Il femminismo

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Testo

Eterno femminino fatale
I personaggi femminili nelle opere di Gabriele D'Annunzio
di Muru Chiara


Appare evidente, a quanti si accostano alla multiforme opera letteraria di Gabriele D'Annunzio, che ai personaggi femminili è attribuito un ruolo importante e spesso decisivo: molte sono le figure di donna tratteggiate con particolare evidenza, a partire dalle poesie giovanili per arrivare ai romanzi, alle opere teatrali ed alla suggestiva e tarda "prosa notturna", e a queste figure l'autore assegna caratteristiche peculiari e a volte uniche nel panorama letterario fra Otto e Novecento. Ciò autorizza l'indagine - rapida e assolutamente non esaustiva - che ci proponiamo di svolgere in queste note, rinviando ad altre fonti per uno studio più ampio sull'argomento [1].
L'opera di D'Annunzio, com'è noto, risente di molteplici influenze, fra cui le più significative provengono dalle correnti tardo-romantiche e decadenti, che soprattutto in Inghilterra ed in Francia hanno fatto propria la scena letteraria del 19° secolo: ed è proprio la sensibilità esasperata e spesso morbosa di questo periodo che fornisce la migliore rappresentazione del tipo della "donna fatale", della belle dame sans merci dalla femminilità prepotente e crudele. Si tratta in realtà di una figura da sempre presente nell'immaginario collettivo dell'Occidente, a partire dai miti greci e latini fino ai drammi elisabettiani, e da questi alla letteratura del romanticismo e del decadentismo; i tratti fondamentali della donna fatale sono il fascino perverso e soggiogante e la straordinaria esuberanza fisica, che conducono all'inevitabile asservimento, e spesso al completo annientamento psicologico ed emotivo del partner maschile. Il tipo in questione, che presto diventerà un cliché sfruttato dalla narrativa di consumo [2], è assai presente in D'Annunzio, che se ne appropria e ne fa una sorta di topos, un momento ricorrente all'interno della sua opera; ma, al pari di alcuni suoi predecessori europei, lo scritore italiano vi aggiunge a volte un elemento che serve a complicare e a renderne ancora più morboso il personaggio: le donne di D'Annunzio [3] assumono un carattere "sintetico", apparendo cioè un concentrato, una sintesi dell'esperienza sensuale di tutte le epoche e di tutti i paesi, quasi a costituire la reincarnazione delle più famose "cortigiane" della storia e del mito. La più celebre fra le "donne fatali sintetiche" celebrate da D'Annunzio è senz'altro la Pamphila del Poema paradisiaco, che per le sue caratteristiche di sensualità, diciamo così, impura e contaminata, diviene oggetto di desiderio del poeta: "Da tutti posseduta, dal mendico / e dal sire, coperta di carezze / immemorabili [...] Quella amerò. Ne le sue membra impure / io coglierò tutto il desio terreno, / conoscerò tutto l'amor del mondo".
E sono proprio i caratteri della donna fatale a fare il loro ingresso nei romanzi dannunziani, dove si arricchiscono di nuove e avvincenti peculiarità narrative. Difatti, a cominciare dal Piacere, il primo romanzo della trilogia della "Rosa", viene presentato un personaggio femminile, Elena Muti, a cui D'Annunzio attribuisce tratti da donna fatale non solo o non tanto perché Elena riesce a sottomettere il protagonista maschile, il raffinato esteta e uomo di mondo Andrea Sperelli, ma soprattutto perché nella donna Andrea sembra aver trasferito una parte della propria personalità, e in particolare il proprio principio unificante, la capacità del proprio io di strutturarsi in maniera unitaria: la separazione da Elena, che è il momento centrale del romanzo, provoca nel protagonista la rottura di un precedente equilibrio, la perdita della propria unità e la dispersione del suo essere in una molteplicità di frammenti [4] . Di conseguenza, dopo l'abbandono di Elena, Andrea cerca di replicare con altre donne la precedente esperienza amorosa, nel vano tentativo di recuperare in altre amanti quel principio unificante che egli sente di aver perduto con Elena, fino ad arrivare, nel finale del romanzo, alla sovrapposizione "erotica" di due donne, la sensuale Elena Muti e la spirituale Maria Ferres, alla quale il giovane, nella prima notte d'amore, si rivolge chiamandola con il nome di Elena.
L'immagine della donna fatale che ha inglobato tanta parte della personalità del partner ritorna nel Trionfo della morte, terzo romanzo del ciclo della Rosa, in cui troviamo Giorgio Aurispa, il protagonista maschile, che mira a recuperare le proprie facoltà che sente essere detenute nella persona di Ippolita Sanzio, la donna amata. E Ippolita, in misura assai maggiore rispetto ad Elena Muti, viene ad assumere i connotati della belle dame sans merci: infatti è raffigurata come una donna "piena di seduzioni", dotata di "quel tipo di bellezza che flagella gli uomini e li fa desiderosi"; e Giorgio vede in lei non solo "l'immagine terrifica e quasi gorgònea della donna", ma anche una vera e propria sintesi di tutte le "donne destinate a dominare il mondo col flagello della loro bellezza impura".
E tuttavia D'Annunzio non si limita a rappresentare in Ippolita il tipo della donna fatale sintetica, ma ne complica ulteriormente il carattere presentandola come malata di epilessia; è noto che fin dall'antichità l'epilessia è stata vista come una sorta di morbo sacro, una malattia che conferisce particolari poteri a chi ne sia colpito, soprattutto un potere di suggestione sul partner; trattandosi di una donna - e sono soprattutto le donne che nella tradizione letteraria sono affette da epilessia - ne vengono accentuate le tipiche doti di fatalità e di seduzione. Dunque D'Annunzio attribuisce ad Ippolita queste caratteristiche, che si aggiungono a quelle già note di donna fatale, rendendola un personaggio assai complesso e articolato. Ma Ippolita è anche vittima di una sindrome isterica, una malattia che da sempre è stata vista come essenzialmente femminile e collegata agli aspetti più fisici e materiali della sessualità: naturalmente l'isteria, aggiungendosi all'epilessia, contribuisce a ingigantire le caratteristiche di fascino e di fatalità proprie di Ippolita, risultandone esaltata la sua carica sensuale ed il suo vigore animalesco. Il personaggio femminile del Trionfo della morte viene così a profilarsi in termini di accesa sensualità, che sarà presto individuata da Giorgio Aurispa come una forza ostile, in grado di imporre il proprio predominio fiaccando tutto il suo essere e degradandolo intellettualmente: ed è facile intuire il finale del romanzo, segnato dall'omicidio di Ippolita e dal contemporaneo suicidio di Giorgio, incapace di ritrovare la sua personalità più profonda e soverchiato dalla prepotente sensualità di Ippolita.
I successivi romanzi di D'Annunzio sono caratterizzati da figure femminili che, in varia misura, replicano le caratteristiche della donna fatale, pur senza raggiungere la tragica grandezza del Trionfo della morte. Così nel Fuoco la Foscarina - travestimento letterario della grande attrice Eleonora Duse - se da un lato rappresenta la musa ispiratrice del protagonista, il poeta Stelio Effrena, dall'altro assume i tratti della donna fatale sintetica, in quanto sembra "portare nelle pieghe delle sue vesti [...] la frenesia di moltitudini lontane" ed appare "carica di sapere voluttuoso, col gusto della maturità e corruzione nella bocca eloquente"; ma a questi aspetti ormai noti si aggiungono nella Foscarina dei momenti di follia che, analogamente all'istero-epilessia di Ippolita, contribuiscono a complicare il personaggio e ad arricchirlo di particolari suggestioni narrative. Così nel Forse che sì forse che no gli aspetti più estremi di lussuria e di sensualità della fatale Isabella Inghirami si sommano ad una sensibilità esasperata e morbosa che la condurrà inevitabilmente alla pazzia. Analogamente nelle opere teatrali al cliché della donna fatale si aggiungeranno nuove connotazioni psicologiche che lo renderanno più complesso e avvincente; il teatro dannunziano infatti è ricco di personaggi femminili sensuali, corrotti e crudeli, ma che spesso sono anche vittime della follia e il più delle volte vanno incontro ad un tragico destino: quasi a rappresentare l'ambivalente visione del loro autore, che da un lato appare il continuatore della tradizione romantica e decadente della belle dame sans merci, mentre dall'altro si mostra sollecito a rilevare alcuni aspetti più nascosti e drammatici che possono toccare l'universo femminile, come le malattie e la demenza.


Note

[1] Cfr. fra l'altro Mario Praz, La belle dame sans merci, in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica. Firenze, Sansoni, 1976, pp. 139-212; Vittorio Roda, Note sui personaggi femminili del D'Annunzio, in Il soggetto centrifugo. Studi sulla letteratura italiana fra Otto e Novecento. Bologna, Patron, 1984, pp. 276-300; Michele Santoro, Gabriele D'Annunzio fra Marfisa, Parisina e Francesca. "2000 Incontri", 4 (1990) 4, pp. 54-56 , .
[2] Un cliché ancora oggi assai presente non solo in ambito letterario ma anche in quello teatrale e cinematografico.
[3] Come quelle di poeti e scrittori ottocenteschi, fra cui ricordiamo soltanto l'inglese Swinburne o il Flaubert delle Tentazioni di Sant'Antonio.
[4] "A quella specie di raccoglimento - scrive D'Annunzio - prodotto dal dominio unico di Elena, succedeva ora il dissolvimento. Non più tenute dall'ignea fascia che le stringeva ad unità, le sue forze tornavano al primitivo disordine".

Esempio



  


  1. Michele Santoro

    UN PLAGIO. L'articolo "Eterno femminino fatale. I personaggi femminili nelle opere di Gabriele D'Annunzio" pubblicato su questo sito con firma Muru Chiara, è un plagio integrale. L'autore è il sottoscritto, Michele Santoro; il testo è stato pubblicato sulla rivista "Appunti per un progetto" 1995, ed ora è presente sul mio sito personale, all'indirizzo https://sites.google.com/site/michelemariasantoro/letteratura/articoli-letterari. Il confronto con l'originale dimostra che l'articolo è stato copiato integralmente. A norma di legge, chiedo di rimuovere il falso o attribuire correttamente l'articolo al suo vero autore. Michele Santoro, Università di Bologna, email: [email protected]