Medicina prenatale

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Testo



Anno Scolastico 1997/98
Medicina Prenatale

Zanfabro Sara classe 5^ sez. S
Liceo Scientifico Statale “A. Vallisneri” Lucca

INTRODUZIONE
Non tutti al giorno d'oggi sanno cosa significhi esattamente medicina prenatale; dall'analisi della parola stessa verrebbe da pensare ad una medicina che riguarda il periodo antecedente il parto, ma il "soggetto" di tale medicina chi è ? Il nascituro, la madre, il padre, o chi altri ? Ebbene tale soggetto è il nascituro o più precisamente è ciò che viene comunemente chiamato prima embrione e poi feto. Dal momento del concepimento il futuro neonato inizia a svilupparsi all'interno del corpo materno e questo rende chiaramente difficile valutarne lo stato di salute; è a questo punto che la medicina prenatale ci viene incontro offrendoci delle tecniche per mezzo delle quali diventa possibile indagare, entro certi limiti, sullo stato di salute del nascituro. Con le tecniche diagnostiche che attualmente sono praticabili si possono identificare delle gravidanze a rischio certo o a rischio probabile di malformazioni o malattie dell'embrione/feto ed in alcuni casi diventa addirittura possibile intervenire su di esse con terapie mediche o chirurgiche per migliorare la situazione. Nei casi in cui non sia possibile approdare ad un miglioramento, il fatto che la coppia possa prendere coscienza di ciò cui sta andando incontro con qualche mese d'anticipo rispetto alla nascita fa sì che essa possa scegliere consapevolmente se decidere di proseguire o di interrompere la gravidanza. In questo caso si va inevitabilmente a toccare un aspetto molto delicato della questione che riconduce al problema della legittimità o illegittimità dell'aborto e di conseguenza al problema della scelta del momento in cui viene a costituirsi l' "individuo". Non è tuttavia mia intenzione affrontare un problema etico di tale mole nella mia relazione ( lo riprenderò solo brevemente nelle conclusioni ) ciò che maggiormente mi interessa è capire quanto sia possibile spingersi in là in una diagnosi che sembra quasi una previsione del futuro, di quali siano le tecniche esistenti, della loro attendibilità, del loro rischi di esecuzione, ecc..... La medicina prenatale può sembrare un argomento che interessa a pochi ma pensandoci bene è un qualcosa che interesserà prima o poi quasi tutti, visto che la maggior parte della popolazione genera dei figli. Inoltre tale argomento dovrebbe coinvolgere sempre di più i futuri genitori perchè se è vero che è grazie alla tecnologia che diventa possibile attuare tecniche diagnostiche, mediche e terapeutiche sempre più sofisticate, è anche vero che la stessa tecnologia, risultato di uno sviluppo caotico ed incontrollato, ha mutato l'ambiente in cui viviamo rendendolo sempre più inquinato e sempre più pericoloso per la nostra salute ed indirettamente per la salute dei nostri figli. La medicina prenatale è uno strumento a nostra disposizione per valutare tutti i pro e i contro di una delicatissima questione, per questo è di primaria importanza incentivare la ricerca in questo campo al fine di ottenere criteri di valutazione sempre più validi, precisi e sicuri.
Medicina prenatale
La medicina prenatale si è sviluppata soprattutto negli ultimi decenni grazie a nuove e significative scoperte avutesi sia in campo medico che scientifico e tecnologico; al giorno d'oggi possiamo considerarla come una scienza composta di due momenti principali: la diagnosi prenatale e la terapia fetale che si completano l'una con l'altra. Le nuove conoscenze hanno determinato l'introduzione di tecnologie sofisticate che consentono indagini innovative sul feto durante la vita in utero e studi approfonditi delle malattie geniche. Difetti gravi presenti fin dalla nascita rendono difficile e possono addirittura mettere in pericolo la vita del 3% circa dei neonati. Queste anomalie congenite, spesso geneticamente determinate, sono causa di circa il 20% delle morti nel periodo neonatale e di una percentuale anche più elevata di complicazioni che turbano profondamente la vita dei bambini e delle loro famiglie.
DIAGNOSI PRENATALE
La diagnosi prenatale ha come obiettivo globale quello di ottenere informazioni genetiche, anatomiche e biochimiche sul feto al fine di consentire alle coppie e alle famiglie a rischio di malattie congenite la possibilità di decidere in modo consapevole il percorso da seguire. Attualmente non possediamo una metodica unica che ci consenta di identificare tutti i difetti congeniti. Disponiamo di diverse tecniche, ciascuna delle quali soddisfa in modo incompleto i criteri di sicurezza, rapidità e precocità. Queste tecniche si dividono in "invasive" e "non invasive". Le tecniche invasive sono quelle che si basano sull'introduzione in utero di un ago, di una sorgente laser, ecc...,cioè di un corpo esterno che potrebbe alterare l'ambiente intrauterino provocando danni più o meno seri. Il principale limite di tali procedure è appunto il fatto che esse implichino un aumento del rischio di interruzione della gravidanza. Le tecniche non invasive invece non incidono su di essa in quanto si basano su osservazioni effettuate esternamente all'utero.
Tecniche invasive:
-prelievo di villi coriali (cvs)
-amniocentesi
-prelievo di sangue fetale
Tecniche non invasive:

-esame ultrasonografico

Esiste inoltre la possibilità di ricavare informazioni indicative sul feto tramite l'analisi del sangue materno. La valutazione della necessità di sottoporre o meno una donna incinta ad uno o più degli esami sopra citati avviene attraverso un colloquio diretto tra l'interessata ed il medico per mezzo del quale si è in grado di ottenere informazioni relative al decorso di eventuali precedenti gravidanze e alla storia della salute della famiglia. Chiaramente la volontà espressa dalla donna, sia essa a favore o meno dell'effettuazione di una diagnosi prenatale, è da considerarsi volontà suprema contro la quale niente è fattibile. Il medico può solo valutare la situazione verso cui la gravidanza sembra vertere e in base alla propria conoscenza e alla propria esperienza offrire suggerimenti sul da farsi; ad esempio sarà dovere del medico incentivare alla diagnosi tutte le donne di età superiore ai 40 anni visto che la frequenza di anomalie cromosomiche, come per esempio il mongolismo, aumenta rapidamente con il crescere dell'età materna ( figura 1).


ESAME ULTRASONOGRAFICO
Una delle più importanti applicazioni ostetriche degli ultrasuoni è l'ecografia (metodo di studio che si basa sull'applicazione dell'effetto Doppler e che consente di visualizzare su uno schermo le strutture interne dell'organismo umano) che serve per l'identificazione delle anomalie fetali più evidenti. L'ecografia è lo strumento guida della altre terapie citate, senza di essa non sarebbe possibile effettuarne alcuna; in più l'ecografia è al giorno d'oggi uno strumento comunemente usato dalle gestanti, poichè tramite essa è possibile confermare la presenza in utero della camera gestazionale, stabilire l'età gestazionale, la vitalità e il numero di feti. Nel caso in cui tramite un'ecografia venga riscontrata un'anomalia, si rende necessario procedere ad una procedura invasiva per ottenere il cariotipo fetale: la presenza della malformazione è come una spia che si accende per metterci in guardia sulla possibilità che il cariotipo del nascituro non sia normale. Dati attendibili (dell'OMS) dichiarano che il 15-30% dei feti in cui è stata riscontrata un'anomalia ultrasonograficamente apparente, dimostrano di avere un cariotipo non normale. Inoltre è molto curioso ed interessante notare che con l'aumentare dell'esperienza in questo campo e con il miglioramento delle apparecchiature, anche caratteristiche meno evidenti come il profilo della testa fetale o del cervelletto, la lunghezza del femore o lo spessore della cute a livello della nuca siano entrate a far parte degli indicatori di possibile anomalia cromosomica. Attraverso l'ecografia oggi si possono diagnosticare circa il 50% delle anomalie morfologiche cardiache, renali, vescicali e intestinali del feto. Esistono tuttavia elementi variabili che concorrono a determinare e a differenziare la capacità di identificazione e di diagnosi del difetto congenito, ad esempio il modello di apparecchio ad ultrasuoni utilizzato, lo spessore dell'addome materno, il volume del liquido amniotico, la posizione del feto, la dimensione della lesione congenita e non per ultimo la bravura e l'esperienza dell'operatore. In conclusione, per l'assenza di rischi per il paziente, per la sua facilità d'attuazione e per la sua, tutto sommato buona, attendibilità, l'ecografia è diventata una pratica comune nei paesi industrializzati e la sua effettuazione è consigliata intorno alla ventesima settimana di gestazione.
Esempio di ecografia

AMNIOCENTESI
Già più di cento anni or sono l'introduzione di un ago all'interno dell'utero materno fu proposta e tentata con lo scopo di ovviare ai sintomi di una donna gravida affetta da "polidramnios", cioè da eccessiva produzione di liquido amniotico. Bisogna però attendere la metà del xx secolo perché questa procedura diventi una pratica medica accettata. Nel 1952,in un articolo, Bevis dimostrò che analisi biochimiche eseguite sul liquido amniotico, prelevato con l'amniocentesi, permettono di diagnosticare il livello di gravità della malattia da isoimmunizzazione Rh. Considerata l'elevata mortalità fetale e neonatale determinata in quegli anni dalla malattia Rh, questa proposta diagnostica aprì un nuovo capitolo dell'ostetricia. Sulla scia degli studi pioneristici di Bevis, la comunità medica internazionale ha elaborato nuove strategie terapeutiche e preventive che hanno portato, alla fine degli anni sessanta alla sconfitta della malattia Rh. Grazie al ruolo fondamentale e vincente dell'amniocentesi e delle trasfusioni in utero nel trattamento della isoimmunizzazione Rh, con gli anni sessanta si sono aperte nuove prospettive per le procedure invasive in utero. Attualmente l'amniocentesi viene generalmente eseguita al secondo trimestre di gravidanza, tra la quindicesima e la diciottesima settimana, sotto controllo dell'ecografia. Dopo un accurato esame con apparecchio a ultra- suoni, che ha lo scopo di escludere la gemellarità, di constatare la vitalità del feto e di misurare alcuni parametri per valutare la sua regolare crescita, si procede alla fase operativa. La madre viene fatta sdraiare su un lettino e il suo addome viene accuratamente disinfettato. Sempre sotto controllo dell'ecografia, che consente all'operatore di osservare "in diretta" le immagini sullo schermo, si procede quindi all'inserimento di un ago, del diametro inferiore a 1 mm, attraverso l'addome, direttamente all'interno dell'utero. L'ecografia consente anche di valutare la posizione del feto e della placenta, per evitare danni diretti da contatto con l'ago. Dopo aver raccordato all'ago una siringa, si procede all'aspirazione di 15-20 ml di liquido amniotico, che verranno utilizzati per le indagini relative alla salute del feto. La procedura è in genere eseguita in ambulatorio perchè non richiede anestesia o permanenza prolungata sotto controllo medico. Dopo l'intervento, in genere si consigliano alla madre 2-3 giorni di astensione da attività fisiche impegnative. Il liquido amniotico viene utilizzato per determinare i cromosomi fetali o per studi biochimici o sul DNA. L'intervallo di tempo tra l'amniocentesi e il risultato degli esami può variare tra i 10 e i 20 giorni. Bisogna ricordare che la natura invasiva di questa procedura implica un lieve incremento del distress respiratorio alla nascita, di una comune e correggibile deformità ortopedica come il piede torto e un aumento del rischio di interruzione involontaria della gravidanza calcolato attorno all'1%.Tale valore, in varie nazioni, compare sul documento di consenso che la madre, dopo essere stata informata correttamente nel corso di una consulenza preliminare, deve poter leggere e sottoscrivere per esprimere parere favorevole all'esecuzione dell'esame. Purtroppo esiste anche la possibilità che gli esami di laboratorio eseguiti sul liquido amniotico forniscano risultati non soddisfacenti. Il rischio di fallimento dell'indagine, per problemi di laboratorio di varia natura tecnica, viene calcolato intorno allo 0,5%. In più potrebbe capitare di imbattersi in un caso di mosaicismo cromosomico, in un caso cioè in cui dalle cellule fetali di un campione crescono e si sviluppano linee cellulari differenti con assetti cromosomici diversi che sottoposte ad esame di laboratorio non portano ad ulcun significato reale. In questo caso è necessario pensare alla possibilità di eseguire una delle restanti procedure diagnostiche su un diverso tessuto fetale. Al giorno d'oggi vi è una tendenza generale che cerca di anticipare quanto più possibile qualsiasi tipo di indagine prenatale al fine di diminuire l'angoscia per l'attesa del risultato, di ridurre i traumi nel caso in cui si decida di approdare all'aborto o comunque al fine di poter guadagnare tempo anche per l'attuazione di eventuali terapie sul feto. Per quanto riguarda l'amniocentesi risultati positivi si sono riscontrati recentemente anche effettuandola tra l'undicesima e la quindicesima settimana di gestazione; in questa variante la procedura di prelievo è la stessa che per l'amniocentesi del secondo trimestre, ma poichè la quantità di liquido prelevato è proporzionalmente più grande, anche gli effetti sulla vitalità fetale e sui meccanismi di sviluppo e funzionamento del polmone possono essere più gravi.
PRELIEVO DI VILLI CORIALI ( CVS )
Per prima cosa è opportuno far presente che i villi coriali sono una struttura presente nella placenta che può costituire per le sue caratteristiche biologiche, fonte di informazione citogenetica e biochimica sul feto. Già nel 1968 si era capito che l'analisi dei villi coriali sarebbe stata molto importante per la diagnosi prenatale, ma le difficoltà tecniche incontrate nei prelievi di tale struttura, avevano scoraggiato questo tipo di procedura. L'avvento della nuova generazione di apparecchi ad ultrasuoni "in tempo reale" offrì la possibilità di sperimentare il prelievo di villi coriali sotto il controllo diretto e continuo sugli schermi dell'ecografia, per mezzo di tubicini flessibili del diametro di 2-3 mm, introdotti in utero direttamente attraverso la vagina e il collo dell'utero (prelievo transcervicale)o attraverso l'addome (prelievo transaddominale). Dal 1983 l'introduzione di questa tecnica coinvolse un numero sempre più vasto di centri internazionali, tanto che l'OMS approvò in quell'anno, l'istituzione di un registro per protocollare le esperienze che, in maniera esplosi- va, andavano accumulandosi in tutto il mondo. Dai dati raccolti si deduce che l'epoca ottimale per eseguire il CVS è tra la decima e la dodicesima settimana di gravidanza perchè in questo periodo si riduce il rischio di aborti spontanei e si evita di aumentare la possibilità di danni fetali agli arti, segnalati ripetutamente agli inizi degli anni novanta come possibile complicanza di questa procedura invasiva. L'aumento di rischio di aborto involontario dopo prelievo di villi, è del 3-4% mentre il successo della diagnosi è del 99,7%. Anche durante l'analisi di villi coriali (come durante l'analisi di liquido amniotico ottenuto tramite amniocentesi ) è possibile imbattersi in casi di mosaicismi cromosomici (precisamente nell'1-2% dei casi) ed è consigliabile, in quest'evenienza, integrare la diagnosi citogenetica con ulteriori indagini invasive.

PRELIEVO DI SANGUE FETALE
Nella sua versione più attuale questa procedura invasiva è stata proposta nel 1983 dal francese Daffos e collaboratori. Anche per il prelievo di sangue, come per l'amniocentesi ed il CVS, l'avvento di apparecchi a ultrasuoni più sofisticati ha consentito di utilizzare un ago ecoguidato attraverso l'addome materno per raggiungere il feto in utero. L'analisi del sangue fetale ha, ovviamente, straordinari aspetti diagnostici per molte malattie genetiche oltre che per altre infezioni congenite. Inoltre l'accesso diretto al distretto ematico fetale ha potenziali impieghi terapeutici, come discuteremo più avanti. La sede ideale in cui eseguire il prelievo è considerato il cordone ombelicale, perciò tale procedura invasiva è anche nota come "cordocentesi" o "funicolocentesi" ("funicolo" è un sinonimo di cordone ombelicale, la struttura cilindrica percorsa da vene e arterie, che dalla placenta raggiunge l'addome fetale). La procedura è sempre eseguita sotto il controllo diretto e continuo dell'ecografia e nel caso in cui il classico punto di inserzione del cordone ombelicale nella placenta risulti inaccessibile al prelievo, è stato anche proposto di procedere all'inserzione dell'ago nella vena principale del fegato fetale. Quando l'effettuazione dell'esame appare indispensabile per specifiche situazioni di rischio fetale e le normali sedi di prelievo non sono raggiungibili per la sede di inserzione della placenta o per obesità materna, è stata anche utilizzata l'inserzione dell'ago direttamente nel cuore fetale. Date le straordinarie potenzialità diagnostiche e terapeutiche, il prelievo di sangue è diventato negli anni ottanta una tecnica ormai diffusa nei centri internazionali che si dedicano alla medicina prenatale. Se affidata a personale esperto ed eseguita sotto il controllo di apparecchi ad ultrasuoni di elevata tecnologia, si calcola che il rischio di perdita fetale vari tra l'1 e il 5%. Nella tabella sono sintetizzate le principali indicazioni relative all'impiego diagnostico della cordocentesi.

Il sangue fetale può essere ottenuto con relativa sicurezza non prima della diciottesima settimana di gestazione.
EMBRIOSCOPIA
L'embrioscopia è la visualizzazione "diretta" dell'essere umano nel primo trimestre di gravidanza (embrione) con uno strumento ottico fornito di illuminazione a luce fredda (endoscopio) introdotto nel collo dell'utero fino a raggiungere le membrane amniotiche. Questa tecnica, soprattutto per i rischi di rottura delle membrane amniotiche, è tuttora considerata uno strumento di ricerca clinica con applicazioni riservate a casi accuratamente selezionati. Generalmente si preferisce l'ecografia all'embrioscopia.
FETOSCOPIA
La fetoscopia è la visualizzazione "diretta" dell'essere umano nel secondo e terzo trimestre di gravidanza (feto) che avviene tramite l'impiego di uno strumento rigido del diametro di circa 1,7-1,9 mm corredato di lenti e una sorgente di luce fredda. Il fetoscopio viene introdotto prima nell'addome materno, attraverso un'incisione di circa 1-2 cm vicino all'ombelico, e quindi in utero. Anche la fetoscopia come l'embrioscopia è stata relegata ad un ruolo complementare a causa dell'aumento del rischio di aborto, ed essa viene normalmente sostituita dall'ormai comunissima ecografia.
PRELIEVO DI TESSUTI FETALI
Sebbene i progressi nel mappaggio del genoma umano facciano sperare che la maggior parte delle malattie ereditarie possa essere diagnosticata con l'analisi del DNA ottenuto dai villi coriali, può essere ancora necessario ottenere un campione di cute fetale, di fegato o di muscolo per diagnosticare alcune malattie ereditarie. Il prelievo di tessuti fetali è più facilmente effettuabile alla 19a-20a settimana di gestazione; l'esperienza è ancora molto limitata in questo settore, e il rischio della procedura è probabilmente più alto di quello del prelievo di sangue fetale.
ESAMI SUL SANGUE MATERNO
La più comune ragione di rifiuto della diagnosi prenatale da parte di coppie che vorrebbero comunque avere una diagnosi fetale è il rischio associato alle procedure invasive di prelievo. Esiste pertanto un considerevole interesse per lo sviluppo di metodi di prelievo di tessuti fetali privi di rischio. Il ritrovamento e l'analisi di cellule fetali nel sangue periferico della madre può offrire, in questo senso, una possibilità. In realtà, al momento attuale, sono disponibili per quanto riguarda il sangue materno solo indagini di "screening" ,cioè valutazioni di sostanze che possono portare all'identificazione, in una popolazione di individui apparentemente sani, dei soggetti a rischio di una precisa malattia genetica, perciò meritevoli di ulteriori accertamenti. Nella diagnosi prenatale l'impiego di esami di screening basati sulla valutazione dell'alfafetoproteina (AFP) nel sangue materno ha consentito uno storico successo. Ha infatti reso possibile l'identificazione dei feti a rischio di chiusura del tubo neurale, cioè di anomalie congenite gravi, caratterizzate da incompleta o parziale chiusura, nel corso dello sviluppo in utero, della colonna vertebrale e del cranio.
ESPERIENZA DELL' ALFAFETOPROTEINA (AFP)
Questa sostanza è una proteina dal ruolo pressochè sconosciuto nel feto umano. E' prodotta dal fegato fetale e dal sacco vitellino, una struttura importante per il metabolismo fetale nel primo trimestre di gravidanza. I livelli di AFP raggiungono la massima concentrazione verso la decima settimana di gestazione e quindi declinano progressivamente fino al parto. Nel liquido amniotico il picco di AFP è raggiunto nel secondo trimestre di gravidanza, mentre nel sangue della madre continua ad aumentare fino alla 28a-32a settimana. Alla fine degli anni sessanta venne notata, da un gruppo di studiosi finlandesi guidati da Seppala, un'associazione tra livelli elevati di AFP nel liquido amniotico e un'anomalia rara del rene fetale. Questa osservazione stimolò i ricercatori internazionali a dedicare studi intensivi alla AFP. Tra il 1972 e il 1975 i gruppi britannici di Wald e Brock e collaboratori dimostrarono una relazione precisa tra i difetti del tubo neurale e i livelli di AFP nel sangue materno e nel liquido amniotico. L'interpretazione di questo fenomeno suggerì che, in caso di incompleta chiusura della colonna vertebrale, la superficie di membrane e di vasi ematici del feto esposta permetta il passaggio di quantità di AFP maggiori nel liquido amniotico, e quindi, nel sangue della madre. I difetti del tubo neurale sono tra le anomalie congenite più diffuse, con una frequenza media tra l' 1-2 per mille nati; alcune di queste malformazioni, come l'anencefalia, cioè l'assenza della parte superiore del cranio, non consentono la sopravvivenza del neonato. Altre come la spina bifida o l'idrocefalo ( difetto congenito della struttura della testa fetale, caratterizzato da una dilatazione dei ventricoli cerebrali ),possono risultare molto gravi per lo sviluppo del bambino, tanto da costringere a delicati interventi di neurochirurgia e causare ritardo mentale, paralisi, complicazioni ortopediche e urologiche. E' evidente che l'identificazione della AFP come potenziale strumento di screening per queste anomalie congenite, suscitò l'attenzione generale. Nel 1977 furono disponibili i risultati di una indagine progettata e realizzata grazie alla collaborazione di numerosi centri della Gran Bretagna. Lo scopo era verificare il ruolo dell'alfafetoproteina nel sangue prelevato alle madri nel secondo trimestre di gravidanza. Questi studi confermarono che elevati valori di AFP si associavano in maniera significativa a difetti di chiusura del tubo neurale. Con questo test di screening risultava possibile identificare circa il 90% dei feti con encefalia e l' 80% con spina bifida aperta. Negli anni ottanta, l'introduzione sistematica di questo test nei programmi internazionali di assistenza alla gravidanza ha confermato questi dati e ha contribuito a definirne i pregi e i limiti. In circa il 4% dei casi di AFP elevata si osserva un falso positivo, cioè un allarme non giustificato con un feto indenne da queste anomalie. Non esiste un valore di AFP nel sangue materno che separa completamente le gravidanze affette da quelle non affette, quindi quando si ottengono valori di AFP superiori al limite scelto come discriminante, si procede a ulteriori indagini utilizzando accurati esami con ultrasuoni e con l'amniocentesi, per il dosaggio dell'AFP sul liquido amniotico che consentono di ottenere la certezza sulla condizione del feto.
IL TRIPLO TEST
Proprio negli anni novanta si è diffuso l' uso del "triplo test" al fine di identificare gravidanze a rischio di sindrome di Down; esso consiste nella contemporanea valutazione di tre sostanze: l'alfafetoproteina, l'estriolo non coniugato e la gonadotropina corionica umana; su un campione di sangue prelevato dalla vena del braccio della madre nel secondo trimestre di gravidanza. Il dosaggio di queste tre sostanze attraverso l'impiego di una formula matematica, viene "trasformato" in un numero che esprime il rischio che il feto presenti la trisomia 21 (quindi che sia affetto dalla sindrome di Down) ed ha capacità di segnalare circa il 60% dei casi vera- mente affetti, con una percentuale di falsi positivi che si aggira intorno al 5-6%. Il triplo test è stato messo a disposizione soprattutto delle madri al di sotto dei 35 anni, ovvero di quelle a "basso rischio" di anomalia cromosomica perchè: anche se tale esame biochimico non consente l'identificazione certa del mongolismo nel feto, se ne è diffuso l'impiego in alterna- tiva all'uso di tecniche invasive.
TERAPIA FETALE
I progressi della cura del feto sono stati notevoli negli ultimi trent'anni; i due aspetti della terapia fetale sono:
quello medico (basato sull'impiego di farmaci)
quello chirurgico.
La terapia fetale si è arricchita di nuove possibilità, grazie anche all'introduzione dell'ecografia e delle fibre ottiche, che hanno favorito uno straordinario progresso nella conoscenza dell'anatomia e della fisiologia dell'organismo umano durante il suo sviluppo in utero. Sono così divenute possibili procedure invasive, diagnostiche e terapeutiche, che fino a vent'anni fa apparivano azzardate. L'inizio della terapia fetale moderna può essere fatto risalire ai lavori pioneristici di Bevis, all'inizio degli anni '50,che portarono all'introduzione sistematica dell'amniocentesi nella cura della malattia emolitica da fattore Rh. Questo provvedimento non solo consentì la sopravvivenza di feti gravemente anemici per l'incompatibilità Rh, ma fornì anche un segnale inequivocabile che il feto diveniva un paziente da curare direttamente nel periodo prenatale. La terapia medica non invasiva ha ottenuto la consacrazione ufficiale nel 1972,con la pubblicazione, sulla rivista "Pediatrics", del resoconto di Liggins e Howie sul loro lavoro per accelerare la maturazione del polmone fetale e prevenire, così, i problemi respiratori dei prematuri. I due studiosi naozelandesi dimostrarono che un farmaco simile al cortisone, somministrato alla madre in dosi opportune, può attraversare la barriera placentare, raggiungere il feto ed agire direttamente su di esso. Da allora sono state proposte ulteriori terapie transplacentari, alcune delle quali hanno trovato un ruolo stabile nella medicina prenatale. Negli anni ottanta, i progressi tecnologici delle procedure invasive hanno suscitato notevoli aspettative, che invece la chirurgia fetale ha solo parzialmente soddisfatto. Alcuni interventi hanno trovato stabile collocazione nella pratica clinica, mentre altri sono ancora oggetto di studio e discussione. La chirurgia fetale "a cielo aperto" è, per ora, confinata ad una fase sperimentale che ha ottenuto successi nei modelli animali, ma negli esseri umani può essere praticata in rari casi di gravi malformazioni potenzialmente letali per il feto. Il rischio principale di questa chirurgia, che necessariamente implica un intervento tradizionale con apertura dell'addome della madre e un'incisione dell'utero, è costituito dal parto prematuro. L'impiego di tecnologie come la fetoscopia, di cui abbiamo discusso gli aspetti di diagnostica invasiva, possono favorire e guidare interventi mirati sulle strutture fetali. Come si può vedere nella tabella qui riportata, nella quale sono riassunte le possibilità attuali della terapia fetale, il quadro appare variegato e le risorse mediche e chirurgiche integrate.
La terapia medica consente di prescrivere alla madre farmaci che, attraversando la placenta, raggiungono il feto, ma anche di somministrare medicamenti direttamente in utero, attraverso procedure invasive di alta tecnologia. La terapia chirurgica in utero attualmente più impiegata è guidata dall'ecografia e, in alcuni casi, dalle fibre ottiche per raggiungere le strutture fetali senza apertura dell'utero. Un ruolo particolare assume il trapianto di tessuto emopoietico, in caso di gravi immunodeficienze o malattie ematiche, che affronteremo in seguito.
TERAPIA MEDICA
Un caso esemplare di terapia medica che permette di prevenire un difetto congenito è costituito dalla somministrazione di acido folico alla madre, in epoca preconcezionale, per prevenire difetti di chiusura del tubo neurale nel feto. Già negli anni sessanta venne avanzata l'ipotesi che alterazioni del metabolismo e carenze di acido folico (una sostanza affine alle vitamine del gruppo B) potessero danneggiare l'embrione. Studi degli anni settanta-ottanta hanno confermato la possibilità che l'acido folico, introdotto sistematicamente nella dieta prima del concepimento e nella prime settimane di gravidanza, possa evitare la comparsa di alcune anomalie fetali (ad asempio l'anencefalia e la spina bifida, vale a dire di gravi malformazioni cui abbiamo già accennato). Negli anni novanta, un'indagine internazionale che ha coinvolto numerosi centri, ha definitivamente dimostrato che se la madre assume 4 mg di acido folico ogni giorno in epoca preconcezionale, si determina una drastica riduzione di difetti di chiusura del tubo neurale. Il feto può manifestare alterazioni della tiroide già durante la vita in utero. L'ipotiroidismo fetale congenito, cioè la ridotta attività di questa ghiandola può apparire all'incirca in un neonato ogni 3500. Si manifesta un gozzo fetale e, dopo la nascita, può causare ritardi di sviluppo mentale con difficoltà motorie, visive e di linguaggio. Durante gli esami ecografici di controllo in gravidanza, si può sospettare la presenza di un gozzo fetale e si possono eseguire prelievi di sangue fetale per dosarne gli ormoni tiroidei. Se si ha certezza della malattia, è prevista la somministrazione di dosi di tiroxina, che è il farmaco opportuno, direttamente nel liquido amniotico. Può esistere anche l'ipertiroidismo fetale (che deriva da un eccesso di attività della ghiandola),l'identificazione di questa malattia, grazie agli ultrasuoni e ai prelievi di sangue fetale, è simile a quella appena descritta per l'ipotiroidismo ma, in questo caso, la terapia prevede la somministrazione di farmaci antitiroidei. Il feto può presentare anche alcune alterazioni del ritmo cardiaco con una sofferenza del cuore talmente grande da determinarne la morte in utero. In caso di gravi tachicardie sopraventricolari, il farmaco più usato è la digossina: questo farmaco attraversa la placenta,e la sue dosi nel sangue fetale possono arrivare al 50-80% rispetto a quelle utilizzate dalla madre. In caso di fallimento di questa terapia si possono utilizzare altri farmaci come il verapamil e l'amidarone. L'anemia fetale è un'altra malattia che può richiedere una terapia medica invasiva in utero. La causa più comune di anemia fetale è la malattia Rh, ma esistono altre cause che determinano la distruzione di globuli rossi del feto. Fin agli anni sessanta la trasfusione diretta di sangue nell'addome del feto fu descritta come terapia dell'anemia fetale grave. Attualmente, grazie all'esperienza acquisita coi prelievi invasivi, la trasfusione viene effettuata direttamente nella circolazione sanguinia del feto, sotto controllo ecografico. Esistono poi altre gravi malattie ematiche del feto che ne possono mettere a repentaglio la vita, come la trombocitopenia alloimmune, che può essere considerata la malattia Rh delle piastrine. Infatti, il passaggio dalla madre al feto di anticorpi antipiastrine ne determina la distruzione con conseguente grave carenza e frequenti emorragie cerebrali fetali. Come terapia, è stata proposta la somministrazione periodica alla madre di elevate dosi di immunoglobuline, che possono aumentare fino all'80% le piastrine fetali.
TERAPIA CHIRURGICA FETALE
Le speranze nate negli anni ottanta con l'introduzione di nuove tecnologie sono state appagate solo in parte dalla chirurgia fetale; oggi non sono numerosi gli interventi in utero attuabili con successo. Nel 1996 Yankowitz e Golbus hanno molto opportunamente ribadito le condizioni indispensabili per poter sottoporre un feto anomalo a intervento chirurgico. Requisito base è che si conoscano a fondo la storia naturale e le caratteristiche anatomiche della malformazione. E' anche importante che l'intervento chirurgico sia stato ripetutamente eseguito con successo su modelli animali. Infine, è necessario che il feto non sia condannato dalla malattia a morte certa, ed è indispensabile la certezza che il ritardare l'intervento a dopo la nascita possa peggiorarne la prognosi. Alcune delle principali condizioni fetali che rientrano in questo gruppo sono le uropatie ostruttive, l'idrotorace fetale e l'ernia congenita del diaframma. Un difetto di sviluppo in utero è la causa dell'ernia congenita del diaframma. Uno studio eseguito su tale malformazione nel 1987 ne ha segnalata la presenza in diciannove casi su ventimila gravidanze analizzate con ultrasuoni. Prima di decidere di operare il feto, è indispensabile eseguire un prelievo invasivo per escludere una anomalia cromosomica che può associarsi a questo difetto. Nel 1990 Harrison e collaboratori hanno descritto in un articolo l'intervento eseguito su venti feti. La tecnica chirurgica è "a cielo aperto", e prevede di incidere l'addome e l'utero per poter operare il torace fetale e riparare il diaframma fetale con Gore-Tex. Sfortunatamente, l'indice di sopravvivenza è basso e l'intervento deve essere riservato a casi attentamente valutati. Alcune uropatie ostruttive, cioè ostruzioni congenite delle vie urinarie del feto, possono essere affrontate chirurgicamente. A causa di tali ostruzioni è alterata la produzione di liquido amniotico, che in buona parte è costituito da urina fetale; la scarsa quantità di questo liquido può determinare un danno polmonare irrerversibile, pertanto solo in casi selezionati con criteri precisi, si può procedere a terapia chirurgica. Viene eseguito un intervento mininvasivo, che consiste nell'inserimento in utero, sotto guida ecografica di un drenaggio che deve mettere in comunicazione la vescica fetale con il sacco amniotico, e consentire così di scaricare l'urina. Nel 1986 gli autorevoli membri dell'International Fetal Surgery Registry hanno descritto oltre settanta casi di uropatie ostruttive trattati chirurgicamente in utero. I risultati complessivi appaiono confortanti,e questa procedura chirurgica è entrata oggi stabilmente nella pratica clinica di centri specializzati.
TRAPIANTO DI TESSUTO EMOPOIETICO
Alcune malattie ematologiche congenite nel bambino possono essere curate con successo grazie al trapianto di midollo dopo la nascita. Purtroppo, in molti casi l'incompatibilità determina un fenomeno di rigetto che causa il fallimento di questa terapia. Perciò, fin dagli anni settanta, per ricostituire i tessuti emopoietici nel bambino malato è stato preso in considerazione l'impiego di sangue fetale. Questo tessuto, infatti, per la naturale assenza di linfociti T, causa principale del fenomeno di rigetto, può produrre cellule ematiche. Dopo esperimenti intensivi su modelli animali, a partire dagli anni ottanta, alcuni gruppi internazionali hanno sperimentato anche nell'essere umano il trapianto di cellule di fegato prelevate in feti al primo trimestre di gravidanza. Questo tipo di terapia appare ancora oggi sperimentale, anche per i problemi etici che pone. Allo stato attuale della conoscenze risulta più accettabile il trapianto di tessuto emopoietico, come il midollo, da donatore adulto, in genere il padre, direttamente al feto. Tre gruppi di studiosi hanno segnalato il successo di questa terapia in feti affetti da grave immunodeficienza (SCID).Lo schema di intervento ha previsto l'iniezione di midollo intraperitoneale, cioè direttamente nell'addome del feto, sotto controllo degli ultrasuoni. Per ottenere il successo è necessario agire molto precocemente, già alla fine del primo trimestre di gravidanza, e ripetere la somministrazione almeno due volte. I risultati promettenti hanno indotto la comunità medica a intensificare gli studi sull'argomento. La naturale condizione di relativa immunodepressione del feto e la possibilità che una simile terapia in utero possa comunque favorire il successivo trapianto di midollo nel neonato sembrano elementi importanti, che incoraggiano a continuare le ricerche.
CONCLUSIONI
Abbiamo visto in queste pagine come sia possibile informarsi sullo stato di salute del nascituro ma se le condizioni di quest'ultimo non dovessero essere molto buone è giusto che i genitori abbiano il diritto di scegliere se proseguire od interrompere la gravidanza ? Questo è un problema scottante che pone difficili questioni sul nascere, sul vivere e sul morire, che dividono l'opinione pubblica e costringono ad un dibattito collettivo sui limiti della scienza, della legge, delle scelte individuali. L'idea che la protezione e la cura del paziente costituiscano il fondamento dell'etica medica e della medicina stessa è definita fin dai tempi di Ippocrate e dal giuramento che da lui prende nome; già in età classica infatti il medico si impegnava ad agire in modo da ottenere il miglior risultato possibile nel bilancio tra benefici e svantaggi nell'agire clinico. Ai giorni nostri i testi più diffusi di etica sostanzialmente concordano sul fatto che gli scopi della medicina consistono "nell'evitare una morte evitabile e nel prevenire, curare o, almeno, alleviare la malattia, il danno, l'esito a distanza e il dolore ingiustificato o evitabile". Il dolore e la sofferenza possono essere, talora un prezzo alto ma necessario da pagare per raggiungere altri obiettivi. Quando il dolore e la sofferenza non determinano alcun vantaggio per la salute del paziente, sono senza dubbio da evitare. L'attuale etica medica attribuisce anche grande importanza alla "dignità" del paziente, oltre che al suo benessere fisico. In questo secolo, con l'evoluzione dei rapporti sociali, della legislazione e della filosofia, l'opinione del paziente e il suo consenso all'operato del medico hanno assunto nell'etica medica un'importanza crescente. Il principio del rispetto per l'autonomia del paziente si trasforma di fatto nell'obbligo etico del medico di conoscere e tener conto dei valori di vita del paziente. L'applicazione dell'etica alla realtà della medicina prenatale appare piuttosto difficile. La caratteristica principale di questa disciplina è l'esistenza contemporanea di due pazienti, la madre e il feto, i cui diritti implicano per il medico un duplice obbligo etico talora in disaccordo, se non addirittura in opposizione. E' evidente che questa situazione determina una delicata valutazione e integrazione dell'interesse e del consenso del paziente, i due principi fondamentali dell'etica medica. L'approccio più diffuso al ruolo che il feto assume come paziente è basato sulla definizione del suo "status morale", che costituisce pertanto uno dei problemi centrali della bioetica. Le posizioni sono tuttora diverse: fonti autorevoli sostengono che il feto abbia un'autonomia morale fin dal concepimento o dall'impianto; altre fonti collocano in tempi diversi della vita in utero l'inizio di questa condizione (valgono come riferimento eventi biologici quali lo sviluppo autonomo del sistema nervoso del feto, l'inizio dei movimenti fetali o la nascita). Qualsiasi tesi di questo genere risulta debole in alcuni punti a causa della complessità degli eventi che caratterizzano il formarsi di un individuo, non è possibile attribuire ad un singolo evento biologico il compito di far da spartiacque tra ciò che viene considerato persona e ciò che non viene considerato persona. Non potendo identificare un momento preciso di formazione dello status morale, la legge italiana vigente al giorno d'oggi autorizza l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni e, in via eccezionale anche oltre (secondo la legge n°194 del 22 maggio 1978). In conclusione lo Stato italiano permette, entro determinati limiti, l'aborto ma si impegna anche a non farlo passare per un qualsiasi mezzo di controllo delle nascite, lo Stato lascia una certa libertà di scelta perchè l'interruzione volontaria di gravidanza è un fatto molto soggettivo, che dipende da moltissimi fattori e che pertanto è valutabile solo caso per caso dai diretti interessati.
BIBLIOGRAFIA
_ "Quaderni di sanità pubblica"
Anno 20, dicembre 1997
CIS Organizzazione mondiale della Sanità.
_ "Medicina prenatale"
Silvano Agosti
il saggiatore-Flammarion
ottobre 1997.

_ "Le scienze quaderni"
n° 100 - febbraio 1998
L'embrione e la vita.
_ "Codice civile"
L.22 maggio 1978,n°194
norme per la tutela sociale della maternità
e sull'interruzione volontaria della gravidanza.

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