Relazione sulla fenomenologia dello spirito di Hegel

Materie:Tesina
Categoria:Filosofia

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Testo

Parma, lì 02 gennaio 2007 Roccalberti Spina Matteo
III° liceo
Liceo Ginnasio M. Luigia
a.s. 2006/2007-01-02
Hegel: Fenomenologia dello Spirito
Il dietro le quinte di un pensatore

Hegel imposta il suo problema filosofico in tre mosse: la critica alle concezioni speculative della sua epoca (tra cui ad esempio la “Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e Schelling”), l’attività didattica legata all’elaborazione della forma sistematica per l’organizzazione del suo pensiero, ed infine l’argomento della nostra trattazione, ovvero il lavoro di stesura e pubblicazione della “Fenomenologia dello Spirito”. In quest’ultima opera, Hegel si pone in capo di mettersi dal punto di vista di un ipotetico avversario, tentando di individuare all’interno delle possibili argomentazioni a lui rivolte segni di debolezza e giungendo così, attraverso la demolizione delle prospettive unilaterali, alla fondazione autonoma (non imposta) del sapere assoluto. Questo risultato inoltre deve avere riscontro concreto nelle vite degli uomini: ciò che Hegel si propone infatti è “vivere mediante la filosofia”, senza però proporsi di abbassare la filosofia al livello degli uomini, ma di innalzarli ad essa (ad esempio attraverso la riflessione cui costringe chi legge i suoi scritti). Hegel inoltre non accetta di adottare punti di vista che attendano poi di essere confermati da verifiche, ma intende usare punti ineccepibili, poiché, partendo da posizioni dubbie, ci si preclude automaticamente l’accesso alla verità. La filosofia, perciò, essendo la strada che porta alla verità, non può che cominciare da sé stessa, in modo da presentare in sé la verità come tale, diventando coincidenza di essere e pensiero. Hegel affida alla Fenomenologia un compito molto importante: essa non deve solo raccogliere e demolire le forme finite del solo “conoscere”, ma della più vasta “esperienza della coscienza”; il compito principale è quello di aprire un varco alla scienza attraverso tutte le forme di esperienza che pretendono di negarla. Prende inoltre in considerazione i due processi di totalizzazione che confluiranno poi nel sapere assoluto: la coscienza, in cui si fa esperienza dell’oggettività che il soggetto trova davanti a sé, e l’autocoscienza, in cui l’assoluto “parla di sé”. La protagonista però della Fenomenologia è la coscienza, produttrice del sapere apparente, e che perciò deve essere in ogni modo demolita. La dimensione distruttiva però è legata alla funzione costruttiva, la quale emerge dalla natura stessa della parte negativa della coscienza, consentendo ad Hegel di delineare con precisione uno dei concetti che rendono l’opera scientifica: la negazione determinata, ovvero omnis determinatio est negatio. L’intreccio tra dimensione costruttiva e distruttiva si manifesta perciò anche nella negazione determinata, da cui non solo esce giustificato il sapere assoluto, ma anche l’esperienza della coscienza. Il sapere, e di conseguenza il conoscere e l’esperire, sono anche l’argomento di una delle critiche che Hegel rivolge a Kant; infatti secondo Kant, la ricerca scientifica deve procedere all’infinito verso una compiutezza che però è destinata a non raggiungere, ovvero è impossibilitata al raggiungimento della perfezione, cosa che per Hegel deve essere, almeno in teoria, permessa. Riguardo poi al fatto che Kant intendeva procedere ad indagare il conoscere prima di procedere alla conoscenza, Hegel non risparmia il sarcasmo, paragonandolo ad una persona che vuole imparare a nuotare prima di entrare nell’acqua. La conoscenza è fondamentale per Hegel, che porta la Coscienza attraverso tutti i gradi della Fenomenologia ad elevarsi all’assoluto, partendo dal concetto di Coscienza in sé, ovvero di coscienza inconsapevole ed incapace di relazionarsi con altre coscienze, elemento caratterizzante del primo momento, identificabile con la tesi della dialettica, negando la tesi con la Coscienza per sé, ovvero una coscienza consapevole e capace di relazionarsi con altre coscienze, elemento proprio dell’Autocoscienza, identificabile con l’antitesi della dialettica, e terminando con la Coscienza che approda al Sapere Assoluto, identificabile con la sintesi della dialettica hegeliana, in cui si riprende, con un’idea di circolarità, la tesi, però potenziata dall’antitesi, che invece di eliminare la tesi o di soccombere essa stessa la arricchisce, divenendo in sé e per sé; in ciò lo Spirito, superando l’empasse della coscienza infelice, che non sa di essere tutto e perciò si scinde in differenze, riconosce la sua assolutezza, giungendo alla consapevolezza tramite l’arte, la religione e la filosofia. Nel paragrafo precedente si è citata la dialettica, e perciò occorre fare alcune precisazioni sui diversi modi di intendere la dialettica: in Platone la dialettica è la scienza delle idee che procede in chiave dicotomica, per Aristotele è il procedimento dimostrativo che parte da premesse probabili, per Kant è l’arte sofistica di costruire ragionamenti basati su premesse che sembrano probabili ma che non lo sono, mentre in Hegel consiste in sintesi nell’affermazione o posizione di un concetto astratto e limitato (tesi), nella negazione di questo concetto come limitato e finito e nel passaggio ad un concetto opposto (antitesi), e nell’unificazione di tesi e antitesi in una sintesi, che altro non è che un’affermazione della tesi potenziata dalla negazione dell’antitesi. Sempre riguardo la dialettica occorre aprire una parentesi riguardo un termine tecnico usato da Hegel, ovvero il termine “Aufhebung”; questo termine riassume infatti in una parola il procedimento della dialettica, abolendo, e nello stesso tempo conservando, sia la tesi che l’antitesi: questo termine infatti, di origine tedesca, indica il superamento, con il duplice significato di conservare ed eliminare. Hegel scrive che il superato è un conservato che ha perduto l’immediatezza ma non per questo è annullato; l’Aufhebung perciò allude ad un progresso che ha preso il meglio di tesi ed antitesi unendoli nella sintesi. Sempre all’interno della Fenomenologia e del percorso della coscienza verso l’assoluto, occorre precisare alcuni concetti che concorrono a chiarire i vari passaggi; ad esempio, il concetto di immediatezza è molto importante, in quanto denota che nulla divide la coscienza in sé e per sé dall’assoluto (mentre per Kant la conoscenza è mediatrice verso l’assoluto e di conseguenza non può arrivare alla sua conoscenza); altro concetto chiave è quello di astrattezza, che caratterizza l’Intelletto, e che è un modo di pensare che rigidamente si attiene ai principi di identità e non contraddizione, cui si contrappone la Ragione, portatrice del concetto di concretezza, che è un modo di pensare che rapporta le determinazione astratte dell’intelletto con le determinazioni opposte (ma intelletto e ragione non sono termini diversi: l’intelletto è solo la ragione irrigidita nelle distinzioni). La verità come risultato, infine, è il concetto finale della dialettica, il cui fine è proprio la verità; il concetto di verità come risultato, quindi, è da intendersi esclusivamente come il culmine della ricerca della coscienza: nel momento in cui essa giunge alla verità, si fonde con l’assoluto, giungendo al suo scopo. La spiegazione del perché del primo titolo, ovvero “Scienza dell’esperienza della coscienza” è riassumibile così: Hegel ha, attraverso un percorso sistematico, aperto la strada alla scienza sistematica, criticando nel contempo i movimenti speculativi. Il termine Fenomenologia, apparso più tardi a connotare l’opera, e che letteralmente significa “discorso su ciò che appare”, alla luce di quanto detto sopra non snatura il senso del testo, ma lo carica di un significato più profondo; Hegel dice fin dal titolo che quanto lui sostiene ed argomenta è sostenuto da cose visibili e provabili. Per la motivazione dell’assunto di cui sopra rimando all’appendice, in cui essa verrà motivata a parte, in quanto spiegazione che vede coinvolte tutte le figure della fenomenologia e che non può essere per forza di cose compresa in un testo formulato con la tipologia B.

Appendice
Ovvero la fenomenologia come non l’avete mai vista

Ora, per comprendere al meglio il significato del titolo primo di quest’opera, Scienza dell’esperienza della coscienza, si vedranno le figure che la compongono, al fine di notare il carattere “tecnico” dell’opera. La Coscienza, primo momento di sei, è articolata nelle tre figure di certezza sensibile, percezione ed intelletto. Ciò che accomuna queste figure è il carattere conoscitivo, dove in primo piano è quasi sempre l’agire, ed il rapporto all’oggettività: la coscienza cerca di impadronirsi dell’oggetto (la cui esistenza è indipendente in ogni caso dalla coscienza) con il sentire ed il conoscere, ma è destinata a fallire. Esemplare di ciò è l’esperienza della certezza sensibile: di fronte all’immediato lei pronuncia solo l’essere questo, essendo così certa di avere la conoscenza di essere ricca di contenuto, poiché l’essere abbraccia l’intera realtà, ma si trova sopraffatta quando deve dargli significato, perché il linguaggio di descrizione rimanda sempre all’universale, esatto contrario di ciò che la certezza sensibile ha in mente come carattere proprio dell’oggetto. Il problema maggiore dell’intelletto invece è non contravvenire al principio di non contraddizione, fatto che gli impedisce di pensare il divenire e lo scambio come tali. Nell’Autocoscienza, se nella Coscienza il risultato dell’intelletto consiste nel porre una differenza poi tolta in quanto differenza, si annuncia il carattere generale del secondo momento fenomenologico, ovvero io che mi distinguo da me stesso, presentando in anticipo alcune caratteristiche già proprie del sapere assoluto ma tuttavia soffrendo della limitazione propria della coscienza; però il passo avanti consiste che se nel primo momento il limite era rappresentato dall’oggettività esterna ed indipendente della coscienza, ora il limite è interno all’autocoscienza stessa, la quale fa esperienza di sé stessa o di un’altra autocoscienza. La prima figura in cui l’Autocoscienza si presenta è la vita, che presenta la determinazione fondamentale dell’appetito, che spinge le autocoscienze a confrontarsi e conoscersi. Nella lotta tra autocoscienze una deve soccombere, instaurando il rapporto illustrato nella figura del servo e del padrone, in cui il servo, nonostante si formi attraverso il lavoro ed induca il padrone a dipendere da lui, non guadagna la libertà, che viene goduta solo nel pensiero, stoicamente; quando viene intesa come capace di dissolvere ogni determinazione, genera un comportamento scettico, che divide ogni aspetto determinato della realtà per poi rifugiarsi in se stesso nell’eguaglianza con se, dove ogni differenza è svanita: nasce la coscienza infelice, prigioniera della scissione da lei stessa creata. La Ragione invece è certa di poter ritrovare se stessa in tutto ciò che è, ma tutti i tentativi di affermare la propria signoria sulla realtà sono destinati a fallire. I suoi tentativi sono raggruppabili in tre categorie; nella prima la ragione cerca se stessa nella natura, ma mette in campo un apparato intellettuale che le impedisce di comprendere l’essenza sia dell’oggetto analizzato che di se stessa, e lo stesso accade per le leggi psicologiche e logiche o quando cerca tracce di se nella configurazione esteriore del corpo (frenologia e fisiognomica). Nella seconda categoria la ragione cerca il proprio appagamento sperimentando forme di unione e rapporto con le altre autocoscienze che però finisce per capovolgere l’intenzione iniziale, ad esempio quando agisce alla legge del suo cuore che però pretende di valere per tutti i cuori, innescando così un processo di osteggiamento reciproco (perché ovviamente ognuno ha una legge diversa nel cuore). Nella terza categoria la ragione disperde se stessa nella singolarità dell’arbitrio sia quando pretende di legiferare sul mondo, elevando all’universale la propria volontà (e sfociando così nella tirannia), sia quando pretende di esaminare le leggi, pretendendo di ergersi ad unità di misura di ciò che è in sé immodificabile ed inamovibile. Dalla dialettica interna alla Ragione è emersa l’indissolubilità dell’intreccio tra tutti e ciascuno, intreccio che dovrà dipanare lo Spirito. Esso infatti ha a che fare con figure del mondo, e quindi con la realtà storica concreta. Ciò consente di ripartire le figure dello Spirito in tre sezioni; nella prima, spirito vero, la coscienza fa esperienza dei modi in cui l’eticità greca ha cercato di far coincidere la volontà del singolo con quella della comunità; i limiti di tale brusco passaggio vengono pagati con la perdita d’identità nel diritto romano; nella seconda sezione, spirito che si è reso estraneo a sé, mostra la via della cultura, grazie alla quale la coscienza si educa all’universale, interagendo in rapporti sociali, politici e religiosi sempre più complessi. Lo spirito certo di sé stesso diventa tale attraverso il terrore della rivoluzione francese, nella sezione dedicata alla moralità in cui si trova la maggiore critica alla dottrina morale kantiana, i cui si enunciano i paradossi dell’astrazione del dovere per il dovere e dell’agire in base alla sola forma della legge consegnando l’azione individuale, priva d’indicazioni di contenuto, alla giustificazione di qualsiasi contenuto. La coscienza morale che cerca di essere riconosciuta dagli altri nella propria moralità, non è in grado di offrire che rassicurazioni soggettive sulla propria bontà e finisce per isolarsi nel mondo dell’anima bella che si rifiuta di comunicare con gli altri per mantenere intatta la propria purezza. La via d’uscita consiste nella rinuncia a far valere la propria singolarità come qualcosa di universale permettendo a ciascuna coscienza di riconoscersi in un’altra coscienza come sé stessa. Questa è la forma universale di un sapere ed un volere comuni. Nella Religione si tasta il modo in cui l’uomo conosce l’essenza dell’assoluto, e manifestandosi nell’uomo l’assoluto diviene autocoscienza. La prima manifestazione dell’assoluto si ha nella religione naturale, dove il divino presenta la caratteristica di essere una potenza che annulla e schiaccia la soggettività individuale, però perché questa soggettività non si dilegui ma diventi il luogo di manifestazione della divinità occorre che venga alla luce la creatività dell’artista e la religione diventi da naturale ad artistica (cfr. civiltà greca); nella religione disvelata invece la necessità del destino si riempie dell’autocoscienza divina (cfr. Cristianesimo), l’essenzialità di questo passaggio sta nel fatto che Dio diviene conoscibile sotto forma di uomo, dando così manifestazione di ciò che l’assoluto è nella sua essenza, ovvero spirito, inteso come capacità di autoriconoscersi nel proprio essere altro. Però l’unità col divino non è mai goduta nella presenzialità, ma attesa in un futuro lontano o ricordata in un passato lontano. Il godimento effettuale si realizza solo col sapere, dove il contenuto assoluto della religione è imbevuto della necessità del concetto, la cui forma assoluta è enunciata all’interno dello Spirito. Nello Spirito Assoluto Hegel mostra come convergano le totalità mostrate nei primi cinque momenti fenomenologici, e come ciò sia reso possibile dalla rinuncia al limite di ciascuna totalità; la coscienza morale rinuncia all’astrazione dell’interiorità e si affida all’essere, la religione rinuncia all’inconoscibilità e perviene alla religione disvelata. In questa convergenza si manifesta il processo attraverso cui l’io si educa a trovare se stesso in tutte le forme di oggettività ed a superare così la scissione tra pensiero ed essere, aprendo due strade: ritornare alla certezza sensibile, mostrando di rimanere legato alla struttura della coscienza, oppure superare quest’ultimo limite, lasciando spazio all’espansione dell’oggettività, aprendo la strada alla totalità sistematica della scienza.

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