Disputa degli universali

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

LA DISPUTA DEGLI UNIVERSALI

Uno dei problemi gnoseologici e metafisici più rilevanti con cui i pensatori medioevali hanno dovuto misurarsi è stato quello della “questione degli universali”; in che cosa consiste tale questione?
Quando noi formuliamo proposizioni del tipo “ogni corpo è esteso”, oppure “ogni uomo è razionale”, utilizziamo alcuni termini, in questo caso “corpo” e “uomo”, non riferendoci ad alcun specifico corpo o uomo; quindi in simili proposizioni noi facciamo riferimento ad un “quid” che risulta essere predicabile di tutti i corpi e di tutti gli uomini. Gli “universali” sono proprio questi oggetti di pensiero che possono essere applicabili a più individui, o, come dicevano gli scolastici, “id quod aptum est praedicari de pluribus”. La “questione degli universali” non consiste se non nel chiedersi quale sia la natura di tali oggetti di pensiero, se essi siano solo parole o anche realtà, e, in quest’ultimo caso, quale tipo di realtà.
Per sgombrare il campo da ogni possibile dubbio deve essere ben chiaro che la “questione degli universali” è un problema di metafisica e non di logica, e tale questione può essere affrontata secondo tre punti di vista:
1. gnoseologico: consiste nel chiedersi quale valore abbiano gli universali nel processo della conoscenza umana;
2. psicologico: consiste invece nell’indagare qual è il processo di formazione degli universali;
3. metafisico: consiste infine nell’esaminare come debba essere strutturata la realtà, perché gli universali possano avere valore conoscitivo.
Il filosofo greco Porfirio (233 - 305), allievo di Plotino e successore del maestro alla guida della scuola neoplatonica, fu l’iniziatore di questa disputa che esercitò una larga influenza sia sul pensiero neoplatonico successivo, sia sulla cultura medioevale. Egli nell’opera “Isagoge” [Quest’opera, il cui titolo in greco significa "introduzione", è nota anche con il titolo di: "Introduzione alle categorie di Aristotele"], affrontando concetti essenziali dell’ “organon” aristotelico, dichiara apertamente di tralasciare di dare risposta a tre problemi:
1. gli universali esistono?
2. se esistono sono corporei o incorporei?
3. se incorporei, sono uniti o separati dalle cose sensibili?
Fu Severino Boezio (480 - 526) il primo filosofo a tentare di dare risposta a tali domande. Partendo dalla constatazione che l’universale è un “oggetto di pensiero applicabile a più individui” egli si domandò: ma dove si trova? La soluzione di Boezio è:
1. gli universali esistono solo nell’intelletto, ma non esistono così come sono pensati, ossia come universali;
2. gli universali sono incorporei, ma uniti alle cose corporee, sono quindi “astratti” dall’intelletto;
3. gli universali sono nelle cose corporee, ma sono concepiti separatamente.
Questa posizione filosofica prende il nome di “realismo moderato” e da qui nacquero tutte le dispute medioevali sulla “natura” degli universali. Diverse furono le soluzioni adottate, per comodità dividiamo le svariate tendenze e denominazioni in due grandi categorie: il “nominalismo” e il “realismo”.



Nominalismo
Le dottrine che vanno sotto il nome di “nominalismo“, o concettualismo, hanno tutte in comune tale presupposto: l’ universale non è una “res”, ma solo un “nomen”. Nel medioevo il nominalismo ha avuto sostenitori anche di spicco, ne ricordiamo tre particolarmente rappresentativi.

I. ROSCELLINO (1050 - 1120)
L’universale altro non è che “flatus vocis”, cioè è un puro suono perché “nihil est praeter individuum” e quindi gli universali non hanno alcun valore. È questa una tesi chiaramente scettica che mortifica la ragione umana che decade a pura attività analitica.
II. PIETRO ABELARDO (1075 - 1142)
L’universale non può essere una “res” altrimenti una medesima cosa potrebbe avere anche predicati contraddittori; quindi l’universalità è frutto di un’operazione mentale con cui si prendono in considerazione gli aspetti in cui le cose individuali convengono per similitudine, prescindendo - “astraendo” - dagli aspetti differenti. Nella realtà non vi è nulla di universale: l’universale è “sermo”, “vox significativa”, cioè una rappresentazione mentale carica di significatività verso la realtà esterna. Gli universali sono dunque “sermones” perché sin dall’origine hanno ricevuto la proprietà di essere predicati di più individui.
III. GUGLIELMO d’OCKHAM (1280 - 1349)
L’universale non è una realtà, ma solo un “nomen”; quindi gli universali sono solo delle forme verbali medianti le quali la mente umana costituisce una serie di rapporti esclusivamente logici. L’universale coincide quindi con la funzione logica della predicabilità, non è altro che un segno abbreviativo di cose simili; si trova nell’anima ed è una “suppositio”, cioè sta al posto di una realtà singolare.


Realismo
Già si è visto il “realismo moderato” di Boezio, ma durante tutto l’arco del medioevo sono state formulate altre teorie “realiste”; queste hanno tutte un presupposto comune: l’universale è la sostanza delle cose. Esistono tre forme diverse di realismo:
• forma platonizzante - sostiene che gli universali esistono di per sé separati dalle cose;
• forma aristotelica - sostiene che gli universali risiedono negli oggetti e l’uomo non deve far altro che ricavarli tramite l’astrazione;
• forma semi-aristotelica - gli universali esistono solo nell’intelletto anche se nelle cose esiste qualcosa di “comune”.
Nel medioevo anche il realismo ha avuto i suoi importanti sostenitori, ne ricordiamo tre particolarmente rappresentativi che, tra l’altro, si rifanno ognuno ad una delle “forme” sopra citate.

I. GUGLIELMO di CHAMPEAUX (1070 - 1121)
L’universale corrisponde all’essenza delle cose, è quindi sostanza ovvero un ente oggettivo; gli individui, le realtà corporee altro non sono che “accidenti” di tali sostanze. Tale posizione è sostenuta anche da Gilberto della Porré (1080 - 1150) che sostiene la corrispondenza degli universali con delle “forme native”; in questa prospettiva fortemente platonica gli universali sono “imitazione”, “exemplum“, delle Idee esemplari create da Dio. Tra i concetti universali e la realtà vi è quindi una corrispondenza perfetta.
II. SAN TOMMASO d’AQUINO (1221 - 1274)
Vengono distinti tre tipi di universale:
universale in re -
è la “forma” delle cose, l’essenza;
universale post rem -
è il concetto nell’intelletto, quello che viene colto con il procedimento razionale della “astrazione”;
universale ante rem -
è l’Idea nella mente divina, il “modello” delle cose.
Questi tre tipi di universale fanno uno e si identificano con la “forma” della cosa che esiste “ab aeterno” nell’Intelletto divino e che l’intelletto umano “astrae” dalla cosa stessa.
III. DUNS SCOTO (1266 - 1308)
L’universale esiste solo nell’intelletto, nelle cose esiste solo una “natura comune” che gode di una propria realtà e che è distinta solo formalmente dalla natura delle cose; tale “natura comune” è detta “haecceitas”.

Naturalmente “la questione degli universali” non si chiude con la fine del medioevo, viene ripresa infatti anche dalla filosofia moderna che rivedrà il formarsi di due opposti schieramenti: gli empiristi, che sostanzialmente saranno nominalisti, e i razionalisti, più vicini alle posizioni del realismo.

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