Richard Meier

Materie:Tesina
Categoria:Architettura
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Testo

Richard Meier
Progetto:
Casa Saltzman1967/69

Richard Meier
Richard Meier, architetto americano importante esponente del purismo formale del moderno, è nato nel 1934 a Newark, la più grande città nello Stato di New Jersey, distante 10 Km da New York. Si è laureato all'Università di Cornell, a New York, nel 1957. Sulla sua esperienza universitaria ha detto: "Cornell era molto liberale ed aperta e dava agli studenti la possibilità di imparare liberi dalle influenze dominanti". Dopo essersi laureato, Meier ha viaggiato attraverso l’Europa e ha avuto l'occasione di incontrare Le Corbusier, in Francia. Quella prima ammirazione per il maestro svizzero giustifica, forse, i paragoni frequenti dei lavori di Meier con quelli di Le Corbusier.
Egli stesso ha affermato "…Evidentemente, io non potevo creare i miei edifici senza conoscere ed amare i lavori di Le Corbusier. Le Corbusier ha esercitato una grande influenza sul mio modo di creare lo spazio". Tra il 1958 e il 1963, Meier ha lavorato con molti studi di architettura, tra i quali il SOM (Skidmore, Owings & Merrill), considerato come uno dei più grandi studi di architettura degli Stati Uniti, e lo studio di Marcel Breuer, tra il 1960 al 1963. Nel 1963, nel suo appartamento, ha iniziato l’attività privata realizzando una residenza per i genitori a Essex Fells, nel New Jersey. Nel 1965, una delle sue prime commissioni residenziali, la Smith House in Darien Connecticut, lo ha reso noto in campo nazionale. Nel 1967 ha lavorato alla conversione dei vecchi laboratori della compagnia telefonica Bell al Greenwich Village di Manhattan, ottenendo il favore della critica architettonica. Un altro esempio dei suoi inizi è la realizzazione dello studio ed appartamento di Frank Stella. L'amicizia stretta con l'artista Stella ha influenzato notevolmente le sue idee estetiche. È stato membro del gruppo "Five Architects" (Peter Eisenman, John Heiduk, Michael Graves, Charles Gwathmey e Richard Meier), conosciuto anche come "White Architects", che si rifaceva al linguaggio di Le Corbusier. Il prestigio di Meier si è affermato a seguito dei premi e riconoscimenti ricevuti per i suoi più grandi progetti, come il Bronx Developmental Center. La Casa Douglas (1973), una costruzione bianca immersa in una collina boscosa, ha ricevuto un grande successo dalla stampa specializzata. Nel 1975 è stato visiting professor presso la facoltà di Architettura dell'Università di Yale.
Nel 1979 ha vinto l’incarico di progettazione per il Frankfurt Museum for Decorative Arts in Germania: è il suo primo incarico in Europa, dove la nuova realizzazione si integra con la Villa Metzler, del secolo XIX. La sua attività comprende edilizia e residenze private, musei, edifici commerciali e pubblici.Fra i suoi progetti più conosciuti:
l’High Museum in Atlanta - 1983;
il Frankfurt Museum of Decorative Arts in Germania - 1992;
Canal+ Television Headquarters a Parigi - 1995;
l’Hartford Seminary nel Connecticut;
l’Atheneun in New Harmony, Indiana - 1979;
il Bronx Developmental Center in New York.
Tutti questi progetti hanno ricevuto il National Honor Awards dall’American Institute of Architects (AIA). Gli anni Ottanta hanno segnato l'affermarsi del suo prestigio internazionale. Sono stati gli anni in cui ha realizzato l’High Museum of Art, ha ricevuto il Pritzker Prize, gli sono stati affidati il Getty Center a Los Angeles, il Centro Amministrativo e Culturale di Ulm, la City Hall e la Central Library a Hague. Nel 1980 gli è stata conferita la Medal of Honor dal New York Chapter dell’American Institute of Architects. Nel 1984, a 49anni, Richard Meier è stato il più giovane architetto a ricevere il Pritzker Prize, il riconoscimento più importante nel campo dell’architettura. Nello stesso anno, gli viene affidato l’incarico di progettare il Getty Center a Los Angeles in California.
Getty Center a Los Angeles in California, 1997
Nel 1989, Richard Meier riceve la Royal Gold Medal dal Royal Institute of British Architects (RIBA).
Ha ricevuto 12 national AIA Honor Awards, 31 New York City AIA Design Awards, l’Arnold W. Brunner Memorial Prize dall’American Academy and Institute of Arts and Letters.Nel 1991 ha ricevuto la laurea ad honorem dall'Università di Napoli "Federico II".Nel 1992 il Governo francese ha onorato Meier come Commander of Art and Letters.Nel 1995 è stato eletto Membro dell’American Academy of Arts and Sciences.Nel 1992 è incaricato dalla compagnia Max Weishaupt GmbH di realizzare il Weishaupt Forum (Schwendi, Germania).Nel 1993 ha ridisegnato la Munsterplatz in Germania.
Fra i progetti recentemente completati da Richard Meier & Partner vi sono
la City Hall e la Central Library a Hague;
il Museo di Arte Contemporanea a Barcellona - 1997;
il Centro Amministrativo e Culturale di Ulm, in Germania;
il North American Headquarters building per la Swiss Air a Melville, New York;
il Getty Center, inaugurato nel 1997.
Afferma Meier :
"...L’Architettura è un continuum; ogni generazione informa quelle seguenti. I lavori di Le Corbusier o Borromini o Bramante mi sono fondamentali per comprendere la strutturazione dello spazio.
Quello che io faccio è diverso da quello che è stato fatto nei periodi precedenti, ma c'è sempre una relazione alla dimensione umana…"
(...)"l'opera di Richard Meier si allontana dall'assolutismo linguistico (...) nello scomporre i suoi strumenti di progettazione, ha dato un ruolo primario al sistema di circolazione, all'interno e all'esterno della struttura degli edifici. (...) Le strutture di circolazione, così come la chiarezza del sistema organizzativo, delle strutture portanti, degli accessi, sono per lui solo materiali di progettazione da integrare fra loro in modo complesso (...) La complessità del loro intreccio serve a rendere perentorio il risultato architettonico: l'invenzione tipologica è alla base della ricerca che tende a recuperare integralmente la dimensione funzionale del linguaggio [Tafuri, 1981, pp. 24-25]
"L'equivalenza tra luce e bellezza è assoluta. Permeati di spiritualismo, attraversati dalle simbologie cosmologiche legate al circolo solare, animati dal tema del labirinto, inteso come un percorso iniziatici, (...) i suoi interni sono troppo elevati, nel loro significato per accontentarsi di essere solo architettura. L'"internità " dei musei di Richard Meier è infatti una vera e propria "interiorità". (...) La luce e allora il segno di un'arte esclusiva (...) La luce è, in questi limiti vuoti, l'arte di sostituire l'apparizione dell'arte. (...) Capaci di lasciare a chi le percorre la libertà di accettarle come erronee o arbitrarie o di riprogettarle nell'immaginazione come sequenze "matematicamente" inesorabili, le composizioni di Meier rinnovano (...) la loro vocazione pedagogica, (...) volontariamente spinta fino alla provocazione ontologica, alla rivelazione metafisica. [Purini, 1993, in Costanzo, M.,Giorni, V., Tolomeo, M.G. (a cura di),Richard Meier Frank Stella, pp.26-28]
Intervista a cura di Marco Casamonti e Matthew Peek
Napoli, Italia, settembre 2001
Richard Meier parla delle influenze dell'architettura italiana nel proprio lavoro, dei rapporti tra l'attuale progettazione e il classicismo, dei progetti più recenti e delle direzioni intraprese per il futuro.
Casamonti: Siamo molto contenti che Lei sia qui, a Napoli, e lieti di mostrarle le nostre riviste Area e Materia, riviste italiane di architettura.
Peek: Dal momento che oggi Lei è nostro ospite a Napoli, ci piacerebbe cominciare col chiederLe dell'influenza Italiana sul suo lavoro, a partire dal suo soggiorno presso l'Accademia Americana a Roma fino ai recenti progetti per la città di Roma.
Richard Meier: La prima volta che sono venuto a Roma era intorno al 1959 e vi ho trascorso un po' di tempo. Da allora ho viaggiato per tutta l'Italia ed ho trascorso un anno, sfortunatamente non un anno intero, all'Accademia Americana di Roma nel '76.
Il tempo trascorso lì è stato diverso rispetto al tempo passato in viaggio, perché potevo stare in un posto da dove partivo per andare ad osservare delle cose e in cui tornavo a riflettere su quanto avevo visto, questo per me è stato molto importante.
Ma in realtà non ho cominciato a pensare a quel periodo finché non ho avuto l'opportunità di lavorare qui, solo allora ho iniziato a pensare a cosa avesse rappresentato per me quel periodo e a come avesse influenzato incosciamente il mio pensiero, in particolare forse l'opera del Borromini in termini di qualità della luce, di espressione strutturale, quali si possono osservare in un interno come La Sapienza di Sant'Ivo. Anche la scala è estremamente importante.
Io penso che quando si viaggia e si guardano le cose intorno, non si fa necessariamente una correlazione uno ad uno, le cose semplicemente ti ritornano indietro ed in qualche modo influenzano in modo importante il tuo lavoro. Naturalmente i Razionalisti Italiani degli anni 30 mi hanno sempre interessato ed ho avuto l'opportunità di vedere il lavoro di Ridolfi e di altri, stupefacenti, che mi hanno ispirato molto.
Peek: Collegandosi all' ispirazione che Lei ha trovato a Roma e in tutta l'Italia, ci può parlare del Suo recente uso della struttura e dei materiali nella Chiesa dell'Anno 2000, un approccio in cui la loro espressione pare vivere direttamente nella superficie e nello spazio dei gusci strutturali, dove più elementi compositivi bi-dimensionali diventano lo sfondo o il foglio.
Richard Meier: Quello che è interessante della struttura della Chiesa dell'Anno 2000 era che nella fase originaria del concorso, durante il design, nel pensare i gusci di calcestruzzo, abbiamo pensato a gusci aggettati da terra.
Ma è stato solo più tardi che abbiamo cominciato a considerare l'idea di prefabbricare i pezzi del guscio per poi assemblarli.
Quando abbiamo cominciato a lavorare con la persone che fabbricavano i gusci, abbiamo capito che si trattava delle stesse persone che avevano lavorato per Pier Luigi Nervi ai gusci di calcestruzzo per le Olimpiadi.
E' stato emozionante per me capire che a quell'epoca avevano sviluppato già un straordinario apprezzamento e conoscenza dell'uso del calcestruzzo, in qualche modo avevano percepito che era un' estensione dell'opera del Nervi.
Io stesso non ci avevo mai pensato in questi termini, loro invece si, e avevano messo a punto questo tipo di calcestruzzo bianco che fu utilizzato da Nervi ma che da allora non è stato usato molto e in cui la finitura interna e quella esterna sono identiche: nessuna differenza, è veramente bello, un calcestruzzo bianco, liscio.
Casamonti: Sì , è veramente una ottimo materiale!
Richard Meier: Ed è sorprendente l'ingegneria di questa cosa, che non ho fatto io, ma è straordinaria. E anche l'ingegneria dell'impianto di installazione del guscio, della costruzione, è molto interessante.
Casamonti: E' contento della Sua collaborazione con le compagnie Italiane?
Richard Meier: La realizzazione altrimenti non sarebbe stata possibile, lo è stata solo grazie alla loro abilità, perizia, e conoscenza -è vero ci vuole del tempo-non si procede molto in fretta, ma sanno cosa fanno e come farlo bene.
Quando si deve produrre un grosso guscio da 8 tonnellate, fatto in fabbrica con le casseforme di acciaio, non va bene che vada a finire nella spazzatura, ogni pezzo deve essere fatto magistralmente.
Per questo ci vuole molto tempo, ma sono la perizia e la storia che stanno dietro alla conoscenza del materiale, del processo di lavorazione e della metodologia costruttiva, che io trovo uniche. Non credo che possa avvenire in nessun altro posto, può succedere soltanto qui in Italia.
Peek: Riferendoci ad altri Suoi recenti progetti come il Museo dell'Ara Pacis a Roma, possiamo definire l'approccio con cui Lei lavora come piuttosto minimalista?- guardando anche il Palazzo Federale dell'Arizona, con le alte colonne strutturali, il brise-soleil, e le generose superfici vetrate che vanno a sfidare le superfici e le profondità della facciata a favore della sottile trasparenza degli spazi interni
Richard Meier: Mi interessa semplificare le cose, non complicarle, cercare di arrivare all'essenza, e penso che il Palazzo di Giustizia sia un edificio molto semplice, per certi aspetti come l'Ara Pacis, ma molto diverso per scala, uso, carattere ed espressione. Ma quello che mi interessa dell'Ara Pacis anche più di Phoenix è il rapporto tra ieri ed oggi, tra il presente e il passato. Penso che sia estremamente importante che Roma non sia solo un museo, che abbia una ricchezza storica va bene ma deve avere anche una vita contemporanea.
Anche se è molto piccola, penso che l'Ara Pacis abbia in sé qualcosa della vita di una Roma che si muove verso il ventunesimo secolo, ed è questo che per me conta di più...
Casamonti: Trova pesante lavorare con la storia?
Richard Meier: Penso che l'importanza della situazione superi qualsiasi pesantezza, è una questione di espressione, di scala e di modalità di apertura verso gli ambienti circostanti.
Ho avuto l'opportunità di lavorare in centri storici in Germania, Olanda ed altrove, ogni situazione è diversa ma penso che la situazione di Roma sia assolutamente unica.
Sono molto soddisfatto di questo edificio, penso a causa della scala, dell'ubicazione e per come si relaziona con ciò che lo circonda, è come se facesse parte integrante del luogo, anche se l'aspetto non é come il resto della città.
Peek: Lei ritiene che sia questo tipo di lavoro, che forse può essere messo in relazione a Mies, o piuttosto l' interpretazione Italiana del Modernismo (Terragni, la scuola elementare di Sant' Elia), ad influenzare gli altri Suoi lavori, tornando in America o in altri paesi?
Richard Meier: Buona domanda. Di sicuro, se si guarda Phoenix, c'è un'influenza di Mies: l'espressione strutturale è molto Miesiana. Lo si vede solo dopo, non è che fin dall'inizio si dice "questo è quello che farò," ma in qualche modo tutte queste cose rimangono nel conscio o nel subsconscio e a volte affiorano in modi diversi. Non provo mai a fare una correlazione tra quello che sto facendo al momento e qualcos'altro.
Penso che guardando indietro si possa fare un'associazione, ma io cerco di non farla nel momento in cui sto lavorando.
Peek: Parlando di questo lavoro a livello conscio e subconscio, siamo interessati alla Sua opera anche come artista, su come si sia evoluta la Sua opera, e su come l'arte influisca sul suo lavoro di architetto.
Richard Meier: Io cerco di separare le due cose, anche se quando faccio sculture quello che faccio è prendere i pezzi scartati dei modelli in costruzione e riutilizzarli riassemblandoli in un collage tri-dimensionale.
Naturalmente mi sono interessato di collage per molti anni e ne ho fatti a migliaia. Ma la scultura è qualcosa che faccio per puro piacere: non penso mai che sia architettura., non penso che i collage influenzino l'architettura o che l'architettura influenzi la scultura.
Le penso come discipline separate che comunque vengono in contatto, questo è vero. Ma quando faccio scultura non penso che sto facendo architettura.
Peek: Sotto l'aspetto della ricerca artistica, ho notato che di notte le sue costruzioni assumono una qualità pittorica , un senso astratto di finestre danzanti nel paesaggio, e in recenti progetti l'astrazione è maggiore, la luce diventa come calore e suoni che emanano dall'interno.
Ci potrebbe parlare della trasformazione della luce?
Richard Meier: La luce è molto importante per me, è qualcosa di cui mi preoccupo costantemente.
Quello che è interessante della luce è che per quanto tu la conosca, ti sorprende sempre, assume aspetti che non sono mai prevedibili o anticipabili. Penso che parte dell'emozione del fare architettura sta proprio nelle sorprese che scuotono questo nostro credere di sapere quello che si sta facendo.
E penso che la più grande sorpresa sia vedere i giochi che la luce crea dentro le forme in modi che neanche immaginavi possibili e che sono determinati dal periodo del giorno, dell'anno, dalla diversa qualità della luce che cambia durante l'arco del giorno; è qualcosa che mi dà sempre un grande piacere e che a volte si può anche tentare di cogliere su una pellicola, ma non ci si riesce mai veramente, perché la luce ti mostra sempre un unico aspetto che cambia così repentinamente che solo in quel preciso istante puoi esclamare "Ma guarda che cosa incredibile!"
Peek: Ha qualche consiglio da dare ai giovani architetti che si interessano di arte e che fanno ricerca architettonica collegata all'arte-relativamente alla lunga storia dell'architettura Italiana-oggi che siamo così specializzati da mantenere difficilmente questa connessione.
Richard Meier: Penso che la cosa più importante per i giovani architetti sia vedere l'architettura, osservarla ovunque, e guardare la pittura, studiarla, per poi capire che tipo di correlazione può essere fatta fra le due arti.
Ritengo che si debba vedere, farne l'esperienza, trendone quel che si può. Proprio di recente mia figlia ha trascorso tre mesi a Venezia per un percorso di pittura, insieme ad un piccolo gruppo guidato da un istruttore inglese molto bravo.
Lei mi ha detto "Adesso so come guardare un dipinto come non ho mai saputo fare prima, so come interpretarne i diversi aspetti."
Ma a questo risultato si arriva con l'osservazione e con lo studio, non semplicemente passandoci in mezzo. Penso che la cosa più eccitante sia guardare qualcosa e poter dire "ma guarda, riesco a capire cosa cosa succede qui."
Questo è trattare l'arte, questo è occuparsi di architettura.
Peek: Siamo interessati al Suo recente lavoro a Roma che apre un discorso tra il regionalismo e l'internazionalismo in Italia, come viene mostrato elegantemente nelle Sue opere.
Quale ritiene essere il futuro della materialità dell'architettura mediterranea (una chiara influenza sul candore scultoreo del modernismo) in un'era sempre più dominata dai colori al neon dell'età informatica.
Richard Meier: Non sono così sicuro che i colori al neon della età informatica siano altrettanto importanti di altre cose. Quello che mi emoziona è il fatto di pensare che ci siamo liberati di un mucchio di apparati che erano nell'aria da un sacco di tempo. C'é un ritorno alla realtà, ad una ricerca dell'essenza delle cose, e ad esprimerla in un modo molto chiaro e diretto senza la sovrapposizione di altri significati o storie che l'architettura ha da raccontare. Penso che l'architettura sia più architettura di quanto non sia stata da molto tempo.
Non è passato, non è simbolismo, non é cronologia.
È realmente quel che è, riguarda il modo in cui si fa lo spazio, come si interpreta la luce, e il rapportare questo e quello ad una scala umana. Io penso che queste siano le cose di cui si interessa l'architettura e che esprime molto chiaramente -questa è una modalità di espressione propria del modernismo, il modernismo é questo.
Ma l'espressione non significa necessariamente apparire come negli anni '30: è guardare veramente a quello che è l'oggi, quali sono le materialità attuali, quali sono oggi le possibilità che a quel tempo non esistevano. Penso che tutto questo sia molto eccitante e che apra la strada ad ogni genere di nuove possibilità.
Casamonti: Vorrei tornare al problema della storia. L'estate scorsa ho visitato il Getty Center a Los Angeles ed è un posto fantastico, dove è visibile il Suo amore per i materiali.
Che tipo di relazione mantiene con l'architettura classica-come la Villa di Adriano-in questo progetto?
Richard Meier: La gente ha fatto un sacco di analogie tra il Getty Center e la Villa di Adriano, facendo altri esempi, come l' Acropoli , paragonandolo a Dio solo sa cosa, ma veramente la cosa non mi interessa.
Penso che le analogie riguardino il fatto che sono su una collina -ma ci sono tante cose che stanno in collina! - che è visibile da lontano, che evoca il senso di una passeggiata e per la natura della pietra.
Ciò che è importante della Villa di Adriano sono le mura, la qualità planare della struttura di quel luogo, che forse noi oggi comprendiamo in maniera diversa rispetto al modo in cui lo era a quel tempo.
Questo mi ha sempre interessato: come fare uno spazio con qualità planari, anche questa è una cosa Miesiana; ma penso che sia la muratura, la pesantezza della pietra, a creare l'associazione, non è un'associazione che io farei, ma c'é. Penso che l'estensione degli edifici nel paesaggio sia quasi Wrightiana per certi versi: mi interessa l'utilizzo della pietra e il rapporto con il luogo.
Ancora più importante è il rapporto tra spazio interno ed esterno, la libertà di movimento tra interno ed esterno che é possibile qui in Italia e a Los Angeles, ma che non lo é nella maggior parte del mondo dove il clima costringe a sigillare gli edifici più ermeticamente. E' il modo in cui le mura racchiudono lo spazio sia che si tratti di uno spazio-giardino, uno spazio-corte, o che sia l'interno di un edificio.
La scala non è grande ma è complessa perché c'è l'implicazione di un sacco di cose correlate, e così è anche la Villa di Adriano: correlata a molti aspetti diversi che sembrano sempre congiungersi.
Potrei fare l'analogia con un piccolo campus universitario che ha tante diverse attività e funzioni che sembrano tutte localizzate in un posto.
Peek: Quale direzione Lei vede che il Suo lavoro sta prendendo in questo inizio di secolo, guardando la materialità della sua recente Florida house dove viene fatto un ampio uso del calcare.
Pensa che questi materiali naturali stiano diventando parte integrante dei Suoi edifici, come lo sono sempre stati in una certa misura, oppure è in corso anche una trasformazione nel loro uso recente?
Richard Meier: Si ricercano sempre modi diversi di espressione in termini di materiali da utilizzare e di come rapportare gli uni con gli altri all'interno di una costruzione. Io non so che direzione stia prendendo, se lo sapessi perdei interesse, ma penso che un cambiamento ci sia, un'evoluzione- io sono sempre alla ricerca di modi diversi di fare un qualcosa.
A volte si deve tornare indietro ad una modalità che ci è familiare, perché si sà che funziona. Il calcare della casa di Naples in Florida è un modo di esprimere il progetto che avrebbe potuto essere fatto con un altro materiale, ma mi è sembrata una buona idea farlo con questa pietra che esprimeva il piano in modo chiaro.
Ricerco sempre materiali che abbiano un meccanismo scalare con cui rapportarsi, che possano dare una scala umana, ma che al tempo stesso possano creare una qualità planare che non ci imprigioni nel materiale.
Richard Meier
1967/69 Casa Saltzman, East Hampton
Sullo sfondo di un mulino a vento, la saltzman House porta a termine le indicazioni inespresse nei progetti delle due case unifamiliari ( Casa Meier e Casa Smith ).
Di fatto la casa diventa un sistema spaziale articolato, e Meier può spingersi a verificare la simbiosi fra un sistema esterno, dalla volumetria chiaramente definita, e la ricca complessità degli interni; complessità che egli lascia intravedere attraverso l’ampio squarcio del fronte in curva, evitando così che anche solo teoreticamente possano sussistere due diverse forme di approccio progettuale.
La “calma” quasi urbana di questo progetto deriva dalla scomposizione dei due volumi principali, dalla impostazione delle altezze e dalla semplicità chiaroscurale che crea quella sorta di classicità e maestosità di cui è tradizionalmente ricca l’architettura extraurbana locale.
L’abaco architettonico si arricchisce ulteriormente rispetto alle case Smith e Hoffman: non compare qui l’elemento verticale mentre lo sbalzo ne arricchisce il manierismo, che affiora con chiarezza e trova nel colore ( o meglio nell’assenza del colore ) un preciso elemento di esaltazione degli insiemi. Questa architettura non potrebbe essere che bianca.
La casa Saltzman, a differenza delle altre, si crea un proprio luogo e una propria area di intervento dialogando non tanto con il terreno circostante quanto con l’oceano, distante ma visibile proprio dall’alto dei suoi volumi.
Il tetto diventa così un luogo di grande attenzione progettuale e di coinvolgimento dell’intero progetto. La pensilina di copertura, che è l’elemento di maggiore espressività architettonica nonché di conclusione orizzontale, viene a intersecare la scala elica o, meglio, i percorsi verticali, unica concessione che lo spazio imploso di questa masion moderna concede al piatto paesaggio di Long Island.

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