Gottlieb Fichte

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

Gottlieb FICHTE
(1762-1814)
1. Alle radici della conoscienza: Io sono Io
Fichte si domanda cosa ci sia alle radici della conoscienza umana, quale sia il principio fondamentale che regola il rapporto tra coscienza e realtà. il principio fondamentale della conoscenza. Per Fichte questo principio è l'Io. Che cos'è l'Io? L'Io è l'autocoscienza del soggetto, il riconoscersi, il definirsi da parte di un individuo pensante. L'Io di Fitche è quindi coscienza di sé e del proprio pensiero.
In sostanza, la vita è un continuo definirsi dell'Io, un continuo creare la propria identità, un giudicare tutto, anche negli assiomi più semplici come, ad esempio, A=A. Per intendere questa semplice uguaglianza, occorre che vi sia una coscienza cosciente di ciò che si ta giudicando. tale evidenza è per Fichte alla base dell'intero processo cognitivo, la sola cosa che si può dire certa.
E' alla luce di questa continua presa di coscienza che si può affermare che ogni io pone se stesso, ovvero ogni soggetto pensante crea se stesso e il suo particolare modo di giudicare le cose, in un continuo flusso auto-creativo (ogni io predispone la coscienza di giudicare la realtà). L'Io è allora l'unica attività assoluta, infinita, libera e incondizionata presente nel mondo. Il soggetto pensante non è visto da Fichte come essere, ma come attività. L'Io, ponendo se stesso, riconoscendo se stesso e quindi creando se stesso, opera una continua attività di definizione di sé. L'assioma Io=Io comporta che lo stesso io, inteso come attività del pensiero, riconosca se stesso.

2. Dall'Io al non-Io
Tuttavia, all'interno dell'attività assoluta e senza limiti dell'Io, esiste pur sempre, similmente all'affermazione di qualcosa (A è A) anche la negazione di qualcosa (A non è A). Se esiste una negazione nell'Io è indubbio che tale negazione porti alla formulazione di un non-Io. Il non-Io è la materia, gli altri corpi, il nostro stesso corpo, sede dell'Io pur non essendo l'Io stesso (il corpo accoglie l'attività dell'Io, ma non è Io, ovvero non è pensiero autocosciente).
La conoscenza umana si fonda allora su una contraddizione: da un lato l'autocoscienza di sé, dall'altro la coscienza di ciò che noi non siamo. L'Io ha in sé potenzialità assolute di conoscenza, tuttavia non è l'Assoluto, non è il tutto, come invece sosterrà Hegel e l'idealismo più autentico.
L'Io non è tutto perché ha in sé la negazione, perché lo stesso Io identifica, oltre a sé, anche tutto ciò che esso non è: ciò che è negazione dell'Io, che è pensiero cosciente di sé, è necessariamente materia, ovvero assenza di pensiero cosciente. L'Io è attivo, illimitato nelle sue potenzialità, la materia, al contrario, è passiva, limitata, determinata.

3. La sintesi tra Io e non-Io
L'esistenza dell'Io e del non-Io pone però un'essenziale contraddizione, come è possibile infatti che l'Io infinito possa produrre anche ciò che lo limita, ovvero il non-Io?
"In un certo senso, l'Io dovrebbe essere posto come infinito; in un altro, come finito. Se esso fosse posto come infinito e come finito in un solo e medesimo senso, la contraddizione sarebbe insolubile: l'Io sarebbe non uno, ma due. Ora in quale senso l'Io è posto come infino, in quale altro come finito? L'uno e l'altro gli sono attribuiti assolutamente; il puro atto del suo porre è il fondamento tanto della sua infinità, quanto della sua finitezza [...] In quanto l'Io si pone come infinito, la sua attività (di porre) cade sull'Io stesso, e su nient'altro che l'Io. Tutta la sua attività cade sull'Io, e quest'attività è il fondamento e l'ambito di ogni essere. Perciò l'Io è infinito, in quanto la sua attività ritorna in se stessa, e per questo riguardo, dunque, anche la sua attività è infinita, perché infinito è il prodotto di essa [...]" (G. Ficthe, La dottrina della scienza).
L'Io è illimitato per ciò che riguarda la sua attività di creazione, di definizione dei limiti. Quando l'Io definisce il non-Io partecipa necessariamente alla limitazione del non-Io, l'Io, da soggetto, si oggettivizza. Ma il semplice fatto di avere coscienza dei limiti che si impone, porta l'Io a ribadire la propria illimitatezza, perché rendendosene conto, già si portà aldilà della limitazione stessa. Il non-Io si pone così come passaggio necessario per permettere all'Io di andare oltre i suoi limiti. Questo rapporto dinamico tra Io e non-Io è dunque ciò che permette alla realtà di evolversi, ciò che permette ai due momenti della coscienza di procedere e svilupparsi, per arricchimento.
Dunque è evidente che il non-Io e la sua limitatezza esistono in quanto sforzo creativo dell'Io, e che l'Io risulta illimitato nella sua capacità di spostare in continuazione il limite del non-Io. In sostanza è la volontà di porre i limiti del mondo naturale che è infinita, in quanto la coscienza si evolve nel tempo e aggiunge nuove caratteristiche al mondo della materia, ridefinendolo e arricchendolo.

4. "L'importante non è essere liberi, ma liberarsi"
Dal punto di vista etico Fichte propone una teoria in accordo con la sua metafisica. Il compito dell'uomo è di poter dominare ogni conoscenza, seguendo lo spirito di creazione infinito e illimitato dell'Io. E' evidente, d'altronde, che la realizzazione di tale fine equivarebbe a trasformare l'uomo in Dio, ciò non è possibile, e quindi non è possibile nemmeno l'assoluta conoscenza e l'infinita libertà di oltrepassare ogni limite.
Compito degli uomini è quindi tendere al costante miglioramento delle proprie conoscenze e al costante oltrepassamento dei propri limiti, poiché l'importante non essere liberi in senso assoluto (un'impossibilità), ma avere in sé la volontà liberarsi, in modo da tendere comunque all'oltrepassamento, nonostante non sia possibile raggiungere una meta finale in cui tutti i limiti siano oltrepassati (l'Io, infatti, crea ogni cosa incessantemente, pone infinitamente nuovi limiti).
La società quindi deve tendere al continuo progresso, il dotto deve porsi come limite il costante miglioramento delle sue conoscenze. "Dunque il dotto, considerato sotto quest'ultimo riguardo, deve essere l'uomo moralmente migliore della sua epoca: deve realizzare in sé il più alto grado di perfezione morale possibile del suo tempo." (G. Fichte, La missione del dotto).

5. Dogmatici e idealisti
Fichte afferma che esistono nell'uomo due atteggiamenti distinti relativi all'impostazione filosofica attraverso il quale la realtà viene interpretata: tali atteggiamenti sono l'idealismo e il dogmatismo. Idealismo e dogmatismo sono i soli due sistemi ideologici possibili. I due sistemi sono completamente incompatibili e quindi evidentemente escludenti.
Il dogmatico è colui che crede che l'uomo può essere guidato solamente dalla percezione, condizionato dal mondo materiale entro il quale vive, senza lasciare alcuna possibilità a idee che non siano inerenti alle circostanze della vita.
L'Idealista è colui che cerca di andare aldilà della realtà imposta ed è in qualche modo creatore egli stesso della propria realtà, in uno slancio libertario in cui l'uomo è il solo creatore di se stesso e di ciò che gli sta attorno.
Da notare che per Fichte la vera filosofia è idealista, caratteristica dell'uomo vitale e giovane, mentre il dogmatismo è carrateristica dell'uomo fiaccato dai tempi e dalle frivolezze, dell'uomo che non ha la forza di reagire. Dogmatismo e idealismo sono quindi necesarriamente legati alle qualità umane di chi li professa, legati al carattere naturale di ciascun uomo.

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