Roma e l'avvento dell'impero

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Roma e l’avvento dell’impero

Augusto, primo imperatore dei romani, nipote di Cesare, che lo adottò nel 45 a.C. dichiarandolo suo erede. Alla morte di cesare, Augusto formò il secondo triumvirato con Antonio e Lepido. A fianco di Antonio batté, a Filippi nel 42 a.C. gli uccisori di Cesare, Bruto e Cassio; mentre, ad Azio, sconfisse Antonio e rimase padrone del mondo romano e dell’Egitto. Mise fine alla guerra civile e, necessariamente, orientò la politica verso la forma monarchica, accentrando in sé tutti i poteri, pur conservandone la distinzione. Il Senato e il popolo romano gli decretarono il titolo di Augusto (consacrato agli àuguri) nel 27 a.C. e di imperatore. Così la repubblica, pur vantando nuove conquiste territoriali come la Gallia e parte dell’Asia, lasciò il 16 gennaio del 27 a.C. il posto all’impero di Ottaviano Augusto.
Nei suoi rapporti con le istituzioni statali, Augusto, diversamente da Cesare, del quale non possedeva la battagliera impetuosità, si comportò con estrema cautela scelse le raffinate strategie politiche piuttosto che le azioni impulsive. Augusto, che allora era ancora Ottaviano, memore della tragica fine di Cesare, e sapendo di muoversi su un terreno assai difficile e infido; affrontò la situazione con una strategia politica che può essere riassunta in due punti principali.
Restaurò, ma solo in apparenza, la repubblica, conservando la magistratura ed esaltando il Mos Maiorum; in realtà istituì delle nuove istituzioni di tipo monarchico. Con questo tipo di politica, fece sì di ottenere un accordo con il Senato, lasciandogli una posizione privilegiata ma emarginandolo politicamente. Nel 27 a.C. Augusto proclama la restaurazione della repubblica ma in realtà proclamava la nascita di una monarchia con istituzioni apparentemente repubblicane, ma con i poteri accentranti nelle mani di una sola persona. Augusto attua delle riforme al fine di migliorare gli strumenti operativi, per un buon funzionamento dello stato imperiale. Innanzi tutto creò le basi di una struttura burocratica al cui interno riservò un notevole spazio per il ceto emergente dei cavalieri; ristrutturò il sistema fiscale, mantenendo la distinzione tra imposte dirette (tributa) e indirette (vectigalia). L’apparato fiscale fu reso più efficiente e divenne anche più equo e uniforme rispetto a prima. Augusto di adoperò per favorire una ripresa dell’agricoltura, molto trascurata nel periodo delle guerre civili. Incoraggiò ad un ritorno al lavoro nei campi quel gran numero di lavoratori che se n’erano allontanati. Un’altra riforma importante fu quella dell’esercito, strumento essenziale per la difesa dei confini dell’impero ma anche del nuovo equilibrio politico che si era creato. Augusto portò a termine il processo di formazione di un esercito permanente e lo trasformò in un esercito di mestiere il cui reclutamento avveniva sulla base del volontariato. Il servizio militare divenne una vera e propria carriera, con una paga abbastanza alta e un ruolo sociale dignitoso. Augusto ridusse il numero delle legioni ma le rese più potenti, efficienti e controllabili; inoltre, nelle province di confine, dove erano già stanziate la maggior parte delle legioni, furono arruolate delle truppe ausiliarie tra le popolazioni barbare. Consapevole dell’importanza della propria difesa personale, Augusto creò una guardia armata dell’imperatore. Si trattava di nove corti pretoriane, ciascuna composta di mille soldati ben addestrati e retribuiti, comandati da un potente prefetto del pretorio. Particolarmente intenso fu lo sforzo che, l’imperatore, mise in atto per riformare i costumi della vita pubblica e privata delle classi dirigente. Cercò di ricreare tra i romani l’attaccamento alla famiglia, alle antiche virtù patrie e ai tradizionali culti religiosi, ormai quasi caduti in disuso.
Augusto fece una politica in connubio con la cultura, uniti all’attenzione dell’imperatore porta al fatto di definire tale periodo “Età di Augusto”. Ricrea un nuovo regime anche con l’aiuto di Gaio Mecenate e, sotto la sua protezione si creò una cerchia d’intellettuali con Virgilio, Orazio e Tito Livio. Da Augusto in poi, la storia di Roma cessò definitivamente di essere quella di una città stato; che aveva allargato i confini della propria egemonia, per diventare quella di un impero. Si cominciò ad avere un rallentamento nell’espansionismo romano e i rapporti con la periferia barbarica tendono a ridursi o a estinguersi del tutto. Roma e l’Italia entrano in una fase di declino e, grazie ad Augusto, mantengono una posizione di effettiva centralità rispettò all’impero. Si ha l’allargamento dei diritti della cittadinanza romana ai provinciali e il loro inserimento ai vertici del governo. L’impero è una grande realtà economica, si ha una floridezza economica che è determinata dal concorso di molteplici fattori come la presenza di una solida unità politico-amministrativa. Si comincia ad avere la crisi del sistema schiavistico; a causa dell’interruzione del processo espansionistico con la conseguenza della notevole diminuzione di prigionieri di guerra da trasformare in schiavi. Il cristianesimo ha una rapida diffusione nell’impero romano.
Augusto decide, al fine di evitare delle guerre civili, una successione di tipo dinastico. Decise di lasciare l’impero nelle mani di Tiberio a patto che adottasse come erede il nipote Germanico.
Il regno di Tiberio fu piuttosto lungo, durante il quale cercò di mantenersi nella tradizione Augustea. All’inizio operò al fine di stabilire un più preciso ruolo per il Senato; fece del Senato l’unico organismo elettorale attribuitogli il potere di nominare i consoli e i pretori. Tiberio smantellava definitivamente ogni residuo repubblicano perché, al di fuori del Senato, non esistevano più organismi o cariche di natura elettiva. Sul versante della politica militare Tiberio cercò sopratutto di rinforzare i confini, evitando guerre di conquista. Nonostante ciò Tiberio fu un imperatore poco amato a causa del suo carattere schivo e diffidente; finì col provocare risentimenti dell’aristocrazia senatoria che avrebbe preteso di riprendere le redini del potere. Il popolo lo accusava di avarizia a causa della sua economia attenta e avveduta e, di invidia nei confronti del nipote Germanico. Quest’ultimo aveva compiuto diverse imprese militari in Gallia e in Germania. Quando Germanico morì, in Siria, si sparse la voce di un avvelenamento da parte dell’imperatore. Stanco dei pressanti impegni del governo, Tiberio relegò i suoi incarichi al prefetto del pretorio Lucio Seiano. Ma pochi anni dopo Tiberio scoprì il doppio gioco di Seiano e lo fece giustiziare. Iniziò un periodo destinato a durare fino alla morte di Tiberio, di processi per lesa maestà, di condanne all’esilio, di esecuzioni capitali e di suicidi forzati.
Alla morta di Tiberio salì al potere Gaio, figlio di Germanico, soprannominato Caligola. Inesperto sul piano politico, cercò di trasformare l’imperatore in un sovrano orientale e ad essere considerato come una divinità. Per questo fu pugnalato nel 41 d.C.
Dopo Caligola salì al potere suo zio, Claudio. Fin’ora allontanato dalla vita pubblica perché malaticcio, balbuziente e goffo nei modi. A differenza del nipote, era una persona equilibrata e possedeva anche una buona cultura; riportò il principato nel solco della tradizione augustea.
Claudio riuscì a riordinare l’apparato amministrativo e giudiziario e formò una sorta di cancelleria imperiale. La politica estera di Claudio raggiunse alcuni importanti successi, come la sottomissione della Britannia, della Mauritania e della Tracia. Si sposò quattro volte, la sua ultima moglie fu Agrippina che fece in modo di far designare suo figlio Nerone com’erede al trono. L’anno successivo all’adozione di Nerone, Claudio morì grazie ai maneggi di Agrippina, aiutata da Afranio Burro. Il giovanissimo imperatore Nerone iniziò il suo principato sotto la tutela della madre, del prefetto Burro e del celebre filosofo Lucio Anneo Seneca. Burro e Seneca svolsero il loro compito di tutori del principe avendo come scopo fondamentale quello di rafforzare il potere imperiale, mentre Agrippina manovrava al fine di aumentare il potere personale del figlio. Nerone cominciava a manifestare un carattere egocentrico e determinato che lo spingeva ad emanciparsi dai suoi tutori. Per questo uccise la madre e dopo la morte di Burro, si fece affiancare al prefetto del pretorio Tigellino, uomo incline all’uso della violenza. Nel 64 a Roma, avvenne un rovinoso incendio; Nerone accusò i cristiani e ordinò la loro prima persecuzione. Nerone cominciava a farsi odiare dal popolo e dall’aristocrazia, che lo costrinse a scappare da Roma e alla fine si fece uccidere da un liberto. Con la morte di Nerone si ha la fine della dinastia Giulio-Claudia.
Dopo la morte di Nerone si ha un anno di confusione dove è sottolineato il crescente potere dell’esercito, che scelgono e depongono ben quattro imperatori, Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano.
Vespasiano, con il suo regno, aprì una nuova fase di stabilità dell’impero; non era un nobile ma proveniva da una famiglia di rango equestre. Il nuovo imperatore, oltre che una grande esperienza amministrativa a militare, possedeva poi una visione globale dei problemi dell’impero. Giunto a Roma nel 70, ripristinò subito l’ordine pubblico e si impiegò in un’opera sistematica di rafforzamento delle frontiere dell’impero cercando anche di riorganizzare l’esercito. Sul piano politico ed istituzionale, Vespasiano indirizzò ad un consolidamento del potere imperiale. Procedette ad un’importante riforma del Senato la cui composizione fu estesa e modificata, ammettendo molti esponenti delle aristocrazie provinciali. Sul piano finanziario Vespasiano ottenne la fama di avaro; in realtà dovette affrontare l’immane problema del risanamento delle dissestate finanze imperiali. Alla sua morte consegnò al figlio Tito un impero risanato nelle finanze e riequilibrato nel suo assetto istituzionale e sociale. Il regno di Tito fu molto breve ma ebbe il tempo di completare la costruzione del Colosseo. Il suo regno viene anche ricordato per alcuni cataclismi che colpirono il mondo italico: l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia e un altro grave incendio di Roma. Il successore di Tito fu suo fratello Domiziano, descritto come un sovrano autoritario, avido e assetato di sangue. Il nuovo imperatore intendeva dare all’impero l’assetto di una monarchia burocratico-militare. Domiziano, inoltre, acquisì la censura perpetua che gli consentiva di sostituire a suo piacimento i senatori. A causa di questa politica andò in contro ad una forte opposizione da parte del Senato. Come ai tempi di Tiberio ripresero i processi di lesa maestà. Morì vittima di un attentato, da parte dell’aristocrazia senatoria, nel 96 d.C., che portò al trono Cocceio Nerva. Aveva così fine la dinastia Flavia che segnò l’inizio del “secolo d’oro” dell’impero.
Nerva fu il capostipite di una serie di imperatori le cui rispettive successioni avvennero secondo il criterio dell’adozione. Per circa un secolo, l’impero avrebbe vissuto una fase relativamente positiva denominata “il secolo d’oro”. Fu il punto culminante dell’impero pagano, un’età ricca di luce ma anche di ombre e segnali di una crisi che sarebbe esplosa nel III secolo. Nerva si dimostrò equilibrato e tollerante e instaurò dei buoi rapporti con il Senato. Fu il primo imperatore a distribuire i cosiddetti alimenta, ai numerosi giovani italici di famiglia libera che si trovavano in difficoltà. Scelse come suo successore M. Ulpio Traiano; il primo imperatore di origine provinciale.
Il principato di Traiano evidenzia il crescente potere delle province; l’imperatore dimostrò anche di avere una visione complessiva dei problemi dell’impero. Giunto a Roma si mostrò deciso a potenziare l’autorità imperiale che divenne sempre più presente e decisiva nella prassi del governo dello stato. Traiano potenziò la burocrazia statale; ebbe attenzione per tutti gli aspetti della vita dell’impero, ciò è confermato dal fatto che prese una posizione ufficiale nei confronti del cristianesimo, capendo che rappresentava un pericolo per il potere imperiale. Traiano rese più sistematica la distribuzione degli alimenta e impegnò le casse statali per prestiti a basso tasso d’interesse per rivitalizzare le attività dei ceti produttivi. Ma ciò si rivelò molto difficile perché l’impero non aveva, all’interno, sufficienti risorse per mantenere un tenore di vita relativamente alto. Per questo motivo Traiano intraprese una politica espansionistica; conquistò la Dacia, l’Arabia nord-occidentale, l’Armenia, l’Assiria e la Mesopotamia.
Il successore di Traiano fu P. Elio Adriano, anche lui di origine iberica. Adriano ottenne quasi subito il favore del Senato. Egli possedeva una buona cultura di origine greca e aveva anche compiuto un lungo apprendistato militare che gli aveva permesso di conoscere le frontiere settentrionali e orientali dell’impero. Grazie a ciò Adriano fu consapevole degli immani problemi che derivavano dalle conquiste del suo predecessore, Traiano. L’imperatore smise di attuare una politica espansionistica e puntò sul rafforzamento dei confini e per questo si verificò una forte spinta al reclutamento di truppe fra i barbari. Rafforzò, inoltre, la struttura burocratica dello stato e iniziò un’instancabile attività di controllo sul governo delle province. Prima di morite nominò suo successore Tito Aurelio Antonino.
Il regno di quest’ultimo fu caratterizzato da equilibrio e moderazione; fu tollerante nei confronti degli Ebrei e mitigò la severità del codice penale.
Il suo erede fu Marco Aurelio Antonino che volle associare il suo potere a quello del fratello Lucio Aurelio Vero, facendo reggere l’impero da una diarchia. Marco Aurelio fu un imperatore di vasta e raffinata cultura; con lui si ha la fine del “secolo d’oro” dell’impero. Il suo successore fu il figlio Commodo, che si dimostrò un inetto ad affrontare i difficili problemi dell’impero; che si stava ormai avviando verso la crisi generale del III secolo.
L’impero romano, durante il III secolo, era stato profondamente scosso da una crisi politica determinata dal disordine interno e dell’instabilità esterna. Nel 456 d.C. si ebbe la caduta dell’impero romano d’occidente.

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