Il termine fenomenologia e Husserl

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Testo

FENOMENOLOGIA
1. Il termine.
Il termine F. significa letteralmente "scienza dei fenomeni" e non è di uso comune: lo si incontra nel linguaggio colto, nel significato di descrizione obiettiva, disinteressata, capace di cogliere, nell'infinita varietà di ciò che appare, la verità dell'oggetto indagato. In tal senso, per esempio, una F. dell'amore vuol mostrare ciò che vale universalmente nei diversi amori e per ogni amante. Una descrizione ha dunque carattere fenomenologico quando aspira all'essenza dei fenomeni ed assume nei confronti di ciò che esamina un atteggiamento critico, disincantato, che non pregiudica l'obiettività dell'indagine con intrusioni soggettive, nella convinzione che le cose parlino da sé, purché ci si disponga convenientemente verso di esse.
2. L'atteggiamento naturale e la fenomenologia.
È in questo contesto di significato e nel clima di reazione al positivismo che caratterizza la filosofia europea tra Ottocento e Novecento, che Edmund Husserl (1859-1938) fonda la F. contemporanea. Egli osserva che l'atteggiamento naturale, ingenuo, si serve del mondo senza porsi il problema di come ci venga dato. La scienza positiva non è altro che il prolungamento dell'atteggiamento naturale: lo scienziato si pone il problema del come delle leggi naturali, ma non del costituirsi originario del mondo nella percezione. Nell'atteggiamento naturale e nella scienza la percezione è un fatto ovvio: una cosa ci sta dinanzi agli occhi, tra le altre cose. Su dati come questo si costruisce un sistema di regole e di spiegazioni: le massime di comportamento e le leggi fisiche.
3. La natura della percezione e le scienze oggettive.
Ma nel dato percettivo c'è un enigma del quale il naturalismo scientifico non si avvede. L'oggetto, il mondo, esiste solo in quanto è percepito: è un vissuto della coscienza. Se scompare la coscienza che percepisce, il mondo dilegua. Potremo dire dunque che l'ovvietà del mondo "reale" non è altro che un'impressione soggettiva, priva di verità? Allora tutto quanto si
volesse affermare sull'uomo e sul mondo sarebbe vaniloquio o soliloquio. Non resterebbe che il silenzio. Di qui prende avvio la riflessione husserliana, nell'intento di costruire un nuovo sapere, una "scienza rigorosa", che indaghi a partire, non dal mondo già costituito, ma dal dato originario della percezione, stabilendo innanzi tutto quale sia il senso essenziale della oggettualità, ovvero della nostra credenza che esista un oggetto distinto dal soggetto (v. Soggetto/Oggetto). Come si costituiscono nella coscienza l'oggetto in generale e gli oggetti specifici? Quelli, per esempio, delle scienze naturali, della matematica, della geometria? È questa una fondamentale domanda della F.
Il pensiero contemporaneo - osserva Husserl - pretende che un unico metodo sia valido per la conoscenza: quello delle scienze naturali. È un pregiudizio, che si svela proprio quando vengono messi in discussione i fondamenti della matematica e della geometria: come possono stare a fondamento di qualcosa principi che hanno bisogno essi stessi di esser fondati e dei quali è lecito metter in dubbio l'assolutezza? La critica dei fondamenti della matematica e della fisica è di per sé sufficiente a mostrare che la filosofia si trova in una dimensione interamente nuova ed autonoma rispetto alla scienza e che ad essa occorrono principi che prescindano interamente sia dal pensiero scientifico sia dall'atteggiamento naturale. Perciò il punto di partenza della F. non potrà che essere la messa in dubbio di ogni giudizio, ivi compresi quelli di carattere scientifico.
4. Epoché, evidenza, intenzionalità della coscienza.
L'inizio della critica della conoscenza è l'epoché (sospensione del giudizio) intesa non come messa in questione di ogni possibile conoscenza ma come inizio di una conoscenza che non "può contenere assolutamente nulla della mancanza di chiarezza e dell'incertezza che negli altri casi conferiscono alle conoscenze un carattere di enigmaticità e problematicità" (L'idea della fenomenologia, Lez. II). La strada è quella tracciata
dal dubbio metodico cartesiano (v. Cartesianesimo); la meta il ritrovamento di una certezza originaria e indubitabile. Con una differenza: mentre Cartesio dal cogito muoveva verso una metafisica incardinata sulla nozione di sostanza (v.) pensante, Husserl invece ritrova come evidente nella coscienza solo il carattere dell'intenzionalità. Ogni atto di coscienza è una coscienza di qualcosa, un "tendere verso" (intenzione). Indubitabili sono per conseguenza: 1) il vissuto della coscienza; 2) la natura intenzionale di ogni vissuto particolare (percezione, ricordo, previsione, immaginazione, o ragionamento che sia). Si tratta di una conoscenza che si dà a se stessa immediatamente, senza enigma e che è assolutamente immanente (v. Immanente/Trascendente) alla coscienza. La difficoltà non è nell'immanenza del vissuto, ma nella sua trascendenza, poiché ogni intenzionalità, anche quando assume la forma della riflessione, rinvia sempre a qualcosa che è diverso e distinto dal soggetto. Che ogni nostra esperienza sia immanente lo sappiamo perché lo intuiamo direttamente; ci è impossibile però comprendere come accada che il vissuto del soggetto divenga per noi l'oggettività. A meno che non possiamo ottenere un'evidenza della trascendenza che abbia il carattere dell'immediatamente colto, reperendo oggetti universali - e dunque meramente soggettivi - intuiti direttamente dalla coscienza.
L'evidenza immediata infatti non ha bisogno di esser fondata ed ha in sé la propria verità.
Perché si apra questa possibilità occorre operare l'epoché dell'atteggiamento naturale che spontaneamente attribuisce esistenza agli oggetti della percezione: si deve guardare non all'esistenza (o alla non-esistenza) delle cose ma a come queste si costituiscono oggettivamente nella coscienza. Vanno sospesi sia l'atteggiamento della psicologia empirica, che considera il soggetto come un mero "fascio di percezioni", senza porsi il problema radicale della sua costituzione, sia il sentimento ingenuo che l'oggetto della percezione stia lì, effettivament
e esistente e che l'ego sia il terminale dell'azione che quello esercita. Il guardare della psicologia presuppone infatti l'esistenza non problematica sia dell'oggetto che agisce sull'io, sia della coscienza alla quale ineriscono i fenomeni della percezione e della riflessione. Con ciò, spesso senza rendersene conto, essa introduce due trascendenze che rimangono inesplicate: il soggetto che subisce le percezioni e le elabora: "Io sento; io rifletto su ciò che sento"; e il tempo oggettivo, misurabile, già dato, nel quale ciò accade. Ebbene: è tutto questo appunto che dobbiamo sottoporre all'epoché fenomenologica:
"L'io come persona, come cosa del mondo, e il vissuto come vissuto di questa persona, inquadrato nel tempo oggettivo, sia pure del tutto indeterminatamente: tutte queste sono trascendenze, e come tali sono gnoseologicamente zero" (L'idea della fenomenologia, Lez. III). Se voglio ottenere il fenomeno puro della percezione devo sospendere e l'io e il tempo oggettivo: "Allora la percezione, afferrata e delimitata così, guardando, è una percezione in assoluto, che fa a meno di ogni trascendenza, che è data come puro fenomeno nel senso della fenomenologia" (ivi).
5. Le intuizioni pure.
Ma come trovare nel flusso continuo dei fenomeni, nel quale par non esservi nulla di permanente, degli oggetti universali, dei fenomeni puri? La via è di nuovo quella cartesiana della percezione chiara e distinta: abbiamo il diritto di avvalerci di qualunque cosa ci appaia con assoluta evidenza. Ciò che è dato in piena evidenza viene inteso solitamente come l'immediato, il questo qui, mentre l'universale, la forma, la si considera mediata, costruita dal pensiero. Ma davvero le forme universali sono sempre mediate? Husserl è convinto del contrario: "Ma come! L'ovvietà assoluta, la guardante datità diretta, è presente soltanto nel singolo vissuto e nei suoi singoli momenti e parti, si riduce cioè al porre, guardando, il questo qui? Non dovrebbe essere possibile porre, guardando, altre datità come datità assolute, per esempi
o universalità, in modo che un universale possa venire, guardando, a ovvia datità, dubitare della quale sarebbe daccapo un controsenso?" (L'idea della fenomenologia, Lez. III).
È possibile. Nel percepire sensibile andiamo continuamente oltre il singolo dato percettivo: il questo non è mai ridotto a singolo punto, a percezione atomica, ma è sempre già formato, strutturato. Ho, per esempio, la percezione di un colore. Se metto da parte ("tra parentesi") l'oggetto che porta il colore, otterrò il colore in generale. Così come Kant aveva già dimostrato per l'esperienza dei corpi, che non si può ottenere senza le intuizioni pure a priori dello spazio e del tempo, nemmeno gli oggetti colorati possono sussistere senza l'intuizione pura del colore. Tale essenza non è affatto diminuita o falsificata dalla circostanza che vi sono - poniamo - dei daltonici per i quali il rosso non è lo stesso colore che i più percepiscono, o dei ciechi nati per i quali i colori non esistono, perché è qui in gioco non la qualità percettiva fisio-psicologica, ma il fenomeno puro "colore", che si differenzia - poniamo - dal fenomeno puro "suono" così come "spazio" si distingue da "tempo". Il carattere a priori di questo modo di obiettivizzare il mondo è evidente. Lo è alla stessa stregua dello spazio e del tempo kantiani: come i corpi non si danno senza la forma pura a priori del senso esterno, lo spazio, neppure gli oggetti colorati senza l'idea, l'essenza, del colore. Lo stesso vale per l'oggetto acustico, tattile, ecc.
6. La costituzione della cosa e l'intersoggettività.
La regione più vasta in cui inserire gli oggetti del nostro mondo è la cosa materiale: un vuoto che va riempito di determinazioni qualitative quali appunto il suono, il colore, ecc. Ma le qualità sensibili che attribuisco a un oggetto sono affidabili? La risposta negativa di Cartesio, della scienza moderna e di Kant stesso, ha destituito di valore conoscitivo le sensazioni (v.). Eppure è proprio il costituirsi della cosa nonostante la precarietà delle sensazioni che n
e rivela la natura essenziale, trascendente. Il soggetto che coglie la cosa non è chiuso in un sogno dell'immaginazione ma è intenzionato con altri soggetti: "La vera "cosa" è ora l'oggetto che si mantiene identico nella molteplicità di apparizioni di una pluralità di soggetti, è cioè l'oggetto intuitivo in riferimento con una comunità di soggetti normali" (Idee, II, 18). L'obiettività non è del mondo ma nel mondo, come condizione dell'interagire dei soggetti, del loro intenzionarsi reciproco. L'esperienza non designa semplicemente la mia esperienza del tutto privata, bensì un'esperienza comunitaria e nel mondo, che è il medesimo per tutti, tutti possiamo accordarci nello "scambio" - e dunque nella messa in comune - delle nostre esperienze. Il soggetto vivente "è soggetto del suo mondo circostante, innanzitutto del mondo circostante spaziale fatto di cose, ma anche del mondo dei valori e dei beni, del suo mondo circostante personale e sociale" (Idee, App. XIII).
7. La temporalità.
Il tempo (v.) è la trama della costituzione fenomenologica del mondo perché il flusso del vissuto è temporale. È un continuum che intreccia i fili della nostra esistenza non soltanto con quelli degli altri vissuti ma con le presenze che la storia e il futuro ci suscitano. Il problema della costituzione del mondo sta dunque anche nel rapporto con queste "cose". Non si tratta del tempo psicologico che si allunga e si accorcia nelle diverse circostanze, né del tempo misurabile, oggettivo. Occorre mettere tra parentesi l'ovvietà del tempo che appare, per ricercarne la genesi. L'ora del tempo della coscienza è il centro di rapporti fra passato e futuro, tra ritenzione e protenzione. L'atto stesso della visione accade nel tempo, è un'architettura temporale costruita non con un colpo d'occhio sull'oggetto ma girandovi attorno, con atti di mantenimento nella memoria e di anticipazione di ciò che ora non vediamo. Di un cubo non vediamo attualmente tutte e sei le facce, ma le immaginiamo mediante il visto, il previsto e l'anticipazione di ciò
che vedremo girandoci attorno. Il formarsi dell'oggetto fisico nella nostra coscienza avviene grazie alla rimemorazione e all'anticipazione. Ma anche il tempo oggettivo è necessario per costituire le cose: la temporalità come durata, coesistenza, successione, è la forma necessaria d'intuizione di tutti gli oggetti. Da questo punto di vista esso non è un costrutto artificiale atto a misurare e ad utilizzare il mondo fisico: è invece un tempo originario, intersoggettivo, che unifica le percezioni dei soggetti. Dunque anche il tempo "normale", "l'universalmente noto, l'ovvietà che inerisce a qualsiasi vita umana, ciò che nella sua tipicità ci è già sempre familiare attraverso l'esperienza" (La crisi delle scienze europee, 34), è il tempo della intersoggettività.
8. L'universo delle intenzionalità e l'umanesimo di Husserl.
Sulle strutture comuni fondanti l'esperienza - che comprende non solo la natura ma l'intero universo valutativo: morale, politica, diritto ecc. - si costruisce il mondo intersoggettivo, per tutti valido. Non si tratta di condurre una semplice indagine empirica, riducendo ogni fenomeno ai suoi elementi atomici, ma di conseguire la scienza rigorosa del costituirsi delle strutture, delle forme dell'esperienza. "L'ovvietà ingenua, la quale è portata a ritenere che ognuno veda le cose e il mondo in generale così come gli appare, occulta un ampio orizzonte di singolari verità, che prima la filosofia non ha considerato nella loro peculiarità e nella loro connessione sistematica" (ivi, 48).
Lo sguardo riflessivo della F. non si limita agli stati vissuti attuali: oggetti di qualsiasi specie costituiscono incontri di possibili orizzonti, aperture al mondo della vita. L'aprirsi all'espressività dell'altro, interpretarlo (v. Ermeneutica 5), ci conduce alla cultura e alla storia: infatti non intenzioniamo solamente cose ma altre intenzioni e motivazioni. Gli oggetti sono riempiti di qualità spirituali. L'idea husserliana è quella di un'umanità conciliata e autocomprensiva, nella quale ciascuno riconosca
se medesimo nella comunità intersoggettiva e trovi in essa il senso profondo della vita. Occorre edificare la filosofia come scienza rigorosa per costituire "un'umanità razionale, un'umanità che comprende di essere razionale nel voler-essere-razionale, che comprende che ciò significa l'infinità della vita e degli sforzi verso la ragione" (ivi, 73), mediante l'autocomprensione nella forma della filosofia.
E. Franzini, Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl, Milano, Franco Angeli, 1993.
E. Husserl, La fenomenologia trascendentale, a cura di A. Marini, Firenze, La Nuova Italia, 1974 (è un'antologia di testi husserliani, con ampia introduzione e commento del curatore).

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