Voltaire - Candido

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

CANDIDO

Pubblicato simultaneamente a Parigi, Londra e Amsterdam nel gennaio 1759, “Candide ou l’optimisme” narra le numerose e paradossali vicende di Candido, giovane semplice e mite, allevato nel più bel castello di Vestfalia, di proprietà del barone Thunderten-tronckh. Dopo aver rivolto attenzioni alla figlia dei baroni, Cunegonda, viene cacciato a pedate dalla splendida dimora.
Quindi, trovatosi senza un tetto sotto il quale vivere, viene arruolato tra i bulgari nella guerra contro gli avari. Viene arrestato e fustigato, finché il re dei bulgari non gli concede la grazia. Decide, poi, di fuggire dagli scontri armati, e giunge in Olanda, dove l’anabattista Giacomo lo rifocilla e gli dona del denaro. Il giorno seguente, incontra per strada un mendicante a cui cede il denaro che aveva ricevuto in dono; improvvisamente realizza che il poveretto in questione non è altri che il suo vecchio precettore di filosofia Pangloss; egli lo informa della truce uccisione di Cunegonda per mano dei bulgari e della triste sorte che lo attende, a causa di un’epidemia. Candido, distrutto per la morte della sua amata, e impietosito dalla condizione del suo vecchio maestro, implora Giacomo di curarlo, pagando di tasca sua.
Dopo aver fatto di Pangloss il suo contabile, Candido parte insieme a lui e all’anabattista alla volta del Portogallo, per motivi commerciali; improvvisamente vengono colti da una tempesta durante la quale Giacomo annega, mentre gli altri due raggiungono la riva aggrappati a un pezzo di legno. Decidono così di dirigersi verso Lisbona, se non ché la terra comincia a tremare sotto i loro piedi; dopo aver soccorso gli abitanti intrappolati nelle macerie, Pangloss intavola una discussione filosofica con un esponente dell’inquisizione, che condanna lui all’impiccagione per averlo contraddetto, e Candido alla fustigazione per averlo approvato. Dopodiché il superstite viene curato da una vecchia, la quale lo conduce in una casa, nella quale incontra Cunegonda, inspiegabilmente scampata ai Bulgari; l’amata gli racconta delle sue disgrazie e di essere contesa tra un ebreo e tra l’inquisitore che l’aveva fatto frustare. L’ebreo in questione irrompe mentre i due conversano, e preso dall’ira si scaglia, coltello alla mano, sul giovane, che però lo uccide con una spada datagli dalla vecchia. I due amanti discutono sul da farsi con il cadavere, quando sopraggiunge l’inquisitore, il quale segue la stessa sorte dell’ebreo.
A tal punto i due innamorati e la vecchia fuggono verso Cadice, ma prima di arrivare a destinazione vengono derubati dalle ricchezze di cui disponeva la fanciulla e sono costretti a vendere un cavallo per proseguire. Giunti a Cadice, Candido viene nominato comandante di una truppa diretta in Paraguay per attaccare i padri gesuiti; Cunegonda si lamenta per la sua triste sorte e la vecchia racconta le sue struggenti disavventure. Una volta giunti a Buenos Aires il governatore del posto s’innamora della giovane, mentre Candido, braccato dagli spagnoli per aver ucciso l’inquisitore è costretto ad abbandonare le due donne per dirigersi verso il Paraguay col servo Cacambò. Chiede udienza al comandante dei gesuiti, che riconosce essere il fratello di Cunegonda, anch’egli scampato all’assalto dei bulgari. Rivelatagli la sorte della sorella e la sua intenzione di sposarla, scoppia una lite, dovuta all’opposizione del fratello, il quale viene logicamente ucciso da Candido; che, quindi, prende le sue spoglie e scappa a cavallo con Cacambò.
I due s’imbattono dapprima nel popolo degli orecchioni, per poi giungere nel paese dell’Eldorado, dove vedono ogni sorta di ricchezza considerata alla stregua di fango e pietre; quindi si mettono in cammino carichi di queste ricchezze; gran parte di esse, però, vengono perse lungo il tragitto. Rimasti soltanto con due pecore cariche di diamanti, giungono a Suriname dove Candido invia il servo a prendere Cunegonda, per portarla a Venezia.
Candido viene derubato di quasi tutti i suoi beni e s’imbarca su una nave per l’Europa, in compagnia dell’erudito Martino. Giunti in Francia, i due si recano a Parigi; dopo essere stati derubati da un abate e da una donna, scappano in Inghilterra, dove assistono all’uccisione di un ammiraglio, la quale sconvolge Candido. Quindi partono per Venezia; là Candido non trova Cacambò, ma in compenso incontra Pasquetta, la serva del suo vecchio castello, ridottasi a fare la prostituta. Dopo questo amaro incontro, va a trovare il signor Pococurante, il quale nonostante sia in possesso dei migliori averi, li critica e li disprezza; subito il giovane ne è ammirato, poi Martino lo fa riflettere sulla stoltezza di tale comportamento.
Una sera i due compagni cenano con sei sovrani detronizzati, uno dei quali ha come servo Cacambò; così Candido lo riscatta e parte con lui e Martino verso Costantinopoli; là vi trovano Cunegonda e la vecchia. Cunegonda è diventata molto brutta, ma non potendo venire meno alla sua parola e per far dispetto al fratello, la sposa lo stesso.
Alla fine Candido, Cunegonda, la vecchia, Martino e Cacambò si ritrovano a vivere in una fattoria, maledicendo il proprio destino e giungendo alla conclusione che ognuno “deve coltivare il proprio giardino”.
Con quest’opera dissacratrice, polemica e ironica, Voltaire diede scandalo e, tutt’oggi, coinvolge il lettore nel sottile gioco dell’intelligenza. La situazione iniziale è idilliaca e senza apparenti problemi, ma da subito si accende un fuocherello che finisce in essere un incendio di disgrazie e disavventure. Tutti i protagonisti ne sono coinvolti, e la loro vita risulta alquanto ostica. In pieno spirito illuminista l’autore critica l’ottimismo immotivato, il puro affidarsi al destino e il destino stesso, dando, invece, rilievo alla ragione e al vivere con impegno coscienzioso. Solo difendendo i diritti della ragione l’uomo può vivere con dignità; sarà sempre, ciononostante, un alternarsi di vittorie e sconfitte.
Inoltre acquista un grande valore la figura dell’intellettuale, che abbatte le barriere del silenzio, del disimpegno e della passività. Tuttavia la linea di Voltaire rimane piuttosto moderata e mai pesante.

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