di almeno 1 U.A. Ma da dove viene tutto quel materiale? A quelle distanze dal Sole la materia originale era troppo rarefatta per condensarsi; si ritiene invece che i nuclei si siano formati nella regione dei pianeti giganti, tra Giove e Nettuno, che li avrebbero scagliati verso la periferia del Sistema solare, facendoli accumulare nella nube di Oort.
Le comete possono anche entrare in collisione con un pianeta ed è per tale via che la Terra, all'inizio della sua evoluzione, ha ricevuto gran parte delle sue riserve di acqua superficiale; le polveri cometarie, ricche di composti organici, potrebbero poi avere svolto un ruolo importante nel dare origine ad ambienti adatti allo sviluppo della vita su corpi con acqua in superficie.
LA FORMA DELLA TERRA
Procedendo per approssimazioni successive, quasi a voler ripercorrere lo sviluppo delle conoscenze nel tempo, possiamo individuare:
• la curvatura della superficie terrestre;
• la sfericità d'insieme del nostro pianeta;
• più propriamente, la forma ellissoidale, della Terra;
• la necessità di definire, per una precisione sempre maggiore, un solido speciale, detto geoide^
Innanzitutto dobbiamo considerare che l'orizzonte va aumentando di diametro con il crescere dell'altitudine del punto di osservazione (fig. 3.3.). Inoltre, se ci spostiamo lungo un meridiano terrestre, ossia lungo una linea che unisca il Polo nord con il Polo sud, possiamo constatare che l'altezza delle stelle sull'orizzonte varia; ad esempio, la Stella polare sembra innalzarsi sull'orizzonte se procediamo verso Nord, mentre si abbassa progressivamente man mano che ci spostiamo verso Sud (fig. 3.4.). Questi due fatti, già osservati da alcuni studiosi dell'antichità (il primo da STRABONE e da TOLOMEO, il secondo da EUDOSSO DI CNIDO), provano che la Terra ha una superficie curva e convessa.
Altri fatti ancora dimostrano la curvatura della superficie terrestre e inducono a ritenere che essa debba discostarsi poco da quella di una sfera. Ad esempio: la comparsa (o scomparsa) graduale di un oggetto all'orizzonte (una nave che si avvicina al porto mostra per prima la parte più alta della sua struttura, e il contrario avviene se la nave si allontana); la gravità, che agisce approssimativamente secondo i raggi di una sfera (il peso di un determinato corpo non differisce molto da luogo a luogo, e ciò dimostra che tutti i punti della superficie terrestre si trovano circa alla stessa distanza dal centro di gravità); i viaggi di circumnavigazione; l'analogia con gli altri pianeti. E ancora, si può prendere in considerazione, come già aveva fatto Aristotele, l'ombra a contorno sempre circolare che la Terra proietta sulla Luna quando si interpone fra quest'ultima e il Sole, cioè durante le eclissi di Luna.
In effetti tutte queste prove oggi hanno soltanto un valore storico: la sfericità del nostro pianeta è ormai documentata dalle immagini (vedi fig. 3.2.) riprese da sonde spaziali che si sono spinte a centinaia di kilometri di altezza dalla Terra.
Naturalmente, quando si parla di sfericità della Terra non si prendono in considerazione le irregolarità della superficie rappresentate da rilievi montuosi, valli, conche ecc. Per quanto possano sembrare molto rilevanti, queste irregolarità alterano la forma geometrica della Terra molto meno di quanto la rugosità della buccia alteri la forma complessiva, sferoidale, di un'arancia: basti pensare che l'altezza della cima più elevata delle terre emerse (Monte Everest, 8872 m) rappresenta meno di 1/700 del raggio terrestre e la massima profondità oceanica conosciuta (Fossa delle Filippine nell'Oceano Pacifico, —11516 m) è circa 550 volte più piccola di esso.
Se la Terra fosse omogenea e immobile, la sua forma, escludendo le irregolarità superficiali, sarebbe quella di una sfera perfetta. In realtà essa non è omogenea ed è dotata di un veloce moto di rotazione attorno al proprio asse; la forza centrifuga che deriva da questo movimento deve aver prodotto, quindi, nella Terra una progressiva 'deformazione. deprimendola ai poli e rigonfiandola lungo il piano equatoriale, ossia in corrispondenza del piano perpendicolare all'asse e passante per il suo centro. La forma che ne risulta poco dissimile da quella di un ellissoide di rotazione (o sferoide), cioè da quella di un solido che si ottiene idealmente facendo ruotare un'ellisse attorno al suo asse minore
L'asse minore dell'ellissoide terrestre è identificabile con la distanza fra i due poli (asse polare), mentre l'asse maggiore (asse equatoriale) dovrebbe corrispondere al diametro della «circonferenza» equatoriale, determinata dall'intersezione di un piano perpendicolare all'asse, e passante per il centro, con la superficie della Terra. Recenti osservazioni hanno dimostrato però che l'Equatore non è perfettamente circolare; pertanto, come forma della Terra si deve considerare, un po' più precisamente, quella di un ellissoide a tre assi, nel quale i due assi equatoriali differiscono tra loro di poche centinaia di metri.
Che la forma della Terra non sia perfettamente identificabile con quella di una sfera è stato effettivamente dimostrato da misure dell'accelerazione di gravità, cioè con osservazioni gravimetriche eseguite in moltissimi punti della sua superficie. Si è potuto osservare, infatti, che la superficie terrestre nei suoi vari tratti presenta valori diversi della forza di gravità; ed essendo quest'ultima in rapporto con la distanza dal centro della Terra - secondo la legge di Newton. - se ne è dedotto che i vari punti della superficie terrestre si trovano a diversa distanza dal centro. Ciò ha dimostrato, anzi, che la superficie del nostro pianeta presenta curvature diverse, che non consentono di identificarne esattamente la forma neanche con quella di un ellissoide di rotazione.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze la forma della Terra non può essere definita matematicamente, né è perfettamente identificabile con quella di un solido geometrico: è una forma del tutto propria. Per facilitare gli studi geodetici, volti alla esatta determinazione delle dimensioni della Terra, poiché le accidentalità superficiali ostacolano la precisione delle misure, si è pensato di identificare la forma del nostro pianeta con quella di un solido la cui superficie è perpendicolare in ogni suo punto alla direzione del filo a piombo; al corpo delimitato da tale superficie è stato dato il nome di geoide.
La superficie del geoide è una superficie equipotenziale, ossia tale che in tutti i suoi punti non è uguale l'accelerazione di gravità (essendo essi a diversa distanza dal centro della Terra), ma è uguale il lavoro necessario per portare un determinato oggetto da questa superficie a distanza infinita.
Immaginiamo un piano perpendicolare all'asse terrestre e passante per il centro della Terra. Tale piano dividerà la sfera terrestre in due emisferi: quello settentrionale o boreale dalla parte del Polo nord, quello meridionale o australe dalla parte del Polo sud. Esso inoltre determinerà sulla «superficie sferica» della Terra una circonferenza massima equidistante dai poli, l'Equatore. L'intersezione tra la superficie terrestre ed altri piani perpendicolari all'asse, ma non passanti per il centro della Terra, sarà rappresentata da altri circoli, i paralleli; questi, pur avendo sempre la stessa ampiezza angolare (e cioè 360°) saranno di lunghezza minore dell'Equatore e via via decrescente andando verso i poli
Tagliando la sfera terrestre con dei piani contenenti l'asse (e quindi perpendicolari al piano equatoriale) avremo tanti circoli massimi uguali fra loro e passanti per i poli, i meridiani. Comunemente però si considerano come meridiani geografici, le semicirconferenze comprese tra un polo e l'altro, e ognuno di essi ha il proprio antimeridiano nella semicirconferenza rimanente e opposta.
Essendo delle linee immaginarie, i paralleli e i meridiani sono in numero infinito. Tuttavia spesso si usa considerare quelli tracciati a distanza di un grado l'uno dall'altro e perciò si dice che i meridiani digrado sono 360 (valutando le semicirconferenze) ed i paralleli di grado sono 180, dei quali 90 a Nord e 90 a Sud dell'Equatore; in effetti però ai poli i paralleli si riducono ad un punto e quindi, facendo una tale suddivisione, bisognerebbe dire che essi sono 178. In realtà possiamo pensare che per qualsiasi punto della superficie terrestre passi un parallelo e un meridiano.
La rete di meridiani e paralleli che si possono tracciare sulla sfera terrestre è il reticolato geografico, le cui maglie sono costituite da trapezi sferici (tranne quelle con vertice nei poli, che racchiudono triangoli sferici).
Il reticolato geografico ci consente di determinare la posizione assoluta di un punto sulla superficie della Terra, allo stesso modo con cui un sistema di coordinate cartesiane permette di individuare la posizione di un punto su un piano. A questo scopo bisogna definire le coordinate geografiche (fig. 3.9.), che sono la latitudine e la longitudine, rispettivamente corrispondenti - sul piano - all'ordinata e all'ascissa.
1 La latitudine è la distanza angolare di un punto dall'Equatore e può essere Nord o Sud, a seconda che il punto si trovi, rispettivamente, nell'emisfero boreale o in quello australe; essa corrisponde all'ampiezza dell'angolo al centro della Terra che sottende l'arco di meridiano congiungente il punto considerato con l'Equatore.
■ La longitudine è la distanza angolare di un punto da un determinato meridiano, misurata sull'arco di parallelo che passa per quel punto; essa può essere Est od Ovest a seconda che il punto si trovi ad oriente o ad occidente del meridiano considerato. Come meridiano di riferimento {meridiano iniziale o meridiano di 0°) si usa generalmente quello che passa per il celebre Osservatorio astronomico di Greenwich (Londra), ma a volte ci si riferisce anche ad altri meridiani nazionali; in Italia, ad esempio, si usa spesso il meridiano di Monte Mario (Roma), che si trova a circa 12°27' Est da Greenwich.
La latitudine e la longitudine vengono espresse in gradi e frazioni di grado. Tutti i punti dell'Equatore hanno, ovviamente, latitudine 0°, mentre il valore massimo possibile per la latitudine Nord o Sud e di 90° ai poli. Tutti i punti del meridiano iniziale hanno longitudine 0° e il valore massimo, cioè 180°, si ha sull'antimeridiano corrispondente.
Definite le coordinate geografiche sulla sfera terrestre, diventa facile parlare del sistema più usato in Astronomia per fissare la posizione assoluta delle stelle e degli altri corpi sulla Sfera celeste; sistema al quale avevamo accennato nel capitolo 2.1.1. e che risulta indipendente dalla località in cui si trova l'osservatore. Basta immaginare la Terra come puntiforme e pensare che sulla Sfera celeste siano tracciati tanti meridiani e paralleli, come quelli del reticolato geografico. Si possono definire, così, le due_coor-dinate celesti corrispondenti, rispettivamente, alla latitudine" dine e alla longitudine:
I la declinazione celeste è la distanza angolare fra l'a-- : > considerato e il piano dell'Equatore celeste;

La ascensione retta _è la distanza angolare dell'astro dal meridiano celeste_ che passa per il cosiddetto «punto y>> o «punto di Ariete», scelto come meridiano iniziale o fondamentale sulla Sfera celeste
I MOVIMENTI DELLA TERRA
Il nostro pianeta si muove in maniera complessa nello spazio, essendo dotato di diversi moti simultanei che si effettuano con velocità e durate differenti. Tali moti, alcuni dei quali fanno variare sensibilmente i rapporti fra la Terra e la sua principale fonte di energia (il Sole), possono essere distinti in tre gruppi:
• movimenti che si ripetono in tempi relativamente brevi e producono effetti geografici molto importanti;
• movimenti che si ripetono in tempi lunghi e producono effetti geografico-geologici di grande interesse, ma non rilevabilì nel corso di una vita umana;
• movimenti insieme al Sole e alla Galassia, dei quali non sono note conseguenze geografiche apprezzabili.
■ Fondamentale è il moto di rotazione che la Terra compie intorno al proprio asse, da occidente (Ovest) verso oriente (Est), cioè in senso inverso all'apparente moto
diurno della Sfera celeste e del Sole. La durata di questo movimento, che si può ritenere uniforme, è di 23h56n'4s, cioè un giorno sidereo.
Poiché ogni punto della Terra compie in un giorno un intero giro di 360°, qualunque sia la lunghezza del parallelo da esso descritto, la velocità angolare di rotazione è identica a tutte le latitudini» latta eccezione per i polìTdo-ve è nulla. La velocità lineare (la distanza percorsa da un punto nell'unità di tempo) è invece molto variabile con la latitudine: essa è massima all'Equatore, dove raggiunge il valore di circa 463 metri al secondo (1668 km/h), e va diminuendo verso i poli, dove diventa nulla; alla latitudine di Roma è ancora di circa 375 m/s. Naturalmente, con il diminuire della velocità lineare diminuisce anche la forza centrifuga a cui sono sottoposti i vari punti della superficie terrestre per effetto della rotazione, mentre parallelamente va aumentando la forza di gravità.
Le osservazioni astronomiche moderne e antiche ed alcune prove paleontologiche (basate, cioè, sullo studio dei resti fossili di organismi) che consentono di risalire molto più indietro nel tempo, hanno messo in luce un graduale rallentamento della velocità di rotazione, per cui la durata del movimento si allungherebbe di circa 2 millesimi di secondo per secolo. Questo rallentamento si spiegherebbe con l'attrito delle maree, ossia delle protuberanze che la Luna provoca sulle masse oceaniche terrestri (vedi cap. 14.3.2.). La Luna infatti esercita un'azione frenante sulla Terra, perché questa ruota su se stessa più velocemente di quanto non faccia la Luna nel suo moto di rivoluzione intorno alla Terra. Nella sua rotazione, la Terra tende a trascinarsi dietro i rigonfiamenti delle maree, mentre la Luna esercita un'attrazione, maggiore proprio su di essi e quindi si oppone al trascinamento e rallenta la rotazione terrestre; come conseguenza si ha anche, per reazione, un'accelerazione della Luna sulla sua orbita ed un aumento della forza centrifuga che tende ad allontanare la Luna dalla Terra. Ciò dovrebbe verificarsi fino a che la durata della rivoluzione della Luna attorno alla Terra non diverrà uguale alla durata della rotazione terrestre: allora la Terra presenterà alla Luna sempre la stessa faccia e non ci saranno più le maree. Ammettendo che l'attrito delle maree sia stato sempre lo stesso e che la Luna e la Terra abbiano avuto un'origine comune, si calcola che per raggiungere la posizione attuale la Luna dovrebbe aver impiegato circa 4 miliardi di anni.
Altre variazioni, saltuarie, del moto di rotazione terrestre si pensa che siano dovute a modificazioni molto lievi che avverrebbero nella struttura interna della Terra: variazioni di questo tipo sembra che abbiano prodotto tra il 1790 ed il 1900 una accelerazione del movimento, che precedentemente era in ritardo, con un anticipo complessivo di circa un minuto.
Di fondamentale importanza è pure il moto di rivoluzione che la Terra compie, come gli altri pianeti del Sistema solare, descrivendo un'orbita ellittica intorno al Sole in senso antiorario (cioè nel senso opposto a quello delle lancette di un orologio), immaginando di osservare il movimento dal Polo nord celeste.
Come sappiamo dalla I legge di KEPLERO, la distanza tra la Terra ed il Sole varia a seconda che la Terra si trovi in afelio (circa 152 milioni di km) o in perielio (147 milioni di km); quella media è di 149600000 kilometri. La Terra si trova in perielio (cioè alla minima distanza dal Sole) ai primi di gennaio, in afelio (massima distanza dal Sole) ai primi di luglio: l'alternarsi delle stagioni non è quindi dovuto al variare della distanza dal Sole, come vedremo in seguito.
L'orbita descritta dalla Terra è un'ellisse pochissimo schiacciata, tanto da potersi quasi assimilare ad una circonferenza; la sua eccentricità, ossia il rapporto tra la distanza del Sole dal centro dell'ellisse e la lunghezza del semiasse maggiore dell'ellisse stessa, è di appena 0,017 (per una circonferenza il «valore dell'eccentricità sarebbe uguale a zero). L'intero percorso orbitale ha una lunghezza che ammonta a circa 940 milioni di kilometri e viene effettuato a una velocità variabile (II legge di KEPLERO) tra i ~29,'S km/s in afelio ed i 30,3 km/s in perielio: la velocità media è di circa 29,8 km/s. Il tempo che la Terra impiega a compiere un'orbita completa, cioè l'effettiva durata della rivoluzione terrestre, è di 365d6h9m10s e viene denominato anno sidereo. Nel paragrafo 3.8.2. definiremo anche l'anno tropico (o anno solare), che ha durata leggermente più breve. Molto interessanti, ma secondari rispetto alla rotazione e alla rivoluzione, sono anche i numerosi movimenti che la Terra compie in tempi lunghi, nell'ordine dei millenni, e che perciò vengono denominati moti millenari. Essi possono essere considerati come perturbazioni dei due movimenti principali; infatti sono dovutLalla..differente azione gravitazionale che i diversi corpi celesti -particolarmente il Sole e la Luna - esercitano, nel tempo e nello spazio, sul nostro pianeta e sulle sue varie parti.
Altri movimenti coinvolgono la Terra in quanto facente parte del Sistema solare, della Galassia e dell'Universo: il moto di traslazione che la Terra esegue assieme al Sole.,. £_agli altri corpi del Sistema solare in direzione della Costellazione di Ercole: la partecipazione al moto di recessione della Galassia, cioè alla probabile espansione dell'Universo.
Una prima prova si può desumere dall'esame dell'apparente spostamento diurno dei corpi celesti da Est verso Ovest. A prima vista questo spostamento potremmo spiegarlo sia con un movimento di rotazione degli astri intorno alla Terra, sia con una rotazione in senso contrario (cioè da Ovest verso Est) della Terra su se stessa.
Un'altra prova indiretta della rotazione terrestre può essere ricavata dall'analogia con gli altri pianeti: tutti quanti mostrano un evidente moto rotatorio assiale e non abbiamo motivo per ritenere che solo il nostro pianeta debba esserne privo.
Altre prove possiamo dedurle da alcuni esperimenti di Fisica eseguiti sulla Terra stessa. Uno di questi si basa sull'osservazione della caduta libera dei corpi: un grave che viene lasciato cadere da un punto elevato sulla superficie terrestre (per esempio, dalla sommità di un'alta torre) devia dalla verticale del punto di partenza e giunge sul suolo spostato verso Est.
Questo fenomeno era già stato previsto da GALILEO 1564-1642), ed enunciato da NEWTON (1642-1727), ma fu ampiamente verificato per la prima volta da G.B. GUGLIEL-MJNI che nel 1791-1792 eseguì numerose prove dalla Torre degli Asinelli in Bologna, osservando uno spostamento di 17 mm per un'altezza di caduta di circa 100 m; per questo esso è conosciuto come esperienza di GUGLIELMINI. Il fenomeno è spiegabile se si ammette il moto rotatorio della Terra da Ovest verso Est, poiché in questo caso anche il corpo che si trova sulla torre dovrà partecipare alla rotazione terrestre, assumendo la stessa velocità lineare del punto di partenza e mantenendola per inerzia anche durante la caduta; d'altra parte, essendo il punto di partenza più lontano dall'asse terrestre rispetto al punto di arrivo, il corpo avrà una maggiore velocità lineare di rotazione rispetto a quest'ultimo, quindi ruoterà di più e andrà a cadere più avanti, ossia spostato ad Est.
Una prova della rotazione terrestre possiamo scorgerla anche nella variazione della accelerazione di gravità con la latitudine. Tale variazione, oltre ad essere un effetto dello schiacciamento polare della Terra, è anche conseguenza della forza centrifuga dovuta alla rotazione del nostro pianeta.
Come ulteriori prove del moto di rotazione della Terra è possibile considerare, infine, qualsiasi altra conseguenza prevedibile di questo movimento. E le conseguenze sono molte e di grande rilevanza. Una di esse la abbiamo già individuata nella stessa forma della Terra, cioè nel suo schiacciamento polare, che non avrebbe potuto prodursi in una Terra immobile.
Lo spostamento della direzione dei corpi in moto sulla superficie terrestre costituisce una conseguenza
molto importante della rotazione del nostro pianeta. Esso può essere efficacemente espresso dalla cosiddetta legge di FERREL: «a causa della rotazione terrestre, un corpo qualsiasi che si muova liberamente sulla Terra viene deviato dalla sua direzione iniziale verso destra se si trova nell'emisfero boreale e verso sinistra se si trova nell'emisfero australe», intendendosi per destra 0 sinistra quelle di un osservatore che guardi nella stessa direzione e nello stesso senso del movimento del corpo.
Il fenomeno si spiega con il fatto che un corpo in moto tende, per inerzia, a conservare la velocità lineare di rotazione che aveva nel punto di partenza, (quindi, se esso si sposta verso i poli, andrà verso punti che hanno velocità lineari di rotazione sempre più piccole rispetto a quella del punto di partenza e, di conseguenza, sarà in anticipo su di essi; se invece il corpo si muove verso l'Equatore, andrà verso punti che hanno velocità sempre maggiori e perciò si troverà in ritardo rispetto ad essi: in entrambi i casi sembrerà che il corpo abbia subito un progressivo spostamento verso destra nell'emisfero settentrionale e verso sinistra Jn"^quello meridionale, per effetto di "una" forza deviante che è detta forza di Coriolìs. Lo spostamento del corpo, però, è solo relativo, perché ciò che realmente si sposta, al di sotto del corpo in moto, è la Terra che ruota con velocità lineare maggiore 0 minore a seconda della latitudine; quindi in forza di Coriolis è una forza apparente?
Il fenomeno della deviazione dei corpi in moto sulla superficie terrestre è di grande importanza per la Geografia fisica, specie nei campi dell'Oceanografia e della Climatologia (vedi capp. 12,13,14). A tale deviazione, infatti, sono sottoposti tutti i corpi che si muovono sulla superficie terrestre e nell'involucro atmosferico che l'accompagna; quindi anche le masse d'acqua che si spostano negli oceani (correnti marine) e le masse d'aria in moto nell'atmosfera (venti).
ESPERIMENTO DI FOUCALUT
Foucault sospese alla cupola del Panthéon un pendolo costituito da un filo molto lungo (68 m) a cui era sospesa una sfera sufficientemente pesante (30 kg) perché le oscillazioni del pendolo, libero di muoversi in qualsiasi piano, potessero continuare per alcune ore; alla sfera applicò un'asticina che sfiorava un gran disco posto sul pavimento, sul quale era stata cosparsa della sabbia. Dai segni che l'asticina lascia va sulla sabbia si poté osservare che il piano delle oscillazioni pendolari girava a poco a--poco in senso orario, per chi guardasse il pendolo dall'alto. Poiché le leggi della Fisica dimostrano che il piano di oscillazione di un pendolo, che possa oscillare liberamente, in realtà rimane fisso nello spazio (in un sistema di riferimento inerziale), fu facile dedurne che riapparente rotazione di detto piano era dovuta ad un movimento effettivo del pavimento in senso contrario, cioè alla rotazione terrestre che si attua in senso antiorario.
Se il pendolo venisse collocato al polo, il suo asse di sospensione coinciderebbe con Tasse terrestre ed il piano di oscillazione compirebbe un intero giro di 360° in un giorno; all'Equatore invece esso non si sposterebbe affatto, perché la Terra non compie alcuna rotazione intorno all'asse equatoriale. A Parigi, che si trova ad una latitudine quasi intermedia, la rotazione del piano di oscillazione pendolare avviene con moto più lento e per avere un giro completo occorrono circa 32 ore. Più in generale, la velocità giornaliera dell'apparente rotazione del piano di oscillazione.
La più evidente conseguenza del moto di rotazione terrestre consiste nell'alternarsi del dì e della notte.
A causa della forma pressoché sferica della Terra, i raggi solari - che giungono ad essa quasi paralleli tra loro - illuminano in ogni istante solo la parte di superficie terrestre rivolta verso il Sole, lasciando nell'oscurità tutti i punti della parte opposta. Se la Terra fosse immobile, o anche se il suo moto di rotazione avesse la stessa durata del suo moto di rivoluzione intorno al Sole, metà della sua superficie sarebbe sempre nell'oscurità e soffrirebbe un freddo glaciale. La rotazione si compie invece in un tempo molto più breve della intera rivoluzione intorno al Sole e ciò fa sì che sulla superficie terrestre si alternino un periodo di illuminazione, il dì, e uno di oscurità, la notte. Con il termine giorno indichiamo il tempo dell'intera rotazione, cioè l'insieme del dì e della notte.
L'emisfero illuminato è diviso da quello in ombra da un circolo massimo che va spostandosi di continuo, Il circolo d'illuminazione. Esso in realtà non separa nettamente la parte illuminata da quella buia ma è piuttosto una fascia di una certa ampiezza. Il passaggio dal dì alla notte è graduale, a causa della presenza dell'atmosfera, i cui alti strati sono penetrati dai raggi un po' prima del sorgere del Sole sull'orizzonte ed un po' dopo il tramonto: dif-fusione, riflessione e rifrazione della luce negli strati del l'atmosfera ci danno un po' di chiarore durante le aurore e i crepuscoli, la cui durata aumenta nella stagione invernale e nelle regioni polari.
Anche in questo caso possiamo spiegare le apparenze o con un reale movimento annuo del Sole attorno alla Terra o con un movimento annuo della Terra intorno al Sole; in entrambi i casi, infatti, noi vedremmo la stessa cosa poiché ci troviamo sulla Terra e non possiamo percepire i movimenti che essa compie e ai quali partecipiamo (fig. 3.17.). Vi sono però diverse prove che dimostrano resistenza effettiva di un movimento di rivoluzione del nostro pianeta intorno al Sole.
Tra le prove indirette del moto di rivoluzione terrestre possiamo considerare l'analogia con gli altri pianeti del Sistema solare, per i quali si è potuta osservare l'esistenza di un complesso movimento intorno al Sole, regolato dalle leggi di KEPLERO. Inoltre la periodicità annua di alcuni gruppi di stelle cadenti dovrebbe indicare, anch'essa, che la Terra si muove neljo spazio descrivendo un'orbita di forma tale (circolare o ellittica) che le consenta di passare periodicamente attraverso regioni in cui sono oresenti sciami di materia cosmica.
La prova diretta e più sicura del moto orbitale della Terra è fornita da un fenomeno di natura fisica scoperto nel 1727 da J. BRADLEY, dell'Osservatorio astronomico di Greenwich: l'aberrazione della luce proveniente dagli astri. Quando noi osserviamo una stella, la direzione secondo cui la vediamo non è quella effettiva, data dalla congiungente il punto di osservazione con la stella, ma è solo una direzione apparente. Se usiamo un telescopio, dobbiamo inclinarlo leggermente in avanti, nel senso del moto di rivoluzione della Terra, puntandolo su una posizione che è un po' spostata rispetto a quella in cui si trova veramente la stella. Il fenomeno è spiegabile con il fatto che la luce proveniente dall'astro che vogliamo osservare impiega un certo tempo a percorrere l'asse ottico del telescopio e, nel frattempo, noi ci spostiamo in un punto dell'orbita terrestre che non è più quello di prima; l'angolo tra la direzione vera e quella apparente {angolo di aberrazione) rappresenta quindi l'inclinazione della risultante tra la velocità di propagazione della luce e la'velocità di rivoluzione della Terra
Come ulteriori prove del moto orbitale della Terra intorno al Sole possiamo considerare vari fenomeni che rappresentano altrettante conseguenze di questo movimento. Per comprenderne il meccanismo bisogna, però, tenere presenti due fatti:
• l'asse terrestre è inclinalo di 66°33' rispetto al piano dell'orbita (23°27' rispetto alla normale a tale piano);
» se si considerano tempi non troppo lunghi, esso si mantiene costantemente parallelo a se stesso durante l'intero tragitto che la Terra compie intorno al Sole.
Se. l'asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell'orbi-ta^il circolo d'illuminazione passerebbe per i poli e'coiricT derebbe in qualsiasi momento con un circolo meridiano, tagliando in due parti uguali tutti i paralleli; di conseguenza, in ogni punto della superficie terrestre e per tutto l'anno il die la notte avrebbero la stessa durata (12 ore ciascuno) e in nessun luogo si verificherebbe l'alternarsi delle stagioni. In tali condizioni la quantità di luce e di calore ricevuta dalle varie parti della superficie terrestre dipenderebbe solo dall'inclinazione dei raggi solari e quindi, a causa della sfericità della Terra, sarebbe tanto più piccola quanto maggiore è la latitudine (fig. 3.19.); comunque, per una data località essa si manterrebbe uniforme durante tutto l'anno. Una certa variabilità nel corso dell'anno si avrebbe soltanto per il fatto che il Sole non si trova sempre alla stessa distanza dalla Terra; ma, essendo relativamente piccola la differenza tra la distanza massima e la distanza minima, le variazioni legate a questo fattore sono da ritenere modeste.
Queste condizioni si verificano però in due soli momenti deH'anno,Jl 21 marzo ed il 23 settembre. In tutti gli altri momenti soltanto i punti che si trovano sull'Equatore hanno dì e notte sempre uguali, mentre nei luoghi situati a Nord e a Sud osserviamo una diversa durata_del dì e della notte. Tale differenza è piccola in prossimità dell'Equatore, ma diventa sensibile andando verso i poli, in corrispondenza dei quali si raggiunge addirittura una durata di sei mesi per il dì e sei mesi per la notte. Come si può spiegare tutto ciò?
Apparentemente sembra che il Sole giri intorno alla Terra percorrendo una traiettoria - l'Eclittica - che giace sullo stesso piano dell'orbita terrestre ed è quindi inclinata di 23°27' rispetto al piano equatoriale celeste (o terrestre). In questo movimento il Sole si sposta perciò da un e-misfero celeste all'altro, mantenendosi per sei mesi a Nord dell'Equatore e per altri sei mesi a Sud di esso (fig. 3.16.). I due punti in cui la traiettoria solare attraversa l'Equatore celeste sono gli equinozi, le cui date cadono appunto il 21 marzo {equinozio di primavera o punto y) e il 23 settembre {equinozio d'autunno o punto (o); quando il Sole si trova in uno di questi punti, giace sul piano equatoriale, quindi culmina allo Zenit dell'Equatore terrestre, e allora il dì e la notte presentano la stessa durata in ogni luogo della Terra (fig. 3.20.).
Le massime elevazioni a Nord e a Sud rispetto al piano equatoriale terrestre il Sole le raggiunge in due posizioni, dette solstizi; la prima si ha il 21 giugno {solstizio d'estate dall'altra il 22 dicembre {solstizio d'invento). In questi due momenti i raggi solari sono perpendicolari alternativamente a due paralleli che si trovano a latitudine eli 23°27' Nord {Tropico del Cancro) e 23°27' Sud {Tropico del Capricorno). In tutti e due i casi il circolo d'illuminazione è tangente ai due paralleli che distano dall’Equatore e taglia obliquamente tutti i paralleli compresi tra questi e l’Equatore; ma le condizioni di illuminazione sono diverse per i due emisferi;
Nel solstizio d’estate, cioè quando il Sole è allo Zenit sul Tropico del Cancro, tutti i punti a Nord dell’Equatore restano per un tratto più lungo nella parte illuminata e quelli a sud dell’Equatore rimangono per un tratto più lungo nella parte oscura.
Nei periodi di tempo che intercorrono fra queste quattro posizioni, le condizioni di illuminazione sono intermedie e variano progressivamente dall'una all'altra di esse. Poiché la quantità di calore ricevuta da ciascun punto della superficie terrestre dipende da tali condizioni (durata del dì e inclinazione dei raggi solari), ne deriva che durante la rivoluzione (nel volgere di un anno) nei vari luoghi della Terra si susseguono periodi più caldi e più freddi: si ha cioè l'alternarsi delle stagioni.
Le stagioni astronomiche risultano invertite nei due emisferi: alla nostra estate corrisponde l'inverno australe, alla nostra primavera l'autunno australe, e viceversa; quello che per noi è il periodo più caldo dell'anno e con la più lunga durata del dì, è per gli abitanti dell'emisfero australe il periodo dei freddi più intensi e delle notti più lunghe; e quando da noi si ha l'autunno, da loro si verifica la primavera. Inoltre, a causa della diversa velocità della Terra sull'orbita, le stagioni astronomiche non hanno tutte la stessa durata: noi abbiamo un semestre caldo (primavera-estate) più lungo di circa 7 giorni e 6 ore del semestre freddo (autunno-inverno) ed il contrario si ha nell'emisfero australe.
Le stagioni astronomiche, pur costituendone la causa prima-ria, non coincidono del tutto con le stagioni meteorologiche., cioè con il reale andamento del tempo meteorologico e del clima. Per capirne i motivi si può innanzitutto notare che le situazioni di insolazione che si registrano agli equinozi e ai solstizi dovrebbero rappresentare, anche da un punto di vista esclusivamente astronomico, il culmine delle condizioni caratteristiche delle rispettive stagioni e non il loro momento di inizio. Inoltre, l'atmosfera, l'idrosfera e la litosfera terrestri immagazzinano e cedono il calore con un certo ritardo, impedendo così di percepire subito gli effetti delle varie inclinazioni dei raggi solari. Pertanto, sulla base delle reali condizioni di riscaldamento nei vari periodi dell'anno, si è stabilito convenzionalmente che le stagioni meteorologiche incominciano col primo giorno del mese in cui cade l'equinozio o il solstizio di quelle astronomiche corrispondenti. La primavera meteorologica comprende interamente i mesi di marzo, aprile e maggio, l'estate meteorologica i mesi di giugno, luglio e agosto; l'autunno meteorologico va dal 1° settembre a tutto novembre, l'inverno meteorologico dal 1° dicembre a tutto febbraio.
~~ I due tropici e i due circoli polari rivestono un'importanza particolare per le condizioni di illuminazione e di inclinazione dei raggi solari nel corso dell'anno: essi dividono la superficie terrestre in cinque parti caratterizzate da condizioni diverse di riscaldamento, le zone astronomiche:
« zona torrida (o zona intertropicale), limitata dai due tropici e divisa in due dall'Equatore;
• zona temperata boreale, compresa fra il Tropico del Cancro ed il Circolo polare artico;
« zona temperata australe tra il Tropico del Capricorno ed il Circolo polare antartico;
• calotta polare artica, che si estende dal Circolo polare artico al Polo nord;
« calotta polare antartica, dal Circolo polare antartico al Polo sud (fig. 3.24).
Nella zona torrida il Sole passa allo Zenit di tutti i punti due volte all'anno: all'Equatore nei giorni degli equinozi e sugli altri paralleli in giorni diversi; ai tropici il Sole è allo Zenit una sola volta all'anno: nel giorno del solstizio di giugno al Tropico del Cancro, in quello del solstizio di dicembre al Tropico del Capricorno. Mentre all'Equatore il dì e la notte hanno sempre la stessa durata, negli altri punti della zona torrida si ha una piccola differenza: ai tropici il dì più lungo è di 13 ore e tre quarti e quindi la notte più breve è di 10 ore e un quarto (e viceversa).

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