l' uomo e l amore un binomio inscindibile

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Testo

Indice
INTRODUZIONE 3
LATINO 5
OVIDIO 6
LA VITA 6
LO STILE 7
STORIA DELL’ ARTE 15
CANOVA:AMORE E PSICHE E IL CONFRONTO CON L’APOLLO E DAFNE DEL BERNINI 15
VITA E OPERE DI ANTONIO CANOVA 15
AMORE E PSICHE E IL CON FRONTO CON APOLLO E DAFNE 16
Filosofia 18
Schopenhauer e il suo pensiero filosofico 18
La vita 18
Il mondo della rappresentazione e il velo di Maya 18
La volontà 18
La sofferenza universale 19
L’ illusione dell’ amore 19
Le vie di liberazione del dolore 19
STORIA 21
LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI 21
LE PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI MONDIALI 21
LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI UMANI 25
ITALIANO 26
FRANCESCO PETRARCA E IL CONFRONTO CON DANTE ALIGHIERI 26
Le opere 26
Il Canzoniere 27
PETRARCA E DANTE A CONGRONTO 28
Beatrice e Laura evocatrici di due mondi 28
Laura, un nuovo tipo di gentildonna 29
Una diversa visione della morte e dell'aldilà 29
Confronto fra Dante e Petrarca in base ai sonetti “Tanto gentile e tanto onesta pare” (Vita nuova) e “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” (Canzoniere) 30
INGLESE 32
Nineteen eighty-four: a novel by George Orwell 32
Biography 32
The plot 32
Love instinct: a dangerous feeling 32
Geografia astronomica 33
La lira:una costellazione creata da zeus per rendere omaggio a un grande innamorato 33
Il mito 33
La costellazione 34
Matematica/Fisica 37
La fisica all’inizio del secolo scorso 37
Un mito della scienza moderna 37
Continuità 38

Parti di me si sfaldano
Al sol pensiero di perderti
Un giorno, se questo accadrà
Consumerò le mie guance
Con lacrime sincere.
Piangerò la fine di tutto,
Di tutto il possibile
Ed il sensato,
E rimarrò in eterno
A contemplare l’infinità del nulla.
INTRODUZIONE
Un giorno ho letto questa poesia su un libro, non ricordo bene di chi fu, ma in fonda cosa importa chi parla, quando a parlare è il cuore? Io credo che a modo suo ognuno sappia qualcosa della vita, qualcosa che rende unici i suoi istanti e lui stesso. E alla fine arriverà anche per questo qualcuno una persona che saprà apprezzare la sua unicità amandolo sinceramente. L’amore è forse l’unico sentimento che ci permette ancora di definirci superiori agli animali, è l’unica forza davanti a cui anche la ragione si ferma (sempre ammesso che questa sia ancora fermamente radicata nell’uomo) e lascia libero spazio a noi stessi per seguire ciò che sentiamo davvero.
Personalmente a chi mi chiede se esiste l’amore eterno non so bene cosa rispondere o meglio risponderei che l’amore per quanto eterno sia non è mai abbastanza come diceva Properzio, però, in cuor mio spero che ci sia davvero, almeno per me. Ci penso spesso, ed ogni volta la risposta sembra così lontana, se pur ovvia, purtroppo irraggiungibile. Eppure riflettendo, come potrebbe esistere l’uomo nel grigiore che ha creato attorno a sé, se non avesse creato anche una via d’uscita da questo mondo, un dolce sospiro di sollievo in mezzo al soffocamento del mondo? In fondo tutto questo può essere giusto, ma preferisco pensare che l’amore non sia un qualcosa di creato dall’uomo, ma messo a disposizione di questoultimo per renderlo ogni giorno migliore, più attento ai piccoli particolari della vita, alla costante ricerca di un punto morto del mondo, dell’anello che non tiene, del filo da sbrogliare che ci mette nel mezzo della verità, come diceva Montale, o, più semplicemente, di un passaggio per la felicità. E la chiave per raggiungere tutto ciò si trova nella volontà di amare, forza che bisogna trovare per poter vivere davvero.
Alcuni pensano che l’amore sia soltanto un’illusione, una menzogna che l’uomo si racconta per poter credere un giorno di aver raggiunto la felicità, ma come potrebbe riuscire una banale bugia a smuovere cuori, ad illuminare vite e cambiare le persone? In realtà, non so chi o che cosa abbia creato tutto questo, l’amore, le illusioni, i sogni, ma non mi importa nemmeno, posso amare anche senza sapere. Basta trovare le forze per evadere da questo mondo, dal mondo che conosciamo ogni giorno sin da piccoli, per entrare a far parte di una magnifica fantasia, di quel piccolo giardino di cui solo io e la persona che amo abbiamo la chiave. In fondo credo l’amore non sia che questo, trovare (e non creare) un altro universo con la persona che sia ama, rendendola dea incontrastata di quel regno, oggetto di pensieri, desideri ed attenzioni, principessa intoccabile del nostro luogo di rifugio, in cui sappiamo di essere sempre accolti non come fuggitivi, ma come i soli ad essere in grado di salvare la regina dal mondo esterno.
Schiere di personaggi illustri, per quanto oggi siano visti da noi come figure quasi immortali nel tempo e quindi considerati come pure immagini di vita, sono andati incontro all’esperienza dell’amore, analizzandolo e rappresentandolo in modi tra loro molto differenti. C’è chi, come il filosofo Schopenhauer vede l’amore come peccato poiché finalizzato alla creazione di esseri che, come noi, soffriranno, ed identifica l’amore come sentimento genuino solo se volto alla carità e all’aiuto del prossimo. Questa ideologia, oggigiorno ripresa e concretizzata dalle numerose organizzazioni internazionali di beneficenza, può sembrare in contrasto con l’odierno concetto di amore, visto sempre più dai giovani come debolezza e non come virtù, e con i pensieri di personaggi antichi, o quantomeno antecedenti a Schopenhauer. Lo scrittore latino Ovidio canta dell’amore disimpegnato, desiderio di passione, ben lontano dall’amore platonico tra Pertarca e Laura, ma vicino all’unione tra Dante e la sua musa Beatrice. Canova descrive l’eternità dell’amore in un attimo, rappresentando in Amore e Psiche l’istante prima del bacio, rendendo immortale il momento forse più magico di tutte le storie d’amore, che nella realtà si perde rapidamente continuando ad esistere per sempre solo nelle memorie dei due innamorati. Scultura classica diversa dal baroccheggiante Apollo e Dafne, in cui l’espressione di Apollo esprime la paura e lo stupore per un amore spezzato, mentre l’amata fuggendo si trasforma in albero.
Il dolore per la perdita, per la fine di tutto, le molte piccole gioie che riempiono i cuori degli innamorati, la speranza di un bacio che anima il coraggioso corteggiatore, le passeggiate mano nella mano, stretti l’uno all’altro in un semplice gesto, le notti ardenti passate insieme, per poi ascoltare nel buio il lento respiro di chi ti sta accanto, gli sguardi, e le parole che scaldano il cuore, mille sono le emozioni di chi ama, e di chi è amato, perché impara lentamente giorno dopo giorno cos’è veramente l’amore, abbandonandosi ad esso che lo accoglie nelle sue diverse forme.

LATINO
Durante il periodo romano molti poeti o romanzieri latini si sono occupati del tema amoroso formando addirittura un nuovo genere ovvero quello elegiaco. L'elegia è un componimento poetico caratterizzato da precisi tratti distintivi sul piano metrico, formale e tematico.
Dal punto di vista formale l'elegia romana è un componimento poetico costituito da strofe di due distici con la successione di un esametro e un pentametro.
L'elegia esprime, tramite una complessa rete di convenzioni letterarie e di situazioni topiche, un'esperienza fortemente soggettiva, che passa attraverso una serie di tappe:l'innamoramento, la gelosia, il litigio, il discidium, la riappacificazione, il distacco definitivo, il sogno.
Al centro del racconto elegiaco c'è l'amore, ma non quello felice, bensì quello turbolento, tormentato, che tramuta l'uomo in schiavo, una schiavitù da cui è pressoché impossibile liberarsi ; un amore che rende l'uomo succube della sua passione. La donna, in particolare, è padrona di sentimenti dell'uomo e del suo cuore. La donna è idealizzata come irraggiungibile oggetto d'amore ma anche insultata(nei momenti di distacco)come avida e del tutto incapace di apprezzare sentimenti profondi e quindi "non-ricambiatrice" dell'amore del poeta.Al centro d’ogni raccolta d’elegie c'è quindi un nome di donna(Licoride per GAllo, Delia e Nemesi per Tibullo, Cinzia per Properzio) a cui sarebbe vano, oltre che inutile, dare identità anagrafica; anche perché tra l'uomo e la donna si instauravano forti relazioni extra-coniugali.
La donna viene da un lato mitizzata ed estremamente idealizzata come irraggiungibile oggetto d'amore, dall'altro insultata come incostante, avida, fedifraga, del tutto incapace di capire e apprezzare sentimenti profondi. In Catullo, per esempio come oggetto del canto non troviamo una donna tanto concreta, quanto la ricerca , sempre delusa, di un ideale figura femminile capace di incarnare un concetto d'amore altissimo, sublime, che abbia come termine di confronto il mito. Per questo i momenti di maggior ricchezza lirica, sia in Catullo sia nei poeti Elegiaci, si raggiungono quando la donna viene contemplata in absentia, mentre è lontana, o dopo il discidium, o addirittura dopo la morte, divenuta un sogno sull'onda dei ricordi e della nostalgia, fantasma che non teme confronti con la realtà, perchè è pura creazione della fantasia e del sentimento.
Si tratta di figure che, benchè affondino le radici in un'esperienza reale, vivono entro una ben più commplessa esperienza letteraria.Al contrario, però sarebbe completamente errato considerare le elegie di Tibullo o di Properzio in chiave strettamente autobiografica.E' infatti un rapporto che viene essenzialmente idealizzato nel sogno e nella fantasia del poeta.Nonostante ciò non si pensi che questi poeti non siano sinceri o che non esprimano sentimenti veri, anzi Tibullo e Properzio nelle loro poesie rimandano ad una visione della vita filosofica, simile a quella dei poeti nuovi(totale e totalizzante), piuttosto che ad una descrizione cronologica di avvenimenti e fatti amorosi.
La presenza dell'amore è accompagnata da alcuni luoghi comuni:
• La bellezza della donna, che cambia a seconda degli autori; in Tibullo semplice e non artefatta.In Properzio aggressiva e sensuale;codificata in una puntuale precettistica in Ovidio.
• L'infedeltà al patto amoroso, da cui scaturisce uno dei sentimenti più ricchi di drammaticità e di pathos, la gelosia, che si esprime nelle forme del lamento, del rimprovero, accorato o dell'invettiva.Il patto è un legame sacro ed inviolavile ed è per questo motivo che nelle liriche scaturiscono i sentimenti sopra citati.
• Il discidium (distacco) a causa dell'incostanza della donna che lascia l'amante, offrendo così l'occasione per tutta un'altra serie di situazioni topiche.
E' necessario comunque operare una netta distinzione fra la rappresentazione dell'amore in Tibullo e in Properzio da un lato e in Ovidio dall'altro:nei primi la convenzionalità della vicenda è riscattata dal profondo coinvolgimento emotivo del poeta che analizza il proprio cuore, nel secondo l'amore è spogliato dei suoi risvolti più coinvolgenti e si riduce a gioco e a passatempo.
Il modello elegiaco in definitiva si propone, oltre che come codice letterario, anche come modello etico alternativo a quello augusteo, centrato sull'amore -passion e non sul dovere civico, sulla ricerca della felicità personale e non sui valori collettivi, sull'esaltazione di una vita tranquilla e non della virtus che sa imporre la pace con le armi.Rispetto ai poeti novi, gli elegiaci hanno abbandonato certamente gli atteggiamenti più apertamente provocatori, ma sono ugualmente decisi nell'affermazione di un tipo di poesia e insieme di un modello di vita centrati sulll'individualismo, sull'otium, sul disimpegno.

OVIDIO
LA VITA
Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona nel 43 a.C. da famiglia di rango equestre e, giovanissimo , si recò a Roma ove frequentò le migliori scuole di eloquenza e di retorica. Abbandonò tuttavia presto gli studi per dedicarsi alla poesia,sorretto da uno straordinaria facilità a comporre versi(cfr. Tristia IV 10,26). Fece parte del Circolo di Messalla (vedi approfondimento i circoli letterari nell’età Augustea)e divenne il poeta alla moda, cantore di una società che , dopo essere uscita dall’incubo dalle guerre civili , assaporava i frutti della pace abbandonandosi al lusso e al consumismo , in palese contraddizione con i programmi di restaurazione morale che costituivano uno dei punti fondamentali del programma di Augusto. Ovidio diede a questa società il prodotto letterario che ne rispecchiava fedelmente i modelli di comportamento e per questo riscosse un successo immediato e strepitoso. Nell’8 d.C., con procedura eccezionale, Ovidio venne relegato da Augusto a tomi (oggi Costanza), sul Mar Nero, nella Scizia, e nonostante le suppliche sue , della moglie e degli amici, vi rimase fino alla morte avvenuta nel 17 o nel 18 a.C. Sulle vere ragioni dell’esilio,è calata , sin dall’antichità,una fitta e impenetrabile cortina di silenzio e la vicenda di Oidio costituisce ancora oggi un enigma per la cui soluzione si possono formulare soltanto ipotesi: la più probabile è che Oidio sia stato più o meno involontariamente complice o per lo meno testimone di qualche grosso scandalo che coinvolse la stessa famiglia imperiale (vedi approfondimento “caso” Oidio). La produzione di Ovidio è vastissima e comprende varie opere di carattere amoroso come gli Amores , le Heroides, l’Ars Amatoria, i Remedia Amores,di argomento mitologico come le Metamorfosi e i Fasti, di carattere personale come i Tristia e le Epistulae ex Ponto scritte dall’esilio per impietosire Augusto e cercare invano di ottenere la revoca del grave provvedimento.

LO STILE
Con Ovidio , ‘il più mondano’ e raffinato poeta latino , si chiude il ciclo della grande elegia romana . Egli portò nella poesia l’anima di una società di disfacimento morale, e con le sue morbide e vellutate maniere ne cantò gli impulsi sfrenati, le galanterie civettuole,ecc.Prodigioso improvvisatore, fine conoscitore dell’animo umano,di quello femminile in particolare e delle avventure d’amore , le esperienze vissute nelle figure mitiche , nelle formulazioni precettistiche . Seppe fare del verso la più fedele espressione dello spirito:agile, ricco di modulazioni, fluente e carezzevole,una musica che incanta è il suo distico, col suo giro compiuto di pensiero, con spontanee cadenze, con accorte dislocazioni delle parti, con eufonìa di incontri sillabici e lessicali.Con Ovidio il distico elegiaco raggiunge il vertice della perfezione tecnica .Il dominio assoluto della lingua consiglia il poeta alla scelta sempre finissima di vocaboli, anche di quelli che egli conia espressamente o rammoderna e rinnova , particolarmente nelle Metamorfosi.La tendenza al colorismo espressivo si manifesta soprattutto nella straordinaria flessibilità del linguaggio.La retorica gli ha insegnato le amplificazioni, gli esornamenti, le strutture raffinate e il lusso fraseologico, le sonorità espressive e l’ènfasi.
Per quanto riguarda la produzione Ovidiana , egli, ebbe il dominio assoluto e continuo sulla forma. Siccome senza vanteria riconosceva lui stesso , la espressione del suo pensierosi tramutava subito in opera di poesia . Carattere proprio del suo ingegno è una prodigiosa agilità e facilità. La sua lingua è chiara , scelta , precisa : le parole che egli o innova o conia di suo non hanno stento né stranezza, come affatto spontanee sono le cadenze e le consonanze del suo stile .Il verso è fluido e regolare , e il distico acquista con Oidio la sua perfetta unità ritmica.Con la poesia di oidio siamo lontani dalla classica e vigile compostezza di Orazio e di Virgilio;in Oidio la vena asiana fluisce libera e abbondante accrescendo la modernità di un poeta che era capace di mantenersi tale pure avendo la foga dell’improvvisatoreLa produzione giovanile (Amores, Heroides, Ars) è vasta: tutta elegiaca, tutta di argomento amoroso, ma con caratteri di notevole varietà. Ovidio dispiega un vivace interesse di sperimentatore, esplorando continuamente nuove possibilità del genere elegiaco, quasi tutte già contenute in nuce in isolati tentativi dei suoi predecessori (Prop. per l'epistola elegiaca, Prop. e Tibullo per la didascalia galante).
Amores. Sono una raccolta di elegie secondo la maniera inaugurata da Cornelio Gallo: e da Gallo Ovidio deriva il suo titolo. L'opera ebbe 2 edizioni: la prima perduta, la seconda in 3 libri rispettivamente di 15, 20, 15 componimenti, che conserviamo. Ovidio assume in queste elegie la voce del poeta-amante che canta il suo amore per una donna, chiamata Corinna dal nome di un'antica poetessa lirica greca (si ricollegava a Catullo). Gli Amores sono caratterizzati da una poetica nuova: in Ovidio l'elegia non comporta più una drammatica scelta esistenziale. Gli Amores non cercano mai di dare l'impressione di una poesia dominata e condizionata dall'amore esclusivo per una donna. Corinna è assente da molte elegie e si affacciano qui e là varie figure femminili, con cui Ovidio si mostra occasionalmente coinvolto. Il poeta fa anche capire che l'identità di Corinna doveva essere un mistero per il pubblico romano. (Corinna è stata giudicata figura inconsistente, addirittura un'invenzione libresca o tutt'al più la sintesi di svariate esperienze biografiche). La raccolta ovidiana parla piuttosto del mondo degli amori, di quella società urbana che costituisce il pubblico privilegiato dell'elegia. Il protagonista degli Amores è un dongiovanni, un libertino anticonformista e spregiudicato, che aggredisce la morale tradizionale romana con un'impertinenza inaudita. Ovidio accentua l'anticonformismo dell'elegia ma ne riduce le ambizioni ideologiche e morali: egli banalizza l'amore, ne fa solo un gioco divertente che non pretende di occupare tutti gli interessi dell'individuo, né di dare senso a un'intera vita. Egli rinuncia dunque agli aspetti per rivoluzionari della precedente poesia neoterica ed elegiaca, che attribuiva all'amore una centralità tra i valori e di fatto riconduce la poesia d'amore entro uno spazio di libertinismo audace ma al tempo stesso circoscritto entro i ristretti confini di un piacevole gioco. Rapporto con la tradizione elegiaca: quasi tutte le elegie degli Amores ripropongono variamente temi, situazioni e spunti delle elegie tibulliane e properziane (il punto di riferimento è soprattutto Properzio); dal punto di vista compositiva un'elegia degli Amores è molto diversa dai suoi corrispettivi tibulliani e properziani: Ovidio pone subito con chiarezza il tema e la situazione che ne sviluppa le implicazioni (il gusto educato alla scuola retorica si avverte nella costruzione ordinata e sistematica). Un aspetto originale della raccolta ovidiana consiste nel gioco raffinato con la tradizione letteraria che finisce per portare all'assurdo il genere dell'elegia latina: gli Amores di fatto svuotano l'ideale di amore elegiaco con una ironia aperta a giocosa, magari proprio quando pretendono di applicarne il codice con perfetta coerenza. L'amore elegiaco finisce insomma per diventare in Ovidio un gioco di finzioni reciprocamente accettate, una specie di perfetto galateo della società galante.
Heroides. Contemporaneamente alla produzione degli Amores, Ovidio attende ad un'opera nuova, le Heroides. Si tratta di epistole poetiche in distici elegiaci che si immaginano scritte da famose eroine del mito ai loro mitici amanti dai quali, il più delle volte, sono state abbandonate. L'opera consta di 21 epistole. Non tutte sono state scritte nello stesso periodo e non tutte presentano la stessa tipologia. Bisogna distinguere la prima sezione, formata da 15 epistole autonome, dalla sezione costituita da sei epistole 16-21 che sono articolate in 3 coppie, ciascuna della quali consta della lettera di un eroe alla donna amata e della risposta di lei. Queste epistole doppie furono pubblicate più tardi (sono un esperimento ulteriore, suggerito da una provocazione letteraria dell'amico poeta Sabino, che aveva scritto lettere di risposta a nome degli eroi. Un caso a sé è costituito dall'epistola di Saffo a Faone: in questo caso chi scrive non è un'eroina, ma una poetessa (l'emblema stesso dell'appassionata poesia d'amore) protagonista di una storia attinta non a un preciso modello letterario ma alle tradizione delle biografie leggendarie dei poeti . Nell'Ars Ovidio afferma la novità delle Heroides dal punto di vista del genere letterario; il poeta ha comunque utilizzato spunti ed esperienze varie della tradizione greco-latina. L'eroina parla anche a se stessa e di se stessa, rappresentando, nel flusso della scrittura, sentimenti, oscillazioni, punti di vista e processi mentali analizzati con acutezza di indagine psicologica. Invece di ricreare liberamente i suoi personaggi Ovidio sceglie di ricavare per le sue eroine uno spazio negli interstizi di uno o più grandi testi precedenti. Le eroine di Ovidio, nel compiere un estremo tentativo per rimediare alla loro infelicità, guardano alla propria storia ricomponendone i tratti (che il lettore conosce o ricorda) attraverso un filtro fortemente soggettivo. Il mito, su cui tanto si eserciterà la poesia di Ovidio, rinuncia nelle Heroides alla dignità e alla grandezza eroica e viene ridotto a una dimensione "elegiaca", adattato a una femminilità sofferente e fragile che identifica nell'amore tutto il proprio orizzonte e lamenta il dolore di un'esistenza tradita, sacrificata a ragioni tanto più forti e brutali. Il sentimento delle Heroides non esclude affatto quell'ironia che è una caratteristica notevole di quasi tutta la poesia di Ovidio.
Opere didascaliche. L'elegia latina ospitava al proprio interno una componente didascalica: il poeta poteva insegnare agli altri, poteva indicare loro, x somiglianza o differenza da sé, una strada vantaggiosa in amore. Liberandosi infine della convenzione elegiaca secondo cui l'amante parla di se stesso, Ovidio assume ora decisamente il ruolo imparziale del magister amoris, depositario di una tecnica e capace di trasmetterla ad un pubblico di discenti.
Ars Amatoria. Si presenta come un trattato in distici elegiaci. Costruito spiritosamente sui moduli del poema didascalico "serio" (Lucrezio De Rerum Natura; Virgilio Georgiche). Il titolo stesso esibisce il carattere tecnico dell'opera, modellandosi probabilmente sull'espressione con cui si designava la tecnica retorica (ars oratoria). A questo stesso ambito rimanda la disposizione della materia: come nell'insegnamento retorico, anche in questo insegnamento galante al primo posto è l'inventio. Il libro I insegna infatti agli uomini come conquistare le donne. Il libro II insegna invece l'arte di consolidare e far durare nel tempo l'amore, una volta che lo si è conquistato. Poi Ovidio, certo sollecitato da una buona accoglienza dell'opera presso il pubblico, aggiunse un libro III, indirizzato al pubblico femminile, in cui anche alle donne veniva fornito un manuale di istruzioni che permettesse loro di affrontare ad armi pari la schermaglia galante. Dal punto di vista dei moduli espositivi e della strutturazione formale l'Ars segue puntigliosamente le convenzioni e le movenze del poema didascalico serio. Anzitutto il gesto del poeta-maestro, che si rivolge autorevolmente al suo allievo, ne sollecita l'attenzione ecc. e che procede sistematicamente alla trattazione della materia (e in ogni passaggio il carattere "insegnativi" del discorso è messo in molta evidenza). All'enunciazione dei principi generali segue l'illustrazione della casistica; l'esempio è costantemente usato in funzione di chiarimento. Ma in un aspetto di grande evidenza formale l'Ars si discosta da quel codice didascalico che x tanti altri aspetti esibisce: se infatti il poema didascalico era regolarmente in esametri, Ovidio, con la scelta del distico, ha voluto segnalare vistosamente le novità e il carattere ibrido del suo esperimento. Il poema didascalico affronta adesso una materia nuova, del tutto eterogenea rispetto alle tradizioni: l'amore, o meglio, la seduzione galante. La relazione d'amore elegiaca poteva tuttavia diventare materia d'insegnamento tecnico solo a patto di contraddire alcuni assunti fondamentali che caratterizzavano la concezione properziano e tibulliano: l'amore-furor, la passione dolorosa non è infatti compatibile con il progetto del sapienter amare (amare con perizia e assennatezza) che Ovidio propone ai suoi allievi nel proemio. Tutto il patrimonio di idee e immagini della poesia elegiaca viene riformulato didascalicamente sostituendo all'ideologia della sincerità un'ideologia della finzione. L'utilizzazione dell'impegnativa strumentazione e del tono proprio della poesia didascalica, che prevede nel poeta un atteggiamento "sapienziale" di depositario della verità, è evidentemente sproporzionato rispetto a una materia tanto frivola, e produce un calcolato effetto ironico: Ovidio prevede un lettore che si diverte per questo genere di incongruenze. Ma nella complessiva giocosità del tono, il praeceptor amoris ha un ideale umano da proporre seriamente ai suoi allievi. Ovidio in quest'opera offre come valore positivo l'immagine di un mondo piacevole, raffinato e moderno, e si congratula esplicitamente dei tempi nuovi, rimovendo come anacronistici quei tratti arcaicizzanti che il principe continuava a ritenere necessari al suo progetto di rinnovamento morale. Ovidio si fa maestro di una urbanitas sofisticata, fatta di buona educazione, dolcezza e affabilità dei modi, compiacenza capacità di adattamento agli altri, senso delle opportunità, finezza intellettuale, duttilità e apertura mentale.
Metamorfosi. Il passaggio ai generi maggiori. Già negli Amores la scelta della poesia "minore" non appariva così inevitabile come per gli altri elegiaci. Per il poeta l'alternativa dei generi di maggiore prestigio si presentava come una promettente possibilità. Esaurita la sperimentazione delle diverse forme di poesia erotica elegiaca, Ovidio si dedica a progetti di grande impegno, che devono consacrarlo come poeta versatile e completo, capace di affrontare senza timidezza anche quei generi e quei temi (come l'epica e la celebrazione nazionale) che la tradizione neoterico-elegiaca aveva escluso dalle proprie ambizioni e dai propri programmi letterari. Un nuovo genere di poema epico. Lo spazio del poema epico era stato occupato dall'Eneide con una realizzazione tanto prestigiosa da scoraggiare ogni spirito di emulazione. Ma Ovidio non si scoraggiò, accettando la sfida con consapevolezza dei propri mezzi e straordinaria capacità di innovazione: egli immaginò per il poema in esametri una strada completamente nuova. Le Metamorfosi sono un vasto poema narrativo in esametri che, in 15 libri, raccontano circa 250 storie mitologiche. Sono storie di carattere vario, spesso molto diverse l'una dall'altra, che contengono, magari del tutto marginalmente, un qualche tipo di trasformazione (per lo per si tratta di perdita della forma umana). Il poema secondo quanto Ovidio stesso ci dice nelle opere dell'esilio non ricevette l'ultima mano a causa della disgrazia abbattutasi sul poeta. Il poema è aperto da un proemio molto breve, in cui Ovidio formula il suo ambizioso progetto: "narrare di forme cambiate in nuovi corpi… in un canto ininterrotto dall'origine del mondo fino ai miei giorni". Risulta da queste parole che l'idea del poema ovidiana associa due componenti diverse, che appartengono a tradizioni e a poetiche tra loro divergenti. Annuncia infatti un poema la cui materia è selezionata e ordinata in base al principio "catalogico" caro agli alessandrini: verranno messe insieme le storie accomunate da un elemento tematico, la metamorfosi. Ovidio nel proemio annuncia qualcosa di radicalmente diverso: la sua raccolta delle storie di metamorfosi dovrebbe seguire la trama di una narrazione grandiosa, il cui compasso cronologico sfida per ampiezza qualsiasi poema epico ed è paragonabile solo alle ambizioni della storiografia universale. L'idea su cui sono costruite le metamorfosi sembra suggerita già, nel breve spazio di una cinquantina di versi, in un tentativo virgiliano (nella VI egloga). Ovidio annuncia dunque un poema che, nella sua vastità, sia capace di contenere istanze letterarie opposte: da una parte il principio catalogico (callimacheo), che sfrutta le attrattive della varietà di argomenti e dell'episodio breve, circoscritto, finemente elaborato, dall'altra la grande complessità dell'epos, col suo ampio respiro e la continuità della sua narrazione. Non a caso, Ovidio sceglie una terminologia critica che, su quest'ultimo punto, si oppone esplicitamente a quella di Callimaco: il carmen perpetuum che egli propone al lettore è quasi un equivalente di quel "canto uno e ininterrotto" che Callimaco non aveva voluto fare e che gli avversari gli rimproveravano di non saper fare. L'opera presenta dunque una quantità estremamente variegata di storie diverse; ma anche un filo ininterrotto che traccia una continuità complessiva di tipo cronologico. Naturalmente la continuità cronologica è molto più evidente nella parte iniziale e nella parte finale. Ovidio segue soltanto alcune linee molto generali, non senza concedersi deliberate e vistosissime incongruenze. Struttura, modalità narrativa. Il passaggio da una storia all'altra è il punto più delicato del poema, quello in cui i diversi principi costruttivi dell'opera sottopongono il testo a tensioni contrastanti. Ovidio non ha mai cercato di dare un'impressione di naturalezza. La successione tra i racconti può essere suggerita dai moventi più diversi, anche i più improbabili . L'agilità e la verità con cui sempre nuove storie possono essere introdotte, senza troppi vincoli di successione cronologica, sono molto incrementate dalla tecnica del racconto a cornice, un artificio caro alla narrativa ellenistica di cui Ovidio fa un uso sistematico: le storie delle Metamorfosi, oltre ad essere narrate di per sé, possono facilmente diventare la cornice che ospita il racconto di altre storie, attribuite al narratore principale (l'autore) o meglio ancora, a narratori secondari di volta in volta introdotti. Il gioco può diventare anche molto complicato: il lettore si trova disorientato d una fuga prospettica a volte vertiginosa, che solo il poeta narratore controlla e gestisce con un'arte raffinata. La tecnica del racconto è una risorsa da cui il poeta è capace di trarre una varietà di effetti: Ovidio di volta in volta sa regolare il racconto in base all'identità del narratore secondario o in relazione al personaggio che ascolta, o alle circostanze in cui il racconto si assume abbia luogo. Le Metamorfosi rappresentano in qualche modo la summa della mitologia greco-romana. Il mito non ha tuttavia per Ovidio una profondità religiosa, né particolari valenze culturali, morali o ideologiche (come in buna parte avviene per Virgilio): è soltanto un tesoro di favole da raccontare senza impegnarsi sul loro contenuto di verità (anzi, non nascondendo affatto lo scetticismo più disincantato). Il poema di Ovidio propone dunque al pubblico dell'età augustea un campionario di belle storie adatte ad un intrattenimento sofisticato. Oltre al piacere del racconto, il lettore esperto saprà infatti apprezzare la ricchezza di un testo la cui piena fruizione richiede competenze letterarie raffinate; infatti i materiali delle Metamorfosi sono attinti da tutta la grande tradizione della letteratura greca e latina. Le Metamorfosi allargano la struttura dell'epos fino a comprendere in esso una pluralità di tradizioni ed esperienze letterarie diverse: poesia cosmologica e didascalica, l'epos guerresco o avventuroso, la tragedia, l'epillio, la poesia eziologia, l'elegia amorosa, la bucolica. La visione del mondo. Lo spirito leggero, l'atteggiamento ironico e divertito, che domina nel poema non significa (come pure si è ritenuto) superficialità priva di idee. Nell'universo ovidiana, attraversato da un'irresistibile dinamismo, colpisce l'estrema facilità della metamorfosi; l'elasticità stessa del mondo ovidiana funziona come un efficace antidoto per i suoi problemi + angosciosi. La metamorfosi è normalmente il punto di arrivo di una storia, il momento in cui il mondo reagisce, con la propria innata duttilità, a una tensione insolubile, prossima al momento della rottura. Il mutamento si dimostra capace di sanare lacerazioni che altrimenti porterebbero a conseguenze insopportabili. Alla tragedia, all'orrore del delitto, al dolore insanabile della morte. La metamorfosi interviene spesso come sostituto della morte: una morte meno definitiva e dolorosa, perchè è anche inizio di una nuova esistenza. Potremmo dirlo con le parole di Pitagora: "noi chiamiamo col nascere il cominciare a essere altra cosa da quello che eravamo prima, e morire il cessare di essere quella stessa cosa" ( trasformazione come antidoto della morte).
Fasti. Sono una specie di calendario poetico in distici elegiaci. Percorrendo ordinatamente il calendario dell'anno romano a partire dal 1° gennaio, il poeta, oltre a dare via via indicazione astronomiche sulle costellazioni, si sofferma sulle ricorrenze e le feste + significative e fornisce la spiegazione (mitologica, storica, erudita) di nomi, usi, riti. L'opera, prevista in 12 libri (uno x mese) era giunta esattamente a metà quando fu interrotta dall'esilio del poeta. A tomi Ovidio vi premette una dedica a Germanico. Gli Aitia romani: parallelamente alle Metamorfosi, Ovidio tentava con i Fasti un'impresa di grande impegno e prestigio, portando l'elegia a sperimentare una possibilità molto lontana dall'esperienza, ormai esaurita in tutte le sue variazioni, del tenerorum lusor amorum (il frivolo poeta dei teneri amori, come Ovidio stesso si definiva). I fasti sono dunque l'opera in cui Ovidio + decisamente si presenta come poeta ellenistico. Callimaco, il suo modello principale, gli suggerisce la tematica generale dell'opera e aspetti fondamentali della struttura. Per le parti astronomiche è evidente il richiamo ad Arato. Questo poema ovidiano non sarebbe comunque concepibile al di fuori del vivo interesse della cultura e della letteratura augustea per le tradizioni nazionali e per la rustica Roma delle origini.
La poesia dell'esilio. Nel suo esilio Ovidio ha vissuto, almeno fino all'anno 13 d.c. incluso, una stagione di notevole produttività, che indubbiamente rispondeva anche a fini pratici. La poesia deve adesso illustrare soprattutto la triste situazione del poeta esiliato, riflettere sulle cause della disgrazia, implorare aiuto.
Tristia. Sono 5 libri di elegie, composti e inviati a Roma l'uno di seguito all'altro tra il 9 e il 12 d.c.: le dimensioni dei componimenti e delle raccolte sono simili a quelle delle elegie amorose. Le elegie dei Tristia possono avere andamento prevalentemente narrativo (descrizione del viaggio) o monologico (considerazioni e sentimenti sul suo stato infelice) oppure si rivolgono ad amici per chiedere aiuto e conforto. Gli amici destinatari di queste elegie però non sono mai nominati per ragioni di prudenza. Queste elegie, anche se, in assenza del nome, non rispecchiano di solito in pieno le formalità epistolari, assumono però naturalmente il tono e l'andamento della lettera. (Un caso a sé è costituito dal II libro, che consta di un unico componimento di ben 578 versi. Ovidio si rivolge ad Augusto come in una "lettera aperta" e gli indirizza una puntigliosa apologia). Una nuova poesia autobiografica: al centro di queste elegie c'è un nuovo senso dell'autobiografia: la forza della tragedia personale e le difficoltà della nuova condizione di vita occupano con la loro urgenza tutto lo spazio della poesia e fanno ritrovare all'elegia quella coincidenza con la vita che proprio Ovidio negli Amores e nella didascalica erotica aveva giocosamente svuotato. Ovidio costruisce adesso un personaggio di poeta esule che ha come materia del canto la propria disperazione e la cui opera non può che riprodurre le tristi condizioni della sua vita.
Epistulae ex Ponto. 3 libri + un quarto postumo. Si presentano come vere e proprie lettere poetiche, ciascuna delle quali reca il nome del destinatario, e assume tratti del consueto formulato epistolare. Rinuncia a ogni considerazione di opportunità (nei Tristia il destinatario è anonimo) e si risolve a coinvolgere apertamente i vari personaggi a cui indirizza le sue epistole elegiache. Il componimento viene modulato sul destinatario. Ovidio cerca di raggiungere il massimo di persuasività collegando le richieste di aiuto al ruolo specifico che i diversi personaggi svolgono nella società e al rapporto che essi intrattengono col poeta. I primi 3 libri costituiscono una raccolta unitaria, strutturata secondo una sottile rete di simmetrie. I temi sono per lo più gli stessi dei Tristia: l'infelicità del poeta lontano ed esule, la fedeltà degli amici, l'impegno che il poeta si attende dalla moglie. La celebrazione dei fasti della casa imperiale conosce nelle Ex Ponto un notevole sviluppo che, nel IV libro, porterà l'elegia ad accrescere lo spettro dei suoi argomenti, fino a comprendere la descrizione a fini panegiristici di una battaglia.
Caratteri dell'elegia triste. Per creare uno strumento letterario adatto alla sua nuova situazione, Ovidio ha mobilitato ancora una volta le sue energie di sperimentatore, adattando l'elegia romana all'espressione di una realtà del tutto diversa da quella delle pene d'amore nella capitale del mondo. Questo progetto comportava un ripensamento dell'elegia precedente, una riconversione. Con le sue elegie tristi Ovidio risaliva consapevolmente a quelle che erano le origini stesse del genere, all'elegos come lamento funebre. L'esilio è presentato come una specie di morte, e l'esiliato un morto vivente. Le opere dell'esilio non sono inferiori al normale standard qualitativo della poesia ovidiana e non manca in esse una impegnativa ricerca della variatio. In concorrenza a una componente soggettiva e introspettiva, la poesia dell'esilio pone nel proprio programma un obiettivo pragmatico: quello di giovare al poeta, ottenendo quanto meno un'attenuazione della condanna. A questo scopo Ovidio deve mettere in moto dei meccanismi che riguardano tutti gli strati della gerarchia sociale.
Ibis. È un'operetta in distici elegiaci la cui composizione dovrebbe cadere nei primi tempi dell'esilio e si colloca nella tradizione poetica delle "maledizioni", che aveva avuto una certa fortuna nella poesia ellenistica. Ovidio si rifà esplicitamente all'omonimo poemetto perduto di Callimaco, in cui il poeta alessandrino, attraverso riferimenti a molte leggende rare, copriva di imprecazioni un nemico (forse Apollonio Rodio), presentandolo come l'uccello del titolo, considerato immondo perchè scruta col becco i propri escrementi. Il bersaglio dell'Ibis di Ovidio è un malvagio che cerca di peggiorare la situazione dell'esiliato e di trarre profitto dalla sua disgrazia: il poeta si dichiara costretto a usare per la prima volta la poesia come arma, piegando l'elegia a una funzione aggressiva considerata più consona al giambo. Il poemetto si caratterizza soprattutto per l'erudizione, talvolta oscura, con cui allude alle più terribili vicende della mitologia e della storia greca e romana: vicende che Ovidio ora augura al suo nemico

STORIA DELL’ ARTE
CANOVA:AMORE E PSICHE E IL CONFRONTO CON L’APOLLO E DAFNE DEL BERNINI
Nell’arte il tema amoroso è sempre stato fonte di profonda ispirazione e nel caso specifico dell’apollo e dafne di Bernini e amore e psiche di Canova il mondo artistico e quello latino si fondono in due sculture il cui tema è preso da i due autori latini di cui abbiamo già precedentemente parlato Ovidio e Apuleio.
VITA E OPERE DI ANTONIO CANOVA
Antonio Canova naque nel 1757 a Possagno egli è il maggior artista italiano ad aver partecipato alla vicenda del classicismo inoltre egli è stato l ultimo grande artista italiano a livello mondiale. Formatosi in ambiente veneziano le prime opere rilevano l influenza dello scultore barocco del 600 Bernini.trasferitosi a Roma partecipò al clima cosmopolita della capitale in cuisi incontravano i maggiori protagonisti dell’ arte neoclassica. A Roma svolse la maggior parte della sua attività raggiungendo una fama immensa . Nelle sue opere fece rivivere la bellezza delle antiche statue greche secondo i canoni che insegnava Winckelmann: “la nobile semplicità e la quieta grandezza ”. Il disegno era la prima fase in cui il maestro trasferiva i suoi pensieri sulla carta : ad essi attribuiva un importanza fondamentale infatti di nessun altro grande artista possediamo una così vasta documentazione. Passando al modello di gesso a grandezza naturale le forme si semplificano e la composizione appare via via più equilibrata. Ma solo nella realizzazione finale la statua acquista la lucentezza delle perle:la superfice di marmo viene lucidata con pomici sempre più fini e trattata con cere appena colorate che ne attenuano il biancore presentandosi come oggetto puro ed incontaminato secondo i princìpi del classicismo:oggetto di una bellezza ideale , universale ed eterna. I soggetti delle sculture canoviane si dividono in due tipologie principali: le allegorie mitologiche e i monumenti funebri. Al primo gruppo appartengono:Teseo sul Minotauro ,Ercole Lica ,Le tre Grazie e Amore e Psiche; al secondo gruppo appartengono i monumenti funebri a Clemente XIV, a Clemente XIII, a Maria Cristina d’Austria.
Nei monumenti di soggetto mitologico i riferimenti alle sculture greche classiche è scoperto ed immediato: le anatomie sono perfette, i gesti misurati, le psicologie sono assenti o silenziose, le composizioni molto equilibrate e statiche. Il momento scelto per la rappresentazione è quello classico del «momento pregnante», evidente ad esempio nel gruppo di «Teseo sul Minotauro». È quello il momento in cui la storia diventa mito universale ed eterno.
Nei monumenti funebri Canova parte dallo schema classico a tre piani sovrapposti. Nei monumenti dei due papa Clemente XIII e XIV al primo livello ci sono le immagini allegoriche che rappresentano il senso della morte; al secondo livello vi è il sarcofago; al terzo livello vi è la figura del papa.
I monumenti funerari rappresentano un tema molto sentito dagli artisti neoclassici. Da ricordare che, negli stessi anni, l’importanza dei «sepocri» veniva affermata anche dal poeta Ugo Foscolo. Per il Foscolo il sepolcro doveva conservarci la memoria dei grandi personaggi della storia esaltandone il valore quali esempi di virtù. La morte, che nella precedente stagione barocca veniva visto come qualcosa di orrido e di macabro, dall’arte neoclassica era vista come il «momento pregnate» per eccellenza. Il momento in cui si scaricano tutte le contingenze terrene per entrare nel silenzio assoluto ed eterno.
Il canova nel periodo napoleonico divenne il ritrattista ufficiale dell’ imperatore Napoleone producendo per lui diversi ritratti tra cui quello in bronzo ora collocato a Brera che fu rifiutato dal francese poichè era stato ritratto nudo. Tra i ritratti eseguiti per la famiglia imperiale famoso rimane quello di Paolina Borghese semidistesa su di un triclino,seminuda con una mela in mano oltre l’ attività di scultore, Canova fu anche impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Nel 1802 ebbe l’ incarico di ispettore generale delle antichità e belle arti dello della chiesa. Nel 1815 dopo la caduta di Napoleone ottenne di riportare in Italia le tante opere d’arteche l’ imperatore aveva trasportate illegalmente in Francia. Morto nel 1822 il suo sepolcro è a Possagnano il paesino in provincia di Treviso dove era nato e dove egli fece erigere a sue spese un tempio dove nel 1830 furono traslate le sue spoglie
AMORE E PSICHE E IL CON FRONTO CON APOLLO E DAFNE
Il gruppo, oggi conservato al Louvre, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione canoviana. Esso rappresenta Amore e Psiche nell’atto di baciarsi. Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. La composizione ha una straordinaria articolazione: la donna, Psiche, è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l’alto e, per far ciò, imprime al corpo una torsione ad avvitamento; l’uomo, Amore, si appoggia su un ginocchio mentre con l’altra gamba si spinge in avanti inarcandosi e contemporaneamente piegando la testa di lato per avvicinarsi alle labbra della donna. Il soggetto è probabilmente tratto dalla leggenda di Apuleio, secondo la quale Psiche era una ragazza talmente bella da suscitare l’invidia di Venere, così che la dea le mandò Amore per farla innamorare di un uomo brutto. Ma Amore, dopo averla vista, se ne innamorò e, dopo una serie di vicissitudini, ottenne che Psiche entrasse nell’Olimpo degli dei, per restare con lui. Il soggetto è qui utilizzato come allegoria del potere dell’amore, visto soprattutto nell’intensità del desiderio che riesce a sprigionare: da qui la scelta di fermare la rappresentazione all’istante prima che il bacio avvenga ed il desiderio si consumi.
Per comprendere lo spirito della cultura neoclassica è utile confrontare il gruppo scultoreo di Amore e Psiche con un’altra famosa allegoria mitologia: l’ Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini. Quest’ultimo gruppo scultoreo fu realizzato tra il 1622 e il 1625, agli inizi della diffusione del barocco, e rappresenta indubbiamente uno dei maggiori esiti di questo stile di cui Bernini fu uno dei maggiori rappresentanti. Dafne, secondo la mitologia, era una bellissima fanciulla di cui si era innamorato Apollo. Dafne, per sfuggirgli, scappò ai piedi del Parnaso e qui, nel momento in cui stava per essere raggiunta da Apollo, chiese aiuto alla madre che la trasformò in una pianta di alloro.
Il gruppo del Bernini rappresenta indubbiamente un attimo fuggente: Dafne viene appena sfiorata da Apollo ed ha già i capelli che stanno divenendo dei rami di alloro. È giusto un attimo: l’istante successivo Dafne non ci sarà più. Per enfatizzare ciò Bernini dà al gruppo un’apparenza di equilibrio instabile, evidente soprattutto nella curva ad arco che forma il corpo di Dafne. Il gruppo del Canova ha invece una fermezza ed una staticità molto più evidenti. Lo si osservi soprattutto nella visione frontale. Il corpo di Psiche insieme alla gamba e alle ali di Amore formano uno schema ad X simmetrico. Al centro di questa X le braccia di Psiche definiscono un cerchio perfetto che inquadra al centro il punto focale della composizione: quei pochi centimetri che dividono le labbra dei due. In quei pochi centimetri si gioca il momento pregnante, ed eterno, del desiderio senza fine che l’Eros sprigiona.
La differenza tra le due sculture non è da ricercarsi sulla differenza stilistica o formale, risultando entrambe di notevolissima fattura per tecnica esecutiva, ma sulla diversa cultura che le ispira. Lo sforzo del Bernini è di cogliere la vitalità della vita in continuo movimento, e per far ciò cerca di annullare la materia per lasciare solo la sensazione del divenire. Canova mostra invece tutta a tensione neoclassica di giungere a quella perfezione senza tempo in cui nulla più può divenire, e per far ciò pietrifica la vita dando alla materia una forma definitiva ed eterna.
Filosofia
Schopenhauer e il suo pensiero filosofico
La vita
Il tema amoroso non è stato solo fonte di riflessione da parte di latini o artisti ma anche di alcuni filosofi che lo criticano nelle loro dottrine un esempio di questi è Shopenhauer.
Nato a Danzica il 22 Febbraio del 1788 da padre bancario e madre scrittrice viaggiò nella sua giovinezza in Francia e Inghilterra. Sulla sua formazione influirono le dottrine di Platone de di Kant. Nel 1813 si laureò a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice e del principio di ragion sufficiente. Negli anni seguenti Schopenhauer visse a Dresda qui compose il suo scritto Sulla vista e sui colori in difesa delle dottrine scientifiche di Goethe, ma soprattutto Il mondo come volontà e rappresentazione pubblicato nel 1818. Tra gli altri scritti ricordiamo inoltre La volontà della natura del 1836 e I due problemi fondamentali dell’etica del 1841 e Parerga e paralipomeni del 1851. Schopenhauer morì a Francoforte il 21 Settembre del 1861.
Il mondo della rappresentazione e il velo di Maya
Il punto di partenza della filosofia schopenhaueriana è il concetto di fenomeno. Questo,per il filosofo di Danzica, è parvenza,illusione,sogno,ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana è detto velo di “Maya”;mentre il noumeno è una realtà che si nasconde dietro l ingannevole trama del fenomeno,e che il filosofo deve scoprire. Per Schopenhauer il fenomeno è una rappresentazione che esiste solo nella coscienza infatti egli crede di poter esprimere l essenza del kantismo (che vedeva nel fenomeno una rappresentazioni che esiste al di fuori della coscienza)con la tesi,secondo cui “il mondo è la mia rappresentazione”. La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza, da un lato c’è il soggetto “ciò che tutto conosce senza essere conosciuto da alcuno” e l’ oggetto “ciò che viene conosciuto” inoltre la rappresentazione si basa su triforme a priori SPAZIO TEMPO e CASUALITà dove quest’ ultima è l unica categoria in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa. La casualità, assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui essa opera ovvero come principio del divenire (che regola i rapporti tra fra gli oggetti naturali), del conoscere (che regola i rapporti fra premesse e conseguenze), dell’ essere (che regola i rapporti spazio-temporali e le connessioni aritmetico-geometrico e dell‘ agire(che regola le connessioni fra un azione e il suo agire).
La volontà
Schopenhauer vede la vita come un sogno cioè un tessuto pieno di apparenze ma aldilà di questo velo c’è la realtà vera sulla quale l uomo e portato a interrogarsi e in seguito uscirne infatti noi vivendo dentro questo mondo apparente ci rendiamo conto che l essenza profonda del nostro io è la volontà di vivere e proprio questa consapevolezza ci fa uscire dal velo di Maya. Inoltre la volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica dell’ uomo ma l’ essenza segreta di tutte le cose in quanto la volontà di vivere pervade ogni essere della natura. La volontà è inconscia in quanto la consapevolezza e l intelletto sono le sue due possibili rappresentazioni secondarie. In secondo luogo la volontà è unica in quanto esiste al di fuori dello spazio e del tempo,inoltre essendo al di fuori del tempo essa e anche eterna e indistruttibile poichè non ha ne un inizio ne una fine. Infine questa è incausata e senza scopo.
La sofferenza universale
Affermare che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire che la vita dolore per essenza. Infatti il volere è dato dal desiderio e questa è comunque una situazione di vuoto di tensione e quindi di dolore. Un altro punto esistenziale per Schopenhauer è il piacere esso è dato dall’ appagamento di un desiderio ma è solo momentaneo inoltre non ci può essere piacere se prima non c’è stato dolore. Il terzo punto esistenziale sta nello noia la quale subentra quando vien meno meno l’ aculeo del desiderio. Per schopenhauer la volontà di vivere è un desiderio perennemente inappagato che si manifesta in tutto il cosmo quindi a soffrire non è solo l’ uomo ma tutte le creature del mondo. In tal modo il filosofo ritiene che il male non sia solo nel mondo ma nel principio da cui esso dipende
L’ illusione dell’ amore
L’ amore secondo Schopenhauer è dei più forti stimoli dell’ esistenza ma il suo fine per cui esso è voluto dalla natura è solo l’ accoppiamento. Ma se davanti il fascino di un bel volto c’è ,in verità, un nascosto desiderio sessuale vuol dire che l’ uomo è lo zimbello della natura proprio la ove crede di realizzare maggiormente il proprio godimento e la propria personalità. Ed è proprio questo motivo che l amore viene visto come peccato o vergogna. Esso infatti commette il più atroce dei delitti. La perpetuazione di altre creature destinate a soffrire infatti per Schopenhauer l unico amore degno di elogio è la pietà.
Le vie di liberazione del dolore
La volontà si identifica con l’energia vitale che lotta per affermare se stessa e induce a cercare ciò che è utile: negarla significa rinunciare a qualsiasi esperienza desiderabile. Tutte le forme di liberazione dalla volontà presuppongo una rinuncia a se stessi, Schopenhauer non vede però nel suicidio un metodo utile per affermare il proprio rifiuto della vita, in quanto chi si suicida lo fa perché non accetta la propria esistenza particolare e ne desidererebbe un’altra. Quindi il suicidio non è una negazione della volontà di vivere, ma paradossalmente una sua affermazione. L’unica forma di suicidio parzialmente accettata da Schopenhauer è il lasciarsi morire di fame, che è indice della convinta negazione del proprio corpo. Le diverse forme di liberazione previste da Schopenhauer sono: l’arte, la giustizia, la compassione e l’ascesi. L’arte è una forma di liberazione solo parziale dato che ci permette di contemplare l’idea ad uno stadio più alto, ma non ci distacca dalle forme della rappresentazione. L’arte è infatti contemplazione dell’ idea, in quanto permette di cogliere nella sensibilità una forma perfetta e ideale. D’accordo con la sensibilità romantica, Schopenhauer ritiene che solo il genio possa sperimentare la visione della bellezza intesa come rappresentazione di forme assolute. Propone una gerarchia delle arti motivata dal maggiore o minore rapporto delle varie espressioni artistiche con il mondo della rappresentazione: tanto più l’arte sa distaccarsene, tanto più è elevata la sua capacità di cogliere l’idea. L’ordine è il seguente: architettura, scultura, pittura, poesia, tragedia e musica. Schopenhauer privilegia la musica perché è totalmente distaccata dalla rappresentazione ed usa un linguaggio asemantico, cioè non può comunicare nessun messaggio preciso e determinato come fanno le parole: la musica è infatti pura espressione della volontà. Comunque pure elevandoci in parte dal mondo della rappresentazione, l’arte non può liberarci dalla schiavitù della volontà. L’esperienza estetica infatti è transitoria e limitata nel tempo, poiché un brano musicale ha termine e dopo il rapimento estetico si ritorna alla condizione precedente: allora l’uomo è costretto a cercare altre forme di liberazione dalla volontà.
Le successive forme di liberazione dalla volontà sono costituite da sentimenti di carattere morale che, negando qualsiasi legittimità alle pulsioni, inducono l’individuo ad abbracciare valori più universali. Sono dunque tentativi iniziali di rinuncia a se stessi. Chi accetta la giustizia è disposto ad obbedire ad una legge che non difende gli interessi personali poiché li considera alla stregua di quelli degli altri individui. E’ solo con il sentimento della compassione però che il rifiuto di se stessi si realizza per la prima volta in forma compiuta. Schopenhauer si richiama al significato originario della parola “compatire”, ‘patire insieme’. Compatire significa provare per le sventure altrui lo stesso dolore che proveremmo per le nostre. Ma solo nello stadio conclusivo dell’ascesi avviene la totale liberazione dalla nostra individualità. Le tappe per raggiungere il totale annullamento di se stessi sono diverse: la castità, la rassegnazione, la povertà, il sacrificio e il Nirvana. L’esercizio della castità manifesta il rifiuto ad avere figli, evitando così la riproduzione della specie. L’astenersi dall’attività sessuale è un modo per manifestare il proprio rifiuto della vita e per non collaborare al disegno della natura. La rassegnazione all’infelicità e al dolore, l’accettazione della povertà come stato dal quale non possiamo sperare nulla per la nostra vita particolare e il sacrificio di tutto ciò che può essere collegato ai nostri desideri individuali, rappresentano per Schopnhauer la strada obbligata per arrivare alla completa rinuncia di sé. Una volta eliminato qualsiasi legame con la propria natura spirituale, siamo pronti all’esperienza finale del Nirvana, dove perdiamo coscienza del nostro essere determinato per riunirci al flusso indistinto dell’esistenza. Schopenhauer riprende questo concetto dalla tradizione religiosa del buddismo.
STORIA
LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Schopenhauer diceva che l unico amore genuino ed eterno fosse la carità ecco perché le organizzazioni internazionali fanno parte di questa tesina dedicata al tema dell’ amore. Infatti molte di loro si occupano di dare agli uniti a molti paesi del terzo mondo e non solo in quanto solo grazie a loro si sta mantenendo la pace in tutta Europa.
Sono enti internazionali sorti in base ad accordi tra privati e dotati di finalità che possono essere realizzate influendo sull’azione dei governi ma non costituiti come partiti politici. Le organizzazioni internazionali si sono diffuse dalla metà del XIX secolo con iniziative internazionali di lotta contro lo schiavismo. Oggi sono attive nei campi più diversi, dagli scambi scientifici, alla religione, ai soccorsi umanitari: le Conferenze di Pugwash sulla Scienza e gli Affari Internazionali, il movimento internazionale dei Boy Scout e la Croce rossa internazionale ne sono esempi. Nel 1909 le Ong registrate erano 200, verso la metà degli anni Novanta erano diventate più di 2000. Le Ong beneficiano dell’appoggio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e Il Consiglio economico e sociale dell’ONU (ECOSOC dell’Unione europea). Dirette, efficaci e suffragate da un ampio sostegno nell’opinione pubblica, facilitano gli scambi di contatti e informazioni attraverso le frontiere senza coinvolgimento ufficiale degli stati e hanno un ruolo sempre più importante nelle relazioni internazionali.
LE PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI MONDIALI
Organizzazione delle Nazioni Unite o ONU (UNO, United Nations Organization),
organizzazione internazionale basata sul reciproco riconoscimento della sovranità di ciascuno degli stati membri; secondo lo statuto è stata creata per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, per sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni, per promuovere la cooperazione in materia economica, sociale e culturale e per favorire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. I suoi membri si impegnano a risolvere le controversie in modo pacifico, ad astenersi dall'uso della forza e a sostenere le iniziative delle Nazioni Unite. Il 24 ottobre 1945 nasceva l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU la cui sede è a New York come molti suoi istituti), con lo scopo di impedire che nel mondo scoppiassero altre guerre dopo quella da cui si era appena usciti, la quale aveva causato milioni di morti e sparso orrore e distruzione ovunque.
Attualmente gli stati aderenti all'ONU sono 166, nonostante ciò l'ONU non ha impedito che scoppiassero più di duecento guerre locali nei diversi continenti.
L'ONU non ha potere sopranazionale, perciò non può imporre nulla a nessun Paese e, nel caso che qualcuno violi la Carta sottoscritta ha in pratica solo il potere di emettere pareri, approvati a maggioranza dai suoi membri.
Come organismo può stabilire sanzioni economiche contro gli Stati che violano apertamente i diritti umani; può inoltre inviare i suoi soldati (i cosiddetti caschi blu)
In caso di contrasti fra i Paesi o in occasione di guerre civili, se i contendenti sono d'accordo.
Va precisato che quest'esercito, fornito dalle varie nazioni rappresentate, non è usato per combattere ma solo per controllare sul posto che gli accordi siano rispettati.
La funzione essenziale dell'ONU è di riunire i rappresentanti del mondo intero per dare loro la possibilità di esporre pubblicamente i problemi politici, economici e di relazione con gli altri Stati, in modo da favorire la discussione, la conoscenza reciproca e, qualche volta, la soluzione delle discordie.
Qualcuno pensa che l'ONU non raggiunga sempre gli obiettivi che si prefigge, tuttavia il fatto che esiste significa che l'uomo crede nei valori della pace, della solidarietà e della cultura.
Mai, prima della fondazione di quest'organismo, si era verificato un fatto simile nella storia, mai l'uomo aveva pensato ad un'organizzazione internazionale o sopranazionale che si dedicasse a risolvere le controversie senza ricorrere alla forza.
Gli organi più importanti dell'ONU sono:
L'ASSEMBLEA GENERALE, composta da tutti gli Stati membri, si riunisce una volta l'anno, discute sui problemi più importanti inerenti la pace, i diritti umani e le situazioni politiche; esprime dei pareri ufficiali di valore morale e politico.
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA composto da quindici membri, di cui cinque sono permanenti (USA, CSI, GRAN BRETAGNA, FRANCIA E CINA) e gli altri variano ogni due anni e sono scelti dall'ASSEMBLEA GENERALE.
Il potere di prendere decisioni spetta solamente al CONSIGLIO DI SICUREZZA.
IL SEGRETARIO GENERALE è eletto ogni cinque anni dall'ASSEMBLEA ed ha il compito di rappresentare ufficialmente l'ONU.
LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA costituisce il principale organo per risolvere le controversie giuridiche che possono nascere tra gli Stati.
IL CONSIGLIO ECONOMICO SOCIALE coordina le azioni dell'ONU in campo economico, sanitario, culturale e sociale; si adopera affinché tutti i popoli abbiano garantite le libertà fondamentali.

Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) Associazione economica sovranazionale europea volta a creare un mercato comune nei settori del carbone e dell'acciaio. Fu istituita col trattato di Parigi del 18 aprile 1951, entrato in vigore il 27 luglio 1952, da Belgio, Francia, Germania Ovest, Lussemburgo, Italia e Paesi Bassi. Ideatore e primo presidente della CECA fu il francese Jean Monnet, la cui proposta di favorire l'integrazione delle industrie carbosiderurgiche della Germania Ovest e della Francia, attraverso la creazione di un unico organismo sovranazionale preposto a sovrintenderne lo sviluppo, fu recepita dal Piano Schuman del 1950. Tale organismo fu l'Alta Autorità della CECA, con ampi poteri già sotto la presidenza di Moult (1952-56) di rilanciare su grande scala l'industria carbosiderurgica dei paesi aderenti e di operare un drastico abbattimento delle rispettive barriere doganali. Il successo della CECA fece quindi da battistrada ai trattati di Roma del 1957 istitutivi della Comunità economica europea (CEE) e dell'Euratom dando vita al sistema delle Comunità europee, le cui istituzioni furono unificate dal 1° luglio 1967 sotto il coordinamento della Commissione europea.

Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF),
originariamente United Nations Children's Emergency Fund ora United Nations Children's Fund, Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia), organo sussidiario dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) creato per promuovere e tutelare il benessere dei bambini, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Istituito nel 1946 su deliberazione dell'Assemblea generale, l'UNICEF è gestito da un comitato esecutivo composto da 36 membri che determina le politiche di intervento, rivede i programmi, approva le spese, e in accordo con il segretario generale dell'ONU nomina il direttore esecutivo, il quale resta in carica per un quinquennio. L'UNICEF, che ha sede a New York, conta oggi più di 200 uffici distribuiti in 115 paesi in via di sviluppo, mentre una rete di 34 comitati dislocati nelle nazioni più industrializzate raccoglie fondi per il sostegno delle iniziative dell'agenzia. Finanziato interamente con offerte volontarie e contributi governativi, l'UNICEF concorda i propri interventi con le nazioni interessate e con tutti gli enti e le persone coinvolte, dalle agenzie governative alle organizzazioni non governative, dagli insegnanti, ai genitori, ai bambini. Più di 130 paesi ricevono oggi aiuti UNICEF per l'assistenza sanitaria, la nutrizione, l'istruzione e la realizzazione di programmi idrici e igienici.

Organizzazione mondiale della sanità o OMS (Inglese WHO, World Health Organization),
istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) fondato nel 1948 e, in base alla carta costitutiva, destinato "a dirigere e coordinare a livello internazionale gli interventi in campo sanitario" e ad aiutare tutti i popoli a raggiungere "il livello di salute più elevato possibile".

Organizzazione delle NU per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO),
United Nations Educational Scientific and Cultural Organization), istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), creato nel 1946 per promuovere il mantenimento della pace, incentivando la cooperazione internazionale nei campi della cultura, dell'educazione, delle scienze umane e naturali. L'organo principale dell'UNESCO è la Conferenza generale, composta da rappresentanti dei 181 stati membri, la quale elegge i componenti del comitato esecutivo; quest'ultimo, formato da 51 membri, nomina il direttore generale e supervisiona la realizzazione dei programmi biennali dell'istituto.

Organizzazione delle NU per lo sviluppo industriale (UNIDO, United Nations Industrial Development Organization), istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), costituito nel 1966 dall'Assemblea generale su raccomandazione del Consiglio economico e sociale. L'UNIDO, con 155 stati membri al 1992, fornisce assistenza tecnica e consultiva alle organizzazioni industriali dei paesi in via di sviluppo, con finanziamenti resi disponibili dagli stati membri e con ulteriori stanziamenti previsti dal Programma di sviluppo dell'ONU. La scarsa entità delle risorse ha tuttavia inciso negativamente sui programmi promossi dall'UNIDO. La direzione generale ha sede a Vienna.

Organizzazione meteorologica mondiale (WMO, World Meteorological Organization),
istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), costituito nel 1947 per coordinare e uniformare le informazioni meteorologiche a livello mondiale. La WMO, che nel 1988 contava 160 paesi membri, sostituì l'Organizzazione meteorologica mondiale, che aveva coordinato, a partire dal 1878, i servizi di diffusione dei bollettini meteorologici (Vedi Meteorologia) tra i paesi membri.
Organizzazione mondiale per il commercio o WTO (WTO, World Trade Organization),
organismo internazionale istituito nel 1993 a seguito dei negoziati multilaterali nell'ambito dell'Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT), per promuovere e rafforzare il libero mercato mondiale.

Organizzazione mondiale per l'alimentazione o WFC (WFC, World Food Conference),
organizzazione internazionale costituita nel 1974 dall'Assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), per sviluppare, all'interno della comunità internazionale, politiche dirette a diminuire la fame nel mondo e per migliorare le abitudini alimentari in tutti i paesi.

Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (In inglese OECD, Organization for Economic Cooperation and Development),
organismo internazionale cui partecipano 25 paesi membri, intenzionati a coordinare le proprie politiche economiche e sociali stringendo rapporti di cooperazione permanente. L'OCSE, che rende disponibili le informazioni indispensabili perché ogni paese formuli le proprie politiche nei principali settori economici, ha fra i propri obiettivi: in primo luogo, di promuovere l'occupazione, la crescita economica e il miglioramento della qualità della vita negli stati membri; in secondo luogo, di contribuire a una solida espansione economica di tutti i paesi; infine, di stimolare l'estensione del commercio mondiale su base multilaterale e non discriminatoria, in conformità con gli obblighi internazionali.

Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura o FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che ha per scopo principale di combattere la fame nel mondo. Secondo il suo statuto, i principali obiettivi sono "elevare i livelli di nutrizione e gli standard di vita... e assicurare il miglioramento nell'efficienza della produzione e della distribuzione di ogni tipo di alimento e dei prodotti agricoli...".

LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI UMANI
Il 10 dicembre 1948 l'ONU ha approvato un documento molto importante: la DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI. Essa afferma che tutte le persone, chiunque siano e dovunque si trovino, devono avere la possibilità di vivere in modo sicuro, libero e pacifico.
La DICHIARAZIONE è strutturata in tre parti: il PREAMBOLO (introduzione), la PROCLAMAZIONE e infine, la LISTA DEI TRENTA ARTICOLI.
Nel PREAMBOLO sono esposti motivi che hanno spinto l'ONU ad approvare il documento; tra l'altro vi si legge:
* Il nostro più grande scopo deve essere un mondo in cui gli esseri umani abbiamo il diritto di dire quello che pensano, di scegliere in che cosa credere e di vivere senza timori e senza bisogno.
* I diritti umani devono essere difesi dalla legge.
Nel corso dei secoli gli uomini hanno combattuto per la propria emancipazione ed oggi possiamo affermare che non c'è più l'idea astratta di libertà ma si parla di diritti dei fanciulli, delle donne, degli anziani, dei malati, degli handicappati............ insomma diritti specifici.
Anche nel campo dello sviluppo della scienza e della tecnica sono emersi nuovi diritti: diritto alla verità dell'informazione, diritti degli animali, diritto alla difesa del patrimonio genetico........... .
Il problema più grave rimane in ogni modo quello di proteggere i diritti fondamentali dell'uomo, per impedire che siano violati, nonostante le leggi di ogni singolo Stato.
È difficile, laddove si muore di fame o ci sono le guerre, parlare di diritti umani.
Occorre creare in questi paesi le condizioni storiche, economiche e sociali che garantiscano un progresso generalizzato.
ITALIANO
In letteratura italiana molti poeti si sono ispirati o comunque hanno dedicato molte opere alla donna da loro amata, due fra tutti Dante e Petrarca che sulle loro donne si basa la gran parte della loro poetica
FRANCESCO PETRARCA E IL CONFRONTO CON DANTE ALIGHIERI
Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, da padre notaio in esilio da Firenze. Ad otto anni si trasferì ad Avignone, dove cominciò i suoi studi. A dodici anni fu inviato all'università di Montpellier per gli studi di diritto, e a sedici all'università di Bologna. A ventidue anni, alla morte del padre, tornò ad Avignone. Questo continuo viaggiare lo porta a contatto con diversi ambienti culturali, cosa che gli permetterà di svincolarsi dal municipalismo dantesco e di entrare in una dimensione europea. Il Petrarca era molto appassionato dei classici antichi, in particolare di Virgilio e Cicerone, la cui lingua aveva a tal punto interiorizzato da scrivere i propri appunti ed esprimere i suoi sentimenti più intimi in latino. Ma allo stesso tempo la sua vita fu condizionata dalla lettura delle Confessioni di S. Agostino, nel cui tortuoso percorso spirituale il Petrarca si riconosceva. Dobbiamo infatti distinguere due produzioni del Petrarca: una in latino, alla quale appartengono le Epistule, il Secretum, l'Africa, il De vita solitaria, e l'altra in volgare alla quale appartengono il Canzoniere e una serie di opere minori. Il 6 aprile 1327 avviene l'incontro con Laura nella chiesa di S. Chiara ad Avignone. Proprio a questa donna, vera o fittizia che sia, si ispirerà tutta l'opera del Canzoniere. Dopo di che per garantirsi un relativo benessere economico senza lavorare, prende gli ordini minori. In questo periodo si svolgono i viaggi che si concluderanno attorno al 1336 con il ritiro in otium in Valchiusa, dove compone il De vita solitaria e altre opere in latino e in volgare. Nel 1341 a questo momento di ricerca spirituale si oppone l'incoronazione di poeta nel Campidoglio, che concretizza il suo forte desiderio di gloria terrena (la stessa Laura può essere intesa come L'aura, ovvero la gloria). Nel 1343 il fratello Gherardo si ritira in convento. Questo causa nel Petrarca una profonda crisi interiore, poiché vedeva nel fratello una sorta di alter ego in cui rispecchiarsi. Ciò lo porta ad una profonda revisione della sua vita, e in particolare emerge sempre più drammatico il dualismo tra il desiderio di amore e di gloria terrena, valori tramandati dalla lettura dei classici, e il desiderio di abbandono spirituale in Dio, insegnatogli dalle Confessioni. Per questo Petrarca è considerato la vittima del passaggio dalla cultura teocentrica medievale alla cultura antropocentrica umanistica. Dopo la morte di Laura nel 1348, Petrarca incomincia la sua peregrinazione nelle corti delle varie signorie italiane, senza mai farsi condizionare o esserne influenzato. Muore nel 1374 a Padova, secondo la tradizione mentre leggeva Virgilio.
Le opere
I testi a cui è affidata la fama maggiore del poeta sono le poesie in volgare italiano (Petrarca è il perfezionatore della lingua poetica italiana iniziata dai Siciliani e portata avanti dai poeti toscani e da Dante). Sono i versi raccolti nel "Canzoniere" (366 testi, composti nel corso della sua intera vita e messi insieme negli ultimi anni) e nei "Trionfi" (un ambizioso poemetto composto a partire dal 1340 e curato fino alla morte). Altre rime, non comprese nel Canzoniere, sono state raccolte dai posteri col titolo di Extravaganti. Tutto il resto della produzione di Petrarca è in latino.Un primo gruppo di testi sono le "Lettere": corrispondenza reale, con amici, letterati e protagonisti della vita politica europea del XIV secolo, e corrispondenza "ideale", con i grandi spiriti del mondo antico. Quelle composte fino al 1361 sono raccolte in 24 libri, con il titolo complessivo di "Rerum Familiarum libri"; le "Seniles" invece raccolgono la maggior parte dei testi posteriori; le "Variae" tutte quelle che non sono entrate nelle due raccolte maggiori.Un secondo gruppo sono le poesie latine: il poema in esametri "Africa", dedicato a celebrare la figura di Scipione l'Africano; le "Epistolae Metricae", il "Buccolicum Carmen" (imitazione virgiliana).In un terzo gruppo si possono raccogliere operette di carattere polemico, spesso con forti risvolti autobiografici: "Invectivae contra medicum" (1353/54); "Invectiva contra quendam magni status hominem sed nullius scientiae aut virtutis"(1355); "De sui ipsius et multorum ignorantia" (1367); "Invectiva contra eum qui maledixit Italiae".Un quarto gruppo sono le opere di erudizione e di compilazione: il "De viris illustribus" (iniziato nel 1338, e composto di 37 biografie di personaggi romani, biblici e mitologici); il "Rerum memorandarum libri" (1343-45: sono esempi di virtù e vizi proposti mediante aneddoti storici e letterari; l'opera è però incompiuta); l' "Itinerarium breve de Ianua ad Ierusalem et terram sanctam" (1358: una sorta di guida archeologico-geografica sul viaggio dall'Europa alla Palestina).Un ultimo gruppo sono testi di carattere filosofico e spirituale. Fra queste il più importante è il "Secretum" (o "De secreto conflictu curarum mearum"), iniziato nel 1342/43, e ritoccato più volte, che costituisce la riflessione più compiuta del Petrarca su se stesso, la morte, il desiderio di gloria e di amore, la caducità dell'uomo. Poi il "De vita solitaria" (1346) e il "De ocio religiosorum" (1347), dedicati all'esaltazione della vita monastica (a cui si era dedicato il fratello Gherardo). Infine i "Psalmi poenitentiales" (1348: sono preghiere) e il "De remediis utriusque fortunae" (1354-1356: una meditazione sulla necessità di resistere alle avversità e di non fidarsi della buona sorte).
Il Canzoniere
Il Canzoniere è un'opera in volgare composta da 366 liriche, di cui 263 composte prima della morte di Laura e 103 dopo la morte. I componimenti sono per lo più sonetti, ma ci sono anche ballate, canzoni, madrigali. Come dice nel sonetto di apertura del Canzoniere, "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono"questi componimenti non sono collegati fra loro (rime sparse) come quelli di Dante nella "Vita Nova", raccordati da pezzi in prosa. Inoltre essi rispecchiano i vari stati d'animo del poeta, tra illusioni e disillusioni di un amore non corrisposto (come ad esempio nei due sonetti gemelli 61 e 62 "Benedetto sia 'l giorno 'l mese e l'anno" e "Padre del ciel, dopo i perduti giorni", in cui si può vedere una netta contrapposizione degli stati d'animo del poeta). Il tema principale del Canzoniere è l'amore per Laura, ma si potrebbe anche intendere come il desiderio di gloria del poeta poiché il nome Laura si può intendere anche come L'aura, cioè la gloria, poiché con un rametto di lauro viene incoronato il sommo poeta. A differenza del dolce stil novo, in cui il protagonista è lo stato d'animo, in Petrarca è il conflitto interiore del poeta, diviso tra i fini materiali della vita (amore e gloria) e aspirazione al misticismo in Dio
PETRARCA E DANTE A CONGRONTO
due figure a confronto:
Dante è un intellettuale cittadino, legato ai rigidi schemi medievali, mentre Petrarca è un intellettuale cortigiano, cosmopolita, e vive in un periodo di transizione (medioevo-umanesimo rinascimento), e rifiuta appunto gli schemi fissi del medioevo e della Scolastica. Si evince che l'orientamento di Dante è quello tomistico, mentre Petrarca si identifica meglio nell'agostinianesimo.
due personalità a confronto:
Dante riesce, con la Commedia, a compiere la reductio ad unum, a conseguire l'unità, mentre Petrarca resta segnato dal suo profondo dissidio interiore, e non riesce a conciliare il divario tra amore -amore sensuale, carnale- e religione.
due poeti a confronto:
la donna dantesca è la donna angelica, aspirazione alla bellezza divina, eterna, mentre quella petrarchesca subisce l'azione del tempo, e, nonostante risenta dell'influenza stilnovistica, fa parte della realtà sensibile, e Petrarca la inserisce in una prospettiva decisamente naturalistica (Chiare, fresche e dolci acque).
due stili a confronto:
il plurilinguismo dantesco contrapposto all'unilinguismo petrarchesco, due stili diversi maturati in base all'esperienza di vita dei due poeti.
Beatrice e Laura evocatrici di due mondi
Essere per Laura o per Beatrice, considerare l'una o l'altra la donna poetica più grande non ha, in sé, molta importanza. Quel che conta in realtà è che sia riconosciuto il rilievo a tutto tondo di queste due figure femminili, famose come i loro creatori, in grado di richiamarli alla memoria per immediata associazione mentale. È certo che Beatrice e Laura sono riuscite a diventare più grandi di quanto i loro stessi cantori pensavano sarebbero diventate: sono le evocatrici di due mondi, di due modi di fare cultura, di due epoche della storia d'Europa.
Ma non solo. Vorrei qui riflettere su come questi due personaggi possono inviare nuova luce su un certo modo di intendere i loro creatori. Dante e Petrarca sono anche amici di Beatrice e Laura, innamorati fedeli per tutta un'opera e una vita, e con queste due donne hanno condiviso un'avventura più unica che rara nella storia della letteratura occidentale: essere al tempo stesso autori e protagonisti della propria opera. Dante con la Vita Nuova e la Commedia; Petrarca con il Canzoniere e i Trionfi. Non a caso, entrambe opere in lingua volgare
Beatrice e Laura specchi dei propri autori
Beatrice e Laura riflettono come due specchi limpidi gli autori che le hanno create: Dante e Petrarca, ultimo grande rappresentante del Medioevo il primo, e primo nuovo intellettuale dell'Umanesimo il secondo. In Dante non c'è ancora Umanesimo, ma c'è amore per i grandi classici di un tempo remoto, o meglio della grande poesia in senso universale. In Petrarca invece c'è già il senso del distacco da un'epoca che doveva chiudersi, che doveva lasciare spazio a un'alba nuova: quest'epoca è il Medioevo. In questo senso Petrarca, sentendosi un iniziatore, colui che aprirà un capitolo nuovo del pensiero letterario occidentale, intuisce che deve in qualche modo staccarsi, distanziarsi da Dante.
Laura, un nuovo tipo di gentildonna
Così Petrarca opera questo distacco dal maestro Dante attraverso la sua più bella creatura poetica, Laura, distinguendo la sua dama, la sua figura femminile protagonista, da tutte le gentili donne create fino a quel momento. E quale via migliore poteva avere del confronto diretto con Beatrice, sintesi e superamento di tutte le 'gentili dame' della poesia d'amore del passato? Eppure a Beatrice, inevitabilmente, Laura almeno in parte finirà per somigliare. Vediamo come.
Mai veramente descritta nei suoi tratti fisici Beatrice; famosa soprattutto per la sua bellezza, dai lineamenti vivi e dai colori solari, Laura. In loro anche visivamente si convogliano i nuclei dei due pensieri, dei due filoni di una civiltà di cui siamo eredi nell'Europa odierna. Sono alle nostre origini, vediamo dunque, due modi forse non antitetici, ma ben diversi, di mettersi in relazione con l'altro, anzi con la vita stessa. Profondo, analitico e legato alla sorgente interiore il linguaggio di Beatrice: è il linguaggio della conoscenza di sé. Che è anche la meta indicata dalla donna di Dante, raggio di luce che conduce verso il cielo, la dimensione divina, e non distoglie mai dalla vera vita, che non è quella terrena.
Più immediatamente suggestiva, ma col rischio di restare in superficie e forse di innamorarsi della propria stessa bellezza è Laura, e i suoi sostenitori potrebbero sembrare a una prima occhiata fautori di un amore senza autoanalisi, affidato alla festa delle percezioni sensoriali, non finalizzato ad altro scopo. Eppure anche Laura è tramite di una conoscenza di sé, dei propri limiti e insieme della propria, sia pur non eterna, ricchezza espansiva: la sua bellezza trasparente, morbida e luminosa, comprende in sé la natura delle stagioni più belle e potrebbe anticipare l'idea di apprezzamento e rispetto per l'ambiente che nasce proprio oggi, al culmine della cultura d'Europa.
Una diversa visione della morte e dell'aldilà
Su questa scia vanno letti anche i due diversi rapporti con la morte e l'aldilà, che le due donne implicitamente rispecchiano. Beatrice vive il suo pieno splendore solo dopo essere morta, e così annuncia l'autentica felicità promessa dalla conoscenza del proprio essere profondo. Ed è proprio da morta, paradossalmente, che raggiunge il culmine della sua visività, essendo descritta nello splendore trionfale in cui appare a Dante nel Paradiso Terrestre. Lì per l'unica volta Dante ritiene sia il momento di rivelarci il colore dei suoi occhi: verdi, come smeraldi splendenti.
Così le tre fanciulle che simboleggiano le tre virtù teologali dicono al pellegrino giunto fino al Paradiso terrestre e finalmente di nuovo di fronte a Beatrice. Ma potrebbe essere un trabocchetto simbolico, una trasfigurazione di quei modi, ereditati dal grande canto cortese, di lodare la propria donna in poesia. Ancora una volta, un modo per ribadirci che i suoi occhi sono così sfavillanti, come due gemme preziose, perché sono specchi della luce divina, emanazione diretta dell'energia del Paradiso celeste. Quindi, ancora un modo per dirci che Beatrice non è donna di questo mondo di illusioni brevi e amori non durevoli, ma del mondo della verità, eterno, perfetto. E che quello guardando verso quello ci spinge.
Laura invece vive nel presente naturale di un Paradiso Terrestre non nominato come tale ma di fatto Eden assoluto, uno scenario primaverile ed estivo, la stagione più bella sua e del mondo, ma la sua morte non è continuità di legame amoroso dal cielo, bensì è tragico scandalo della fine di ogni terrena espansione.

Confronto fra Dante e Petrarca in base ai sonetti “Tanto gentile e tanto onesta pare” (Vita nuova) e “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” (Canzoniere)
Analogie fra i due testi:
In entrambi i testi è presente una descrizione fisica della donna; molto marginale in Dante, prevalente in Petrarca. Dante descrive lo sguardo, l’andatura e il saluto di Beatrice, Petrarca attacca con una descrizione dei capelli di Laura e prosegue descrivendone la luce degli occhi e rilevando come con il tempo essa stia diminuendo, le espressioni del viso che sembrano dimostrare attenzione per ciò che il poeta prova. Nelle due terzine Petrarca descrive l’incedere e la voce di Laura come fenomeni celestiali, e non terreni, e sembra quindi avvicinarsi alla corrente dello Stil Novo a cui appartiene Dante distaccandovisi poi con gli ultimi due versi nei quali, ribadendo l’azione del tempo sulla bellezza di Laura, si conferma però l’intensità dell’amore nei suoi confronti: il poeta parla addirittura di una ferita, quindi di un aspetto fisico, riguardante il corpo, che non si rimargina.
In Dante, invece, vediamo che gli aggettivi che egli attribuisce all’amata sono perlopiù riferiti alla spiritualità di Beatrice: “gentile” e “onesta” (v. 1), “benignamente d’umiltà vestuta” (v. 6), “piacente” (v. 9), “spirito soave pien d’amore” (v. 13). Questa componente spirituale è esplicitamente sottolineata dal poeta quando nei versi 7 e 8 scrive: “e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare.”. Dante, a differenza di Petrarca che descrive gli effetti che Laura produce su di lui, rileva gli effetti che Beatrice produce sulle persone che incontra o che saluta: “ch’ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare” (vv. 3 e 4), “sentendosi laudare” (v. 5), una lode che in lei non produce superbia, poiché è umile.
Differenze fra i due testi:
Un’altra differenza oltre a quelle già evidenziate, riguarda l’uso del tempo. Dante usa infatti il presente, rilevando una visione atemporale, mentre Petrarca fa uso sia del presente che del passato: questo sta a significare che per Petrarca il tempo ha un valore e che egli si accorge dei mutamenti della realtà in relazione al tempo. Petrarca inoltre descrive i sentimenti provati nel corso del tempo, mentre Dante registra l’inadeguatezza delle parole a descrivere l’eccezionalità della presenza di Beatrice e degli effetti che produce: “Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ‘ntender no la può chi non la prova” (vv. 9, 10 e 11).
INGLESE
Nineteen eighty-four: a novel by George Orwell
Biography
George Orwell (1903-1950) was born Eric Arthur Blair in 1903 in Motihari, Bengal, India. In 1904 Orwell moved with his mother and sister to England where he remained until 1922. He began to write at an early age, and was even published in college periodicals, but he did not enjoy schoolWhen Orwell returned to Europe he was in poor financial condition and worked low paying jobs in France and England. Finally, in 1928, he decided to become a professional writer. During the1930s Orwell had adopted the views of a socialist and travelled to Spain to report on their civil war. During the second World War Orwell served as a sergeant in the Home Guard and also worked as a journalist for the BBC. It was toward the end of the war that he wrote Animal Farm, and when it was over he moved to Scotland. It was Animal Farm that made finally Orwell prosperous. His other world wide success was Nineteen Eighty-Four, which Orwell said was written "to alter other people's idea of the kind of society they should strive after." Sadly Orwell never lived to see how successful it would become. He died from tuberculosis in London on January 21, 1950.
The plot
The plot has three main movements, corresponding to the division of the book in three parts. The first part, the first eight chapters, creates the world of 1984, a totalitarian world where the Party tries to control everything, even thought and emotion. In this part, Winston develops his first unorthodox thoughts. The second part of the novel deals with the development of his love to Julia, someone with whom he can share his private emotions. For a short time they create a small world of feeling for themselves. They are betrayed, however. O'Brien, whom Winston thought was a rebel like himself, is in reality a chief inquisitor of the Inner Party. The third part of the novel deals with Winston’s punishment. Finally he comes to love Big Brother.
Love instinct: a dangerous feeling
The Party was trying to kill sexual attraction, or, if it could not be killed, then to distort it and dirty it.
The aim of the Party was not merely to prevent men and women from forming loyalties which it might not be able to control. Its real, undeclared purpose was to remove all pleasure from the sexual act. The true love instinct was dangerous to the Party. Julia had grasped the inner meaning of the Party's sexual puritanism. What was more important was that sexual privation induced hysteria, which was desirable because it could be transformed into war-fever and leader-worship. The sex instinct will be eradicated. Procreation will be an animal formality like the renewal of a ration card.
Geografia astronomica
Nella introduzione a questo lavoro ho descritto come l’amore possa essere un sentimento che nell’esperienza di un giovane può rappresentare un assoluto che riempie l’intera vita, che finisce quindi con il confrontarsi inevitabilmente con l’infinito. A questa forza potente, si contrappone l’altro grande infinito della nostra esperienza che è in grado porre fine a questo sentimento, ovvero la morte, come avviene nel caso del mito di Orfeo ed Euridice. Il mito di Orfeo narra infatti di un lutto irrisolto, ovvero narra il contrasto tra il rifiuto della morte (Orfeo) e quindi l’incapacità di predisporsi al pianto del lutto, e la serena accettazione (Euridice) della propria fine. In questo caso l’amore è una forza prepotente che finisce per orientare Orfeo verso una condizione di isolamento, a rifiutare tutte le altre donne in fedeltà assoluta alla donna perduta, ed infine alla morte vera e propria (Orfeo infatti verrà ucciso per vendetta dalle baccanti per il suo continuo rifiuto nei loro riguardi).

In questo senso il mito di Orfeo ed Euridice è un forte monito contro il potere dell’amore che in alcuni casi può essere orientato verso obiettivi che portano a valori negativi che compromettono lo sviluppo dell’uomo e della società da lui create.
Esempi di amore orientato verso una condizione mortale sono il narcisismo: l’eccessivo amore verso se stessi porta il narcisista al rifiuto del mondo fino ad arrivare alla propria morte (come ci ricorda il relativo mito).
O ancora l’amore per la morte e la sua esaltazione (tipica di tutti i movimenti politici autoritari), la suggestione del senso della potenza si traduce in rapporti sociali che anziché basarsi sul senso di amore e rispetto reciproco vengono costruiti sulla base di rapporti di reciproca dipendenza (ad esempio nell’amore sado-masochista, o ancora nella relazione tra il capo ed il dipendente, il leader ed il popolo). In un mondo il cui le relazioni tra le persone si riducono a rapporti di potere viene a mancare il sentimento di giustizia, di indipendenza, di vera libertà.
La lira:una costellazione creata da zeus per rendere omaggio a un grande innamorato
Il mito
Per gli antichi Greci l'inventore della lira fu Hermes (Mercurio). Apollo donò la lira ad Orfeo, figlio del re tracio Eagro e di Calliope, la musa della musica. Le stesse Muse avevano insegnato ad Orfeo la musica ed egli era diventato così bravo che con le sue note ed i suoi canti era in grado di ammansire gli animali selvaggi e di far ondeggiare dal piacere sia le piante che le pietre.
Grazie alla sua musica, Orfeo aveva prima conquistato e poi aveva sposato la bella Euridice filia di Nereo e di Doride. Il destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo. Infatti un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandole la morte istantanea. Orfeo, distrutto, non potendo sopportare di vivere senza sua moglie, cominciò a suonare musiche così tristi da rattristare ogni essere vivente e da far piangere le montagne e gli dei.
Zeus, commosso, permise ad Orfeo di scendere negli Inferi per convicere il dio Ade a restituire Euridice alla vita. Grazie alla sua musica ed al suo canto, Orfeo ruscì ad incantare Caronte, Cerbero, tutte le creature infernali, la regina Persefone ed addirittura il dio Ade, il quale acconsentì a far ritornare Euridice nel mondo dei vivi....ma pose una condizione: durante il viaggio di ritorno verso la superficie, Orfeo avrebbe dovuto camminare davanti ad Euridice, MA non si sarebbe mai potuto voltare indietro a guardarla finquando non fossero giunti in superficie nel mondo dei vivi, altrimenti ad Euridice non sarebbe stato permesso di ritornare in vita (questo vincolo fu posto perchè Ade non voleva che un mortale scoprisse il segreto della vita...).
Orfeo, distrutto, non potendo sopportare di vivere senza sua moglie, cominciò a suonare musiche così tristi da rattristare ogni essere vivente e da far piangere le montagne e gli dei.
Zeus, commosso, permise ad Orfeo di scendere negli Inferi per convicere il dio Ade a restituire Euridice alla vita. Grazie alla sua musica ed al suo canto, Orfeo ruscì ad incantare Caronte, Cerbero, tutte le creature infernali, la regina Persefone ed addirittura il dio Ade, il quale acconsentì a far ritornare Euridice nel mondo dei vivi....ma pose una condizione: durante il viaggio di ritorno verso la superficie, Orfeo avrebbe dovuto camminare davanti ad Euridice, ma non si sarebbe mai potuto voltare indietro a guardarla finquando non fossero giunti in superficie nel mondo dei vivi, altrimenti ad Euridice non sarebbe stato permesso di ritornare in vita (questo vincolo fu posto perchè Ade non voleva che un mortale scoprisse il segreto della vita...). Orfeo promise di rispettare il patto e cominiciò il ritorno verso la superficie...ma ad un certo punto, spinto dalla curiosità, Orfeo non resistette oltre e decise di voltarsi per assicurarsi che Euridice fosse veramente dietro di lui...come egli si girò, Euridice fu immediatamente ritrascinata nel regno dei morti...ed a lui fu impedito di scendere nuovamente negli Inferi.
Orfeo, sconsolato e triste, iniziò a vagare per i boschi della Tracia e qui fu sorpreso da dei briganti che lo uccisero per derubarlo.
Affinchè i posteri si ricordassero per sempre di questo stupendo artista, Zeus decise di porre in cielo la lira di Orfeo ed essa divenne la costellazione di Kitara, ovvero Tartaruga, nome ispirato dalla cassa armonica dello stesso strumento inventato da Hermes.
La costellazione
La lira è una piccola costellazione, dato che copre 286 gradi quadrati; la si individua sul bordo occidentale della Via Lattea, ad ovest del Cigno, tramite la sua stella più brillante, Vega, la alfa. È ben osservabile da maggio ad ottobre ed anzi, alle nostre latitudini, nei mesi estivi è praticamente allo zenit.
Ermete avesse creato la prima lira, o cetra, usando appunto la corazza vuota di una tartaruga. La costellazione ebbe pure il nome di "avvoltoio in picchiata" e le raffigurazioni spesso mostrarono un avvoltoio che tiene una lira. Del resto, il nome della stella Vega sembra derivi da quest'ultima interpretazione, dato che alcuni ritengono che il suo nome provenga da Al Nasr al Vaki che avrebbe lo stesso significato. È abbastanza giusto iniziare la descrizione della costellazione dalle sue stelle più significative: alfa Lyr, Vega, è la quinta stella più luminosa di tutto il cielo: con Deneb (alfa Cyg) ad oriente ed Altair (alfa Aql) a sud, costituisce il "grande triangolo" dei mesi estivi: la sua magnitudine apparente è 0,04 ed ha colore bianco; dista da noi circa 27 anni luce. A causa della precessione degli equinozi, cioè del lento spostamento dell'orientamento dell'asse di rotazione terrestre nello spazio,
Vega fu la Stella Polare circa 14 mila anni fa e lo diverrà di nuovo tra 12 mila anni. Per di più, il Sole col suo codazzo di pianeti si sta muovendo con la velocità di circa 30 km/s approssimativamente nella sua direzione (apice solare).
Il metodo interferometrico ha permesso anche di misurare il diametro angolare della stella (cioè l'angolo sotto il quale viene visto il diametro reale dalla Terra) ed il risultato è 0",0037 !
Nota la distanza, si deduce che il diametro reale è circa tre volte quello del nostro Sole. Ricordiamo infine che Vega fu la prima stella ad essere fotografata all'Osservatorio di Harvard.
La seconda stella della costellazione per luminosità apre anche il capitolo delle stelle variabili: è la stella beta Lyrae, la variabile ad eclisse che è divenuta il prototipo d'una classe di cedeste stelle, detta delle Liridi. La sua luminosità varia con continuità, dal massimo (magnitudine 3,25) al minimo principale (4,36) per risalire e poi scendere verso il minimo secondario (magnitudine 3,8) per risalire ancora e chiudere il ciclo in 12,9 giorni.
In realtà, il sistema di beta Lyr non è facilmente interpretabile; la primaria è una stella biancazzurra, ma la compagna è ancora da chiarire cosa sia: è probabile che una gran quantità di materia sfugga dalla primaria, inviluppi la secondaria su cui in parte cade, mentre parte esce dall'intero sistema nello spazio.
La beta Lyr è pure una doppia, larga; una compagna di 8,5 è visibile a quasi 46" di distanza.
L'altra attrattiva della Lira sta nella doppia-doppia epsilon1'2 : è un grado e mezzo a nord-ovest di Vega; con un binocolo si distinguono le due componenti, dato che sono separate di 3',5. Al telescopio, poi, si capisce che ciascuna a sua volta è doppia, in lentissimo moto orbitale. Anche la zeta Lyr, pure vicina a Vega, ma da sud-ovest, risulta essere una doppia larga: le sue componenti bianche, di magnitudine 4,4 e 5,7 sono separate di 44". Le componenti di ni Lyr, a sud della beta Lyr, sono già visibili staccate nel binocolo, mentre facile è pure eta Lyr, perché la primaria, di 4,4 ha una compagna di ottava a 28'.
Tra le stelle variabili ecco la 13 Lyr, ora nota come R Lyr, rossa variabile semiregolare tra 3,9 e 5,0 in circa 46 giorni; pure luminosa è la XY Lyr, variabile irregolare tra 5,8 e 6,4.
Tra gli oggetti non stellari, due appaiono essere interessanti: il primo è M56, un ammasso globulare, situato nella parte sud-est della costellazione, tra beta Cyg e gamma Lyr; è un oggetto abbastanza brillante (magnitudine 9) ed ha un diametro di circa 2'. Scoperto da Messier nel 1779 e da lui classificato "nebulosa senza stelle", fu risolto in una miriade di stelline cinque anni dopo da W. Her-schel.
Passiamo ora al secondo oggetto: è M57, la famosa "Nebulosa Anulare", in pratica una nebulosa planetaria; così la giudicò l'astronomo Darquier che nel 1779 la scoprì e ne descrisse l'aspetto di disco, grande come Giove e somigliante ad un pianeta. Si localizza tra le stelle beta e gamma, un po' più vicina alla prima.
Le sue dimensioni angolari sono di 80"x60" e la magnitudine intorno alla nona. Al centro si vede una stellina di magnitudine 14, molto calda, responsabile principale della luce emessa dal gas di cui la nebulosa si compone a bassissima densità.
Si ritiene che essa sia stata espulsa dagli strati superficiali della stella, la quale ora non potrebbe più produrre energia termonucleare e dovrebbe terminare la sua esistenza come nana bianca. Si è misurata pure la velocità con cui la nebulosità si espande e, supponendo che sia rimasta costante sin dall'inizio, si calcola che l'espulsione sia avvenuta intorno ai 20 mila anni fa.
Matematica/Fisica

In conclusione di questa esplorazione del sentimento dell’amore, vogliamo però ricordare che la funzione primaria dell’amore è quella di orientare l’uomo verso la vita, la crescita, l’apertura al mondo e l’accettazione del prossimo, verso la natura, a coltivare il senso di giustizia ed il sentimento di libertà ed indipendenza. L’AMORE E’ LA FORZA CREATRICE PER ECCELLENZA. Ci sarebbe vita senza amore?
Si è allora scelto, per meglio evidenziare questo contrasto, di contrapporre ad un mito della mitologia antica un mito della scienza moderna: la nascita dell’equazione d’onda di Erwin Schrödinger.
La fisica all’inizio del secolo scorso
A partire dai primi anni del novecento la storia della fisica conosce una crisi profonda dovuta al fatto che l’uomo incomincia ad esplorare il mondo dell’infinitamente piccolo (a dimensione atomica e sub-atomica) e dell’infinitamente grande (a dimensione cosmica) che presenta comportamenti del tutto indecifrabili se si usano le tradizionali equazioni di Newton. Nel mondo della ricerca sub-atomica ci si rese subito conto che il modello di atomo come piccolo sistema planetario in miniatura proposto dal fisico danese Niels Bohr nel 1913 era del tutto inadeguato a spiegarne il comportamento, ed inoltre era del tutto inconsistente con le equazioni della fisica classica (le quali prevedono, ad esempio, che l’elettrone precipiti sul nucleo).

Nel 1925 questa situazione frustrante di stallo venne superata dal guizzo geniale di un fisico austriaco quasi quarantenne.
Tra gli studiosi della storia della matematica è nota una legge che conosce veramente poche eccezioni: il contributo creativo migliore viene dato da matematici in giovane età. Una di queste eccezioni è attribuita a Erwin Schrödinger.
Un mito della scienza moderna
Il grande fisico austriaco passò le vacanze di natale del 1925 in Svizzera in compagnia di una sua ex il cui nome è rimasto ignoto, ma di cui sicuramente la moglie doveva conoscere qualcosa, ma la cosa che interessa ai nostri fini è che a seguito di quella esperienza amorosa il nostro fisico ha ritrovato una seconda giovinezza, e come da lui stesso ammesso, nuove energie creative che lo portarono da li a poco a formulare l’equazione che permise di entrare nel dettaglio della struttura degli atomi.

Da un punto di vista matematico l’equazione dice semplicemente che Hψ=Eψ, dove H è un operatore (hamiltoniano) che rappresenta l’energia totale dell’atomo ed E i livelli energetici dell’atomo stesso. In particolare l’equazione di Schrödinger è una equazione differenziale le cui soluzioni descrivono nel tempo e nello spazio "entità" in movimento quali possono ad esempio essere gli elettroni di un atomo. Risolvere tale equazione, ove sia possibile, permette di risalire alle mappe di densità elettronica che descrivono la probabilità di trovare gli elettroni in determinati punti dello spazio.

Lo sviluppo dell’equazione è chiaramente al di fuori della portata del nostro contesto, tuttavia l’idea di base su cui si fonda può essere in parte compresa usando gli strumenti matematici a noi noti.
Bisogna infatti considerare che il punto fondamentale del lavoro di Schrödinger fu quello di partire dall’ipotesi del 1923 di Louis de Broglie (allora ancora poco nota e non da tutti accettata) che gli elettroni fossero allo stesso particelle ed onde. Partendo dalla descrizione degli elettroni come onde stazionarie attorno al nucleo bisogna imporre particolari vincoli, uno dei quali è abbastanza semplice da capire: ciascuna di queste onde deve possedere la proprietà della continuità.
Continuità
Possiamo dire, in matematica, che una funzione possiede la proprietà della continuità se è possibile “tracciarla senza mai staccare la matita dal foglio”, ovvero non deve presentare salti e discontinuità. Applichiamo allora questo vincolo al caso dell’atomo più semplice esistente in natura: l’idrogeno. Consideriamo allora l’elettrone come una corda che vibra attorno al nucleo, il vincolo della continuità impone allora che gli estremi di questa corda coincidano formando un anello continuo. Sotto queste ipotesi quando la corda vibra al suo livello energetico stazionario più basso, essa deve farlo formando esattamente mezza lunghezza d’onda (in modo che i nodi della onda coincidano con gli estremi della corda-elettrone), il secondo livello energetico sarà possibile ottenerlo ammettendo una vibrazione che generi esattamente una lunghezza d’onda, il terzo livello energetico ammettendo una vibrazione di una lunghezza e mezza e così via. si può dire quindi che per ciascun livello di energia è rappresentato da una soluzione ammissibile dell’equazione che rappresenta la popolazione elettronica corrispondente a quella energia. Per concludere bisogna tuttavia dire che nella pratica una soluzione dell’equazione di Schrödinger è possibile solo in casi semplici, mentre nella maggior parte dei casi si fa ricorso a soluzioni che sono frutto di innumerevoli compromessi e semplificazioni. Solo col continuo progredire degli strumenti di calcolo sarà possibile estendere la risoluzione rigorosa a casi sempre più complessi.

Un’ultima osservazione appare inevitabile: perché parlare di un fisico per trattare di un argomento di matematica? In effetti esiste una relazione molto stretta e particolare che lega la matematica alla fisica. Il padre fondatore della fisica (ovvero del metodo sperimentale), Galileo Galilei (nel saggiatore, tardo rinasciemento), disse che la natura si esprime attraverso la matematica, e questo assunto sta alla base, ancora oggi, di molta parte della ricerca scientifica.
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