Roma, capitale d'Italia

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Testo

Rуma (capitale d'Italia)
GeneralitаCittа capitale d'Italia, capol. della provincia omonima e della regione Lazio; и la piщ estesa e
popolosa dello Stato, centro storico-artistico e culturale di grandissima importanza, capitale della
cristianitа, in quanto ospita nell'ambito dei suoi limiti amministrativi lo Stato sovrano della Cittа
del Vaticano. Comune di 1287,60 km2 con 2.777.882 abitanti. § И situata a 20 m s.m. nel cuore
della Campagna Romana, vasta pianura ondulata aperta tra i Monti Sabatini, i Monti Sabini e i
Colli Albani, ed и attraversata da NE a SW dal corso del Tevere, che immediatamente a N
dell'abitato riceve da sinistra il f. Aniene. La cittа, che si и sviluppata in prevalenza sulla sinistra
del Tevere, si stende sul fondovalle alluvionale e sulle modeste alture collinari costituite dai
lembi residui dell'estremo settore nord-occid. dell'ampio espandimento vulcanico laziale,
frazionato dall'erosione del Tevere e dei suoi affluenti in una dozzina di modesti rilievi collinari.
Nel volgere dei secoli questi furono progressivamente spianati e contemporaneamente vennero
parzialmente colmate le vallecole e le depressioni che li separavano, per cui non sono ormai
quasi piщ avvertibili, se non nel Campidoglio, nell'Aventino e nel Palatino, le ripide scarpate
originarie. La posizione topografica fu favorevole al primo insediamento della cittа: la presenza,
infatti, di tali lembi collinari dalla sommitа spianata, che non offrivano quindi ostacoli alle
costruzioni edilizie, e dai ripidi versanti, atti alla difesa, e l'agevole passaggio di un fiume
navigabile in prossimitа di un'isola fluviale, l'Isola Tiberina, furono certamente alcune fra le
principali ragioni che condizionarono la scelta dell'ubicazione della cittа e il suo iniziale
sviluppo. Questo fu favorito in seguito dalla situazione geografica assai vantaggiosa per la
vicinanza del mare, la navigabilitа del Tevere fino alla foce, la vasta pianura circostante e le valli
in essa convergenti, che facilitavano la penetrazione verso l'interno della penisola in ogni
direzione. § Fino al 1972 la cittа, secondo la ripartizione ufficiale, и stata suddivisa in 22 rioni,
compresi entro la cerchia delle mura aureliane tranne il rione Prati; 35 quartieri, tre dei quali non
fanno parte della cittа vera e propria (quartieri marini di Ostia Ponente, Ostia Levante e Castel
Fusano) e 6 suburbi, oltre a 59 zone in cui si ripartiva la sezione dell'Agro Romano compresa nel
vasto comune (v. sopra e oltre). Da quella data sono state delimitate 20 circoscrizioni, ai fini del
decentramento amministrativo e dei servizi, mentre la precedente ripartizio ne ha conservato un
valore toponomastico-statistico. Il comune di R. и il piщ vasto fra quelli italiani, piщ esteso anche
di alcune province. Oltre a R., i centri principali sviluppatisi nel suo comune, quasi tutti legati alla
grande cittа da strette relazioni funzionali, sono situati lungo il mare o presso la costa. Essi
sono: Lido di Ostia, centro balneare e residenziale immediatamente a S della foce del Tevere;
Ostia Antica, nel suo retroterra, in prossimitа delle rovine dell'antica cittа portuale; Fiumicino
(comune autonomo dal 1992), alla destra della foce navigabile del Tevere, presso il quale и stato
localizzato (con apertura al traffico nel 1961) l'aeroporto intercontinentale; Fregene, famoso
centro residenziale e balneare alla destra del Tevere; e Maccarese, nel cuore dell'omonima
bonifica. Negli ultimi anni ha assunto un consistente rilievo l'immigrazione di extracomunitari,
che secondo una stima del 1997 sarebbero 156.000 tra regolari e irregolari.EconomiaL'attivitа terziaria, soprattutto per la presenza delle amministrazioni centrali dello Stato, delle
sedi di grandi istituti di credito, nonchй dei maggiori enti assicurativi e previdenziali, costituisce
la principale risorsa economica della popolazione romana. La cittа inoltre, come enorme mercato
di consumo e centro di attrazione storico-culturale, religioso e artistico di prestigio mondiale,
basa la sua economia in larga misura anche sulle attivitа commerciali e su quelle direttamente o
indirettamente connesse con il turismo. Nel complesso, il settore dei servizi assorbe oltre il 75%
dell'occupazione. L'industria invece, nonostante l'ingente disponibilitа di manodopera,
l'esistenza di un contado agricolo-pastorale capace di fornire materie prime per alcuni settori
dell'industria di trasformazione, la vivacitа degli scambi e dei consumi, la struttura e l'efficienza
delle vie di comunicazione, non и mai riuscita a imporsi, per l'inadeguato spirito imprenditoriale
della classe dirigente romana, da cui lo sviluppo modesto in ogni tempo delle attivitа
manifatturiere e artigianali, ma anche per un complesso di considerazioni d'ordine politico, non
ultima la preoccupazione, fin dal trasferimento a R. della dignitа di capitale d'Italia, di evitare la
concentrazione nella cittа di grandi masse operaie, che avrebbero potuto, in momenti di crisi,
ostacolare o condizionare l'attivitа del governo e del Parlamento: nel 1876, allorchй la
popolazione del comune aveva largamente superato i 250.000 ab., gli addetti all'industria
ammontavano a ca. 4400 e operavano in appena 230 imprese. Solo dopo la metа del sec. XX le
politiche di sviluppo regionale, con l'inserimento della sezione merid. del comune di R. nell'area
di intervento della Cassa per il Mezzogiorno, davano nuovo impulso al settore industriale, che al
censimento del 1961 raggiungeva la massima incidenza (31,5%, di cui 1/3 peraltro dovuto al
ramo delle costruzioni) sul totale della popolazione attiva; successivamente, tale peso tornava a
decrescere (27,5% nel 1971 e 21% nel 1981, pur dovendosi considerare la diminuzione piщ che
proporzionale del comparto edilizio, ridottosi al 6%), mentre emergevano, in positivo, alcune
significative specializzazioni nei rami ad alta tecnologia, come l'elettronica, la telematica, la
meccanica complessa e la chimica fine, favorite dalla presenza delle universitа (all'antica
Sapienza si affiancavano Tor Vergata, dal 1982, e Roma III, dal 1992), degli enti di ricerca (C.N.R.,
E.N.E.A., ecc.) e delle sedi direzionali delle grandi imprese pubbliche (I.R.I., E.N.I.).
In ogni caso, per numero di addetti (161.440, di cui 132.760 nell'industria manifatturiera), R. era
divenuta, negli anni Ottanta, la terza cittа industriale del Paese, dopo Milano e Torino. Quanto
all'ubicazione, le installazioni industriali erano sorte inizialmente nella zona compresa tra porta
S. Paolo, il corso del Tevere, la basilica di S. Paolo e la via Ostiense; dagli anni Sessanta,
invece, i maggiori impianti industriali sono stati installati su alcune direttrici di sviluppo,
specialmente lungo le vie Tiburtina, Prenestina, Casilina e Pontina: quest'ultima rappresenta la
saldatura con l'area di sviluppo industriale di Pomezia, verso la quale si dirigono ingenti flussi
pendolari dalla stessa capitale. Originariamente assai poco predisposte alla localizzazione
industriale, le "vie consolari" (specie, come si и detto, quelle ricomprese nel settore sud-orient.,
ma anche la via Salaria, a N) ne hanno subito effetti notevoli di congestione, attenuati dal
completamento e, poi, dal raddoppio del "grande raccordo anulare" (GRA), che drena il traffico
esterno al nucleo urbano centrale, ormai esteso su ca. 200 km2. Sotto il profilo dimensionale, la
grande industria (oltre 500 addetti per stabilimento) и presente solo nei rami elettronico e chimico-
farmaceutico, mentre il tessuto delle piccole e medie industrie riguarda un po' tutti i settori
merceologici, in particolare dei beni di consumo; tra le specializzazioni significative, oltre a
quelle giа ricordate, sono l'industria poligrafico-editoriale e quella cinematografica, che ha avuto
in Cinecittа (a SE) un fulcro operativo di rilevanza mondiale. In declino, come si и visto, l'edilizia,
che era arrivata ad assorbire ca. 70.000 addetti nel periodo di massima espansione demografica
e urbanistica (1955-65), e, di conseguenza, le tradizionali industrie di lavorazione dei materiali
da costruzione. Il commercio и attivissimo, ma affetto da un eccessivo frazionamento dei punti di
vendita, il che si ripercuote negativamente sull'efficienza dei servizi e sui prezzi delle merci al
consumo. Anche i mercati all'ingrosso risentono di ubicazioni non ottimali, perchй inclusi nella
congestionata area centrale (via Ostiense: ortofrutticoli) o, al contrario, eccessivamente decentrati
(via Prenestina: carni). La straordinaria bellezza della cittа e la complessitа degli interessi
storico-culturali, artistici, religiosi, mondani e amministrativi costituiscono validi motivi di
richiamo per un numero sempre crescente di turisti italiani e stranieri. All'espansione del turismo
contribuiscono, ma in misura non ancora e almeno non sempre adeguata, le attrezzature ricettive
e alberghiere e le vie di comunicazione che portano alla capitale. R. dispone dell'aeroporto
intercontinentale di Fiumicino, uno dei massimi scali aerei del mondo, e dell'aeroporto
internazionale di Ciampino, di undici stazioni ferroviarie, piщ quella della Cittа del Vaticano, con
numerose linee, di una fitta rete di strade di grande comunicazione (tutte collegate fra di loro dal
grande raccordo anulare che circonda la cittа), alcune delle quali ricalcano il tracciato delle
antiche vie romane (l'Aurelia, la Cassia, la Flaminia, la Salaria, l'Appia), delle autostrade per
Milano, Reggio di Calabria, L'Aquila, Pescara, Civitavecchia e Fiumicino. All'efficienza di tali
servizi non corrispondono perт nй lo sviluppo della navigazione sul Tevere, ormai trascurabile,
nй la consistenza degli impianti portuali di Fiumicino, sfruttati prevalentemente per la
navigazione di cabotaggio. Si aggiunga infine, a completare il quadro delle attrezzature
logistiche, la cronica carenza dei servizi di trasporto nell'ambito urbano anche per il
modestissimo sviluppo della rete metropolitana. Inaugurata nel 1955, una prima linea,
successivamente ampliata, collega la stazione Termini con l'EUR e con la stazione di Ostia-Lido,
servendo anche San Paolo e Magliana; una seconda linea, dalla fine degli anni Settanta,
attraversa il centro urbano in direzione NW-SE, dal quartiere Trionfale a Cinecittа, mentre sono in
corso ulteriori ampliamenti della rete.Scienze giuridiche: la Legge per Roma capitaleLa legge del 15 dicembre 1990, n. 396, ha predisposto una serie di interventi funzionali
all'assolvimento da parte della cittа di R. del ruolo di capitale della Repubblica. In particolare, si
tratta di misure tese alla riqualificazione del quadrante est della cittа, nonchй a definire
organicamente il piano di localizzazione delle sedi del Parlamento, del governo, delle
amministrazioni e degli uffici pubblici. Al risanamento della capitale si punta attraverso la
conservazione del patrimonio monumentale, la tutela dell'ambiente, la riqualificazione delle
periferie, l'adeguamento dei servizi pubblici di trasporto, la qualificazione delle universitа, la
costituzione di un polo europeo dell'industria, dello spettacolo e della comunicazione. Presso la
presidenza del Consiglio dei Ministri и istituita la Commissione per R. capitale. § Per
l'Osservatorio astronomico di R., v. Mario, Monte-.
Urbanistica e architettura: le originiLe prime testimonianze di insediamenti stabili sono costituite dai materiali della media Etа del
bronzo (metа del II millennio a. C.) rinvenuti, in giacitura secondaria, a S. Omobono, a poca
distanza dal guado presso l'Isola Tiberina, elemento topografico di primaria importanza per le
prime fasi di sviluppo di Roma. Giа nel corso della tarda etа del bronzo si hanno reperti riferibili
a nuclei insediativi anche nella valle del Foro e sul Palatino; nel X e nella prima metа del sec. IX
a. C. la situazione и quella di piccoli abitati alternati a nuclei sepolcrali sul Palatino, nel Foro e
sul Campidoglio. Il ricordo mitico di questo periodo и rintracciabile nella tradizione di una
"lega" di villaggi, il Septimontium, che secondo Festo comprende Palatium, Velia,
Fagutal, Subura, Cermalus, Caelius, Oppius, Cispius (uno degli otto nomi и evidentemente da
espungere), mentre secondo Varrone riguarderebbe i sette colli inclusi nelle mura serviane (
Campidoglio, Aventino, Celio, Esquilino, Viminale, Quirinale, Palatino). Giа nel corso della
seconda metа del sec. IX a. C. la situazione muta radicalmente: mentre il sepolcreto si sposta
all'Esquilino, tutta l'area compresa tra Campidoglio, Foro e Palatino risulta essere occupata da un
grande centro protourbano. La tradizione antica, che definiva come Roma quadrata l'originario
abitato del Palatino, sembra essere confermata dai resti di fondi di capanne rinvenuti all'angolo
sud-occidentale del colle e dalle fortificazioni della stessa altura, databili alla metа del sec. VIII a.
C., recentemente messi in luce. Й inoltre possibile individuare la struttura, di etа arcaica, che era
comunemente identificata come Casa Romuli. Secondo la tradizione, Servio Tullio divise la cittа
in quattro regioni o tribщ territoriali: Suburana (Celio), Esquilina (Oppius, Cispius, Fagutal), Collina
(Viminale e Quirinale), Palatina (Palatium, Cermalus, Velia), lasciando fuori il Campidoglio che
costituiva l'acropoli (l'Aventino fu inserito nel pomerio urbano solo in etа imperiale). A Servio
Tullio e ai Tarquini, quando R. era governata da una dinastia etrusca, si attribuiscono la
costruzione di un'ampia cerchia di mura, le bonifiche della valle compresa tra il Campidoglio e il
Palatino (Foro) con la cloaca maxima e della vallis Murcia per la prima sistemazione del Circo
Massimo, nonchй l'erezione di diversi templi, tra cui quello di Giove Capitolino ornato dalle
statue fittili di Vulca. I ritrovamenti archeologici (soprattutto terrecotte architettoniche) confermano
che alla fine del sec. VI a. C. R. aveva giа notevole importanza, con santuari sul Palatino, nel
Foro Boario, sull'Esquilino e sul Quirinale ed edifici (tra cui la reggia, sede di rappresentanza del
re) nel Foro; alle fortificazioni serviane, formate in gran parte da terrapieni e fossati, possono
appartenere alcuni tratti di mura sul Palatino, sul Campidoglio, sull'Esquilino. Dell'inizio dell'etа
repubblicana sono il tempio di Saturno e quello dei Castori nel Foro, e quello di Cerere ai piedi
dell'Aventino. Dopo un periodo di relativa stasi edilizia, in cui si ricorda solo il tempio di Apollo in
Campo Marzio (ca. 430 a. C.), fuori del pomerio perchй culto straniero, si ebbe un'intensa ripresa
edilizia dopo l'incendio gallico (390 a. C.) quando, secondo le fonti, R. fu riedificata in un anno
solo. Tra il 378 e il 350 a. C. ca. furono costruite le nuove mura in opera quadrata di tufo di
Grottaoscura (sono le mura, inesattamente dette "serviane", di cui restano cospicui avanzi sul
piazzale della stazione Termini e sul Quirinale, mentre quelle sull'Aventino sono un rifacimento
posteriore) che racchiudevano un'area di oltre 400 ettari con un percorso di ca. 11 km aperto da
numerose porte (Pandana e Ratumena sul Campidoglio, e inoltre Fontinalis, Sanqualis, Salutaris,
Quirinalis, Collina, Viminalis, Esquilina, Caelimontana, Capena, Naevia, Raudusculana,
Lavernalis, Trigemina, Carmentalis, Flumentana): R. era giа allora la piщ vasta e importante cittа
della penisola. Per tutto il sec. IV e III le fonti ricordano, oltre a nuove sistemazioni sul
Campidoglio e nel Foro (tra cui statue onorarie, probabilmente di fattura greca o magno-greca) e la
costruzione del Circo Flaminio (220 a. C.), molti nuovi templi, non facilmente oggi identificabili; i
piщ antichi templi in pietra di cui restino avanzi consistenti sono quelli detti C (forse sec. IV a. C.)
e A (seconda metа del sec. III a. C.) di largo Argentina. Nel sec. II a. C. si ebbero le prime
sistemazioni urbanistiche a carattere monumentale nella zona del Foro (basiliche, archi trionfali e
onorari) e nei quartieri commerciali presso il Tevere (portici e grandi magazzini, tra cui il portico
Emilio, in parte conservato), nonchй altri numerosi templi nel Campo Marzio merid., e si
moltiplicarono le ricche case patrizie soprattutto sul Palatino.
Foro e Campidoglio furono poi in parte rinnovati nell'etа di Silla anche con la costruzione del
grande archivio di Stato (Tabularium), per opera del console Q. Lutazio Catulo (78 a. C.), in
probabile connessione con l'aerarium del vicino tempio di Saturno. Il complesso degli edifici di
Pompeo (teatro col tempio di Venere Vincitrice e grandi porticati) si estese invece nell'area piщ
periferica del Campo Marzio centrale. Il nuovo grande piano regolatore previsto da Cesare (Lex
de urbe augenda) che prevedeva, tra l'altro, la deviazione del Tevere, non fu attuato per la morte
del dittatore; egli costruм tuttavia nuovi edifici nel Foro (basilica e curia Iulia) e lo ampliт con la
grande piazza monumentale intitolata al suo nome col tempio di Venere Genitrice, la cui statua
era opera di Arcesilao. Nuovo volto assunse la cittа con Augusto, che si vantava di averla trovata
di mattoni crudi e di averla lasciata di marmo e che ricordт le sue opere (tra cui l'edificazione e il
restauro di 82 templi) anche nelle Res gestae incise davanti al suo mausoleo. Il Palatino divenne
sede della reggia imperiale, che si estendeva dal tempio di Vesta ai margini del Foro sino alle
pendici verso il Circo Massimo, dove si и recentemente scavata la casa abitata da Augusto, a
valle della cosiddetta casa di Livia; accanto a essa sorge il tempio di Apollo Palatino, a ricordo
della vittoria di Azio. Augusto rinnovт anche i monumenti del Foro Romano (tempio del Divo
Giulio, dei Castori, della Concordia) e costruм il suo nuovo grande Foro col tempio di Marte Ultore
nell'area occupata prima dalla malfamata Suburra. Costruzioni monumentali sorsero anche nella
zona dei fori Boario e Olitorio e del Campo Marzio meridionale (teatro di Marcello, tempio di
Apollo Sosiano) e soprattutto nel Campo Marzio centrale e settentrionale: il piщ antico Pantheon e
le terme di Agrippa (primo bagno pubblico), i grandi Saepta per i comizi e infine l'Ara Pacis,
l'obelisco solare e il grande mausoleo funerario dell'imperatore (Augusteo). Le zone periferiche
erano occupate da grandiose ville patrizie, tra cui i giardini (horti) di Mecenate sull'area del
precedente sepolcreto popolare dell'Esquilino e quelli degli Acilii e di Lucullo sul Pincio. Augusto
diede anche un nuovo assetto amministrativo alla cittа, estesa ormai ben oltre le mura del sec. IV
a. C., con una divisione in 14 regioni (suddivise a loro volta in vici, cioи quartieri, cui
presiedevano i vicomagistri) che restт fino alla fine dell'etа antica (regio I, Porta Capena; II,
Caelimontium; III, Isis et Serapis; IV, Templum Pacis; V, Esquiliae; VI, Alta Semita; VII, Via Lata;
VIII, Forum Romanum; IX, Circus Flaminius o Campus Martius; X, Palatium; XI, Circus Maximus;
XII, Piscina Publica; XIII, Aventinus; XIV, Transtiberim: i nomi sono perт, almeno in parte, piщ
tardi). L'aspetto di R. non fu molto mutato dagli immediati successori di Augusto (di Tiberio sono i
Castra Praetoria, grande caserma dei pretoriani; di Caligola il circo del Vaticano, oggi non piщ
visibile, nei giardini della madre Agrippina; di Claudio la cosiddetta Porta Maggiore con nuovi
acquedotti) sino a Nerone che, dopo il premeditato incendio del 64, studiт un nuovo piano
urbanistico piщ regolare, con larghe strade fiancheggiate da portici, piazze con fontane, case
isolate l'una dall'altra; gran parte del centro cittadino fu perт occupato dalla sua reggia grandiosa
(la Domus Aurea) che dal Palatino si estendeva sino all'Esquilino ma che non durт oltre la sua
morte. Il risanamento urbanistico continuт sotto i Flavi, cui si devono anche la ricostru zione di
molti monumenti pubblici del Campo Marzio e del Campidoglio, danneggiati da un incendio
nell'80, e la costruzione di nuovi, soprattutto da parte di Domiziano: il nuovo palazzo imperiale
sul Palatino (Domus Augustana); il Colosseo sul luogo prima occupato dallo stagno della
reggia di Nerone; il templum Pacis e quindi il Foro Transitorio (completato poi da Nerva) che lo
univa al Foro di Augusto; lo stadio di Domiziano, oggi piazza Navona, e il vicino odeon di cui
palazzo Massimo ripete la curva. Un nuovo e piщ grande Foro fu infine costruito da Traiano e dal
suo architetto Apollodoro tagliando la sella che univa il Quirinale al Campidoglio (l'altezza della
famosa colonna corrispondeva a quella del taglio) e sistemando, sulle pendici del Quirinale,
il grande complesso dei mercati. Di Adriano sono il grande tempio di Venere e Roma tra il Foro e
il Colosseo, la ricostruzione del Pantheon, il grande mausoleo al di lа del Tevere, oggi Castel
Sant'Angelo, unito al Campo Marzio dal ponte Elio; di Antonino Pio il tempio di Adriano in piazza
di Pietra; di Marco Aurelio, o piuttosto di Commodo, la colonna istoriata di piazza Colonna.
Grande importanza ebbe anche, per tutto il sec. II, l'edilizia privata, caratterizzata da regolari
insulae a piщ piani. L'attivitа edilizia di Settimio Severo fu anch'essa notevole (l'incendio del 191
aveva gravemente danneggiato la zona del Foro e del Palatino) ed и testimoniata, oltre che da
molti restauri di antichi monumenti, dall'ampliamento del palazzo imperiale con la costruzione
del prospetto scenografico del Settizodio e dalle grandiose terme completate dal figlio Caracalla
che diede loro il nome: di quest'epoca и la Forma Urbis, preziosa anche se incompleta pianta
della cittа incisa su lastre marmoree.
Nel sec. III R., le cui mura di etа repubblicana erano ormai abbandonate o distrutte, ebbe
nuovamente bisogno di essere difesa. Le nuove mura di Aureliano (272-280) completate da Probo
(ancora oggi in gran parte conservate con notevoli rifacimenti posteriori, da Massenzio a Onorio,
a Belisario) si estesero per una lunghezza di ca. 19 km inglobando, in parte con percorso
irregolare, edifici precedenti (costruzioni dei giardini degli Acilii, oggi Muro Torto; Castro Pretorio;
arcate dell'acquedotto Claudio a Porta Maggiore; anfiteatro castrense); vi si aprivano, oltre a
porte minori (posterule) numerose porte a uno o due archi fiancheggiate da torri (porte Pinciana,
Tiburtina, Asinaria, Metronia, Latina, Appia o di S. Sebastiano, Ostiense; altre come la Cornelia,
Salaria, Nomentana o la vecchia Porta Portuense furono demolite o chiuse in seguito). Nello
stesso secolo l'attivitа edilizia urbana fu relativamente scarsa: si puт ricordare il rifacimento
delle Terme Neroniane al Campo Marzio da parte di Alessandro Severo e il tempio del Sole di
Aureliano, presso l'odierna piazza S. Silvestro. Una ripresa dell'attivitа edilizia, l'ultima per l'etа
antica, si ebbe infine con Massenzio (basilica presso il Foro ultimata da Costantino, circo sulla
via Appia con il sepolcro del figlio Romolo), con Diocleziano (grandiose terme presso la stazione
Termini, rifacimento della Curia) e con Costantino (nuove terme sul Quirinale) cui si devono anche
le prime basiliche cristiane. Dell'etа di Diocleziano и probabilmente la prima redazione dei
cosiddetti Cataloghi Regionari (Notitia e Curiosum Urbis Romae regionum XIII, conservati in
diversi codici dal sec. VIII in poi), che elencano, divisi per regioni, i principali monumenti della
cittа, la quale, nel sec. II d. C., aveva avuto probabilmente un milione e mezzo di abitanti, ma giа
allora era notevolmente diminuita. Urbanistica e architettura: Roma cristianaNel sec. IV, chiuso il grande ciclo di sviluppo della R. imperiale pagana, ebbe inizio un periodo di
decadenza e di contrazione urbana (sec. V-VII), diretta conseguenza dei saccheggi dei barbari, di
terremoti e della caduta del potere centrale. Se la cittа si ridusse notevolmente, e per superficie e
per numero di abitanti (che si concentrarono prevalentemente nella zona del Campo Marzio), nel
complesso la R. cristiana si venne innestando sulla base della pianta derivata dalle varie
pianificazioni imperiali, definita nella sua forma stellare dalle mura aureliane e strutturata sulla
base dei grandi percorsi di penetrazione disposti a raggiera. Contemporaneamente alla
contrazione della cittа imperiale e alla degradazione e spoliazione dei suoi monumenti (l'uso di
trarre dai monumenti antichi materiale da costruzione continuт per secoli, fino al Rinascimento),
la R. cristiana rafforzт il suo sviluppo. I primi grandi monumenti della cristianitа, le basiliche,
sorsero dapprima fuori dalla cittа (S. Paolo, S. Lorenzo, detti appunto "fuori le mura"), poi
all'interno, in posizione periferica (S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore), raggiungendo
infine il centro stesso con la sovrapposizione su antichi organismi edilizi: p. es., S. Pietro occupт
in parte il circo neroniano; la residenza imperiale della Domus Lateranensis fu trasformata in
residenza pontificia; il Pantheon stesso fu adibito al culto cristiano nel 608. Il rafforzarsi del
potere religioso creт le basi della ripresa della cittа intorno al sec. VIII. Se la R. cristiana da una
parte si inserм nel tessuto urbano precedente, dall'altra lo venne modificando in ragione
dell'esistenza dei nuovi poli di attrazione costituiti dalle basiliche, cardini della ripartizione
ecclesiastica, intorno alle quali sorsero monasteri, ospedali, diaconie (con funzioni annonarie),
xenodochi (con funzioni assistenziali), scholae (ricoveri militari), tituli (chiese parrocchiali),
portando anche alla creazione di nuovi percorsi. Data la contrazione della cittа, le aree
periferiche vennero perdendo la loro importanza, mentre si infittм notevolmente l'area racchiusa
tra l'ansa grande del Tevere (comprendente il Campo Marzio), il Campidoglio e il Quirinale, con le
due appendici della Suburra e di Trastevere. Questa fu l'area coperta da R. per tutta l'epoca
medievale, caratterizzata da una massa continua di case, da vie strette e tortuose, dall'assenza
di un unico centro cittadino, religioso e politico; fu proprio questa isotropia a rendere piщ difficili
massicci interventi urbani, che in effetti mancarono anche nei secoli successivi, sicchй la R.
medievale costituisce ancora la fondazione della cittа attuale. Intorno ai sec. VIII-IX fu necessaria
la costruzione di nuovi sistemi difensivi contro le invasioni saracene (ai papi Giovanni VIII e
Leone IV risalgono rispettivamente Giovannipoli, intorno a S. Paolo, e la Cittа Leonina, intorno
alla zona attuale di S. Pietro, detta Borgo), mentre grande importanza strategica assunse il
mausoleo di Adriano, collegato al Campo Marzio col ponte Elio e alla sede pontificia del Laterano
dalla via Maior. All'interno di R. il crollo di edifici imperiali creт alterazioni nel livello del terreno,
con la formazione di "monti" (Giordano, Citorio, ecc.), portando anche modificazioni nei percorsi.
Nel Campo Marzio si generalizzт l'utilizzazione di edifici imperiali per nuovi insediamenti
abitativi (p. es. nello stadio di Domiziano, attuale piazza Navona), mentre si affermт una nuova
tipologia edilizia corrispondente all'accresciuto potere delle famiglie gentilizie: le case-forti o
rocche, dalle tipiche torri che caratterizzarono il paesaggio urbano della R. medievale. Le rocche,
spesso occupando antichi edifici pubblici (p. es. la casa-forte dei Pierleoni sorse sul teatro di
Marcello), nei quartieri di nuova formazione si sostituirono a poco a poco ai centri religiosi nella
funzione gravitazionale.
Il raggrupparsi della vita cittadina attorno alle rocche baronali (veri nuclei edilizi a carattere
curtense) e alle basiliche provocт la decadenza del Foro, che ancora nei secoli precedenti aveva
mantenuto la sua funzione di luogo di pubblica riunione.Urbanistica e architettura: tra Rinascimento e BaroccoDopo un periodo di grave decadenza, il ritorno della corte pontificia da Avignone e lo sviluppo del
papato verso forme sempre piщ mondane, nella nuova consapevolezza del suo fondamentale
ruolo politico fra le potenze europee, furono alla base dell'intenso processo di rinnovamento
architettonico e urbanistico che trasformт R., in pochi decenni, in una grande cittа rinascimentale
e barocca. Nel sec. XVI l'abitato si estese nelle vaste aree ancora libere, specialmente sulle
pendici del Pincio, sul Viminale e sull'Esquilino, e si arricchм di numerose insigni opere
architettoniche (fra le quali la grande basilica di S. Pietro), di piazze, viali, parchi e giardini. Sotto
il profilo urbanistico, l'epoca rinascimentale significт la regolarizzazione di R. secondo una
nuova coscienza della cittа come sistema unitario. Importanti interventi furono compiuti sulla
maglia stradale, sia rettificando percorsi giа esistenti (con demolizioni o allineamenti di facciata),
sia collegando con nuove vie rettilinee le varie zone (via della Lungara tra il Vaticano e
Trastevere; via Giulia, ecc.). Questo processo comportт anche la specializzazione di alcune parti
urbane: cosм i centri di piazza Navona e di Campo de' Fiori, posti in collegamento con i porti
di Ripa Grande e di Ripetta, si qualificarono come aree commerciali, mentre il Campidoglio e il
Vaticano, oggetto di imponenti interventi architettonici, si posero come i riferimenti istituzionali
preminenti rispettivamente per il potere laico e per quello ecclesiastico. Le grandi trasformazioni
urbane culminarono, nella seconda metа del Cinquecento, col piano elaborato da D. Fontana su
incarico di Sisto V, voluto sia per rispondere al costante aumento della popolazione, sia per fare
della cittа un grande centro per il turismo religioso e per la propaganda della Controriforma. La
cittа recuperт tutta la fascia collinare orientale entro le mura aureliane, col conseguente
spostamento verso est della struttura urbana e la maggiore importanza acquisita dalla via Lata
(via del Corso) come asse centrale. Il piano di Fontana diede anche definizione a una serie di
progetti precedenti: quello della sistemazione di Borgo, giа voluto da Niccolт V; quello
dell'edificazione del tridente di piazza del Popolo (progettato sotto Leone X e Clemente VII) con
l'occupazione della zona compresa tra la via Lata e la via Paolina Trifari (oggi via del Babuino);
quello dell'urbanizzazione dell'ansa del Tevere, giа ideata sotto Sisto IV e Giulio II. Di grande
interesse, sia per razionalitа di impianto sia per abilitа tecnica fu il sistema di collegamento dei
vari nuclei sparsi attorno alla basilica di S. Maria Maggiore, per mezzo delle vie Gregoriana,
Sistina, Merulana, ecc., assi viari che si rivelarono poi determinanti per lo sviluppo urbano dei
secoli successivi. Grandiose furono le realizzazioni urbanistico-architettoniche del Seicento e
della prima metа del Settecento, volte all'unificazione di elementi giа esistenti in complessi
organici di scenografico impianto (oltre a S. Pietro, che trovт nel Seicento il suo completamento,
si ricordano piazza Navona, piazza di Spagna, i complessi del Laterano e del Quirinale), in una
studiata relazione tra i prospetti e gli assi viari: vale per tutti l'esempio della Via Trinitatis (oggi
via Condotti), che ha per sfondo la fontana, la scala e la facciata della Trinitа dei Monti. R.
aveva ormai assunto la sua impronta definitiva, monumentale e grandiosa, a volte
magniloquente ma sempre estremamente suggestiva per gli armoniosi accostamenti e le
interessanti sovrapposizioni dei dati storico-artistici piщ disparati in un contesto urbanistico
composito e affascinante. Il periodo che va dalla seconda metа del Settecento al 1870 non
conobbe grandi interventi su scala urbanistica. Sotto l'amministrazione francese dell'inizio del
sec. XIX fu progettato un potenziamento dei servizi pubblici, che non ebbe perт seguito. Urbanistica e architettura: dal 1870 a oggiCon il 1870, invece, prese avvio un'espansione senza precedenti. Se fino ad allora il blocco
compatto del caseggiato occupava meno di un terzo dell'area racchiusa dalle mura aureliane, in
pochi decenni lo sviluppo edilizio infittм di costruzioni buona parte di tali spazi e spinse nuovi
quartieri residenziali oltre i limiti per tanti secoli segnati da quelle mura. Il piano di A. Viviani
(1873) stabilм la direttrice di sviluppo verso est (Castro Pretorio, Esquilino, Viminale); tuttavia le
pressioni della speculazione edilizia portarono a inserire nel programma di ampliamento anche
l'area dei Prati di Castello, iniziando cosм il fenomeno della crescita disordinata a "macchia
d'olio". Negli ultimi trent'anni del sec. XIX sorsero i nuovi quartieri del Celio, dell'Esquilino, del
Testaccio e dei Prati; il corso del Tevere fu regolato definitivamente con l'erezione di grandi
muraglioni, per impedire le frequenti inondazioni che piщ volte avevano danneggiato la cittа, e
furono aperti le grandi piazze Vittorio Emanuele II, delle Terme e dell'Indipendenza, il corso
Vittorio Emanuele II e le vie Nazionale e Cavour. La popolazione intanto aumentava in misura
considerevole, specialmente in seguito all'immigrazione dalle aree agricole e pastorali del Lazio
e dalle altre province dell'Italia centrale e meridionale. Nel 1871 gli abitanti risultavano 245.000,
ma nel censimento effettuato all'inizio del nostro secolo (1901) erano giа saliti a 425.000, dando
origine a tutto un complesso di problemi sociali (posti di lavoro, abitazioni, scuole, ospedali,
servizi vari) che il continuo ulteriore aggravarsi del carico demografico non ha mai consentito di
risolvere, ma neppure di affrontare con equilibrio e lungimiranza.
Il piano del Saint-Just (1909) stabilм come zona di espansione tutta la fascia collinare nord-orient.
(Flaminio, Salario, Nomentano) basata sui due assi via Nomentana-viale Regina Margherita-
Parioli, comprendente la nuova universitа, Villa Borghese e Valle Giulia. Nonostante ciт
l'espansione edilizia continuт in modo irregolare, estremamente confuso e a volte caotico.
All'inizio del sec. XX il caseggiato si dilatava oltre le mura aureliane, seguendo in prevalenza le
direttrici tradizionali costituite dalle vie consolari Aurelia, Flaminia, Salaria, Nomentana,
Tiburtina, Prenestina, Casilina, Tuscolana, Appia Nuova, Ostiense e Portuense. Intorno al 1920,
allorchй la cittа contava oltre 660.000 ab., si formarono le due prime appendici esterne, cioи i
centri satelliti di Aniese, ribattezzato poi quartiere Monte Sacro, sulla via Nomentana, e della
Garbatella, fuori porta S. Paolo. Durante il ventennio fascista, che vide pressochй raddoppiarsi la
popolazione romana (1.156.000 ab. nel 1936), ingenti furono le trasformazioni nel tessuto urbano
della cittа. Il piano regolatore del 1931 confermт il modello radiocentrico giа esistente,
attribuendo al centro la funzione direzionale; caratteristici di questo periodo furono gli
sventramenti di alcune aree dei vecchi rioni, con l'intento di rinnovare la "grandiositа" romana:
congiunzione di piazza Venezia col Colosseo per mezzo della via dei Fori imperiali; demolizione
della "spina" di Borgo con l'apertura della via della Conciliazione; isolamento del mausoleo di
Augusto nella piazza Augusto Imperatore. Vennero aperti inoltre le vie Barberini, Bissolati e il
corso del Rinascimento; furono edificati il Foro Mussolini, ribattezzato poi Foro Italico, e il
complesso di costruzioni monumentali, destinate a ospitare la programmata esposizione
universale del 1942, intorno al quale si и formato, nel secondo dopoguerra, l'odierno quartiere
dell'EUR. Non meno rilevante, nel complesso quadro dell'espansione urbanistica nel periodo del
regime fascista, fu la formazione delle cosiddette borgate, precari agglomerati di costruzioni
intensive a carattere popolare costruiti per dare alloggio ai ceti meno abbienti allontanati dai
centri storici ma anche per tentare di regolarizzare la situazione creatasi spontaneamente ai
margini e nell'interno della cittа, con l'immigrazione di braccianti agricoli attratti dal lavoro nei
cantieri edili, che avevano dato vita ad agglomerati di costruzioni abusive e precarie, le
"baracche", ospitanti una quantitа di popolazione valutata a oltre 50.000 unitа.Urbanistica e architettura: l'esplosione demograficaL'abusivismo doveva rimanere uno dei problemi cruciali per l'urbanistica romana: al censimento
del 1951, quando il comune contava 1.652.000 abitanti, ca. 100.000 di questi risultavano
alloggiati in abitazioni improprie. Il miglioramento delle condizioni economiche permetteva il
graduale riassorbimento del fenomeno, almeno nelle sue manifestazioni piщ crude, mentre dava
il via al proliferare di nuclei edilizi spontanei in tutta la fascia periferica: nel 1953 se ne
contavano giа 31 e nel 1978 ne sarebbero stati "perimetrati" – ovvero inclusi, con apposita
sanatoria, nella cittа "regolare" – ben 86, con una popolazione complessiva superiore alle 800.
000 unitа. Una nuova esplosione demografica, in effetti, aveva investito R. negli anni Cinquanta
(2.188.000 ab. al censimento del 1961) e Sessanta (2.782.000 ab. al censimento del 1971),
vanificando gli orientamenti del nuovo piano regolatore adottato nel 1962, il quale, nel tentativo di
salvaguardare l'integritа del centro storico, prevedeva l'espansione residenziale soprattutto
verso E e verso S, appoggiandola a una maglia stradale costituita dall'intersezione delle vie
consolari e delle penetrazioni autostradali (da e per Firenze, l'Abruzzo e Napoli) con un sistema
di "tangenziali". Principale di queste ultime sarebbe stato un "asse attrezzato" di collegamento
fra i due poli fondamentali delle attivitа terziarie superiori: il solamente progettato SDO (sistema
direzionale orientale), che avrebbe dovuto interessare una fascia lineare della lunghezza di ca. 7
km, attraverso i quattro comprensori di Pietralata, Tiburtino, Casilino e Centocelle; e l'EUR-
Cristoforo Colombo, dove di fatto si era realizzato l'unico e parziale decentramento di tali attivitа
dal nucleo centrale. Il piano, dunque, и rimasto per la massima parte inapplicato, nonostante una
serie di successive varianti, con gli effetti di abusivismo giа ricordati e la prosecuzione della
tendenza di crescita "a macchia d'olio" dell'intera agglomerazione, generalmente in forme
massive (specie nei quadranti orientale e nord-occidentale) con limitate eccezioni di accettabile
livello qualitativo (in particolare Casal Palocco, a SW, e Olgiata-Formello, a N), ancorchй isolate e
prive di servizi adeguati. Il rallentamento nella crescita di popolazione (2.831.000 ab. al
censimento del 1981), preludio all'attuale flessione, se da un lato trova ri scontro nel quadro
generale delle piщ grandi cittа del mondo sviluppato, dall'altro lato vede accentuate, nello
specifico caso romano, motivazioni legate all'insufficiente pianificazione urbanistica, ai valori
elevatissimi della rendita fondiaria (che hanno finito per rendere proibitivo l'acquisto di
abitazioni, mentre la legge sull'"equo canone", del 1978, ha sortito il risultato di ridurne
drasticamente l'offerta in locazione) e alla soffocante congestione del traffico. Tali disfunzioni
potranno, forse, venire attenuate dalla liberalizzazione del mercato immobiliare, avviata su scala
nazionale nel 1992, e dall'espansione del trasporto pubblico (ivi inclusa la metropolitana), oltre
che dall'effettiva realizzazione del decentramento funzionale, in un processo che appare tuttavia
lungo e incerto. Non и perciт un caso che uno degli impegni piщ ambiziosi assunti di recente
(1994) sia quello del P.A.G. (Piano di Assetto Generale), uno strumento che ha per obiettivo
l'attuazione di una serie di interventi sulla rete ferroviaria dell'area romana.
Nell'ambito del P.A.G. sono state individuate le direttrici di collegamento fra i maggiori centri
dell'area romana e le stazioni dell'anello di cintura e della metropolitana sulle quali attivare
progressivamente un servizio di trasporto ferroviario-metropolitano ad alta frequenza, integrato
attraverso parcheggi e nodi di scambio con le altre reti del trasporto pubblico e con il trasporto
privato. Fra gli interventi prioritari di adeguamento funzionale e ambientale della viabilitа, che
migliora l'accessibilitа delle aree ferroviarie, и compresa la previsione della nuova strada
interquartiere di circonvallazione interna fra via Nomentana e via Cristoforo Colombo e le sue
connessioni a sud-ovest oltre il Tevere con un nuovo ponte; e a nord-est con il nodo di scambio
di Ponte Mammolo e, attraverso la nuova "trasversale nord" con via Togliatti da completare come
grande tangenziale urbana del settore orientale. In questa prospettiva, le tre stazioni centrali piщ
importanti (Termini, Ostiense e soprattutto Tiburtina, futuro scalo dell'alta velocitа), ma anche le
stazioni minori periferiche e quelle dell'area romana acquistano una nuova "centralitа" come nodi
di un sistema policentrico territoriale; infatti con l'obiettivo di acquisire nuova domanda al
trasporto pubblico e di migliorare l'economia e la qualitа degli spostamenti, il P.A.G. ha posto le
basi per trasformare le stazioni non solo in efficienti nodi di scambio ma anche in centri di
supporto per le attivitа lavorative e per le attrezzature di servizio d'interesse metropolitano,
urbano e locale. In questo contesto spicca il progetto per il riassetto della stazione Tiburtina, il
cui piano generale di intervento и stato affidato a Renzo Piano, che ha progettato una diversa
soluzione della circolazione veicolare, una nuova sede per la Tangenziale Est e la
riorganizzazione dei flussi di traffico di superficie. Il progetto di Piano prevede tra l'altro la
realizzazione di quattro torri binate, alte 150 m, che ospiteranno alcune delle strutture di servizio.
Accanto a quello di Piano, la nuova stazione Tiburtina e l'area in cui essa si trova saranno
rimodellate sulla base dei progetti di Paul Andreu (stazione intermodale), Massimiliano Fuksas
(sistemazione dell'area della stazione Tiburtina destinata a parco pubblico), Herman Hertzberger
(progetto sulla viabilitа), Michael Hopkins (sviluppo di edifici per uffici lungo l'asse della
Tiburtina), Kisho Kurokawa (piano urbanistico della zona Tiburtina, all'interno del quale
l'architetto giapponese ha previsto la costruzione di otto palazzi a ponte per uffici), Otto Steidle
(trasformazione di ampie zone della stazione Tiburtina per la realizzazione di aree verdi). Fra gli
altri grandi interventi nel campo dei servizi c'и l'avvio dei lavori (1997) per la realizzazione del
Centro Agroalimentare, la struttura destinata a sostituire i Mercati Generali attualmente ubicati in
via Ostiense. Il nuovo Centro Agroalimentare sorgerа nella Tenuta del Cavaliere, un'area di
proprietа del comune di Guidonia, posta al confine con il territorio del comune di R. e che si
estende fra la via Tiburtina e l'autostrada A24. Molta attenzione и stata dedicata alla
realizzazione di nuovi spazi per la cultura, al recupero di aree dismesse situate entro i confini
del centro storico e al risanamento di quartieri particolarmente degradati. Nel primo settore,
l'iniziativa di maggior rilievo и quella della costruzione del nuovo Auditorium. Organizzato un
concorso a inviti nel 1993, nel 1994 la commissione giudicante ha scelto il progetto firmato da
Renzo Piano e, nel settembre 1995, hanno avuto inizio i lavori. Dopo i primi sbancamenti, il
ritrovamento di una villa di epoca romana e altre testimonianze archeologiche hanno imposto uno
slittamento dei tempi di realizzazione, ma sembra comunque possibile il completamento
dell'opera entro il Duemila. La decisione di salvaguardare il monumento ha peraltro imposto una
revisione del progetto, che nella sua nuova versione prevede l'inserimento del complesso
archeologico nel foyer dell'auditorio. Per quanto riguarda invece le aree dismesse esistono
progetti importanti per l'ex birreria Peroni e per l'ex Mattatoio del Testaccio. L'ex stabilimento
della birra Peroni situato tra via Reggio Emilia, via Nizza e via Cagliari diventerа la nuova sede
della Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea, oggi provvisoriamente ospitata in via
Francesco Crispi; i lavori prevedono la realizzazione delle sale espositive permanenti e dei
principali servizi della Galleria nell'ala prospiciente via Reggio Emilia, consistente in tre corpi di
fabbrica per complessivi 3900 m2, mentre negli edifici su via Nizza e via Cagliari, troveranno
posto le sale per le esposizioni temporanee e cinque centri di documentazione: Arti decorative,
Centro studi sul '900, Conoscenza e storia dell'architettura della cittа, Centro di fotografia, Storia
delle tecniche artistiche. Sono anche previsti una sala cinema e convegni, uffici, servizi di ristoro
e un parcheggio multipiano per circa 300 posti auto. Gli spazi dell'ex Mattatoio, autentico
monumento di archeologia industriale, sono destinati a essere utilizzati per attivitа sociali,
culturali e commerciali. Il nucleo centrale, composto dai quattro capannoni originali, ospiterа
attivitа espositive e culturali. Il lato nord ospiterа le strutture rappresentative della III Universitа
di Roma. Il lato sud che affaccia su Campo Boario ospiterа i locali di ristorazione e multisale per
spettacoli. Il Campo Boario sarа attrezzato per spettacoli all'aperto, mentre lungo il suo perimetro
saranno collocati spazi per attivitа commerciali specializzate (produzione cinematografica,
discografica, editoriale) nonchй i laboratori di restauro archeologico e monumentale di varie
Soprintendenze che hanno la loro sede a Roma. Infine, per ciт che riguarda la lotta contro il
degrado, si segnala il Progetto d'area per la riqualificazione del quartiere Esquilino, nell'ambito
del quale и stato definito lo stralcio che riguarda il trasferimento del mercato e quindi la
riqualificazione di piazza Vittorio.
Le bancarelle che per decenni hanno assediato la piazza, limitando drasticamente l'accesso al
suo grande giardino, saranno definitivamente risistemate nelle vicine caserme dismesse Sani e
Pepe, attraverso un intervento che comprende anche la costruzione di un parcheggio multipiano e
la sistemazione a giardino dell'area della ex Centrale del latte, in gran parte demolita. All'interno
dell'area, la parte alimentare del mercato и insediata nella caserma Pepe, e quella
dell'abbigliamento e varie al piano terra della caserma Sani, per un totale di quasi 10 000 m2 di
superficie destinata alla vendita. Il corpo del mercato di piazza Vittorio risulta cosм suddiviso in
due edifici diversi, ma contigui, articolandosi tra i settori alimentare e non alimentare. Il lotto
dove insiste l'ex magazzino sarа invece demolito. Al suo posto sarа costruito un edificio con tre
piani destinati a parcheggio (di cui uno interrato), tre a uffici o eventualmente a residenze e
l'attico a servizi espositivi e di ristoro. Il lotto occupato dai resti della Centrale del latte, che
comprende un consistente frammento dell'acquedotto dell'Acqua Julia, sarа infine
prevalentemente sistemato a giardino, mentre nel rudere della ex Centrale, opportunamente
ristrutturato, sarа realizzato un centro culturale. Sull'intero complesso delle opere messe in
cantiere pesa soprattutto la celebrazione del Giubileo nel Duemila. Per alcuni si tratta di
un'occasione che non puт fare altro che spingere a una concreta attuazione dei progetti elaborati;
per altri c'и il rischio che, trovandosi nell'impossibilitа di centrare l'obiettivo, si finisca con il
lasciare troppe opere in sospeso o, peggio, con il realizzarle in termini alquanto approssimativi.
La provincia di Roma: morfologia del territorioLa provincia di R. (120 comuni; 5352 km2; 3.774.305 ab.), la piщ vasta, popolosa e densamente
abitata fra quelle del Lazio, si affaccia a W e a SW al Mar Tirreno ed и limitata all'interno dalle
province di Viterbo, Rieti, L'Aquila, Frosinone e Latina. Dal punto di vista morfologico il territorio
si presenta assai composito: esso comprende i versanti merid. dei Monti della Tolfa e dei
Sabatini, il settore merid. dei Monti Sabini, la Campagna Romana, solcata da vari corsi d'acqua
fra cui il Tevere e l'Aniene, l'edificio vulcanico dei Colli Albani, il settore occid. dei Monti
Simbruini, i Lepini sett. e l'alta valle del Sacco. I caratteri climatici variano molto da zona a zona
in relazione alla varietа morfologica del paesaggio: dunque, il clima и tipicamente mediterraneo
nella fascia costiera, di tipo continentale attenuato all'interno. Procedendo da W a E diminuiscono
in genere le temperature e aumentano i valori pluviometrici, da minimi di 700 mm nella zona
litoranea a massimi di oltre 1500 mm nei Sabini e nei Simbruini; le precipitazioni si concentrano
in larga misura nei mesi invernali e primaverili e sono molto scarse nella stagione estiva. Il
principale corso d'acqua и il Tevere, che attraversa R. e forma, al suo sbocco nel Mar Tirreno, un
vasto delta di forma triangolare; gli altri fiumi maggiori sono l'Aniene, suo affluente di sinistra,
che scorre quasi interamente nell'ambito del territorio provinciale, il Sacco e l'Arrone, emissario
del lago di Bracciano. I principali bacini lacustri si sono formati entro il recinto craterico di antichi
vulcani spenti: i laghi di Bracciano e di Martignano nell'apparato vulcanico dei Monti Sabatini, i
laghi di Albano e di Nemi in quello dei Colli Albani.La provincia di Roma: popolazioneL'elevatissimo valore di densitа demografica (705 ab./km2) non rispecchia affatto la reale
distribuzione della popolazione: infatti il comune di R., da solo, ospita ca. i 3/4 dell'intera
compagine demografica, di cui ha sostenuto, fino ai primi anni Settanta, la continua espansione,
pur richiamando forti correnti immigratorie dagli stessi comuni piщ poveri della provincia. Al
censimento del 1981, viceversa, si и manifestata una netta inversione: la provincia, esclusa R.,
ha fatto registrare un accrescimento, rispetto al 1971, assai superiore al capoluogo (19,3% contro
appena 1,7%), per il manifestarsi, in quest'ultimo, degli effetti di saturazione residenziale sopra
richiamati. La tendenza и proseguita nel decennio successivo (+14,6% e -4,8%, rispettivamente),
mentre permane la concentrazione funzionale, in particolare amministrativa e dei servizi, che,
dalla capitale, proietta un ampio "cono d'ombra" sul territorio provinciale, impedendo il formarsi
di sistemi locali in qualche misura autosufficienti. I centri principali, dopo R., sono Civitavecchia,
Cerveteri, Pomezia, Anzio e Nettuno, sulla costa o in prossimi tа di essa; Bracciano,
Monterotondo, Mentana, Tivoli, Palestrina, Colleferro, Frascati, Grottaferrata, Guidonia
Montecelio, Marino, Albano Laziale, Ariccia, Genzano di Roma e Velletri, all'interno.
La provincia di Roma: economiaPer la scarsa estensione dei terreni agricoli e la conformazione prevalentemente montuosa del
territorio provinciale, l'agricoltura ha un ruolo di modesta importanza, contribuendo con valori
sempre meno elevati alla formazione del reddito complessivo del settore privato. Si producono in
prevalenza ortaggi (pomodori, carciofi, patate, ecc.), frutta, uva da vino e da tavola, frumento,
avena e mais. L'industria и rappresentata da imprese concentrate per lo piщ nei comuni di Roma,
Civitavecchia, Monterotondo, Guidonia Montecelio, Tivoli, Colleferro, Pomezia e Anzio, operanti
principalmente nei settori metalmeccanico, alimentare, grafico-editoriale, cinematografico,
chimico, dell'abbigliamento, del mobilio, del legno e dei materiali da costruzione. La cittа di R.
costituisce un grande centro direzionale e un enorme mercato di consumo, concentrando in sй la
massima parte delle attivitа commerciali e ancor piщ di quelle del settore quaternario (servizi,
pubblica amministrazione, ecc.). Il turismo ha nella capitale e nei centri balneari di Santa
Marinella, Ladispoli, Fregene, Lido di Ostia, Tor Vaianica, Anzio, nonchй in alcune altre cittadine
d'arte dell'interno, i suoi maggiori centri di richiamo.Storia: le origini e l'etа repubblicanaLa leggenda sorta intorno alla fondazione di R. e ai primi due secoli della sua storia и ben
nota: un gruppo di superstiti troiani guidati da Enea sarebbe approdato alle rive del Lazio; il figlio
di Enea, Iulo, avrebbe fondato sulle colline laziali la cittа di Albalonga; alcuni secoli piщ tardi, Rea
Silvia, figlia dello spodestato re di Albalonga, Numitore, avrebbe avuto dal dio Marte i gemelli
Romolo e Remo che l'usurpatore Amulio avrebbe ordinato di abbandonare sulle acque del
Tevere, ma che una lupa avrebbe invece ritrovato e allattato in un antro ai piedi del Palatino; una
volta cresciuti, i due gemelli avrebbero deciso di fondare, verso la metа del sec. VIII a. C., una
nuova cittа e Romolo, conquistatosene il diritto per aver avuto auspici favorevoli con
l'osservazione, secondo un costume etrusco, del volo degli uccelli, ne avrebbe segnato i primi
confini con un solco (pomerio) tracciato attorno al Palatino, nucleo primigenio della cittа,
uccidendo successivamente Remo colpevole di averlo oltrepassato in atteggiamento di scherno.
Popolata la cittа e concedendo ospitalitа ai fuggiaschi dei paesi vicini, Romolo avrebbe
sostenuto con i Sabini, insediati sul Quirinale, una guerra impegnativa scaturita dal leggendario
ratto delle donne sabine. La combattivitа dei Sabini spinse i Romani a un accordo associando al
potere il loro re Tito Tazio. A Romolo, innalzato misteriosamente in cielo dopo la morte col nome
di Quirino, sarebbero succeduti altri sei re: il sabino Numa Pompilio al quale andrebbe attribuita
l'introduzione di molti ordinamenti e istituti civili e religiosi; il romano Tullo Ostilio durante il cui
regno, in seguito all'esito vittorioso per R. del duello di tre suoi guerrieri scelti, gli Orazi, contro
tre avversari, Curiazi, sarebbe stata distrutta Albalonga ed esteso il territorio romano fino alle
propaggini sett. del Massiccio Albano; il sabino Anco Marzio che avrebbe conquistato la zona di
Ostia ponendo cosм sotto il dominio di R. tutto il corso del Tevere, infine i tre re etruschi Tarquinio
Prisco, Servio Tullio (autore di riforme di fondo nell'organizzazione statale, tra cui l'ordinamento
centuriato) e Tarquinio il Superbo fautore di un'energica politica di espansione, avversata perт
dall'aristocrazia romana che, intorno al 510 a. C., lo avrebbe scacciato, ponendo cosм fine alla
monarchia e instaurando la repubblica. In realtа un vero e proprio atto di fondazione di R. non ci
fu mai: Romolo и senza dubbio figura leggendaria e quanto la tradizione gli attribuisce и invece il
risultato di una graduale e lenta evoluzione. Per quanto riguarda il periodo regio, invece, i dati
forniti dall'archeologia, dalla linguistica, dall'etnologia comparata, dalle sopravvivenze
significative in etа storica di antichissimi culti, riti e costumanze, ne hanno confermato la validitа
storica, pur mettendo spesso in dubbio le interpretazioni e le inquadrature datene piщ tardi dagli
storiografi latini, vissuti in un'epoca ormai lontanissima da quei fatti e influenzati nelle loro
narrazioni da un ambiente politico e sociale completamente diverso. Secondo recenti studi e
ricerche, R., il cui nome deriverebbe da rumon, parola arcaica significante il fiume (cioи il
Tevere), si sarebbe formata con un processo di sinecismo, ossia dalla graduale fusione (con fase
intermedia federativa, e questo significherebbe il rito, vivo ancora in etа storica, del Septimontium
) di piщ comunitа di pastori e contadini, di cui и stata accertata l'esistenza sui suoi colli giа tra i
sec. X e IX a. C. Il luogo era propizio all'insediamento umano per la vicinanza del mare e la
presenza del Tevere tagliato in due dall'Isola Tiberina, che ne rendeva piщ facili i passaggi,
favorendo gli scambi commerciali con i territori a nord del fiume, dove era in grande sviluppo la
civiltа etrusca. Giа nel sec. VIII a. C. si era costituito un centro protourbano, dell'estensione di piщ
di 100 ha, sotto l'autoritа politica del Palatino. In seguito l'abitato, includendo anche il colle del
Quirinale, assunse caratteristiche sempre piщ strutturate finchй, nel sec. VI, R. assunse, sotto i
tre re di origine etrusca, la fisionomia di una vera e propria cittа con il suo centro sacrale sul
Campidoglio, dove venne eretto il tempio in onore delle tre divinitа maggiori, Giove, Giunone e
Minerva, e quello politico nel foro ai piedi del Palatino dove veniva radunato il comizio del
popolo. La cittа venne ricinta da solide mura (7 km di perimetro) e difesa da un esercito campale,
organizzato secondo le nuove tecniche militari di importazione greca, il cui reclutamento
avveniva sulla base di una distribuzione dei cittadini in classi censitarie.
Mentre l'originaria struttura gentilizia dello Stato era basata su una divisione degli abitanti in tre
tribщ genetiche, i Tities (Sabini del Quirinale), i Ramnes (gli abitanti del Palatino vicini al rumon,
fiume) e i Luceres (gruppi di Latini del Celio), ognuna delle quali comprendeva dieci curie formanti
tutte insieme l'assemblea curiata, nella quale prevalevano le piщ antiche famiglie delle gentes, la
riforma serviana invece superт tale struttura senza perт sopprimerla, dando luogo a una nuova
distribuzione degli abitanti operata appunto in base al censo, e quindi non piщ sul principio della
nascita, e inserм nella vita attiva dello Stato i nuovi ceti artigianali e commerciali in via di rapida
formazione in R., allora in fase di sviluppo, con gli immigrati dalle vicine contrade, di recente
annesse, e con quanti da fuori venivano in cittа a cercare fortuna e che andavano a ingrossare i
ceti plebei. L'esercito ebbe una nuova organizzazione nella legione e l'onere del servizio
militare, che era anche un diritto per i vantaggi connessi con la distribuzione delle prede di
guerra, competй da allora in primo luogo ai ceti piщ abbienti, indipendentemente dalla nascita. R.
cominciт a espandersi verso le foci del Tevere e nell'entroterra laziale raggiungendo presto la
zona dei Colli Albani. Questa politica suscitт opposizioni negli esponenti degli antichi ceti
gentilizi formanti il patriziato, che si sentivano anche minacciati nei propri interessi
dall'emergere di nuovi ceti plebei favoriti dai re di provenienza etrusca: approfittando
dell'assenza di Tarquinio il Superbo, impegnato in una spedizione militare, con una congiura
soppressero, verso il 510 a. C., la monarchia instaurando al suo posto un regime repubblicano
nel quale il potere esecutivo passт ai due pretori comandanti dell'esercito campale,
successivamente chiamati consoli; solo in casi gravi di discordie interne o di pericoli esterni,
richiedenti unitа di comando, si faceva ricorso eccezionale a un dittatore nominato dai consoli.
L'elezione dei pretori-consoli aveva luogo annualmente in marzo, all'aprirsi cioи della stagione
delle operazioni militari, nell'assemblea centuriata, costituita, in base alle riforme serviane, dai
cittadini, distribuiti in centurie, in grado di procurarsi le armi per l'arruolamento nell'esercito, ma
ebbe subito grande peso nella vita dello Stato il Senato, l'antico consesso degli esponenti delle
famiglie piщ influenti, che continuт anche per i pretori-consoli la funzione di organo consultivo, in
passato esplicata per i re. Il mutamento costituzionale, fenomeno comune nell'epoca ad altre cittа
d'Italia, latine, etrusche e osco-umbre, e la fine dell'influenza etrusca indebolirono
temporaneamente R.: lo Stato, premuto dalla calata minacciosa, dagli Appennini, di vigorosi
popoli montanari, Equi, Volsci, Sabini, dovette abbandonare molte posizioni di forza raggiunte nel
Lazio e nel 493 a. C. strinse, su iniziativa del pretore-console Spurio Cassio, un patto di alleanza (
foedus Cassianum) con le cittа latine, che si erano da poco unite in una lega sui Colli Albani, per
difendersi dalla pressione che da nord esercitavano anche su esse gli Etruschi: questi di recente
erano stati sconfitti dalle flotte coalizzate di Cuma e di Siracusa, perdendo il predominio nel
Tirreno, e cercavano perciт di procurarsi il controllo delle strade interne del Lazio per poter
mantenere contatti e rapporti commerciali con gli altri Etruschi di Campania. Il foedus Cassianum
segnт per R. l'inizio di un lungo periodo di stretta collaborazione coi popoli latini, permettendole
cosм di affrontare e risolvere, sia pure con gravi difficoltа, le lotte sorte al suo interno tra il
patriziato, costituito dalle originarie famiglie della cittа, e la plebe rinforzata dagli immigrati
recenti immessi nella nuova organizzazione statale. La classe patrizia, che da antico tempo
traeva la propria forza dalla pastorizia e dall'agricoltura, l'una e l'altra attivitа non compromesse
sul piano economico dai recenti cambiamenti, tendeva a monopolizzare le magistrature,
controllava il Senato, manovrava con i suoi clienti le assemblee elettive e legislative e si
accaparrava i terreni dell'ager publicus, quello di proprietа dello Stato sul quale rivendicava diritti
di precedenza. Contro questa prevaricazione, reagм, all'inizio del sec. V, la plebe che, costituita
dai ceti artigianali e imprenditoriali, aveva subito gravi contraccolpi dalla recessione economica
sopravvenuta con la riduzione dell'orizzonte politico e quindi commerciale di R. e reclamт,
attraverso propri rappresentanti, i tribuni eletti nei concilia plebis (riunioni dei ceti plebei, saliti
gradualmente da 4 a 10), l'uguaglianza nell'ammissione alle magistrature, l'accesso all'ager
publicus e l'alleggerimento dei debiti fattisi pesanti con la perdita, per molti di essi, delle
proprietа e con la riduzione, talvolta, in schiavitщ per insolvenza. Di fronte alla resistenza del
patriziato, i plebei, mettendo in pericolo la stessa unitа dello Stato, si ritirarono una prima volta
sull'Aventino, colle ancora escluso dalla cerchia del pomerio (secessione del 494 a. C.).
Preoccupati della situazione, ma soprattutto dell'organizzazione che si era data la plebe quasi
costituendo uno Stato nello Stato, i patrizi accettarono come magistrati i tribuni della plebe che,
pur non esercitando alcun imperium particolare, ebbero tuttavia riconosciuti l'inviolabilitа (
sacrosanctitas) e il diritto di veto su ogni proposta che ritenessero dannosa per la plebe. La
secessione ebbe cosм fine. Piщ tardi i plebei ottennero, con le Leggi delle XII Tavole (451-450 a.
C.), la codificazione del diritto consuetudinario che pose fine all'arbitrarietа dei giudici esprimenti
gli interessi del patriziato.
Subito dopo fu anche abolito il divieto dei matrimoni tra i due ceti (Lex Canuleia del 445) cosм che
gli esponenti della plebe entrarono man mano nell'orbita del patriziato tanto che, dopo il 367 a.
C., con le leggi Licinie Sestie, anch'essi poterono accedere alle cariche pubbliche che nel
frattempo si erano venute precisando e completando, in dipendenza anche degli aumentati
compiti assunti dallo Stato in fase di espansione: il consolato, la pretura urbana per
l'amministrazione della giustizia, la censura per il censimento dei cittadini e dei loro beni,
l'edilitа curule per la polizia urbana, mentre il tribunato della plebe continuava nei compiti di
difesa dei ceti minuti, chiamati a una partecipazione sempre piщ diretta alla vita dello Stato,
soprattutto sul piano militare. La Lex Publilia del 339 e la Lex Hortensia del 286 a. C. sancirono
definitivamente la piena parificazione di patrizi e plebei, col dare alle decisioni prese nelle
adunanze di questi (chiamate, con riferimento alle tribщ territoriali istituite in numero di venti da
Servio Tullio per la registrazione dei cittadini e poi man mano aumentate con i nuovi territori,
comitia plebis tributa) validitа giuridica pari alle decisioni dei comizi curiati (in fase di declino) e
di quelli centuriati. Con l'accordo raggiunto tra gli ordini si venne formando quella nobiltа di
nascita e di censo, tradizionalista e austera, che ebbe nel Senato, ormai costituito da ex
magistrati, il suo maggior centro di forza: subordinando gli interessi dell'individuo singolo agli
interessi dello Stato, essa avrebbe portato R. alla conquista del mondo mediterraneo. Storia: espansione e controllo del territorioIl primo obiettivo della politica di espansione, ripresa giа nella seconda metа del sec. V a. C., fu il
Lazio, dove la situazione era andata evolvendo a favore di R. che ormai controllava Equi e
Volsci. La collaborazione militare con la Lega Latina non era piщ indispensabile e i Romani
poterono, guidati da Furio Camillo, affrontare, con le loro sole forze, Veio, la ricca cittа etrusca
che, ad appena 20 km a nord di R., chiudeva da quella parte ogni possibilitа di espansione,
costringendola, nel 396 a. C., alla capitolazione dopo un assedio durato dieci anni. Pochi anni piщ
tardi, R. riorganizzт, accentuando la propria egemonia nel Lazio, la Lega Latina che si era
disunita e nel 390 aveva mancato di collaborare in un momento molto grave della storia romana:
bande di Celti, venendo dall'Europa centr., erano penetrate prima nella valle del Po, dopo aver
invaso l'Etruria e sgominato sul fiume Allia l'esercito inviato loro contro da R. per ricacciarli, ed
erano arrivate a occupare tutta la cittа, tranne la rocca capitolina, dalla quale poi si ritirarono solo
dietro riscatto e dopo averla incendiata e devastata. Potendo contare ancora sulla collaborazione
dei Latini, R. ristabilм sulla piana pontina la supremazia che giа aveva raggiunto nell'ultima etа
regia, ma nella sua espansione venne a contatto nel Sud con i Sanniti, altro popolo italico in
espansione, che, nel corso del sec. V, aveva imposto il suo dominio su gran parte dell'Italia
centro-meridionale. Con i Sanniti, nonostante un patto di alleanza stipulato nel 354 a. C., seguм
presto una prima guerra per la supremazia sulla Campania, che fu perт di breve durata (343-341
a. C.) e si risolse, dopo il rientro sui loro monti degli stessi Sanniti, minacciati da sbarchi di
eserciti greci sull'altra sponda adriatica, con una prima penetrazione dei Romani nella regione
campana. Preoccupati da questa nuova affermazione e sentendosi ormai accerchiati, gli alleati
Latini, cui si aggiunsero altri popoli laziali e gli stessi Campani, si ribellarono, ma furono
definitivamente sconfitti (340-338 a. C.): la Lega Latina fu sciolta, il foedus Cassianum dichiarato
decaduto, il territorio latino incorporato nello Stato romano e le cittа campane entrarono nell'orbita
della sua supremazia. R. trattт perт generosamente i vinti per assicurarsene la collaborazione
nelle future lotte. Per compattezza di territorio (ca. 6400 km2), popolazione (ca. 600.000 ab.), per
un calibrato sistema di alleanze e rapporti coi popoli confinanti e in grazia dei sempre piщ
numerosi insediamenti coloniali ai confini, resi possibili o condizio nati dall'esuberanza
demografica, quello romano era ormai diventato lo Stato piщ importante dell'Italia centr.: l'urto di
fondo coi Sanniti divenne perciт inevitabile. La lotta che ne seguм fu durissima e si svolse dal
326 al 304 con alterne vicende (famosa la sconfitta romana a Caudio con lo smacco delle Forche
Caudine), ma si concluse con la vittoria di R. dopo la caduta della capitale sannita, Bovianum.
Nel 295 poi, a Sentinum, in Umbria, i Romani ottennero un'altra faticata vittoria infrangendo una
vasta coalizione di Etruschi, Sabini, Umbri e Galli. In seguito a queste guerre il territorio romano
si allungт, con l'incameramento della regione Sabina e del Piceno, fino all'opposta sponda
adriatica, venendo cosм a dividere in due parti l'Italia con grave minaccia per gli interessi delle
cittа della Magna Grecia al Sud e per quelli degli Etruschi al Nord. Particolarmente Taranto, cittа
ricca e potente, vedendo compromessa la propria aspirazione alla preminenza sull'Italia merid.,
chiamт in aiuto il re dell'Epiro Pirro che, in un primo momento, riuscм a sconfiggere i Romani a
Eraclea (280) e ad Ascoli (279) in Puglia, ma, dopo un'infruttuosa spedizione fatta in Sicilia per
crearvi uno Stato greco, il suo esercito, svigorito e decimato, venne sconfitto nel 275 a
Benevento dall'esercito romano comandato dal console Manio Curio, le cui riserve, grazie alle
continue e obbligatorie leve di cittadini e alleati (inquadrati nelle legioni, unitа militari ormai
superiori per la mobilitа tattica dei manipoli alle rigide falangi di Pirro), erano invece inesauribili:
al re non rimase che tornarsene in Epiro.
R., affermata la propria egemonia su tutta l'Italia peninsulare, ne avviт il processo
dell'unificazione politica, amministrativa e culturale, e, non disponendo quale cittа-Stato di
adeguate strutture di governo per territori estranei e lontani, lo realizzт nell'ambito di una vasta
federazione di cittа e popoli, con i quali, da una posizione di superioritа, regolт i propri rapporti in
modo non uniforme, ma secondo opportunitа e circostanze: fu questo il capolavoro della sua
classe di governo. In tre categorie si possono raggruppare cittа e popoli della federazione
promossa da R.: i municipi, i cui abitanti fruivano della cittadinanza romana, per lo piщ in zone
prossime a R.; cittа e popoli alleati, cioи i socii, e le colonie; tutti, salvo poche eccezioni,
godevano di autonomia amministrativa e finanziaria e non erano tenuti al versamento di tributi;
dovevano perт fornire annualmente i convenuti contingenti militari, inquadrati in reparti ausiliari
delle legioni, e non potevano stringere patti separati con altri popoli e cittа anche se alleati di
Roma, alla quale erano quindi tenuti a uniformare la politica estera. Rilevante importanza
avevano le colonie, di due tipi, quelle di cittadini romani, create all'inizio con scopi militari solo
lungo le coste, in un tempo successivo e con maggior numero di coloni anche all'interno per
sfoltire la popolazione esuberante, e quelle latine sul modello delle deduzioni coloniarie della
disciolta Lega Latina, creata per scopi sia militari sia di popolamento: le une e le altre potevano
contare su magistrature e statuti propri, ricalcanti spesso le strutture di R. e con larga autonomia
locale. Col tempo perт ai cittadini che si recavano a popolare le colonie latine furono conservate
alcune delle loro prerogative e ciт allo scopo di creare duraturi rapporti con la madrepatria nel
campo dei diritti civili, cosм che l'insieme di tali prerogative, lo ius Latii, vennero a costituire una
forma di cittadinanza romana limitata, destinata a essere estesa pure a comunitа preesistenti
entrate nel giro della supremazia romana. Anche nella catego ria dei municipi, ve ne furono di
quelli, come p. es. alcune cittа etrusche e campane, i cui abitanti fruivano dei soli diritti civili,
senza quelli politici, ma anch'essi, in compenso, fruivano di larga autonomia amministrativa.
Questa possibilitа di autonomie locali affiancanti lo Stato egemone favorм il graduale
superamento della nozione cittа-Stato creando una nuova nozione, quella dello Stato municipale.Storia: da cittа-Stato a Stato municipaleDal mosaico di popoli e civiltа attestati nella Penisola venne gradualmente emergendo, in virtщ
del sistema politico creato da R., il concetto unitario di "Italia", termine significante in origine
terra degli Itali, un'antica tribщ della Calabria il cui nome nelle fonti greche si estese
gradualmente a comprendere prima i popoli dell'Italia merid. e poi quelli di tutta la Penisola. Con
il superamento delle lotte locali conseguente all'avvento dell'egemonia romana, i rapporti tra cittа
e popoli si intensificarono in Italia, la popolazione crebbe ovunque, gli scambi commerciali si
allargarono, favoriti da costruzioni di grandi strade (giа nel 312 era stata costruita da Appio
Claudio Cieco la Via Appia collegante Roma a Capua, prolungata poi fino a Brindisi, e nel 220
Gaio Flaminio costruм l'omonima via da Roma a Rimini, prolungata poi dalla Via Emilia fino a
Piacenza), tanto da far sentire anche a R., che fino allora nella sua zecca aveva emesso solo
moneta di rame, l'asse (pur avvalendosi perт anche di coniazioni di argento delle cittа campane),
la necessitа di una propria moneta argentea, che fu il denarius, corrispondente in valore a dieci
assi, con i sottomultipli quinario (cinque assi) e sesterzio (due assi e mezzo). Opere pubbliche e
templi furono allora costruiti a R. e in altre cittа con largo impiego di mano d'opera, anche servile.
Nuove fortune si formarono: non piщ solo l'agricoltura e la pastorizia erano a fondamento
dell'economia. Fu nel sec. III, dopo la citata Lex Hortensia del 286 a. C., che lo Stato romano
rinsaldт il suo assetto costituzionale: i due consoli, uno patrizio e uno plebeo (ma dal 172 a. C.
potranno essere ambedue plebei), esprimevano gli interessi del patriziato e della plebe
vicendevolmente controllandosi e confrontandosi; al pretore urbano se ne affiancт presto anche
uno peregrino per l'amministrazione della giustizia nelle vertenze con gli stranieri; i due censori,
anch'essi uno patrizio e uno plebeo, avevano visto aumentare le proprie prerogative, spettando a
essi di redigere i censimenti dei cittadini e delle loro fortune ai fini fiscali e del servizio militare,
indire e decidere gli appalti delle opere pubbliche, pronunciarsi sulle ammissioni in Senato; i
tribuni della plebe gradualmente si andavano integrando nel sistema magistratuale come
rappresentanti degli interessi dello Stato oltre l'antitesi superata tra patriziato e plebe; altre
minori magistrature si venivano precisando per le varie necessitа amministrative. I grandi
problemi pubblici erano dibattuti nelle due massime assemblee, quella centuriata in cui erano
eletti i consoli e i censori e, con la divisione dei cittadini adulti che vi si operava in cinque classi
e 193 centurie, la maggioranza poteva giа essere conseguita con i voti dei piщ facoltosi e degli
anziani, e quella tributa in cui si eleggevano i tribuni e si approvavano le leggi di carattere
sociale: vi si votava per testa, ma il numero di 35 tribщ raggiunto verso la metа del sec. III non fu
poi piщ aumentato, pur ingrandendosi lo Stato con nuovi territori, preferendosi cosм iscrivere
anche i nuovi cittadini nelle tribщ piщ antiche e cosм si ottenne l'effetto di conservare la
preminenza al corpo della popolazione piщ antica.
Storia: Roma e CartagineCon l'instaurazione della sua egemonia nel Meridione, R. si venne intanto a trovare faccia a
faccia con Cartagine, cittа attivissima di scambi commerciali al centro delle rotte mediterranee,
tra l'Oriente e l'Occidente, che andava allargando la sua penetrazione in Sicilia. Con lo Stato
cartaginese R. giа nel 509 a. C. aveva stipulato un primo patto di amicizia, che poi aveva
rinnovato nel 348 e ancora nel 306, trasformandolo infine in alleanza nel 279 nella guerra contro
Pirro: tali trattati trovarono spiegazione nella differenza degli interessi economici delle due parti,
prevalentemente agricoli quelli di R., commerciali invece quelli di Cartagine. Ora invece, dovendo
R. difendere gli interessi mercantili delle cittа greche del Sud, sue alleate, che si sentivano
minacciate quasi di accerchiamento dalla presenza dei Cartaginesi in Sicilia, in Sardegna e
Corsica, i rapporti si rovesciarono e l'urto tra le due maggiori potenze del Mediterraneo centrale
divenne inevitabile dando luogo allo scoppio, nel 264 a. C., della I guerra punica, nel corso della
quale R., potenza terrestre, dotatasi di forti flotte e di addestrati equipaggi, riuscм a superare
l'avversaria, la cui maggior forza era proprio sul mare. Cartagine, sconfitta definitivamente nella
battaglia delle Egadi nel 241, dovette abbandonare a R. la Sicilia che, con le sue immense
riserve di grano, costituм la prima provincia romana, alla quale si aggiunsero, alcuni anni piщ
tardi, come seconda provincia, la Sardegna e la Corsica, anch'esse sottratte ai Cartaginesi. Nello
stesso periodo i Romani si spinsero anche a Nord, insediando, per iniziativa di Gaio Flaminio,
forti contingenti di coloni nell'Agro Gallico fino a Rimini; in seguito, sterminato a Talamone (225)
un grandioso esercito di Galli, invadevano, col console Claudio Marcello, la Valle Padana, e,
piegate di nuovo, nel 222, le tribщ galliche a Clastidium, occupavano Mediolanum. Portatisi poi
nell'Adriatico, sconfiggevano la pirateria illirica e si creavano basi sulla costa dalmata entrando
cosм in contatto diretto col mondo greco. Intanto i Cartaginesi, rimessisi dalla sconfitta, avevano
cercato in Spagna compensi alle perdite subite, in ciт inizialmente non contrastati da R. che anzi
non vedeva malvolentieri questo loro spostamento verso Occidente; ma quando essi, al comando
di Annibale, espugnarono la cittа di Sagunto, cittа situata a sud dell'Ebro, fiume che non
avrebbero dovuto superare nella loro espansione, ma alleata di R., i Romani stessi, preoccupati
ora della forte ripresa cartaginese, entrarono nuovamente in guerra con la rivale (II guerra punica,
218-202 a. C.). Prevenendo ogni iniziativa romana, Annibale con marcia arditissima portт il suo
esercito dalla Spagna in Italia sconfiggendo in memorabili battaglie alla Trebbia (218), al
Trasimeno (217) e infine a Canne (216) i Romani. Non gli riuscм perт, come era nelle sue
intenzioni, di scardinare la federazione delle cittа italiche rimaste fedeli, salvo alcune (Capua,
Taranto, Siracusa). La rimonta per i Romani fu lunga e difficile, ma grazie a una grandiosa
mobilitazione in Italia di uomini e risorse economiche e alla tenacia e al patriottismo della classe
dirigente, recuperarono una per una le cittа che avevano defezionato, sconfissero nel 207 al
Metauro Asdrubale, che dalla Spagna (pure in gran parte ormai sotto il controllo romano) aveva
cercato di portare aiuto al fratello Annibale, e, portata a loro volta la guerra in Africa con Scipione
l'Africano, sconfissero a Zama (202) lo stesso Annibale, intanto rientrato a Cartagine. R. usciva
vincitrice dal piщ grande conflitto dell'antichitа: Cartagine fu ridotta ai soli possessi africani,
senza flotta e con enormiindennitа da pagare; la Spagna rimaneva ai Romani che vi crearono due
nuove province. Nel corso della guerra, dopo la battaglia di Canne, Filippo V di Macedonia aveva
stretto alleanza con Annibale, illudendosi forse, come pure aveva sperato Pirro mezzo secolo
prima, di potersi impadronire delle cittа greche dell'Italia merid.: ciт dimostra come R.,
preoccupata della propria sicurezza, ormai non potesse piщ disinteressarsi di quanto avveniva
da un capo all'altro del Mediterraneo. Di qui ebbe inizio tutta una serie di guerre e spedizioni a
catena, nel corso delle quali il dominio romano si allargт da ogni parte, aggiungendo provincia a
provincia, fino a estendersi incontrastato su tutte le regioni rivierasche del Mediterraneo: in
appena mezzo secolo, dal 199 al 146 a. C., R. riuscм infatti a prevalere su molti potentati orientali
e a incamerarne le enormi ricchezze. Rivoltasi dapprima contro Filippo V, che attaccт nel suo
stesso territorio, lo sconfisse, dopo alterne vicende, a Cinocefale (197) con T. Quinzio Flaminino
che, ammiratore della cultura ellenica e fautore di rapporti piщ intensi con il mondo greco, restituм
ai Greci la libertа che i Macedoni avevano loro tolto. Fu poi la volta di Antioco III di Siria che,
spinto anche da Annibale, era sbarcato in Grecia presentandosi come il liberatore del popolo
greco; ma anch'egli venne battuto a Magnesia (189) e dovette cedere i propri possessi dell'Asia
Minore al re di Pergamo, Eumene, e alla repubblica di Rodi, entrambi alleati di Roma. In una
successiva guerra, i Romani sconfissero definitivamente, con la vittoria riportata da Emilio Paolo
a Pidna nel 168, la Macedonia il cui nuovo re Perseo, figlio di Filippo, aveva invano cercato di
rovesciare l'equilibrio politico imposto da Roma. Divisa dapprima in quattro Stati e praticamente
smilitarizzata, la Macedonia fu ridotta a provincia nel 146, in seguito a un suo ennesimo tentativo
di insurrezione. Questa volta anche i Greci che, divenuti insofferenti della protezione romana, di
nascosto avevano giа prestato aiuto a Perseo, e le cui discordie interne andavano sempre
aumentando, perdettero la libertа (ma il loro territorio divenne formalmente provincia solo al
tempo di Augusto): Corinto, centro della resistenza greca, fu rasa al suolo e i suoi abitanti ridotti
in schiavitщ (146).
La medesima sorte toccт contemporaneamente, dopo un durissimo assedio, a Cartagine che era
tornata a preoccupare R. per il rifiorire dei suoi commerci (III guerra punica, 149-146 a. C.): i
possedimenti africani della cittа andarono a costituire una nuova provincia, l'Africa. Lo stesso
vincitore di Cartagine, Scipione Emiliano, riuscм a far pure capitolare, nel 133 a. C., la cittа
spagnola di Numanzia, nella quale si erano ridotte le ultime resistenze degli Spagnoli che
avevano impegnato, con continui e violenti moti di rivolta, le legioni romane per almeno
vent'anni. Per rendere sicuri i collegamenti tra l'Italia e la Spagna, pure la Gallia merid., la
Narbonese, venne trasformata in provincia nel 121 e Narbona divenne la prima colonia romana
fuori d'Italia. Nel 129, infine, assoggettato anche il regno di Pergamo, venne creata la provincia di
Asia. R. aveva cosм imposto la sua pace in tutto il Mediterraneo: oltre all'Italia peninsulare e alla
Gallia Cisalpina, ormai in fase di latinizzazione con l'Istria e la Dalmazia, dipendevano dallo
Stato romano otto province, precisamente, nell'ordine cronologico dell'annessione, Sicilia,
Sardegna-Corsica, Spagna Citeriore e Ulteriore, Macedonia, Africa, Asia, Gallia Narbonese,
province che, seguendo il concetto orientale del territorio d'un regno inteso come bene privato del
sovrano, furono consi derate proprietа del popolo romano e sottoposte al governo di un pretore
nelle cui mani si assommavano, senza alcuna limitazione, il potere esecutivo, giudiziario e
militare e che durava in carica un anno. Ai confini delle province, poi, c'erano per lo piщ regni o
cittа alleate. Divenuta la potenza dominante nel mondo mediterraneo, R. dovette risolvere nuovi
grandiosi problemi di organizzazione, di fronte ai quali le sue strutture politiche, sviluppatesi fino
allora sulla linea della cittа-Stato, non erano in grado di reggere: la stessa riluttanza, ampiamente
visibile nelle vicende greche, con la quale passт dall'egemonia indiretta alla conquista e alla
presa di possesso, dimostra come gli uomini politici di R. fossero coscienti dell'insufficienza
degli organi burocratici dello Stato, e lo Stato entrт da allora in una lunga crisi istituzionale che
sfociт, un secolo piщ tardi, nel principato.Storia: crisi dei valori tradizionali e trasformazioni socialiProfonde trasformazioni si erano avute anche nella compagine cittadina, di ordine sia culturale
sia economico-sociale. Le antiche ideologie tradizionalistiche, che avevano avuto il loro ultimo
esponente in Catone il Censore, tenace difensore, contro ogni innovazione, dei mores antiqui, nei
quali riteneva stesse la vera forza di R., erano state sconvolte dal contatto con la cultura e i modi
di vita greci. Le abitudini delle famiglie romane, con tante ricchezze affluite dai bottini di guerra e
subito entrate in circolo, erano cambiate velocemente: si era allentata l'antica sobrietа e si
stavano diffondendo il lusso e il fasto di stampo orientale; la stessa base patriarcale della
famiglia era scossa dalla maggiore libertа della donna e dalla possibilitа, a cui si ricorreva
sempre piщ facilmente, di divorziare. Anche nell'uso del pubblico denaro il costume si andava
evolvendo: si dimenticava l'antica correttezza e gli episodi di malversazioni non mancavano:
clamoroso era stato il processo per peculato promosso da Catone contro gli Scipioni, campioni
del filellenismo, conclusosi con il volontario esilio dell'Africano. R. si faceva sempre piщ grande e
fastosa e splendidi monumenti ed edifici vi erano costruiti; a essa riaffluivano in gran numero
coloni romani e latini che, impoveriti prima dalle guerre, soprattutto da quella annibalica, e poi
dalle lunghe ferme militari, abbandonavano le campagne italiche che cosм perdevano uomini a
vantaggio del formarsi del latifondo con la concentrazione della proprietа agraria in poche mani.
Ciт causava la riduzione della classe contadina, sulla quale poggiava la forza delle legioni che
avevano portato R. alla conquista del Mediterraneo. Una separazione sempre maggiore si
andava operando, anche sul piano politico, tra i ceti inferiori e la classe oligarchica, costituita sia
dalle famiglie di antica nobiltа, che traevano le proprie ricchezze dallo sfruttamento sempre piщ
intenso e organizzato delle accresciute proprietа agricole, sia dai nuovi ricchi, i grandi finanzieri
e imprenditori che formavano la classe dei cavalieri, quelli cioи che un tempo, per il loro censo
elevato, erano in grado di provvedersi di un cavallo per il servizio in cavalleria, ma che poi,
quando tale servizio passт a reparti specializzati forniti per lo piщ dagli alleati, vennero a
costituire una classe sociale, appunto l'ordine equestre, distinta da quella dei senatori, cui
spettava la direzione degli affari di Stato. Le assemblee, quella centuriata e quella tributa,
andavano perdendo l'antica fisionomia, nonostante alcune riforme che le avevano aggiornate con
i nuovi rapporti di forza politica e sociale, affollate com'erano in prevalenza da una plebe
cittadina amorfa e con scarso civismo (quella rurale, specialmente dei territori piщ lontani, non vi
interveniva che raramente). Gli stessi tribuni della plebe agivano ormai in funzione degli
interessi di questa o quell'altra consorteria della nobiltа allontanandosi sempre piщ dall'antica
funzione di difensori degli interessi dei ceti minuti. Col dilagante scetticismo di importazione
greca, la stessa religione, incentrata nel culto delle grandi divinitа di Stato, al quale attendevano
prestigiosi sodalizi sacerdotali, pontefici, auguri, epuloni, ecc., con riti e cerimonie in cui avevano
ancora molta parte le procedure magiche legate alle primordiali credenze animistiche, proprie
delle societа rurali, andava perdendo quota nelle coscienze, diventando spesso strumento per
l'affermazione di interessi di parte (addirittura si dovette arrivare a proibire di vedere lampi a ciel
sereno, tradizionalmente segnale infausto, per non dover continuamente interrompere i lavori
assembleari!).
Ma la maggiore preoccupazione veniva dal ristagno demografico nelle campagne italiche: nel
censimento del 135 i cittadini romani adulti erano scesi a 317 993 da 337 452 registrati nel 163;
questa flessione comprometteva l'efficienza dell'esercito legionario, i cui compiti si erano
sempre piщ allargati dovendo esso montare ora la guardia da un capo all'altro del Mediterraneo.Storia: le riforme dei GracchiPersuaso che per porre rimedio a un simile stato di cose fosse necessaria la ricostruzione della
classe contadina, Tiberio Gracco, figlio del Tiberio Gracco che aveva pacificato la Sardegna e la
Spagna, nipote di Scipione l'Africano ed esponente delle correnti democratiche, si fece nel 133
promotore, come tribuno della plebe, di una riforma agraria per la distribuzione ai cittadini
nullatenenti, in lotti inalienabili di trenta iugeri a testa (circa sette ettari e mezzo), dell'ager
publicus, l'insieme cioи dei terreni un tempo confiscati ai popoli italici vinti che, non piщ ora
utilizzati per fondazioni coloniarie (le ultime colonie latine e quelle romane agrarie erano state
dedotte nel Nord d'Italia nei primi decenni dopo la guerra annibalica), erano stati in larga parte
occupati, piщ o meno abusivamente, dai grandi proprietari con lo scopo di farne soprattutto degli
immensi pascoli per estesi allevamenti animali ai quali venivano adibite le ingenti forze servili,
quelle affluite in Italia dopo le vittoriose guerre transmarine. Con il ripopolamento delle campagne
italiche, avrebbe riacquistato l'antica efficienza, grazie agli arruolamenti incrementati, anche
l'esercito, del cui indecoroso comportamento il tribuno era stato testimone diretto durante la
campagna spagnola per la conquista di Numanzia. La riforma urtava contro gli interessi della
nobiltа e turbava anche i rapporti con gli alleati latini e italici, essi pure colpiti dal recupero dell'
ager publicus. Il Senato l'avversт con ogni mezzo: ne seguirono disordini, essendosi essa ormai
caricata anche di significato sociale, e Tiberio Gracco finм con l'essere ucciso dai suoi avversari.
Non si osт cancellare la riforma che aveva ottenuto l'approvazione dei comizi tributi (ormai
questi tenevano il primo posto nell'approvazione delle leggi) e si incominciт ad attuarla sia pure
a rilento. L'azione riformatrice di Tiberio fu ripresa vigorosamente, dieci anni dopo, dal fratello
Gaio che, eletto al tribunato nel 123, promosse un generale programma di riforme in campo
sociale e costituzionale, con lo scopo di far uscire lo Stato romano dalle anguste strutture della
cittа-Stato per dargli gli strumenti politici necessari a governare un impero a raggio mediterraneo:
confermт la riforma agraria e fece decidere la creazione di colonie a Taranto, a Cartagine e a
Corinto, punti chiave del commercio marittimo; agevolт il ceto equestre nella per cezione delle
decime in provincia d'Asia e immise suoi rappresentanti tra i giudici, fino allora solo senatori, per
i reati di malversazione nel governo delle province, sempre piщ frequenti; promosse distribuzioni
di grano a prezzo controllato, riorganizzт i mercati, costruм strade, stimolт i commerci, e, per
tacitare gli alleati latini e italici danneggiati nel recupero dell'ager publicus necessario
all'attuazione della riforma agraria, propose la concessione della cittadinanza romana ai latini e i
diritti latini agli altri socii, in modo che gli uni e gli altri potessero accedere alle distribuzioni di
terre. L'azione riformatrice del tribuno colpiva perт in piщ parti i privilegi dell'aristocrazia
senatoria (il Senato, per la vastitа e la complessitа dei problemi di governo, era diventato il vero
arbitro dello Stato) e in una serie di disordini anche Gaio trovт la morte (121), lasciando aperto, in
tutta la sua drammaticitа, il problema dell'integrazione del proletariato romano e italico nello
Stato tanto ingrandito. L'altro grave problema, che era stato alla base dei tentativi di riforma
graccani, quello militare, fu per il momento risolto con l'abbassare, ancora una volta, il censo
minimo necessario all'arruolamento, come dai tempi della guerra annibalica si faceva
periodicamente, finchй con apposita riforma introdotta da Gaio Mario, si arrivт, e fu il primo
passo verso la creazione, in epoca augustea, di un vero e proprio esercito professionale, ad
arruolamenti volontari di proletari nullatenenti, per lo piщ ex contadini, che si attendevano poi la
ricompensa, una volta congedati, in terre. Questo tipo di esercito di regola si rivelт piщ fedele al
generale comandante che allo Stato stesso, fino ad assumere il carattere di un esercito
personale: erano all'orizzonte le guerre civili. Appunto con un esercito di questo genere, Gaio
Mario che, nonostante le modeste origini, era riuscito, col favore popolare, a essere eletto
console, potй concludere (105) un'annosa guerra, quella che Giugurta, usurpatore dell'alleato
regno di Numidia, aveva suscitato in Africa contro R. e che aveva sostenuto per lungo tempo,
nonostante la netta inferioritа delle sue forze, sfruttando l'incapacitа e la corruttibilitа dei vari
generali romani che si erano succeduti al comando dell'esercito romano. Tornato dall'Africa,
Mario, la cui popolaritа era in continua ascesa, tanto da essere rieletto console per cinque volte,
dovette affrontare i Teutoni e i Cimbri, popoli barbari scesi dal Nord alla ricerca di terre, e li battй,
annientandoli, rispettivamente ad Aquae Sextiae nella Gallia Narbonese (102) e ai Campi Raudii,
presso Vercelli (101). Queste vittorie erano state facilitate da alcune innovazioni che il popolare
condottiero aveva apportato nell'ordinamento delle legioni con l'affermarsi in esse delle coorti, le
nuove unitа tattiche caratterizzate dall'abbinamento, alla tradizionale mobilitа, di una maggiore
potenza d'urto, particolarmente necessaria negli scontri con le torme barbariche.
Storia: Mario e SillaLe sei rielezioni di Mario al consolato, clamorosa infrazione alla norma consuetudinaria della
rotazione delle cariche, erano state rese possibili dalla massiccia presenza, nei comizi elettorali,
dei suoi veterani, ai quali egli potй distribuire le terre promesse alleandosi con i cavalieri contro
il Senato, mentre la situazione politica andava facendosi sempre piщ confusa e aspre
diventavano le lotte tra le fazioni opposte. La necessitа di sistemare i reduci fece perт
riesplodere la questione agraria e accese la rivolta degli Italici che, giа colpiti dalla riforma di T.
Gracco, chiedevano ora la cittadinanza romana per aver piщ parte nella vita dello Stato e per
usufruire, anch'essi, al momento del congedo, del le assegnazioni di terra. Scoppiт cosм la
guerra sociale (90-88 a. C.): dopo un inizio sfavorevole, R. riuscм, utilizzando tutti i suoi migliori
comandanti, a prevalere militarmente sugli Italici (che si erano nel frattempo organizzati, con
ordinamenti modellati su quelli romani, in una confederazione simile a quella romana, con una
propria capitale Corfinium tra i Peligni, ribattezzata Italica), ma dovette accoglierli alla fine nella
cittadinanza romana, seppure distribuendoli in sole otto tribщ dell'assemblea tributa limitandone
con ciт, per il momento, il peso politico. I cittadini romani passarono allora di colpo da ca. 400.
000 a ca. 900.000, ma in questo modo le vecchie strutture dello Stato-cittа, giа deficitarie,
entravano definitivamente in crisi: le guerre civili che seguirono furono l'inevitabile conseguenza
di questo squilibrio. Durante la guerra sociale era stato richiamato in patria, dalla Cilicia, dove
era stato inviato per porre fine al disordine che il re del Ponto, Mitridate, andava creando in Asia,
anche Cornelio Silla, rampollo di una famiglia nobile, ma economicamente decaduta e quindi
incapace di fornirgli i mezzi necessari per imporsi all'elettorato. Silla si era giа distinto per la
parte notevole che aveva avuto, grazie alla sua scaltrezza, nella conclusione della guerra
giugurtina, e ora, spenti gli ultimi focolai dell'insurrezione italica, otteneva dal Senato il comando
di una nuova spedizione contro Mitridate, tornato a sobillare la rivolta contro R. dei popoli
orientali, compresi i Greci; ma i comizi tributi, nei quali spadroneggiavano i veterani di Mario,
trasferirono allo stesso Mario l'incarico togliendolo a Silla. Raggiunto da questa notizia in
Campania mentre era in procinto di partire per la nuova missione, Silla, che giа nutriva rancore
verso Mario perchй persuaso che questi lo avesse defraudato della sua parte di merito nella
conclusione della guerra giugurtina, marciт, alla testa delle sue legioni, su R. dove entrт in
assetto di guerra, contravvenendo, con un atto considerato empio, all'antico divieto di varcare in
armi il pomerio, l'antica cinta murata: rimasto padrone della cittа, dalla quale erano perт riusciti a
fuggire la maggior parte dei suoi avversari, tra cui Mario rifugiatosi in Africa, fece uccidere i
fautori delle recenti leggi, ristabilм l'autoritа del Senato e dell'assemblea centuriata contro quella
tributa, della quale fece abrogare le ultime leggi, e partм poi per l'Oriente. Ma subito dopo R.
ritornт in mano ai seguaci di Mario, che, rientrato in cittа, non conobbe limiti nello sfogare, prima
di morire nell'86 a. C., la sua sete di vendetta. Piщ tardi, portata a termine, per il momento con
successo, la guerra contro Mitridate e restaurato dovunque l'ordine con gravose imposizioni e
feroci castighi alle cittа greco-orientali insorte, Silla rientrт in Italia carico di un colossale bottino:
sconfitto alle porte di R. l'esercito dei Mariani, formato in gran parte da Italici, tornт padrone
assoluto della cittа. Deciso a stroncare ogni velleitа democratica e a instaurare definitivamente il
potere dell'oligarchia, Silla, dopo aver scatenato a sua volta una serie incredibile di vendette
contro gli avversari che a migliaia perdettero la vita col sistema delle liste di proscrizione, fattosi
nominare dittatore a tempo indeterminato, si diede a riformare lo Stato in senso oligarchico;
restaurт i privilegi della nobiltа col porre le assemblee sotto il controllo del Senato, dove aveva
immesso un gran numero di suoi partigiani, e col rendere lunghe e difficili le carriere politiche per
impedire la rapida formazione di forti poteri personali; ridusse i poteri dei tribuni e stabilм inoltre
che consoli e pretori potessero recarsi nelle province solo alla fine del mandato. Ma questo
nuovo ordinamento, del quale Silla intese favorire un sicuro avvio ritirandosi a vita privata nel 79
a. C. (poco tempo prima della morte), non era in linea coi tempi e con le aspirazioni personali dei
piщ ambiziosi, tanto che, in breve, venne smantellato pezzo per pezzo.Storia: Pompeo e la conquista dell'OrienteSubito riprese l'opposizione popolare: il console M. E. Lepido, giа sostenitore di Silla, poi
passato dall'altra parte per motivi personali, cercт di ribellarsi al Senato, ma fu facilmente
travolto da Gneo Pompeo, giа distintosi nella guerra civile dell'83-82 come valido alleato di Silla
e piщ tardi per aver represso le ultime resistenze dei democratici in Sicilia e in Africa. Lo stesso
Pompeo, nonostante il Senato, che ben conosceva le sue ambizioni, non si desse molto da fare
per agevolarlo con rinforzi, riuscм poi ad aver ragione di un vasto movimento insurrezionale
antiromano sorto in Spagna a opera di Q. Sertorio, antico ufficiale di Mario. Pure repressa con
tremende rappresaglie, questa volta specialmente a opera del ricchissimo e altrettanto vanitoso
Licinio Crasso, fu una grande rivolta di schiavi delle campagne italiche; questi, capeggiati da
Spartaco, un orientale probabilmente di origine nobile, con incredibili successi avevano seminato
il panico in tutta l'Italia. Nel frattempo in Asia Mitridate, che Silla nell'83, per la fretta di rientrare a
R., non aveva reso per sempre inoffensivo, riprendeva la sua politica di espansione antiromana:
Licinio Lucullo, inviato contro di lui dal Senato, riuscм a metterlo in fuga inseguendolo fino nel
cuore dell'Armenia, ma qui il suo esercito romano-italico, insofferente della disciplina troppo
rigida, gli si rivoltт, favorendo la riscossa di Mitridate.
L'unico uomo adatto a ristabilire la precaria situazione venutasi a creare apparve allora Pompeo,
il cui prestigio era immensamente cresciuto presso i ceti popolari dopo che nel 70, come console,
aveva ripristinato i poteri tribunizi umiliati da Silla, e, piщ tardi, aveva fatto ritornare a prezzi
normali il grano grazie a un'energica azione di ripulitura fatta con poteri proconsolari speciali
concessigli per tre anni, di ogni angolo del Mediterraneo dalla pirateria, la quale negli ultimi
tempi si era rinforzata, dopo la scomparsa delle marinerie greche e cartaginesi, con i molti
sbandati delle guerre civili e con gli schiavi scampati all'eccidio della guerra servile, e ora
ostacolava gravemente i traffici marittimi. A Pompeo venne cosм prorogato il comando in Oriente,
non senza contrasti, a vincere i quali ebbe parte notevole Cicerone come portavoce dei ceti
finanziari, favorevoli alla spedizione contro Mitridate, nella quale intravedevano nuove
prospettive di immensi guadagni. Quello conferito a Pompeo fu allora un comando senza limiti di
tempo e con piena facoltа di intraprendere guerre o concludere paci, ed egli se ne avvalse per
sconfiggere a Nicopoli (66) l'indomabile Mitridate che fu costretto a suicidarsi. Guidando poi, con
grandiose marce sulle orme di Alessandro Magno, le legioni romano-italiche all'interno del
favoloso Oriente e assicurando al dominio di R. nuove ricche regioni, quelle dell'Asia anteriore,
la Siria, la Palestina, Pompeo diede una stabile sistemazione a tutto l'Oriente asiatico, nel quale
riprese, in sostanza, l'azione ellenizzatrice del grande re macedone. A R., intanto, la situazione
andava facendosi sempre piщ precaria rimanendo ancora aperte e insolute antiche questioni,
prima tra tutte quella agraria, ormai pretesto di continue lotte tra le fazioni opposte o di tentativi di
affermazioni personali, come quello di Catilina, la cui congiura, che pure aveva suggestionato sia
aristocra tici indebitati sia nullatenenti delle cittа e delle campagne (i cambiamenti di fortuna
erano stati rapidi nelle guerre civili, delle distribuzioni di terre ai veterani erano spesso rimasti
vittime anche piccoli proprietari e l'andamento dell'economia subiva contraccolpi dalle ricorrenti
crisi monetarie e da investimenti avventurosi), fu sventata da Cicerone, console nel 63. Cicerone
si illuse allora di aver reintegrato il Senato nell'antico prestigio e non si rese conto che il tipo di
governo da lui vagheggiato, basato sulla concordia degli ottimati, senatori e cavalieri,
raggruppati in consorterie che si contendevano il potere politico e quello economico, era ormai
fuori della realtа e che la situazione sarebbe rimasta precaria fin tanto che non si fosse trovata
un'adeguata sistemazione all'innumerevole turba di proletari che affluivano con ritmo crescente
nella cittа in continua espansione, e che diventava strumento nelle contese comiziali.Storia: il primo triumviratoNel 60 a. C. i tre maggiori protagonisti della vita politica del tempo, cioи Pompeo – il quale, tornato
carico di gloria e di bottino, dopo aver congedato, nel rispetto della legalitа, l'esercito, si era visto
negare dal Senato, geloso e timoroso della sua potenza, la ratifica delle misure prese in Oriente
e la sistemazione dei veterani –, Crasso che, con la grande maestria che usava nell'ordire intrighi
sotterranei, non mancava di approfittare di ogni situazione per accrescere potenza e ricchezze, e
Cesare, la cui influenza era in continua ascesa grazie alla sensibilitа che aveva per i problemi
dei ceti popolari e alle autentiche capacitа politiche in lui innate, si allearono tra loro con un patto
personale: il cosiddetto primo triumvirato, che, sebbene privo di base costituzionale, era
certamente in grado di controllare o addirittura soppiantare i poteri dello Stato. In tal modo
Cesare, eletto console nel 59, dopo aver fatto ratificare gli ordinamenti che Pompeo aveva dettato
in Oriente, fece approvare, secondo un piano preordinato, inteso a creargli una base di potenza
per il futuro e a ridurre il potere dell'oligarchia, una legge agraria per la distribuzione di terre ai
veterani di Pompeo e alla plebe povera; grazie a tale legge un grande beneficio venne anche
all'agricoltura italica duramente danneggiata, negli ultimi decenni, dalle continue guerre interne.
Partito poi, nel 58, con poteri proconsolari per la Gallia, Cesare riuscм a sottomettere tale
immensa regione definitivamente nel 51, dopo aver espugnato la cittа di Alesia dove si erano
rifugiate le ultime disperate resistenze galliche capeggiate da Vercingetorige: in questo modo egli
si creт, oltre che un esercito addestrato e fedele e un'enorme riserva di ricchezze, anche un
prestigio militare che oscurava ormai quello di Pompeo. Quest'ultimo, durante l'assenza di
Cesare, era andato sempre piщ avvicinandosi al Senato, ergendosi come supremo difensore della
legalitа. Scomparso poi Crasso miseramente a Carre nel 53, alla fine di un'infelice spedizione
contro i Parti intrapresa per soddisfare un vano sogno di grandezza militare che lo tormentava da
anni, la rottura tra Cesare e Pompeo divenne inevitabile. Avendogli il Senato, istigato da Pompeo,
intimato di cedere il comando della Gallia e di sciogliere l'esercito, Cesare, consapevole che
ubbidire significava per lui perdere ogni potere, dopo aver cercato invano un compromesso,
ordinт alle sue truppe di varcare il Rubicone (49 a. C.), che segnava il confine tra il territorio
romano e quello provinciale, ponendosi cosм fuori della legge. Dopo una rapida discesa lungo la
Penisola, Cesare entrт senza fare rappresaglie a R., dalla quale erano perт fuggiti, rifugiandosi
nella penisola balcanica, Pompeo e i suoi seguaci, e, impadronitosi del tesoro statale, passт in
Spagna dove vinse, a Ilerda, un esercito pompeiano. Fattosi eleggere console nel 48, dopo aver
preso alcune misure per risollevare la precaria situazione economica, affrontт Pompeo a Farsalo
(48) in Tessaglia e lo vinse dimostrando grande abilitа tattica, nonostante la superioritа delle
forze pompeiane.
Recatosi in Egitto per inseguire Pompeo, che vi aveva cercato rifugio, e invece vi era stato ucciso
a tradimento, Cesare si fermт alcuni mesi ad Alessandria dove rafforzт il potere della regina
Cleopatra. Piщ tardi, con una fulminea campagna durata appena cinque giorni, inflisse a Zela (47)
nel Ponto, da cui inviт al Senato il famoso messaggio veni vidi vici, una severa sconfitta al figlio
di Mitridate, Farnace II, che, approfittando della guerra civile, aveva ripreso la politica
espansionistica paterna. Placati poi i tumulti che serpeggiavano a R., rimasta da tempo senza
guida sicura a causa della sua lunga assenza, e ristabilito ovunque l'ordine, Cesare si trasferм in
Africa dove, presso Tapso, nell'estate del 46, attaccт e distrusse un esercito formato da alcuni
autorevoli esponenti dell'opposizione, capeggiati da Catone Minore: questi, dopo la sconfitta, si
uccise a Utica, persuaso che R. avesse ormai definitivamente perso la libertа. Stroncato nel 45
un ultimo focolaio di resistenza a Munda in Spagna, liquidando cosм ogni forma di opposizione,
Cesare, assommando ormai nella sua persona tutti i poteri fondamentali dello Stato, civili
(dittatura prima decennale, poi a vita, e la tribunicia potestas, cioи il potere tribunizio che rendeva
inviolabile la sua persona e gli dava la facoltа di convocare il Senato e le assemblee), militari (l'
imperium, cioи il comando di tutte le forze militari) e religiosi (il pontificato massimo), si trovт
padrone del mondo romano e potй dunque iniziare un'opera grandiosa di riforme costituzionali e
amministrative, oltre che sociali: allargт i quadri del Senato, aumentт il numero dei magistrati,
riorganizzт municipi e colonie con la Lex Julia Municipalis, creт nuove colonie tra cui Cartagine e
Corinto, represse abusi nel governo delle province, riformт il calendario, ecc., tendendo al
superamento della cittа-Stato mediante la formazione di uno Stato plurinazionale nel quale
fossero ridotte il piщ possibile le differenziazioni tra le varie componenti nazionali e sociali.
Promosse in R. anche grandiose opere pubbliche come la sistemazione del Foro, e favorм
largamente le lettere e le arti, istituendo la prima biblioteca pubblica di Roma. Ma alle Idi di
marzo del 44 a. C., cadde ucciso in un complotto organizzato da Bruto e Cassio, al quale presero
parte una sessantina di giovani, tutti esponenti della nobiltа, insofferenti della supremazia del
dittatore e tenacemente fedeli agli ideali repubblicani di libertа.Storia: i successi di OttavianoSi aprм cosм una nuova e lunga serie di lotte civili che sconvolsero ancora una volta il mondo
romano. Dapprima cercт di trarre profitto dalla situazione di disordine venutasi a creare con i
tumulti suscitati dai veterani e dal popolo di R. il console Marco Antonio, un fedelissimo di
Cesare, del quale voleva raccogliere l'ereditа politica: ma il Senato gli contrappose il
diciannovenne Ottavio, designato inaspettatamente dal prozio Cesare come erede adottivo dei
suoi beni. Il giovane, preso il nome di Cesare Ottaviano, seppe far convergere su di sй,
sottraendole ad Antonio, gran parte delle forze militari cesariane. Accortosi poi che, dopo aver
sconfitto a Modena nel 43 un esercito di Antonio, il Senato cercava ora di metterlo da parte per
restaurare i suoi antichi poteri, Ottaviano, sorretto dai vecchi soldati di Cesare, presentatosi con
fredda determinazione alle porte di R. con un esercito, riuscм a farsi nominare console e si
accordт col rivale col quale si incontrт nell'autunno del 43, a Bologna, assieme a Emilio Lepido,
un altro fedele cesariano, per costituire un triumvirato quinquennale, poi ratificato dal Senato, col
fine di riordinare lo Stato su nuove basi costituzionali (triumviratus reipublicae constituendae).
Dopo aver scatenato, diversamente dal comportamento di grande clemenza tenuto da Cesare,
una serie di vendette contro gli avversari, nel corso delle quali cadde vittima di Antonio anche
Cicerone, i triumviri, passati in Macedonia, sconfissero a Filippi, nel 42, le forze di Bruto e
Cassio che ormai tenevano sotto controllo l'Oriente, e si divisero poi il territorio dell'impero.
Ottaviano, responsabile dell'Italia, la cui popolazione era giа esasperata per le difficoltа del
vettovagliamento create dalle azioni piratesche di Sesto (questi, figlio di Pompeo, raccolti presso
di sй sbandati e fuggiaschi, si era creato un vasto dominio nelle isole del Mediterraneo), si trovт
a dover fronteggiare una vera e propria ribellione causata dal malcontento per le spogliazioni di
terre operate a favore dei veterani. A capo della ribellione si erano posti, per smorzare lo
strapotere di Ottaviano in Italia, il fratello di Antonio, Lucio, e sua moglie Fulvia; Antonio da tempo
si era stabilito presso Cleopatra dimentico dei propri impegni di riorganizzazione dell'Oriente.
Ottaviano intanto, domata l'insurrezione e costretti alla resa i due cognati nel 40 a Perugia,
ristabilito successivamente a Brindisi l'accordo con Antonio (velocemente tornato in Italia),
distrusse nel 36 a Nauloco, sulle coste sett. della Sicilia, la flotta di Sesto Pompeo che andava
tra l'altro risvegliando pericolose simpatie tra gli antichi seguaci del padre, e, dopo aver
esonerato Lepido dal governo dell'Africa, divenne di fatto padrone dell'Occidente intero. Taluni
atteggiamenti di Antonio, quali la donazione fatta a Cleopatra, da lui sposata, di alcune province
orientali romane o il riconoscimento della dignitа regale ai due figli da lei avuti, che la
propaganda di Ottaviano, sfruttandoli abilmente, presentт come un tradimento dei tradizionali
valori morali e religiosi del mondo romano (Ottaviano, con grande sagacia, ne andava
intraprendendo la restaurazione in Italia), offrirono l'occasione alla rottura tra i due; la lotta
personale assunse presto l'aspetto di un grandioso conflitto tra due opposti mondi ideali, quello
romano e quello dell'Oriente ellenistico, essendo ormai sorpassata la questione della
sopravvivenza o meno della costituzione repubblicana, con la quale sempre minori legami
avevano i nuovi ceti dominanti.
Il successo che la flotta di Ottaviano, grazie all'abilitа di M. Agrippa e all'apparato amministrativo
e militare dello Stato romano, ottenne nelle acque di Azio, nel 31 a. C., su quella di Antonio e di
Cleopatra, segnт, oltre che la vittoria dello spirito nazionale romano-italico sull'universalismo
ellenistico, anche la soluzione del secolare travaglio costituzionale di Roma.Storia: l'etа imperialeDivenuto, dopo la vittoria di Azio e il suicidio di Antonio, arbitro di R. e dell'impero, Ottaviano, cui il Senato attribuм, nel 27 a. C., il nome augurale di Augustus (colui che sopravanza tutti per
autorevolezza e prestigio), procedette a un riassetto delle strutture politiche dello Stato
lasciandone invariata la forma esterna repubblicana, ma concentrando in realtа nelle sue mani
tutti i maggiori poteri. Con l'imperium militare nelle province e a R. la potestas tribunicia che,
facendo di lui il naturale protettore della plebe, gli assicurava l'inviolabilitа e il diritto di
convocare le assemblee o promulgare editti, e, piщ tardi, dal 12 a. C., con il pontificato massimo,
tutte cariche attribuitegli a vita, Augusto si garantм il controllo su ogni settore dello Stato, dando
inizio a un regime indicato poi con il nome di principato dal suo titolo di princeps senatus, colui
cioи che primo tra eguali esprime in Senato il parere sui problemi in discussione. Nel nuovo
regime la funzione legislativa fu gradualmente trasferita dalle assemblee popolari al Senato che,
a sua volta, si era vista sottratta la direzione politica dello Stato e nel quale Augusto, accanto alla
vecchia nobiltа cittadina, accentuт l'entrata di esponenti della borghesia italica. Le tradizionali
magistrature repubblicane furono mantenute in vita, ma, con la moltiplicazione dei posti, esse
persero gradualmente di importanza, diventando col tempo cariche piщ onorifiche che reali. Per
assolvere molti compiti propri delle tradizionali magistrature, Augusto si avvalse sempre piщ dei
funzionari appartenenti all'ordine equestre, o addirittura di liberti, primo germe di quella solida
classe burocratica, ordinata ed efficiente, che sarebbe stata, nei secoli successivi, uno dei
cardini della stabilitа dell'impero. Tra i funzionari imperiali, i piщ importanti furono a R. i prefetti
del pretorio, comandanti delle cohortes praetorianae, la guardia del corpo dell'imperatore, con
compiti di polizia, e, nelle province, i legati, con compiti amministrativi. Rappresentava in R.
l'imperatore assente il praefectus urbi. La cittа, con circa mezzo milione di abitanti, fino allora
divisa in quattro distretti corrispondenti alle quattro tribщ urbane (Esquilina, Palatina, Suburana,
Collina), fu riorganizzata in quattordici regioni: il servizio di polizia urbana era esplicato dalle
cohortes vigilum al comando di un altro prefetto. Anche l'Italia, dai piedi delle Alpi allo stretto di
Messina e che contava allora una decina di milioni di abitanti, fu suddivisa, sulla base di
differenze etniche, linguistiche, storiche, geografiche, in undici regioni: la suddivisione, fatta
allora piщ per scopi di statistica, in connessione con i censimenti, che per interventi diretti del
governo centrale, fruendo i ca. 300 municipi del tempo di ampia autonomia locale, avviт il
processo storico del regionalismo italiano. Anche il governo delle province venne riorganizzato:
esse furono divise in senatorie, quelle in cui, essendo da tempo sotto il dominio romano, non era
piщ necessaria la presenza di forze militari e i cui governatori erano scelti dal Senato tra ex
magistrati di rango consolare e pretorio, e in imperiali che richiedevano invece un presidio
militare e i cui governatori erano nominati direttamente dal principe. In campo economico poi,
Augusto, mediante alcune misure, come la riscossione diretta dei tributi tramite funzionari statali
in luogo di appaltatori, ottenne il risanamento finanziario dello Stato e diede impulso alla ripresa
economica, che fu favorita anche dal rifiorire dell'agricoltura grazie alle nuove grandi
distribuzioni di terre ai veterani. In politica estera, il principe si preoccupт di conso lidare i confini
invece che di allargarli: la sconfitta che nel 9 d. C. il germanico Arminio inflisse nella selva di
Teutoburgo a tre legioni romane, annientate insieme al comandante Varo, lo indusse a fissare i
confini settentrionali sul Reno, invece che sull'Elba come avrebbe voluto, ritenendo questo
confine piщ sicuro; con la conquista della Pannonia furono comunque congiunti, in una ben munita
linea difensiva, limes, il confine del Reno e quello del Danubio. Furono pure annesse la Galazia
e la Giudea, mentre sull'Armenia venne imposto il protettorato romano, dopo che i Parti avevano
restituito le insegne da loro prese a Crasso. L'abbandono della politica di espansione, inizio di
un lungo periodo di pace, permise anche di fissare in venticinque legioni gli effettivi dell'esercito,
250.000 uomini, che Augusto trasformт in milizia stanziale distribuendola ai confini per la difesa.
Come giа Cesare, anche Augusto promosse grandiose opere pubbliche in R.: costruм o restaurт
templi con lo scopo di favorire il ritorno alla religione tradizionale contro il diffondersi delle
religioni orientali; eresse teatri, riparт strade, dando cosм alla cittа un aspetto adeguato al suo
ruolo di capitale dell'Impero, tanto da poter affermare nelle Res gestae, il suo testamento inciso
sul suo mausoleo, di aver trovato una R. "laterizia" e di lasciarla "marmorea". Favorм anche,
aiutato da Mecenate, la cultura, e la letteratura latina conobbe in questo periodo, con Virgilio,
Orazio, Livio, il suo momento piщ alto.
Storia: la dinastia Giulio-ClaudiaDopo la sua morte, il principato si trasmise, quasi come un bene ereditario, agli esponenti della
famiglia, nell'ambito di quella che и stata chiamata dinastia giulio-claudia (Tiberio, 14-37;
Caligola, 37-41; Claudio, 41-54; Nerone, 54-68) e ciт per mezzo secolo, fino a che i rapporti col
Senato e l'aristocrazia, presto fattisi precari sia per l'insofferenza dei ceti tradizionalisti verso un
regime di fatto monarchico, chй tale consideravano il principato, sia per le tendenze autocratiche
o addirittura dispotiche di certi imperatori, non si guastarono definitivamente con Nerone,
dimostrando cosм quanto il sistema inaugurato da Augusto, e che si manterrа, senza radicali
trasformazioni, per almeno tre secoli, cioи fino alla totale ristrutturazione che ne fece
Diocleziano, dipendesse molto dalle qualitа personali del principe con effetti differenti
nell'evoluzione storica e nella valutazione ufficiale. Tiberio, oltre a rimanere fedele alla politica
augustea della ricerca dell'equilibrio col Senato, si dimostrт anche, almeno nei primi anni, abile
uomo politico e soprattutto ottimo amministratore dopo aver rivelato, vivo ancora Augusto, grandi
doti militari nelle campagne in Germania e in Armenia, ma fu ritratto come un tiranno nella
storiografia romana di parte aristocratica (fu Tacito il suo principale e implacabile accusatore).
Anche la figura di Claudio che, succeduto al folle e crudele Caligola, svolse un'ottima politica sia
curando particolarmente l'organizzazione burocratica e finanziaria dell'Impero, sia favorendo la
romanizzazione e l'integrazione delle province, alle quali aggiunse anche la Britannia, fu oggetto
di scherno e di denigrazione da parte di Seneca, altro esponente dell'aristocrazia senatoria. Con
Nerone sembrт tornare l'equilibrio, ma dopo alcuni anni le sue tendenze dispotiche, vicine
all'assolutismo di tipo orientale e in contrasto quindi con lo spirito nazionalista romano, il suo
filellenismo, la sua politica demagogica, i suoi stessi intrighi familiari gli alienarono le simpatie
della classe senatoria. Nel 64 fu sospettato di aver appiccato il grande incendio che allora
distrusse R. e che gli permise poi di promuovere la ricostruzione della cittа in modo piщ
razionale, ma riuscм a sviare i sospetti sui cristiani, la cui religione, col suo messaggio di caritа e
con l'appagamento che sapeva dare alla speranza in una vita ultraterrena, si stava diffondendo
anche a Roma. Nel 65 riuscм a sventare una congiura ordita dai massimi esponenti
dell'aristocrazia, tra cui i Pisoni, Seneca, Lucano, e ne confiscт i beni accrescendo il patrimonio
imperiale. Ma quando malcontento e spirito di rivolta, giа serpeggianti a R. per le sue
megalomanie e il suo esibizionismo, si diffusero anche nell'esercito, che era cardine del potere
del principe, Nerone, abbandonato da tutti, vistosi perduto si fece uccidere da un servo (68). Dopo
quasi un biennio (68-69) di dure lotte per la successione, nel quale i capi militari Galba, Otone e
Vitellio riuscirono a farsi proclamare imperatori, finendo perт tragicamente uno dopo l'altro (due
battaglie decisive furono combattute a Bedriacum nel Cremonese), prevalse il generale italico
Vespasiano, capostipite della dinastia Flavia, originaria della Sabina: fu acclamato imperatore
dalle legioni di Oriente al comando delle quali si trovava nella repressione della rivolta giudaica,
scoppiata nel 66 e che si concluse poi nel 70 con la presa di Gerusalemme a opera del figlio Tito.
Ristabilito l'accordo col Senato col ridare la preminenza nell'Impero all'elemento italico, che egli
introdusse in modo sempre piщ massiccio sia nel Senato sia nella burocrazia e nei comandi
militari, Vespasiano svolse un'intensa attivitа di governo in ogni settore dell'amministrazione
dello Stato: fatte sancire dal Senato, con la Lex de imperio Vespasiani, le funzioni giuridiche del
principe nel controllo su tutte le magistrature civili, militari e religiose e nella direzione della
politica estera, perfezionт il sistema fiscale al fine di rendere piщ stabile e ordinato il bilancio
dello Stato, riorganizzт il sistema giudiziario, rese piщ efficienti i governi locali, accentuт gli
arruolamenti tra i provinciali, scarseggiando ormai gli italici cui riuscivano piщ attraenti le carriere
amministrative. Dopo il breve regno di Tito (79-81), durante il quale avvenne la grande eruzione
del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano (R. stessa fu allora colpita da un'epidemia e
semidistrutta da un nuovo incendio), Domiziano (81-96) continuт la politica paterna sia
nell'incrementare l'apparato burocratico e giudiziario, sia nel coordinare lo sviluppo economico,
sia ancora nel consolidare i confini (portт a termine la conquista della Britannia, rese inoffensivi i
popoli germanici stanziati al di lа del Reno e del Danubio, fortificт quei confini con la creazione di
una zona di colonizzazione militare tra i due fiumi, i cosiddetti agri decumates), ma le sue
tendenze dispotiche posero fine all'accordo col Senato che si vedeva sempre piщ esautorato dal
consilium principis, un ristretto organo consultivo formato da familiari e da amici del principe,
introdotto giа da Augusto, ma divenuto potente a partire da Vespasiano.
Storia: gli imperatori adottiviL'aristocrazia, colpita con indiscriminate confische di beni, ordм una congiura che eliminт
Domiziano e portт al potere l'anziano senatore Cocceio Nerva, che diede inizio alla serie degli
imperatori adottivi (Nerva, 96-98; Traiano, 98-117; Adriano, 117-138; Antonino Pio, 138-161; Marco
Aurelio, 161-180), coi quali l'Impero conobbe il periodo della sua maggiore stabilitа in una
continuata prosperitа economica . Seguaci dell'ideale stoico secondo cui al vertice dello
Stato deve essere il migliore tra i cittadini in grado di operare per il benessere comune, gli
imperatori adottivi, forti dell'alleanza con la classe dirigente dell'Impero, si impegnarono a fondo
nei compiti di governo garantendo sicurezza ai confini con opere di difesa e con una sagace
dislocazione delle legioni, migliorando l'apparato burocratico con la gerarchizzazione delle
carriere, stimolando lo sviluppo economico con opere pubbliche e favorendo il progresso
culturale. Traiano, primo imperatore provinciale nato a Italica in Spagna, abile generale, allargт
un po' dovunque, dove lo richiedevano ragioni di sicurezza e di difesa, i confini dell'Impero che,
con lui, raggiunse la sua massima espansione territoriale: conquistт infatti la Dacia, l'odierna
Romania (105), per impedire pericolose alleanze dei popoli transdanubiani con i Parti, e, per
contrastare la temibile potenza di questi ultimi, assoggettт l'Arabia sett. (106), l'Armenia (114) e
l'Assiria (116), riuscendo cosм a controllare anche le vie carovaniere del Mar Rosso. Adriano,
anch'egli spagnolo, resosi perт conto che le ultime conquiste rischiavano di compromettere
l'equilibrio difensivo dell'Impero e creare ulteriori problemi militari e amministrativi, preferм
abbandonarle e riprese la politica difensiva augustea rafforzando ovunque i confini con nuove
linee fortificate (p. es. il vallo che prese da lui nome in Britannia) e stabilendo, dove era
possibile, rapporti di alleanza con i barbari confinanti. Il ritorno della pace, insieme all'oro della
Dacia affluito in gran quantitа sui mercati dell'Impero, ridiede vigore, in Italia e nelle province,
all'attivitа produttiva in ogni settore, artigianale e agricolo: gli scambi commerciali, favoriti anche
dalla grandiosa rete stradale, ovunque sviluppata, che univa tra loro le piщ lontane province, si
infittirono rinsaldando cosм l'unitа politica e culturale dell'Impero, un Impero che si estendeva
ormai su una superficie di oltre tre milioni di km2 con 50-60 milioni di abitanti (ca. 15-20 ab. per
km2). Numerose cittа si abbellirono con edifici e monumenti fastosi anche nell'Occidente, in
Gallia, in Spagna, in Africa, province in cui la romanizzazione trovт stimolo in larghe concessioni
della cittadinanza romana e dei diritti latini a interi centri urbani. Anche la macchina burocratica
raggiunse, con gli Antonini, la sua piena maturitа: Adriano diede struttura definitiva alla carriera
equestre, fissando una gerarchia delle cariche burocratiche riservate alla classe dominante
italica, alla quale cominciт ora ad affiancarsi anche quella provinciale; riformт la giustizia
trasformando il consilium principis in organo ufficiale di consulenza giuridica e mettendo in
pratica, con la pubblicazione dell'edictum perpetuum del pretore, una sistematica tendenza
codificatrice valevole in ogni parte dell'Impero. Tuttavia, in un momento pur tanto splendido della
storia di R. e del suo Impero, covavano giа in profonditа elementi forieri di future difficoltа: prima
di tutto la politica perseguita di un diffuso benessere, al quale non potevano reggere all'infinito le
capacitа produttive del mondo antico a base prevalentemente agricola, stava causando il
progressivo indebitamento dello Stato e delle cittа; in secondo luogo il primato d'Italia, la cui
economia dava segni di prime difficoltа con un'agricoltura minata dal secolare estendersi del
latifondo e dallo spopolamento delle campagne in dipendenza di un urbanesimo eccessivo,
fenomeni questi concomitanti con il graduale contrarsi dei tributi provinciali, si andava allentando
rispetto alle province la cui ascesa economica era favorita dagli stessi imperatori (Adriano dedicт
a esse particolari cure compiendovi lunghi viaggi): l'allentamento preludeva a future tendenze
separatistiche. Si andavano poi delineando differenziazioni sociali tra gli honestiores, i ceti domi
nanti da una parte, e gli humiliores, i nullatenenti diseredati dall'altra, nei confronti dei quali lo
Stato non sapeva che prendere misure di assistenza momentanee e dispendiose come le
distribuzioni di grano e di altri generi. Un brusco e drammatico risveglio dalla lunga pace si ebbe
durante l'impero di Marco Aurelio, l'imperatore filosofo deciso a realizzare fino in fondo l'ideale
stoico del sovrano impegnato costantemente, al servizio dello Stato, a migliorare le condizioni di
vita dei sudditi: i Parti avevano attaccato l'Armenia e bande di Marcomanni, alla testa di una
vasta coalizione germanica, avevano assaltato i confini danubiani, mentre una rovinosa
pestilenza, venuta dall'Oriente, dilagava nell'Impero decimando le popolazioni, giа stremate da
carestie. Per il momento il pericolo barbarico fu perт scongiurato grazie all'abilitа
dell'imperatore: con l'aiuto del coreggente Lucio Vero, riuscм infatti ad aver ragione dei Parti e a
riaffermare, con una pace conclusa nel 166, la superioritа romana nel settore armeno. Piщ tardi
Marco Aurelio ristabilм la pace anche lungo il confine danubiano sconvolto per anni dai continui
assalti barbarici (un'incursione di Marcomanni e Quadi aveva persino raggiunto Aquileia nel 167)
e riportт le popolazioni germaniche alla clientela, senza tuttavia procedere a nessuna
annessione. Pure domate erano state alcune ribellioni in Spagna e Britannia (161) e in
Mauretania (172-173) e la rivolta del governatore Avidio Cassio in Oriente (175).
Le difficoltа e le angosce del tempo sono riflesse nei bassorilievi della superstite colonna
dedicata alle campagne di Marco Aurelio (oggi in Piazza Colonna) in cui non c'и piщ la limpidezza
descrittiva dell'altra colonna dedicata alle imprese di Traiano piщ di mezzo secolo prima.Storia: la crisi politica e Settimio SeveroMorto Marco Aurelio di peste nel 180, gli succedette, ripristinando il principio dinastico contro
quello adottivo invalso nell'ultimo secolo (si tenga perт presente che nessuno degli imperatori
adottivi precedenti a Marco Aurelio aveva avuto eredi diretti), il figlio Commodo che, con
atteggiamenti dispotici e una condotta spesso dissennata, che ricordava quella di Caligola e di
Nerone, ruppe l'alleanza con l'aristocrazia senatoria sulla quale infierм con esecuzioni e
confische, infrangendo cosм l'equilibrio dell'era degli Antonini e dando inizio a una grave crisi
politica nell'Impero. Infatti, eliminato Commodo in una congiura nel 192, il Senato non riuscм piщ a
imporre stabilmente un proprio candidato, come aveva fatto un secolo prima con Nerva, e
l'Impero precipitт temporaneamente nell'anarchia. Dapprima fu nominato imperatore il senatore
Pertinace, ma, dopo soli tre mesi di principato, i pretoriani, preoccupati per il programma di
austeritа e parsimonia che egli aveva instaurato allo scopo di riparare ai danni causati alle
finanze statali dalla politica folle del predecessore e dalle forti spese sostenute nelle guerre di
Marco Aurelio, lo uccisero. Nella contesa che seguм per la successione tra vari aspiranti, cioи
Didio Giuliano, che aveva ottenuto dal Senato il titolo di Augusto dopo aver versato a ciascuno
dei pretoriani 25.000 sesterzi contro i 20.000 offerti dal concorrente Sulpiciano (l'Impero all'asta!),
Pescennio Nigro, legato di Siria e sostenuto dalle legioni di Oriente, Clodio Albino, legato di
Britannia, e Settimio Severo, un originario di Leptis Magna acclamato imperatore dalle legioni del
Reno e del Danubio, ebbe la meglio quest'ultimo che riuscм a eliminare gli avversari a uno a uno,
dopo aver occupato R. nel giugno del 193 e aver fatto ratificare la sua nomina dal Senato. Meno
legato, per l'origine africana, alla tradizione romana e alla vecchia concezione del principato, era
persuaso che l'unica possibilitа di mantenere in vita l'istituto imperiale poggiava su
un'accentuazione del suo carattere tendenzialmente assolutista, e perciт attivт con grande
energia una politica di accentramento, nella quale rientravano anche le cure particolari da lui
rivolte ai ceti bassi di tutto l'Impero, sia imponendo nuovamente il principio dinastico, sia
esautorando, dalle ridotte competenze rimastegli, il Senato (giа alterato nella sua fisionomia
dall'immissione di nuovi membri, per lo piщ ora orientali e africani), sia potenziando e rendendo
piщ efficiente l'esercito (nelle cui file favorм pure l'entrata di un numero sempre maggiore di
elementi barbari), sia accrescendo le competenze della classe burocratica cui diede una struttura
via via piщ rigida, sia infine diminuendo i privilegi di cui ancora godeva l'Italia rispetto alle
province. La stessa energia Settimio Severo mostrт nella politica verso i popoli confinanti: nel
198 inflisse un duro colpo alla potenza dei Parti arrivando a conquistare la stessa capitale
Ctesifonte al termine di una spedizione in Oriente, che, se portт al consolidamento del dominio
romano in Mesopotamia, dove fu istituita una nuova provincia, si sarebbe rivelata perт nel futuro
poco propizia a Roma perchй dell'umiliazione inflitta ai Parti si avvantaggiт la piщ intraprendente
e temibile dinastia dei Sassanidi. Settimio Severo sulla strada del ritorno a Roma ispezionт
anche i confini danubiani che rese ovunque piщ sicuri; piщ tardi fece avanzare verso il deserto il
limes africano, e, infine, nel 208, visitт il confine britannico insidiato dai Caledoni e assicurт la
pace anche nella regione oltre il vallo di Adriano. Tuttavia le grandi spese militari (la paga dei
legionari fu allora portata da 300 a 500 denari), unitamente alle altre spese per l'amministrazione
statale e per la costruzione di opere pubbliche (a R. furono eretti l'arco in onore dell'imperatore e
il Septizonium, un grandioso ingresso monumentale da sud), resero pesante il bilancio dello
Stato, cosicchй si dovette ricorrere a una politica fiscale opprimente: venne istituita l'annona
militare che obbligava gli agricoltori a consegnare allo Stato, per il vettovagliamento delle truppe,
parte dei loro raccolti, e si procedette a requisizioni di beni in natura e di servizi, spesso con
procedure arbitrarie, a danno specialmente dei proprietari. Inoltre, allo scopo di far fronte alle
crescenti spese pubbliche, si inflazionт ulteriormente il denario, ormai una lega d'argento e rame
che giа da decenni subiva un costante peggioramento, e si permise l'istituzione di zecche di
Stato nelle province per poter affrontare le locali spese militari. La pressione fiscale, se per il
momento riuscм a mantenere in sesto il bilancio, causт perт un rallentamento nelle attivitа
commerciali e artigianali e l'ulteriore fuga dalle campagne di molti superstiti piccoli agricoltori
impossibilitati a sottostare ai gravami fiscali del tutto sproporzionati alle rendite: la classe
media, specialmente quella italica, da sempre anticamera dell'aristocrazia di governo, iniziт a
decadere, mentre diventavano sempre piщ potenti i militari.
Storia: la cittadinanza romana ai cittadini dell'ImperoProvvedimento sfavorevole al primato dell'Italia fu la Constitutio Antoniana de civitate (212), con
la quale Caracalla concesse, al termine di un lungo processo di integrazione delle province
nell'Impero, iniziato giа ai tempi di Cesare e in linea con la politica severiana favorevole ai ceti
bassi e ai provinciali contro l'aristocrazia tradizionale, la cittadinanza romana a tutti i cittadini
liberi dell'Impero, a esclusione dei dediticii (gli abitanti di centri rurali di origine barbarica). Il
provvedimento, che sanci va l'effettiva uguaglianza di tutti gli abitanti dell'Impero, fu forse dettato
anche da ragioni finanziarie, implicando l'avvento di una tassazione uniforme e regolare con un
gettito piщ abbondante, quale richiedevano sia le immense spese militari, sia le spese
burocratiche e amministrative dello Stato; a esse si cercт di far fronte anche con una serie di
altre imposizioni come il raddoppio delle imposte sulle ereditа e delle tasse sull'affrancamento
degli schiavi, senza che per altro si ottenessero decisivi risultati, anche per il progredire
dell'inflazione monetaria. Caracalla continuт la politica accentratrice del padre: uccise il fratello
Geta, a lui associato nell'Impero, fece sopprimere chiunque gli si opponesse (tra le vittime ci fu
anche Papiniano, uno dei piщ celebri giuristi del tempo che, quale prefetto del pretorio e membro
del consilium principis con Settimio Severo, aveva contribuito a dare base giuridica alla nuova
concezione imperiale). Ma dell'atmosfera piena di intrighi che si venne a creare intorno alla corte,
sempre piщ simile alle corti orientali e addirittura propagatrice delle religioni universalistiche
d'Oriente contro la vecchia religione romana, rimase vittima lui stesso, ucciso da una congiura a
Carre nel 217 mentre era in procinto di organizzare una nuova spedizione contro i Parti. Dopo il
breve regno del prefetto del pretorio Macrino, un cavaliere di origine mauretana che, indeciso se
continuare la politica assolutistica di Severo o riprendere la politica filosenatoria degli Antonini,
scontentт esercito e Senato finendo ucciso, il potere tornт nelle mani della famiglia dei Severi
con Eliogabalo, appena quattordicenne e sacerdote del dio Sole di Emesa in Siria: anch'egli fu
perт presto eliminato, nel 222, per le ripetute follie e soprattutto perchй aveva tentato di
imprimere all'istituto imperiale una sorta di dispotismo mistico di stampo orientale. Il successore
Alessandro Severo, pure giovanissimo e troppo debole per imporsi, cercт vanamente di
ristabilire l'equilibrio tra la classe militare, sempre piщ potente, e l'aristocrazia senatoria
gravemente danneggiata dalla stravagante condotta di Eliogabalo, ma si alienт in questo modo
l'esercito che, con Settimio Severo, era divenuto la nuova, vera base dell'Impero: dopo tredici
anni di regno, nel 235, mentre si trovava sui confini renani per cercare di porre un freno alla
sempre crescente pressione barbarica, le sue truppe (giа insoddisfatte per l'esito deludente che
aveva avuto la campagna condotta contro la rinata e aggressiva potenza persiana in Oriente,
attribuito alle indecisioni dell'imperatore piщ proclive al negoziato che allo scontro frontale) gli si
rivoltarono e lo uccisero, acclamando nuovo imperatore il loro prefetto Massimino, un cavaliere
della Tracia che aveva fatto tutta la carriera nell'esercito e che il Senato subito avversт per la
sua dichiarata volontа di continuare sulla linea dell'assolutismo militare e della pressione fiscale
inaugurata da Settimio Severo.Storia: l'assolutismo militare e le invasioni barbaricheIl principato si era ormai trasformato in un monarcato militare: i casi di Alessandro Severo, e, piщ
tardi, di Massimino, entrambi uccisi dai loro stessi soldati, non rimasero senza seguito: per
quasi mezzo secolo, infatti, gli imperatori furono fatti e disfatti a piacimento delle soldatesche
con vendette, rappresaglie, confische di beni dei soccombenti e loro seguiti. Ciт avveniva mentre
i barbari attaccavano da ogni parte le frontiere, aprendovi delle brecce nelle quali si infiltravano
di frequente in massa seminando terrore e distruzione. Particolarmente grave si fece la
situazione nel 242-243 quando le orde di Goti e di Carpi, varcato il Danubio, dilagarono nella
Tracia e il nuovo re per siano Shapur, che aveva ripreso i piani espansionistici di Ciro il Grande,
occupт la Mesopotamia e parte della Siria. Per il momento le invasioni furono respinte e, nel 248,
l'imperatore Filippo potй celebrare in solennitа il millennio di R., ma quando, dopo qualche anno,
si ripeterono, succedette addirittura che un imperatore, Decio (248-251), venisse ucciso in
battaglia e un altro, Valeriano (253-260), fosse fatto prigioniero da Shapur e morisse in prigionia.
Nel decennio successivo l'unitа e la sopravvivenza stessa dello Stato romano furono messe in
forse: in Occidente si costituм, con l'usurpatore Postumo, un Impero nell'Impero, comprendente
Gallia, Spagna e Britannia, che mantenne la propria autonomia per quattordici anni (260-274); in
Oriente il re di Palmira, Odenato, e successivamente la vedova Zenobia col figlio Vaballato,
estesero il loro dominio su gran parte di quelle province, mentre si infittirono sempre piщ le
incursioni barbariche, una delle quali arrivт fino ad Atene. Con l'imperatore Claudio (268-270), ma
soprattutto con Aureliano (270-275), ufficiale pannonico, ebbe inizio la ripresa, resa possibile dal
fatto che l'apparato statale aveva tenuto in mezzo a tante sciagure e che nuovi ceti dirigenti si
erano formati con i rincalzi militari venuti dalle regioni danubiane: una serie di sconfitte furono
inflitte ad Alemanni, Marcomanni, Vandali, Goti che, affrontati da un capo all'altro dell'Impero,
furono ricacciati nei loro confini, quando non ottennero anche territori dell'Impero da colonizzare;
la Dacia transdanubiana, la cui difesa diventava difficile, venne perт abbandonata come giа era
successo, anni prima, degli agri decumates, ma Palmira fu alla fine distrutta e l'Oriente
riconquistato (272); nel 274 rientrava pacificamente anche la secessione occidentale e l'Impero
era cosм riunificato.
Per garantire R. da ogni possibile assalto, Aureliano la ricinse allora di una possente cerchia di
mura (quasi 19 km).Storia: Diocleziano e la diffusione del cristianesimoGrande figura di imperatore fu Diocleziano (284-305), un generale illirico di modeste origini (era
figlio di un liberto). Dopo aver domato, nei primi anni del suo governo, numerose rivolte militari
scoppiate un po' ovunque e aver energicamente respinto le ormai abituali incursioni barbariche
ai confini, il nuovo imperatore procedette con vigore a una serie di riforme dettate dalle
esperienze del passato e in linea con le nuove esigenze: rafforzт l'autoritа dell'imperatore;
riorganizzт i sistemi amministrativi, giudiziari e finanziari dello Stato; risanт l'economia sempre
piщ in difficoltа e rinnovт i quadri militari. Per evitare le lotte interne e le usurpazioni che tanto
avevano turbato la vita dell'Impero nell'ultimo secolo e per garantire la difesa e un piщ rigido
controllo del potere centrale in ogni parte dell'Impero, diede vita alla cosiddetta tetrarchia
nominando come secondo Augusto per l'Occidente Massimiano, mentre egli tenne il governo
dell'Oriente: ognuno dei due si nominт poi un Cesare, nelle persone rispettivamente di Costanzo
Cloro e di Galerio, che avrebbero dovuto succedere loro scegliendo poi a loro volta altri due
Cesari, in modo da garantire cosм una successione automatica senza piщ contese. I due Augusti e
i due Cesari si suddivisero aree e compiti di governo, ognuno con una sua capitale prossima alle
frontiere, che fu Nicomedia per Diocleziano e Sirmium per Galerio, Milano per Massimiano e
Treviri per Costanzo: R. era ormai troppo lontana dalle zone calde di confine, verso le quali era
andato gradualmente rivolgendosi, nell'ultimo secolo, l'interesse degli imperatori, per poter
continuare a svolgere il ruolo di capitale reale. Per assicurare una valida difesa dei confini,
Diocleziano suddivise gli effettivi dell'esercito, per altro aumentato a 500.000 unitа, in reparti di
guarnigione, limitanei, stanziati stabilmente alle frontiere, e in reparti mobili, comitatenses,
stanziati invece presso le capitali al seguito delle corti, ma pronti ad accorrere nelle zone piщ
esposte a pericoli. La ristrutturazione dell'amministrazione ebbe perт come conseguenza un
ulteriore veloce aumento della burocrazia. L'introduzione di un nuovo sistema fiscale di tipo
catastale rese la tassazione piщ regolare e copiosa in vista del risanamento del deficit dello
Stato. Ma in campo economico le misure di Diocleziano non ottennero sempre i risultati che si
riprometteva: p. es. il famoso edictum de pretiis emanato nel 301 per frenare il rapido rialzo dei
prezzi non ebbe effetti durevoli. L'aggravarsi della pressione fiscale, anche se benefica all'inizio,
ebbe successivamente per effetto l'aggravarsi della diserzione delle campagne da parte dei
contadini cui si aggiunse una diffusa tendenza all'abbandono della propria professione da parte
di coloro che non riuscivano a sostenere gli oneri connessi con i servizi pubblici che lo Stato
imponeva: ciт renderа necessario intervenire sancendo l'ereditarietа delle professioni e il divieto
ai contadini di abbandonare i campi, col che un grave colpo finirа con l'essere inferto alla libera
iniziativa economica, preparando l'avvento del medievale servaggio della gleba. Diocleziano,
messosi su una strada di dirigismo statale e continuando nella tendenza giа manifestatasi coi
Severi, e piщ tardi con Aureliano, accentuт il carattere sacro della figura dell'imperatore anche
nelle forme esterne (diadema, veste regale, genuflessione) alla maniera orientale: egli и ormai il
dominus, il padrone (e col termine di "dominato" sarа indicato il tardo Impero come con quello di
principato il periodo iniziale). Il rendere culto all'imperatore si trasformт cosм in una prova di
lealismo e l'urto col cristianesimo diventт inevitabile. Le fila dei cristiani si erano andate sempre
piщ ingrossando, nonostante le persecuzioni cui erano stati fatti oggetto negli ultimi tempi,
soprattutto a opera di Decio e Valeriano, dopo la tolleranza di cui avevano goduto nell'epoca
degli Antonini. Contro di loro, ritenuti un pericolo per l'unitа dell'Impero, Diocleziano, in un
supremo tentativo di distruggerne la forza sempre crescente a tutti i livelli sociali, scatenт nel
303 in Oriente, in Africa, in Italia una violenta persecuzione, alla quale perт il cristianesimo
seppe tener testa. Questa politica religiosa era fuori del tempo: il cristianesimo si era ormai
largamente diffuso e radicato e vano era ormai ogni tentativo di distruggerlo; bisognava piuttosto
cercare di assorbirne la vitalitа inquadrandola a profitto dello Stato per non esserne travolti.Storia: CostantinoDi ciт si rese conto Costantino (306-337) che, figlio di Costanzo Cloro, col fallimento del sistema
tetrarchico, nella lotta di successione seguita all'abdicazione di Diocleziano (305), era riuscito a
liberarsi degli avversari (da ultimo anche del temibile e forte Massenzio vinto al Ponte Milvio a
R. nel 312). Rimasto praticamente solo al vertice dello Stato, nel 313 emanт il famoso Editto di
Milano che sancм la libertа di culto all'interno dell'Impero: il cristianesimo poteva uscire dalle
catacombe e si preparava a divenire una delle piщ grandi religioni della storia. Da quel momento
le sue vicende si intrecciarono con quelle dell'Impero per l'attenzione costante che gli imperatori
ebbero verso di esso: Costantino partecipт in persona al Concilio di Nicea nel 325 e con
Teodosio, sul finire del sec. IV, quella cristiana divenne religione ufficiale dello Stato romano
mentre veniva interdetto il culto pagano. Il ritorno dell'ordine all'interno e della sicurezza ai
confini seguiti alle riforme di Diocleziano, insieme alla pacificazione religiosa (e alle ricchezze
confiscate ai templi pagani), favorirono nel sec. IV una notevole ripresa economica: la produzione
agricola, con gli stanziamenti di barbari operati dagli imperatori, specialmente da Probo (276-
282), con l'intento di rimettere a coltura le terre abbandonate e col legame alla terra poi imposto
ai coloni, fu incrementata; l'agricoltura italiana conobbe, nel sec. IV, addirittura momenti di grande
prosperitа. Fu pure intensificata, anche con fabbriche di Stato, la produzione manifatturiera
artigianale e pure i commerci ripresero attivi in tutto l'Impero, favoriti dalla ripresa vigorosa
dell'urbanesimo dopo la stasi del sec. III. Di questo generale incremento di ricchezza и
testimonianza l'intensa attivitа edilizia: le cittа, tra le quali divenne sempre piщ importante la
nuova capitale Costantinopoli la cui costruzione richiese ricchezze immense, dopo aver in breve
tempo riparato i danni causati dai saccheggi del secolo precedente, facevano a gara
nell'arricchirsi di monumenti e di palazzi fastosi.
R. stessa ottenne nuovi grandiosi edifici, terme di Diocleziano, basilica di Massenzio, arco di
Costantino: anche se non era piщ la capitale di fatto si era perт accentuato il suo valore ideale.
Anche la moneta tornт stabile: Costantino fece coniare il solidus, una moneta d'oro (4,55 g) che
entrт subito nell'uso corrente (sopravvisse per ben sette secoli). Tutto ciт non fu perт di lunga
durata: la riorganizzazione iniziata dagli imperatori illirici e continuata da Costantino, che
moltiplicт ulteriormente gli uffici della corte, aveva bensм reso sempre piщ efficienti i servizi
statali e permesso la ripresa economica, ma alla lunga portт a un aumento eccessivo nel numero
delle persone viventi a carico dello Stato e ciт, insieme alle spese militari, al dispendio delle
corti e all'intensificazione delle distribuzioni di grano e di altri viveri alle plebi urbane per
garantire l'ordine pubblico, causт nuovamente, come era giа avvenuto nel corso del sec. III, una
dilatazione della spesa pubblica oltre la misura consentita dall'economia del tempo, la cui
produttivitа era fortemente limitata dall'insufficiente meccanizzazione: ciт dimostra come nel
mondo antico, per le obiettive condizioni del tempo, un immenso Stato, organizzato ed efficiente
come era quello romano nel sec. IV, non aveva possibilitа di sopravvivere a lungo. Di queste
difficoltа giа si rese conto a metа secolo l'imperatore Giuliano, una delle personalitа piщ elevate
della serie imperiale romana, per un suo senso del dovere e quella sete di giustizia che
ricordavano Marco Aurelio: nipote di Costantino, giа Cesare dal 355 di Costanzo II, al quale era
succeduto nel 361, cercт di ridimensionare le spese, ma la sua azione finanziaria e politica ad
ampio raggio, insieme al tentativo di restaurare la religione pagana in un generale ritorno allo
spirito della tradizione repubblicana di R., rimase interrotta dalla sua morte prematura incontrata
nel 363 combattendo contro i Persiani in Mesopotamia. Sul finire del secolo, poi, ripresero anche
le incursioni barbariche ai confini, interrotte negli ultimi decenni grazie all'attenuarsi della
pressione da Oriente dei piщ lontani popoli asiatici. Ma quando gli Unni, sospinti a loro volta dai
Mongoli, varcarono il Volga, l'equilibrio fu nuovamente infranto e le popolazioni germaniche
stanziate nell'Europa orient. furono costrette ad avanzare verso i confini dell'Impero. Nel 378 i
Visigoti attaccarono Adrianopoli: l'esercito romano, ormai costituito in maggioranza di barbari,
venne travolto e lo stesso imperatore Valente, che aveva invano cercato un compromesso
permettendo ai Visigoti di stanziarsi nel territorio romano, fu ucciso.Storia: Teodosio, l'ultimo imperatoreTeodosio, l'ultima grande figura di imperatore e l'ultimo anche che governт (379-395) su tutto
l'Impero, continuт sulla strada del compromesso consentendo a numerose comunitа di barbari di
stanziarsi entro i confini dell'Impero come foederati: questa politica, se per il momento riuscм a
evitare il peggio, alla lunga favorм perт il graduale insediamento barbarico nei posti di comando
imperiali contribuendo cosм a gettare le basi dei futuri regni romano-barbarici. Morto Teodosio, e
rimasto diviso l'Impero nei due tronconi di Occidente e Oriente, toccati ai due figli Onorio e
Arcadio, il potere centrale si indebolм, anche per l'inefficienza degli Augusti, spesso adolescenti
sotto tutela, e le invasioni barbariche non trovarono piщ ostacoli. I Visigoti, guidati da Alarico,
irruppero in Italia all'inizio del sec. V: inizialmente furono fermati a Pollenzo in Piemonte da un
esercito composto in maggioranza di barbari comandato da Stilicone, il magister utriusque
militiae che esercitava la tutela su Onorio, ma quando, per gli intrighi della corte, nel frattempo
stabilitasi a Ravenna, il generale venne eliminato, i Visigoti, guidati da Alarico, poterono arrivare
quasi indisturbati fino a R. che presero e saccheggiarono nel 410. Nel 451 fu la volta degli Unni
di Attila: scacciati dalla Gallia, dove si erano nel frattempo insediati i Visigoti, dopo la sconfitta
inflitta loro a Chalфns-sur-Marne dal generale barbarico Ezio che combatteva in nome di R., gli
Unni invasero l'Italia sett. seminando terrore tra le popolazioni: Attila consentм perт di ritirarsi
dopo aver incontrato papa Leone I che gli era mosso incontro da Roma. Nel 455 R. fu
nuovamente messa a sacco dai Vandali di Genserico, appositamente salpati dall'Africa dove si
erano stanziati. R. continuava dunque ad attrarre e a suscitare ricordi di grandezza, sebbene da
tempo avesse perso le sue prerogative di capitale e di centro di quell'Impero che da essa aveva
preso nome. Mentre la parte orientale, o Impero bizantino, piщ ridotta e politicamente meglio
amalgamata, ma anche meno esposta alle correnti di invasioni barbariche, sopravvisse per piщ
secoli ancora, quella occidentale, a causa degli incessanti attacchi barbarici avvenuti nel corso
della prima metа del sec. V, perse definitivamente la propria unitа politica frantumandosi nei vari
regni barbarici che si erano venuti a costituire nelle province romane. Il 476 и la data
convenzionalmente accettata per fissarne la fine ufficiale: in quell'anno infatti Odoacre, il
generale sciro salutato re dai mercenari eruli, rugi e sciri che combattevano nell'esercito romano,
trovatosi padrone dell'Italia, depose l'ultimo imperatore, il giovane Romolo Augustolo, e rimandт
le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente dichiarando di voler governare quale suo
luogotenente col titolo di patrizio che da tempo veniva conferito ai comandanti delle forze
imperiali . Odoacre e gli altri capi barbari si accordarono presto con i grandi proprietari e gli
alti prelati liquidatori ed eredi dell'Impero caduto. R. ora si accingeva ad assumere un nuovo
ruolo, quello di centro della cristianitа: sulle rovine dell'Impero e nel vuoto politico seguito si era
infatti sempre piщ affermata la Chiesa che, ereditandone l'idea universalistica (cosм bene
interpretata nel 416 dal poeta Rutilio Namaziano, originario della Gallia, con il verso fecisti
patriam diversis gentibus unam, hai fatto un'unica patria di genti diverse), avrebbe salvato e
trasmesso ai secoli futuri quanto di duraturo aveva creato il mondo antico, riassunto appunto da
R. nello sviluppo secolare della sua civiltа.Diritto: generalitаIl diritto romano, come istituzione e come ordinamento, rimase in vigore dalla fondazione di R.
fino alla morte di Giustiniano (565).
Una tendenza recente (in particolare negli storici del diritto romano) espone molto in breve le
successive applicazioni della compilazione giustinianea, sia in Occidente fino alle codificazioni
europee, sia in Oriente e anche in altre lontane regioni (Sudafrica, Ceylon), e alcuni autori
denominano questa successiva elaborazione tradizione romanistica. I periodi fondamentali in cui
va distinto lo sviluppo del diritto romano vero e proprio sono tre: dalle origini al sec. II a. C.
(periodo del diritto quiritario, fondato sulla consuetudine e sulla legge delle XII Tavole, la piщ
antica codificazione scritta); dal sec. II a. C. al III d. C. (periodo del diritto romano universale,
coincidente con il massimo splendore della civitas e con l'espansione politica, militare e
commerciale di R.); dal sec. III d. C. alla compilazione giustinianea (periodo della decadenza,
trasformazione del diritto romano in legge ufficiale dell'Impero, emergenza degli urti con gli usi e
le consuetudini locali, in particolare dell'Oriente greco, e formazione di un sistema giuridico
romano-ellenistico).Diritto: l'amministrazione della cittа-Stato, le familiaeNel territorio dove venne fondata R. vivevano familiae, almeno in parte organizzate in gentes.
Queste ultime erano composte di patrizi (o gentili) e di clienti. Le familiae erano governate da un
pater familias, avente poteri che giungevano fino al diritto di vita e di morte, controllati, tuttavia,
probabilmente giа in epoca regia e poi durante la repubblica finchй funzionт la censura. Soggette
alla potestas del pater erano anche le famiglie dei filii e dei loro discendenti. L'assoggettamento
al pater poteva dipendere: da concepimento di figli e ulteriori discendenti da liberi in potestate, in
costanza di legittimo matrimonio; da adozione per arrogazione o davanti a un magistrato (e forse
giа al re); per conventio in manum di una donna; per nascita di un illegittimo da filia in potestate.
In una posizione di assoggettamento diverso erano gli schiavi. Gli impuberi e le donne sui iuris
erano soggetti a tutela. La potenza di certe familiae era accresciuta anche dal vincolo di
patronato a un pater di clienti e liberti. Tale organizzazione familiare era legata alle esigenze
proprie di una societа agricolo-pastorale, ma per l'organizzazione del lavoro con cui operava fu
tuttavia in grado di adempiere, dopo che R. divenne il centro egemonico dell'Italia e poi di tutto il
bacino mediterraneo, ai nuovi compiti richiesti dalle attivitа commerciali (compresa la bancaria) e
artigianali, in certo senso anche industriali. L'affermarsi di attivitа commerciali consolidт l'uso di
concessioni patrimoniali da parte del pater a figli e servi preposti a un'impresa (p. es. il peculio).
La costituzione e conservazione di familiae politicamente ed economicamente forti e numerose
erano poi favorite dal regime della successione inter vivos e mortis causa: cosм l'arrogazione, la
conventio in manum, la facoltа dei filii, divenuti patres familias dal momento della morte del loro
pater, di conservare unito il patrimonio e la facoltа del testatore di diseredare chi riteneva non
meritevole di divenire pater. Solo in seguito il pretore pose rimedio a certi inconvenienti che la
libertа di testare procurava in determinati casi (p. es. nella bonorum possessio). Secondo la
tradizione, fino al 510 a. C., R. fu governata da re, capi religiosi, politici, militari, vitalizi ma non
ereditari, consigliati da un Senato, il quale alla morte di ogni re governava per mezzo di un
interrex, finchй non si giungeva alla scelta del successore, certo della protezione degli dei patri. I
Romani venivano convocati per ragioni religiose, amministrative (in particolare militari) dapprima
nei comizi curiati e, dopo Servio Tullio, anche nei centuriati. I due comizi continuarono a essere
convocati anche dopo l'avvento della Repubblica: ma, mentre il primo svolgeva solo le sue
antiche funzioni con esclusione di quella militare, il secondo esplicт, col tempo, quelle elettorale
(elezione dei magistrati), legislativa (leggi comiziali) e giudiziaria (processo pubblico; processo
magistratuale-comiziale). Eguali compiti ebbero anche altre due assemblee popolari: i comizi
tributi e i concili della plebe, questi ultimi convocati dai tribuni della plebe, a cominciare, secondo
la tradizione, dal 494 a. C. Le assemblee popolari, quando la costituzione repubblicana
raggiunse un assestamento definitivo, operavano solo se convocate dai magistrati ordinari
annuali (p. es. consoli, pretori, ecc.), oppure straordinari (dittatore, decemviri, ecc.). Altro organo
essenziale al funzionamento della Repubblica era il Senato. Essendo le magistrature annuali e il
popolo convocato solo su iniziativa di un magistrato, l'organo piщ importante per la soluzione dei
maggiori problemi di politica estera e interna fu il Senato, composto dapprima per larga parte e
poi esclusivamente di ex magistrati. Il criterio non venne modificato per tutta l'etа repubblicana,
non avendo avuto successo i vari tentativi di mutamento della costituzione, messi in opera da
Mario, Silla, Pompeo e Cesare. Giа i re e poi i magistrati repubblicani, per impedire la vendetta
privata, erano intervenuti per la repressione di pochissimi crimini, in particolare del tradimento,
dell'omicidio e di altri crimini di carattere religioso o magico.
Col tempo, per impedire al magistrato un esercizio non controllato del potere, venne introdotta la
provocatio ad populum e, nel sec. II a. C., apposite leggi regolarono il processo accusatorio
davanti a giurie (quaestiones perpetuae). Ogni legge prevedeva il reato, il collegio giudicante, il
suo funzionamento, la pena da applicare al reo. Questi processi, dopo varie vicende, vennero
riordinati con leggi, dapprima da Cesare, poi da Augusto. Ma proprio allora sorgeva il nuovo
processo inquisitorio della cognitio extra ordinem. Anche nel processo privato R., fin dall'epoca
piщ antica, intervenne per impedire che chi si sentiva leso in un suo diritto facesse ricorso alla
forza. Per raggiungere questo scopo, giа nel processo privato piщ antico (per legis actiones)
l'attore poteva condurre il convenuto dapprima davanti al re e poi al magistrato e, in presenza di
questi, servendosi di determinate forme solenni vincolanti per entrambi, deferire la decisione a
un organo imparziale (scelto anche con l'accordo delle parti), il cui giudicato era inappellabile. Si
affermт cosм il processo privato diviso in due stadi (in iure e apud iudicem), che ebbe grande
importanza dopo il sorgere, accanto a quello per legis actiones, del processo per formulas, che
dava maggiore libertа alle parti di precisare le loro pretese davanti al magistrato e a questi di
sintetizzarle in uno scritto (formula). Il processo per legis actiones, reso facoltativo dalla legge
Ebuzia (sec. II a. C.), ebbe ancora piщ limitata applicazione al tempo di Augusto, quando al
processo formulare cominciт a essere affiancato, per risolvere alcuni reati particolari, un
processo nuovo: la cognitio extra ordinem.Diritto: l'organizzazione dell'Impero, il diritto romano universaleI mutamenti nella procedura si spiegano facilmente se si pensa che R., da piccolissima cittа-
Stato composta di agricoltori-pastori guerrieri, era divenuta la capitale di un vastissimo Impero e
il centro commerciale piщ importante dell'intero bacino mediterraneo e regioni vicine. Si
mantennero sostanzialmente immutate le distinzioni delle cose in: cose (res) in commercio e
cose fuori commercio e, con riferimento alle prime, conservт notevolissima importanza il
dominium ex iure Quiritium, proprietа in suolo italico esente da tributo fondiario. I territori
extraitalici, quando vennero organizzati in province, furono invece tutti soggetti a un tributo (
stipendium o vectigal, secondo il modo di riscossione). La riscossione di un vectigal per
godimento di agro pubblico esisteva tuttavia anche in Italia, prima delle grandi conquiste; lo
stipendium acquistт invece particolare importanza col principato, trovando applicazione
soprattutto nelle nuove province. L'antichissimo formalismo spiega la distinzione delle cose in
res mancipi e nec mancipi, sorta per risolvere i problemi che si presentavano per il trasferimento
della proprietа terriera e per la costituzione delle servitщ prediali rustiche (mancipatio e in iure
cessio) e poi anche urbane (in iure cessio) e di ogni altro bene (traditio). Accanto al diritto di
proprietа, la signoria di fatto sulle cose (possessio) riceveva tutela solo a certe condizioni e a
opera del pretore. In particolari situazioni, la possessio portava all'acquisto della proprietа per
usucapione, sanando eventuali vizi dell'atto di trasmissione. Caratterizzati dal formalismo erano
pure gli atti costitutivi (contractus) delle piщ antiche obbligazioni, intese come vincolo giuridico in
forza del quale una persona и tenuta nei confronti di un'altra a un determinato comportamento:
cosм la sponsio, la stipulatio, la dotis dictio, la promissio iurata liberti, ecc., cui si aggiunsero ben
presto altri contratti reali (mutuo, comodato, deposito) e i quattro contratti consensuali
(compravendita, locazione, societа, mandato). I Romani conobbero, ai fini della tutela giudiziale,
per mezzo di azione iuris civilis, soltanto contratti tipici. Eguale osservazione si puт fare per le
obbligazioni ex delicto (furto, rapina, danneggiamento, lesione all'integritа fisica o morale di una
persona). La vita sociale piщ complessa indusse poi il pretore a proteggere anche chi aveva
subito violenza o era stato raggirato e ad accordare protezione giudiziale ad altre fattispecie
ancora. Evidentemente, mentre la costituzione della cittа-Stato ebbe molta difficoltа a essere
superata, quando R. divenne capitale di un vastissimo Impero, in materia di diritto privato era piщ
agevole tener conto dello sviluppo della vita commerciale e predisporre idonei schemi negoziali
e rimedi processuali. L'adattamento era favorito dal modo di formazione delle norme e in
particolare dall'elaborazione giurisprudenziale. Alle antichissime leggi regie e delle XII Tavole
(451-450 a. C.) e allo ius civile, elaborato e trattato fino agli inizi del sec. III a. C. soltanto dalla
giurisprudenza pontificale e poi anche da quella laica, si venne col tempo aggiungendo l'editto
dei pretori urbano e peregrino, dell'edile curule e del governatore provinciale. In particolare, la
soluzione dei casi pratici, fornita dai giureconsulti, e l'editto del pretore permisero a R. di
risolvere i rapporti fra Romani e fra essi e gli stranieri, via via che si presentavano
concretamente.
Il mantenimento dei diritti locali, per regolare i rapporti tra sudditi di ogni singola provincia e per
la punizione dei crimini non comportanti la pena di morte, rese piщ facile e stabile il governo
dell'Impero, malgrado le difficoltа risultanti dal fatto che esso era retto dall'ordinamento giuridico
sorto per sopperire alle esigenze di una piccola cittа-Stato. Dopo la battaglia di Azio (31 a. C.),
Ottaviano ottenne una serie di poteri che gli per misero di coordinare meglio i rapporti tra R. e le
province giа governate dal Senato e quelle costituite in seguito a varie conquiste. Con il
conferimento ai successori degli stessi poteri attribuiti ad Augusto si delineт una costituzione
nuova: il principato, per la cui esistenza erano sempre necessarie, ai fini del legittimo
conferimento di poteri, deliberazioni formali del Senato e del popolo romano convocato nelle
assemblee. Queste ultime, perт, nel corso del sec. I d. C., furono svuotate di ogni importanza
politica. Nel corso del progressivo consolidamento del principato si venne organizzando una
burocrazia centrale (cancelleria imperiale, praefecti, curatores) e periferica (legati, procuratores)
sempre piщ efficiente. La politica di ogni principe si realizzт o con la collaborazione o in lotta piщ
o meno aperta col Senato e con l'organizzazione municipale italica. Soprattutto i Severi (193-235
d. C.) fondarono il loro potere sull'esercito, che, dopo la morte violenta dell'ultimo di essi
(Alessandro Severo), creт imperatori in lotta fra loro, finchй prima Diocleziano (284-305) e poi
Costantino (306-337) dettero vita a un nuovo ordinamento dell'Impero (dominato o monarchia
assoluta), che giunse fino al tempo di Giustiniano (527-565) e oltre ancora. Delle tre fonti del
diritto esistenti durante la Repubblica le leggi comiziali non furono piщ proposte dopo il sec. I d.
C.; l'editto, soprattutto dopo Adriano, introdusse innovazioni forse solo su materia giа deliberata
dal Senato o sancita da costituzioni imperiali; la giurisprudenza, soprattutto nei sec. I-inizio III d.
C., compм invece un'opera mirabile di sistemazione dello ius civile e di commento dell'editto.
Nuove fonti furono le costituzioni imperiali di varia specie e i senatoconsulti. Augusto riordinт le
quaestiones perpetuae; in quel tempo si ricorse sempre meno alla provocatio ad populum,
mentre si affermт il processo extra ordinem, davanti all'imperatore e in certi casi al Senato, che
trovт ampio sviluppo soprattutto a opera di funzionari imperiali, con possibilitа di appello al
principe. La stessa procedura ebbe applicazione anche in campo privatistico accanto al processo
formulare, che venne ulteriormente perfezionato. A ciт contribuм efficacemente, con i commenti ai
vari editti, la giurisprudenza, spesso anch'essa stimolata dall'emanazione di costituzioni
imperiali e da senatoconsulti. La familia, sotto il governo del pater, si prestava ancora bene a
conservare e costituire alleanze politiche e imprese commerciali o industriali e anche a
organizzare tenute modello o latifondi a pascolo. La posizione della donna risultava
notevolmente migliorata soprattutto dal sec. II a. C.: quella sposata poteva conservare la dote in
caso di divorzio; le era possibile cambiare il tutore col quale non andasse d'accordo; sotto
Claudio fu abolita la tutela degli agnati. Per quanto mutata, la condizione della donna poteva
ancora facilitare accordi politici e commerciali, spesso per mezzo di divorzi e nuovi matrimoni.
Questi sorgevano con il consenso dei nubendi, purchй esistessero i presupposti sanciti dal
diritto (sesso, etа, conubium, inesistenza di determinati vincoli di parentela) e si scioglievano per
volontа di uno dei coniugi (divorzio). Durante il principato non si ebbero rilevanti innovazioni nel
sistema dei diritti reali e obbligatori, perchй i problemi nuovi erano giа sorti al tempo delle grandi
conquiste mediterranee; l'epoca fu invece caratterizzata da una notevole elaborazione
scientifica, che ordinт sistematicamente le materie, mettendo in luce la bontа delle soluzioni dei
singoli casi, date dai giuristi, in particolare da quelli muniti di ius respondendi ex auc toritate
principis. Rimasero immutate le antiche distinzioni delle cose (fuori commercio e in commercio) e
trovarono un'esposizione sistematica in opere istituzionali (in particolare и nota quella di Gaio) la
distinzione tra dominium ex iure Quiritium e regime degli agri stipendiarii e vectigales, l'esame
attento del concetto di possessio, cui и collegato quello di usucapio e la relativa attivitа del
pretore. In tema di obbligazioni il termine era usato prevalentemente per indicare obblighi
nascenti dallo ius civile con esclusione di tutti quelli aventi origine da atti giuridici leciti o illeciti
disciplinati dal pretore. Gaio, trattando delle fonti delle obbligazioni da contratto e da delitto,
mostrava le difficoltа della classificazione dottrinale da lui accolta, che in qualche modo venne
successivamente integrata con l'aggiunta delle variae causarum figurae. Data la tipicitа delle
obbligazioni nascenti da contratto e da delitto, le difficoltа di dare una sistemazione
soddisfacente a volte non dovettero essere lievi. La preoccupazione maggiore della
giurisprudenza dovette essere quella di fornire soluzioni convincenti sui modi di costituzione,
trasmissione, estinzione e garanzia delle obbligazioni: cosм che soprattutto la disciplina delle
obbligazioni trovт amplissimo impiego successivamente e, tramite la compilazione giustinianea,
fu largamente utilizzata anche nel Codice napoleonico e in altre successive codificazioni.
Col termine successio i giuristi classici indicavano il subentrare per un fatto unico nel complesso
dei rapporti giuridici di un soggetto: ereditа, arrogazione, conventio in manum, bonorum
possessio, bonorum emptio. L'erede, sia testamentario sia ab intestato, subentrando nella
posizione giuridica del defunto, acquistava tutto il suo patrimonio, perciт anche i debiti; l'erede
suus et necessarius (discendente) o necessarius (servo manomesso e istituito) diventava erede
anche contro la sua volontа, l'erede volontario doveva invece accettare l'ereditа o con un atto
solenne o con un comportamento che rivelava la sua volontа di accettare. Regolando la bonorum
possessio e la bonorum emptio, il pretore prese a modello l'ereditа, istituto civilistico, connesso
con l'organizzazione della familia fin da epoca antichissima e via via sviluppato dalla
giurisprudenza. L'attivitа del pretore proseguм, tenendo sempre in maggior conto le situazioni
debitorie dannose per gli eredi sui et necessarii e necessarii e i problemi posti da legati e
fedecommessi e dall'omissione, nel testamento, di figli anche emancipati e del patrono.
Interventi imperiali e senatoconsulti che svilupparono precedenti innovazioni repubblicane furono
mirabilmente commentati dai giureconsulti in opere di ius
civile, di commento all'editto, di digesta, tutte ampiamente utilizzate da Giustiniano nella sua
compilazione.Diritto: la compilazione giustinianeaCon l'inizio dell'anarchia militare, la giurisprudenza, che era rimasta ancora fiorente al tempo dei
Severi (Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino), ebbe un arresto; quando con Diocleziano e
Costantino s'instaurт la monarchia assoluta, anche per il fatto che nel 212 Caracalla aveva
esteso la cittadinanza a tutti i peregrini dell'Impero, l'esigenza piщ sentita fu quella di fare dei
riassunti di opere istituzionali (Regulae Ulpiani e Pauli Sententiae), oppure raccolte di
costituzioni imperiali (rescritti), di utile impiego per la soluzione dei piщ importanti problemi di
una vita quotidiana notevolmente impoverita da una continua lunghissima guerra. Questa ebbe
termine quando, dapprima con Diocleziano e poi con Costantino, le province vennero
ridimensionate e sottoposte al controllo prima di vicari, preposti alle diocesi, e poi anche di
prefetti del pretorio. Fu inoltre costituito, accanto agli eserciti stanziati sui confini, un esercito di
manovra alle dirette dipendenze del monarca, e furono resi sempre piщ efficienti gli organi
burocratici centrali, che trasmettevano e ricevevano per via gerarchica disposizioni o richieste
ritenute necessarie per il funzionamento dell'amministrazione del vastissimo Impero. Nella
scelta del successore del monarca, non solo il popolo, ma neppure il Senato ebbe piщ una
qualsiasi possibilitа d'intervento. Il principio che ben presto si affermт fu quello dinastico.
L'imperatore, sostenuto dall'esercito, fu coadiuvato da una burocrazia saldamente ordinata
secondo il principio gerarchico amministrativo, diretta da ministri (magister officiorum, quaestor
sacri palatii, comes sacrarum largitionum, comes rerum privatarum); questi si riunivano in un
consistorium principis, sotto la presidenza dell'imperatore o di un suo designato. Per meglio
controllare ogni attivitа dell'Impero, il monarca dispose che i figli seguissero la professione
paterna, persino nel mestiere delle armi, dando vita a un ordinamento corporativo con rigide
divisioni in classi. Diventando estremamente gravosa l'amministrazione finanziaria per il
pagamento della milizia (esercito e burocrazia a esso equiparata), anche l'Italia venne
sottoposta, giа con Diocleziano, al pagamento del tributo fondiario, come le province: della
riscossione di ogni tributo vennero resi responsabili, anche per il non riscosso, i decurioni, cioи i
senatori di tutte le colonie e municipi esistenti nell'Impero. La repressione criminale venne
affidata, durante la monarchia assoluta, solo a funzionari, che applicavano unicamente la
procedura extra ordinem. Contro pene che divennero non solo particolarmente severe, ma anche
crudeli, era possibile sempre l'appello all'imperatore. Anche nei processi privati non trovт piщ
applicazione la procedura formulare, sostituita dalla cognitio extra ordinem, in cui giudicava il
funzionario delegato dall'imperatore. Ciт rese indispensabile un sempre piщ ampio e frequente
impiego della scrittura, perchй ogni sentenza era suscettibile di appello all'imperatore, il quale
delegava, per le sentenze emanate dal governatore provinciale, il prefetto del pretorio preposto a
una delle 4 circoscrizioni territoriali (Italia, Gallia, Illirico, Oriente). A quest'ultimo venne concessa
la facoltа di emanare norme non in contrasto con le costituzioni imperiali, che divennero la fonte
principale innovatrice del diritto. Giа con Costantino cominciт a essere limitato l'ambito di
applicazione degli stessi rescritti imperiali e fu vietato l'uso delle note di Paolo, Ulpiano e
Marciano alle opere di Papiniano: tali provvedimenti si proponevano di facilitare ai giudici
l'impiego delle opere della giurisprudenza, per emanare le loro sentenze, evitando eccessive
differenze nei loro giudicati. Questa stessa esigenza determinт successivi interventi imperiali
per meglio regolare l'impiego delle opere della giurisprudenza anteriore alla metа del sec. III d.
C. (legge delle citazioni di Valentiniano III del 426) e la raccolta delle costituzioni imperiali
destinate a tutti i sudditi dell'Impero (leges generales o edicta) a opera di Teodosio II (Codice
teodosiano del 438), in cui si precisava che dovessero avere ancora applicazione i Codici
gregoriano ed ermogeniano, redatti da due privati.
In tale epoca si avvertм, nella parte occidentale dell'Impero, il bisogno di semplificare la mirabile
cultura giuridica del passato, scegliendo soltanto quanto serviva per la pratica quotidiana, come
stanno ad attestare i Vaticana Fragmenta, la Consultatio veteris cuiusdam iuriconsulti, i
Fragmenta Augustodunensia, l'Epitome Gai. Nella parte orientale dell'Impero non si erano ancora
formate perт le scuole di Costantinopoli, Berito, Antiochia e Alessandria, che in seguito con i loro
caratteri di maggiore astrazione e concettualizzazione permisero a Giustiniano di redigere la sua
famosa compilazione. Per circa un secolo ancora, dopo l'emanazione del Codice teodosiano,
vennero emanate dagli imperatori costituzioni a carattere generale, per introdurre innovazioni,
determinate in parte dalle esigenze dei mutamenti verificatisi col passare del tempo, in parte
dalle richieste, fatte soprattutto dagli abitanti della parte orientale dell'Impero, di dare rilevanza
giuridica a istituti di diritto locale, che l'estensione a essi del diritto romano rendeva inapplicabili
senza ricorrere a sotterfugi spesso inammissibili, in parte infine dall'influsso esercitato dal
cristianesimo. Si giunse cosм alla compilazione giustinianea, che va connessa a un piщ generale
programma politico-religioso-legislativo per dare vita a un'unitа dell'Impero romano orientale e
occidentale (questo, al suo tempo, era sotto dominio barbarico), ponendo il cristianesimo a
fondamento del potere politico imperiale e della sua attivitа legislativa. Le innovazioni
costituzionali determinarono mutamenti, oltre che nel sistema processuale, anche negli istituti
privatistici. In una rigida organizzazione corporativa, in cui i figli erano ex lege obbligati a fare lo
stesso lavoro dei padri, la patria potestas si ridusse a un potere disciplinare e di correzione
molto limitato. Lo prova tra l'altro il fatto che venne tolto al pater il diritto di vita e di morte sui
liberi, quello di venderli (a eccezione che non si trattasse di neonati da famiglia poverissima,
facilmente destinati a morire d'inedia) e, con Giustiniano, anche quello di abbandonare il
colpevole all'offeso (noxae deditio). Scomparve la conventio in manum e vennero introdotte
profondissime innovazioni in materia di adozione, dote, peculio castrense e quasi castrense;
venne concessa la legittimazione dei figli per rescriptum principis e per susseguente matrimonio.
Il matrimonio rimase il fondamento della societа domestica (o famiglia naturale), continuт a
costituirsi per mutuo consenso, ma vennero posti limiti sempre piщ precisi alla facoltа dei coniugi
di divorziare. L'organizzazione della familia sottoposta a un pater andт sgretolandosi, mentre sul
vincolo di soggezione agnatizia al pater familias acquistт sempre piщ importanza il vincolo di
sangue (cognatio). Di ciт beneficiarono anche gli schiavi, le cui famiglie non potevano piщ essere
smembrate. La perdita d'importanza della patria potestas nell'organizzazione della familia
determinт altresм innovazioni in materia di azione di arricchimento (actio de in rem verso),
particolarmente interessanti perchй prepararono la via a una successiva enucleazione del
concetto di rappresentanza. Anche in materia di diritti reali profonde furono le innovazioni
avvenute durante la monarchia assoluta: l'abolizione del dominium ex iure Quiritium fece perdere
importanza e infine venir meno la distinzione tra res mancipi e nec mancipi e,
conseguentemente, la mancipatio e la in iure cessio, come modi di acquisto della proprietа di
determinati beni e di costituzione delle servitщ prediali. La traditio rimase cosм il solo modo
generale di trasmissione delle cose e di costituzione di diritti reali. L'equiparazione dei fondi
italici a quelli provinciali produsse profonde trasformazioni anche in materia di possesso. Altra
conseguenza fu anche la fusione degli istituti della usucapio e della longi temporis praescriptio:
queste espressio ni vennero impiegate da Giustiniano nel dare una nuova regolamentazione
all'acquisto della proprietа, aumentando il decorso del tempo a 3 anni per le cose mobili e a dieci
o venti anni per le cose immobili e la costituzione delle servitщ prediali. Pur avendo dei
precedenti storici giа nel diritto romano classico, si affermarono secondo uno spirito nuovo,
influenzato da modelli ellenistici, gli istituti dell'enfiteusi e della superficie, che tanta importanza
ebbero poi nel corso dei secoli. L'espressione obligatio venne a comprendere tutti gli obblighi
sorti, tanto per lo ius civile, quanto per lo ius honorarium, essendo scomparsa la distinzione
esistente in precedenza tra essi. Giustiniano cercт di superare il disagio preesistente sulla
classificazione delle fonti dell'obbligazione, sostituendo alla bipartizione (da contratto, da delitto)
una quadripartizione (da contratto, quasi da contratto, da delitto, quasi da delitto), che fu ancora
accolta nel Codice Civile napoleonico e in quello italiano del 1865. Ai contratti tipici dell'etа del
principato si aggiunsero quelli innominati, al concetto di obligatio civilis quello di obligatio
naturalis. Accanto a quest'opera di elaborazione compiuta dalla giurisprudenza si posero gli
interventi imperiali, per regolare l'estinzione delle obbligazioni nel modo piщ favorevole al
debitore, a eccezione che la cosa fosse perita per sua colpa.
Scomparsa la conventio in manum, venne meno anche la bonorum emptio, mentre l'arrogatore
acquistava soltanto il diritto di usufrutto sui beni dell'arrogato. Inoltre, a opera delle scuole
orientali, cambiт completamente il concetto di successio: questa non produsse piщ soltanto
l'acquisto in blocco del patrimonio in capo ad altro soggetto, ma fece acquistare anche singoli
diritti. Gli imperatori introdussero nuovi casi d'incapacitа di fare testamento e di ricevere per
esso; singolari i divieti sorti in odio a eretici e apostati e l'acquisto della capacitа a succedere da
parte delle chiese e delle opere pie. Cadde in desuetudine il testamento per aes et libram, mentre
acquistarono via via importanza quello scritto o per lo meno sottoscritto dal testatore e firmato e
suggellato da testi (per scripturam) oppure la dichiarazione di ultima volontа fatta alla presenza
di sette testimoni convocati per tale scopo (per nuncupationem). A queste forme si aggiunsero i
testamenti pubblici, conservati negli archivi di un funzionario giudiziario o municipale oppure
nella cancelleria dell'imperatore.Diritto: elaborazione e studio del diritto romanoL'insegnamento del diritto romano forma ancora l'oggetto di un insegnamento di carattere storico,
necessario per dare a chi inizia lo studio del diritto nelle universitа una piщ ampia esperienza
giuridica. Lo studio del diritto romano, infatti, и oggi impostato storicamente. In passato, invece,
anche dopo Giustiniano, esso и servito a risolvere casi di vita pratica quotidiana. Dopo un
periodo su cui non siamo sufficientemente documentati, la compilazione giustinianea cominciт a
essere nuovamente studiata, a partire dal sec. XI, con sempre maggiore attenzione, per fini
pratici. Ben presto venne configurandosi come complesso di norme giuridiche vive e applicabili a
tutti gli uomini e servм per orientare interessi umani comuni e per collegare e disciplinare in
sistema i diritti propri delle numerose forze politiche e legislative allora esistenti. Questo
adattamento viene attualmente indicato come "diritto comune". И ancor oggi, tuttavia, un
problema che merita ulteriore approfondimento quello di stabilire quando il fenomeno si possa
ritenere applicazione del diritto romano ovvero trasformazione dello stesso, con innovazioni
dettate dai bisogni che si presentavano via via nei secoli. Senza dubbio, lo studio del diritto
romano in Germania, dal sec. XVIII all'entrata in vigore del Codice Civile nel 1900, venne fatto
ponendo in essere una costruzione teorico-pratica, nella quale avevano la massima importanza
l'individuo e la sua potestа di volere. L'elaborazione del diritto romano, fatta dai pandettisti
tedeschi, ebbe anche in Italia degli attenti cultori e portт, tra l'altro, a una nuova importante
elaborazione della parte generale nel diritto, accolta soprattutto, ancora oggi, nei corsi di istituzioni di diritto romano; a seguito delle varie codificazioni, il diritto romano и divenuto un "diritto storico" in tutta l'Europa. Tale circostanza invita lo studioso ad avvicinarsi con diverso atteggiamento sia al diritto romano, inteso come ordinamento e come complesso di istituzioni che si sono realizzate nel corso dei secoli, sia soprattutto alle fonti da esaminare per la ricostruzione di un determinato ambiente sociale. Infatti, finchй il diritto romano fu considerato come diritto positivo, lo studio delle fonti si concentrт sul Corpus iuris civilis di Giustiniano; tuttavia, giа al tempo in cui gli umanisti italiani e la scuola culta francese ricercarono le interpolazioni per ricostruire il diritto classico – cioи il diritto dell'etа del principato – vennero fatti frequenti richiami ad altre fonti, anche non giuridiche. Ciт al fine di attuare una ricomposizione testuale, secondo canoni di purezza e armonia di linguaggio. Questa tendenza fu nuovamente ripresa nella seconda metа del sec. XIX e nei primi decenni del XX, con l'intento di ricostruire il diritto classico, contrapposto, per la sua perfezione, a quello giustinianeo. Nel sec. XIX, soprattutto dopo la scoperta delle Istituzioni di Gaio, sono state acquisite nuove importanti fonti per la ricostruzione del diritto romano da un punto di vista storico. Negli ultimi decenni, l'utilizzazione di epigrafi e di papiri, oltre che di opere patristiche e letterarie, ha permesso di cominciare a inserire le singole fonti giuridiche nell'ambiente in cui hanno avuto origine e sviluppo. Questo nuovo diverso metodo di studio fa sentire piщ viva l'esigenza d'incontri fra studiosi dei diversi Stati, per continuare a parlare un "linguaggio comune" e, almeno sul piano culturale, a formarsi un'"esperienza comune".Religione: il concetto di sacralitа
Il concetto di sacralitа che distingue la religione romana va correlato, oltre che al concetto di "profano" (come in tutte le religioni), anche ai concetti di "pubblico" e di "privato". La formula sacro : profano=pubblico:privato rende questo sistema di relazioni; essa ordinava al modo romano tutta la realtа e teneva, in tale funzione, il posto di una cosmogonia. Mancano in effetti alla religione romana miti cosmogonici o teogonici, tanto da farla apparire come una religione demitizzata. In luogo di un ordine cosmico dato una volta per sempre (da un evento mitico), i Romani ebbero una formula cosmica alla quale adeguavano il mondo oggettivandolo nel loro sistema di valori per mezzo di una azione storiografica e giuridico-rituale. Tale azione era demandata al collegio sacerdotale dei pontefici e aveva per oggetto il mondo e gli uomini. La natura del mondo era ridotta a sostanza storica, la natura degli uomini a personalitа giuridica. Ne deriva che il prodotto dell'azione pontificale и riconoscibile in una storiografia e in una giurisprudenza. Per la storiografia diremmo che si trattava della ricognizione religiosa del tempo storico, la quale si muoveva in due sensi: i pontefici fissavano sacralmente la periodicitа e la qualitа del tempo storico, dando a questo una sistemazione calendariale; di pari passo ne fissavano il corso, sottraendolo alla contingenza e registrandolo significativamen te (ossia interpretandolo) in annali, atti e memoriali. Il momento giurisprudenziale consisteva sostanzialmente nella formulazione di riti e nella definizione della loro efficacia, come dimostra il fatto che i codici prodotti erano sempre e soltanto codici di procedura. In nessuna religione il termine per indicare l'azione rituale и cosм pregnante come in R. (la radice di ritus и la stessa di rta, il concetto cosmico fondamentale della religione vedica); di fatto a R. и il rito che stabilisce tanto il patto con gli dei (pax deorum) quanto il patto sociale che fa di ogni singolo uomo un civis, un cittadino, una persona giuridica. Il collegio pontificale comprendeva, oltre ai pontefici cui era riservata la teoria religiosa, altri sacerdoti destinati alla pratica, ossia al culto divino: un rex sacrorum, sacerdote che assolveva i compiti sacrali dell'antico re; quindici flamini, ciascuno addetto al culto di un singolo dio; sei vestali, addette al culto di Vesta. L'azione teorica e pratica del collegio pontificale era completata da quella di altri tre collegi sacerdotali: auguri, quindecimviri sacris faciundis, ed epuloni. I primi due collegi esercitavano la divinazione (la consultazione della volontа degli dei), un'attivitа che secondo la tradizione era stata in origine di pertinenza dei pontefici. Il terzo, che aveva la funzione di approntare due volte l'anno un banchetto a Giove, fu istituito nel 196 a. C. per liberare i pontefici da questa cura. Dunque tutti e tre i collegi in questione possono essere riguardati come promanazioni del collegio pontificale, e in effetti и questo collegio che rappresenta il nucleo della religione romana. Altri gruppi sacerdotali (tecnicamente chiamati "sodalizi" e quindi distinti dai "collegi") erano: i Luperci, i Salii, gli Arvali e i Feziali. Questi sodalizi non avevano la funzione di stabilire un rapporto cultuale con gli dei, come accadeva per i sacerdoti del collegio pontificale, ma quella di liberare il popolo romano da una "sacralitа" insita in certe azioni, addossandosela simbolicamente e permettendo agli altri di non curarsene, come individui. In questa funzione i Feziali agivano per stabilire rapporti di pace o di guerra con gli altri popoli. Piщ complessa era l'azione dei Luperci, Salii e Arvali: in sintesi diremmo che essi esplicavano simbolicamente la sacralitа insita in una vita di pastori, di guerrieri e di agricoltori (nell'ordine).Religione: le divinitаDal punto di vista delle divinitа, la struttura fondamentale, e quindi permanente, della religione romana era costituita dalla triade Giove-Marte-Quirino insieme a Giano e Vesta. La triade, al cui servizio erano i tre flamini maggiori (rispettivamente: il Diale, il Marziale e il Quirinale), procedeva probabilmente dalla concezione trifunzionale della societа, che Dumezil attribuisce ai popoli indeuropei. Comunque sia, si puт dire che la triade rappresenti lo Stato romano mediante personificazioni divine. Ma a questa rappresentazione statica o qualificante va aggiunta una rappresentazione dinamica o dialettica: in tale funzione si possono interpretare altre due personificazioni divine: Giano e Vesta. Giano, al cui servizio era il rex sacrorum, personificava l'apertura alla contingenza, alla trasformazione, al divenire storico. Vesta, per contro, personificava il limite concesso alla trasformazione, e dunque la stabilitа o la necessitа rispetto alla contingenza. La dialettica Giano-Vesta poneva il dio agli "inizi" di ogni cosa e la dea alla "fine". Il pantheon arcaico si completava con le 12 divinitа attestate dai 12 flamini minori (ci restano soltanto 9 nomi: Carmenta, Cerere, Falacer, Flora, Furrina, Pomona, Portuno, Volturno, Vulcano), piщ un'altra desumibile dai nomi di giornate festive (Conso, Termino, Nettuno, Ope, Robigo, Matuta, Saturno, Larenta, Carmenta, Angerona). Col passare del tempo queste divinitа, evidentemente non ritenute necessarie alla struttura permanente dello Stato, furono tagliate fuori dalla storia: o scomparvero come quantitа identificabili (ce ne resta appena il nome) o furono identificate con divinitа greche (come Nettuno con Posidone, Vulcano con Efesto, ecc.). Altre divinitа, anche se arcaiche, erano variamente ricordate dalla tradizione, ma alcune di esse erano specialmente importanti in quanto, come vedremo appresso, venivano assunte a protagoniste nello svolgimento storico del culto pubblico romano: Diana, Fortuna, Cerere e Minerva.
Infine, tra le divinitа complementari del nucleo fondamentale, c'era Giunone, la cui complementaritа era diversa, in quanto la dea era presente in qualche modo anche nel nucleo stesso; al suo culto erano addetti due personaggi femminili, la flaminica (titolo ufficiale della moglie del flamen Dialis) e la regina (titolo ufficiale della moglie del rex sacrorum); perciт si potrebbe dire che la complementaritа di Giunone rispetto al nucleo divino fondamentale era la stessa delle "mogli" rispetto ai "mariti" nella societа romana. Ciт che convenzionalmente viene definito come riforma dello Stato a opera della dinastia etrusca si riduce, dal punto di vista religioso, all'istituzione del culto di Giove Ottimo e Massimo sul Campidoglio, e di quello di Diana sull'Aventino. A parte gli epiteti, questo Giove non era funzionalmente lo stesso dio che figura nella triade Giove-Marte-Quirino; tanto che, nella sua nuova funzione e nel nuovo tempio a lui eretto sul Campidoglio, gli si affiancavano Minerva e Giunone, invece di Marte e Quirino (sorge una nuova triade che, in certi settori, prende il posto dell'arcaica). Il Giove Ottimo e Massimo, come la dea Diana, era un dio "sottratto" alla Lega Latina. Giove e Diana, rispettivamente venerati sulla cima e alle falde del Monte Albano (oggi Monte Cavo), erano stati assunti dalle cittа della Lega Latina come simboli e protettori della confederazione. Giove era stato scelto per la sua "sommitа", che lo poneva al di sopra degli interessi delle singole cittа, e Diana, quale dea del bosco e quindi dell'extraurbano per eccellenza, per la sua "estraneitа" (all'"urbano") che la teneva al di fuori di ogni particolare politica cittadina. Il trasferimento in R. di queste due divinitа "universali" fu quasi una presa di possesso, da parte romana, della realtа metafisica della Lega Latina. Fu anche una presa di coscienza dell'"universalitа" romana: R. si faceva non soltanto egemone delle cittа latine, ma addirittura le incorporava; si stabilivano cosм i fondamenti di uno Stato interetnico (come interetnica era la Lega) in senso moderno, che emersero come superamento della tradizionale cittа-Stato. La cacciata dei re e l'avvento della repubblica possono essere visti per quel che concerne la religione romana, come l'acquisizione da parte delle assemblee deliberanti del diritto di determinare il "sacro", realizzata come presa di coscienza del valore superindividuale, e perciт assoluto o universale, delle deliberazioni comiziali: per loro mezzo si assolutizzava (o "sacralizzava") la storia e si dava ordine al mondo (lo si oggettivava in un determinato sistema di valori). Dal nostro punto di vista la costituzione della magistratura consolare annua, piщ che una limitazione temporale del potere, va considerata in funzione dell'esercizio periodico dell'azione comiziale. Questa azione era quasi un rito che il popolo doveva compiere annualmente; il luogo e il giorno del rito dovevano essere regolarmente "inaugurati", ossia "aumentati" dall'assenso di Giove. L'ingresso in carica dei consoli dava inizio all'anno ufficiale; dunque era come se, attraverso l'elezione di nuovi consoli (eponimi dell'anno), i comizi "creassero" l'anno stesso (il che sul piano religioso equivale a "creare" il mondo). Il costituirsi di un'organizzazione plebea comportт da un punto di vista religioso l'istituzione di un culto di Cerere sull'Aventino. La dea, venerata insieme ai suoi "figli" Libera e Libero (quest'ultimo identificato poi con il greco Dioniso), era diventata il simbolo dell'azione plebea, tanto che i patrizi finirono per adottare, quasi in funzione di anti-Cerere, la frigia Cibele (205 a. C.), che negli schemi del mondo ellenistico-romano poteva in qualche modo opporsi a Demetra (con la quale dea greca i Romani identificavano la loro Cerere). Ma le lotte plebee ottennero ben di piщ: ottennero il ripudio degli iura gentis e l'instaurazione degli iura civilia. I primi erano sentiti quasi come una "dote religiosa" che si trasmetteva per sangue e che dava ai patrizi certe prerogative come quella di esercitare i sacerdozi e di trarre gli auspici. Con la legge Ogulnia (300 a. C.) anche i plebei ebbero l'accesso al sacerdozio e furono considerati capaci di esercitarlo per il solo fatto di essere cittadini romani (ossia per gli iura civilia).Religione: il calendario festivoI luoghi e i tempi dell'azione divina erano fissati in templi e sacrari (aedes, templa, fana delubra, sacella) e in feste occasionali e periodiche, mobili e fisse; queste ultime componevano un calendario festivo che costituisce il piщ antico e piщ importante documento della religione romana. Il calendario festivo, legato alle origini, come ogni altro calendario, al ciclo agricolo, conservava dell'antica funzione soltanto un certo schema; come pure manteneva convenzionalmente nei mesi lo schema delle lunazioni con il rilievo, pure convenzionale, di due fasi, il novilunio e il plenilunio, nei giorni detti rispettivamente calendae e idi (il primo del mese e il 13 o il 15 secondo i mesi brevi o lunghi). Il calendario festivo, sottratto ai suoi concreti scopi originari, serviva soltanto a esigenze religiose, dividendo e organizzando il tempo in funzione dei vari dei. P. es., la parte "oscura" del mese, quella che culminava col novilunio convenzionale (calende) era sacra a Giunone, mentre la parte "luminosa", culminante col convenzionale plenilunio (idi), era sacra a Giove: le calende erano una festa di Giunone e le idi una festa di Giove. I vari mesi, poi, erano particolarmente dedicati a qualche dio, a parte le singole giornate festive messe sempre in relazione con una divinitа. Un gruppo di sei mesi, da gennaio a giugno, costituiva una particolare festa dell'anno che cominciava con l'attiva presenza di Giano (il quale dava nome al primo mese, gennaio) e finiva con quella di Vesta (l'ultima festa di giugno), cosм come in ogni azione sacrificale si cominciava col nome di Giano e si finiva con quello di Vesta.
A giugno seguiva una seconda serie di sei mesi senza nome, che venivano indicati semplicemente con un numerale (quintile, sestile, settembre, ecc.). Si cominciava con un quintile (che si chiamerа poi luglio, Iulius, in onore di Giulio Cesare) perchй il computo era fatto a partire da marzo, considerato il primo mese dell'anno sacro. I mesi di febbraio e di dicembre, che rispettivamente precedevano il capodanno di marzo e quello di gennaio, erano caratterizzati da feste "caotiche" di fine d'anno. Vi era un terzo capodanno, il 21 aprile (i Parilia), natale di R., considerato capodanno dei pastori. Bastano questi rilievi per far comprendere la complessitа del calendario festivo romano, che non era certo uno strumento per computare il tempo a qualsiasi fine pra tico, ma era una sapiente elaborazione religiosa per poter dare la migliore esecuzione al culto divino.Religione: il culto privatoIl culto privato non presenta rispetto agli altri popoli antichi caratteri originali. Il capofamiglia (pater familias) aveva la responsabilitа dei riti, per lo piщ rivolti alle divinitа domestiche (lari, penati). Ogni individuo, poi, coltivava il suo genio personale. Le idee sulla morte non espressero mai un'escatologia che improntasse a suo modo la religione. Bastava fornire al morto le dovute onoranze (iusta). Il morto si trasformava in larva o lemure ed entrava a far parte dei mani, gli dei dello stato di morte. Il sovvertimento di valori che portт alla fine della Repubblica ebbe naturalmente un riflesso religioso. Indicativi, al riguardo, sono i casi di Venere e Fortuna. Queste due dee, che rappresentavano rispettivamente gli aspetti "gratuiti" e "fortuiti" della realtа, erano per l'innanzi contrapposte a Giove come elementi negativi di un ordine adeguato alla "volontа" del dio, in cui niente era lasciato al caso o all'arbitrio. Con l'enorme espansione della cittа risultava materialmente impossibile una partecipazione responsabile della massa dei cittadini alla vita politica, e cosм il "gratuito" e il "fortuito" vennero acquistando un senso piщ adeguato al sentire comune, a spese della "responsabilitа" civica sostenuta dall'antica tradizione. In questo cambiamento di prospettive sia Venere sia Fortuna emersero a sostenere un nuovo e importante ruolo nell'attualitа politico-religiosa, soprattutto Venere, che la leggenda faceva madre di Enea e pertanto la progenitrice della stirpe romana. Si preparava l'avvento di un imperatore, e questo sarebbe stato un affiliato alla gens Iulia, discendente di un mitico Iulo, figlio di Enea e nipote di Venere. R. non aveva piщ bisogno di un dio (Giove) romanizzato; ma aveva bisogno di un romano (l'imperatore) divinizzato; se prima infatti si voleva adeguare alla volontа di Giove l'esistenza di R., adesso era necessario adeguare il mondo alla volontа di Roma. Su questa strada al culto dell'imperatore si affiancт ben presto il culto di R., fatta dea. L'ingresso in R. dei culti orientali segnт la crisi della religione tradizionale, tanto piщ inadeguata quanto piщ si consideri la tendenza a razionalizzare il culto, seguita all'introduzione e diffusione in R. del pensiero filosofico greco. I culti orientali si esprimevano nell'ambito domestico e privato nelle forme piщ svariate di misticismo, che si ritrovano anche nelle loro manifestazioni collettive (misteri). La religione pubblica invece, malgrado i ripetuti tentativi di Augusto di ripristinare la tradizione, assumeva la forma della venerazione dei sovrani, iniziatasi con Tiberio come religione "di Stato".Arte: generalitа Viene qui considerata non solo l'arte sorta e sviluppatasi nella cittа di R., in quanto si possa distinguere dalle altre culture artistiche della penisola italiana, ma soprattutto l'arte della parte sempre piщ vasta del mondo antico soggetta a Roma. Rientrano quindi nell'arte romana i monumenti sia di R. e del suo porto di Ostia, sia quelli eseguiti nelle varie cittа italiche (e basti ricordare per la loro conservazione Pompei o Ercolano) dopo il loro assoggettamento a R., sia quelli delle nuove cittа dell'Italia centr. e sett., come Aquileia o Brescia, sia infine quelli delle diverse province europee, dalla Spagna alle Gallie, alle province alpine e alla penisola balcanica. Anche le cittа della Grecia e quelle greche dell'Asia Minore sono ricche di monumenti romani, mentre presentano particolare interesse (perchй in genere meglio conservati) i monumenti delle numerose cittа romane dell'Africa sett., da Leptis Magna a Sabratha in Libia, da Sufetula ad Hadrumetum in Tunisia, da Cuicul a Madaura a Lambиse in Algeria, a Volubilis nel Marocco, come pure quelli dei centri carovanieri dell'Asia, come Petra, Gerasa, Palmira e Dыra Europos. L'arte romana, che nelle diverse aree conserva spesso caratterizzazioni locali, fu in realtа il risultato di uno scambio costante e continuo di impulsi artistici dal centro alla periferia e viceversa. Gli apporti piщ importanti vennero prima soprattutto dall'Etruria, poi dalla Magna Grecia, quindi dalla Grecia e dal mondo ellenistico e infine, in etа imperiale, dalle altre aree dell'Impero romano e anche da popolazioni esterne, soprattutto orientali, con cui R. veniva a contatto. La complessitа e quindi la difficoltа di distinguere tali componenti nel lungo sviluppo dell'arte romana spiega perchй essa sia stata considerata, dal Winckelmann sino al sec. XIX, quasi come un'appendice subordinata dell'arte greca, mentre poi se ne и affermata l'originalitа per la tarda etа imperiale (Wickhoff, Riegl; le loro conclusioni sono perт oggi superate); se ne sono viste soprattutto le contraddizioni, istituendo dualismi come "etrusco-ellenistico" (Furtwдngler), "greco-romano" (Sieveking), "classico-anticlassico" (Rodenwaldt), o si sono poste in evidenza, soprattutto per la scultura, le differenze tra l'arte aulica, di corte o colta, e quella popolare o plebea (Rodenwaldt, Bianchi-Bandinelli) o tra la struttura dinamico-plastica di alcune opere e la struttura statico-cubica di altre, in genere piщ tarde (Kaschnitz-Weinberg).
Arte: architettura e urbanisticaL'architettura piщ antica, nota a R. solo da pochi resti, rientra nell'ambito di quella etrusco-italica caratterizzata dal tempio tuscanico che, a differenza di quello greco, era orientato e su alto podio, con alzato in un primo tempo di legno rivestito di terrecotte policrome e ornato da statue fittili. I basamenti dei templi, le fortificazioni e altre costruzioni di carattere pratico (cisterne, acquedotti) erano in opera quadrata di tufo locale. La maggior ricchezza, i contatti con il mondo greco e la venuta a R. di architetti greci portarono, nel sec. II a. C., all'impiego del marmo in templi di tipo ellenistico; contemporaneamente si ebbero nuove creazioni architettoniche, come l'arco trionfale o la basilica (la Porcia, nel Comizio, и del 184 a. C.). L'impiego dell'opera cementizia consentм la realizzazione delle prime grandi costruzioni con impiego di volte, non solo a R., come il portico Emilio (193 a. C.), ma anche nei grandiosi santuari del Lazio, considerati generalmente sillani, della Fortuna Primigenia di Palestrina, di Giove Anxur a Terracina, di Ercole a Tivoli. Le strette connessioni dell'architettura romana (e dell'arte romana in genere) con quella ellenistica, sono evidenti soprattutto a Pompei; il suo foro (ca. 100 a. C.), che riunisce in un insieme chiuso e coordinato i principali edifici pubblici cittadini, sia civili sia religiosi, и un esempio dell'interesse dell'architettura romana per le soluzioni urbanistiche razionali; a Pompei и anche il piщ antico anfiteatro (ca. 80 a. C.). Grande sviluppo ebbero l'urbanistica e l'architettura durante la lunga pace di Augusto, oltre che nell'Italia, ormai tutta romana, anche nelle diverse province, congiunte a R. da una fitta rete viaria (i Romani furono, come и noto, grandi costruttori di strade e di opere stradali come ponti, gallerie, tagli di roccia). L'architettura romana dell'etа imperiale, che и quella piщ ampiamente documentata in tutto il mondo antico, si ispirт – con sviluppi successivi dovuti anche all'impiego di nuove tecniche che permisero la costruzione di edifici sempre piщ grandiosi coperti spesso a volta e a cupola – a costanti concetti di razionalitа e utilitа pratica, mentre il tempio non ebbe piщ, come in Grecia, predominanza assoluta sugli altri edifici, e tra gli ordini architettonici si preferм quello corinzio. Le cittа vennero costruite o sistemate secondo regolari disposizioni a scacchiera derivanti dai castra (da Torino, Como o Aosta in Italia a Barcellona o Mйrida in Spagna), organizzate intorno al loro foro con gli edifici piщ importanti (capitolium, curia, basilica), dotate, a imitazione di R., degli altri monumenti necessari alla vita cittadina (terme, teatri, anfiteatri, mercati), fornite di perfetti impianti di acquedotti, fognature, latrine pubbliche, abbellite da fontane, ninfei o da monumenti di interesse politico (archi trionfali a uno o tre fornici), se necessario recinte da mura turrite con porte monumentali; le cittа marittime ebbero anche idonee installazioni portuali. Nelle zone piщ amene o piщ fertili del territorio sorsero ville signorili o ville-fattorie piщ o meno grandiose, secondo un uso giа comune nell'etа repubblicana. Il nuovo largo uso del mattone cotto in fornace (impiegato per la prima volta a R. nei Castra Praetoria di Tiberio) consentм realizzazioni piщ facili ed economiche di edifici pubblici (terme, teatri, magazzini, mercati) e di case private a piщ piani (v. insula). Nell'etа di Nerone e dei Flavi gli edifici importanti assunsero piante complesse, con ambienti anche poligonali, circolari, o mistilinei, in cui furono impiegate sempre piщ largamente strutture laterizie e volte a concrezione di materiale leggero (Domus Aurea degli architetti Severo e Celere, Domus Flavia dell'architetto Rabirio). L'architettura di Traiano fu rivolta, in tutto l'Impero, a grandiose opere pubbliche, dai porti di R. e Civitavecchia in Italia ai monumenti della Spagna, Paese natale dell'imperatore (acquedotto di Segovia, ponte di Alcantara) a quelli dell'Africa romana, dove и traianeo l'impianto a castrum di Thamugadi, o dell'Asia Minore, dove la biblioteca di Celso a Efeso presenta un nuovo elaborato tipo di facciata monumentale che sarа adottato anche nella porta del mercato di Mileto; esempio significativo и anche il complesso, urbanistico e architettonico insieme, del suo foro a Roma. Le terme sul colle Oppio – opera, come il foro, dell'architetto Apollodoro di Damasco – costituiscono il primo grande esempio del nuovo tipo di impianto termale romano, con un nucleo monumentale centrale circondato da ampie aree libere. Intensissima e variata fu anche l'attivitа edilizia di Adriano non solo in Grecia (ricostruzione di Atene) e nelle cittа greche dell'Asia Minore (Traianeo di Pergamo) ma in tutto l'Impero, dalla Britannia (vallum di Adriano) all'Africa (campo di Lambaesis, grandi terme di Leptis Magna). L'architettura adrianea fu ricchissima di idee e di motivi, con predilezione per le linee curve, per le planimetrie centralizzate e per i grandi ambienti coperti a volta di vario tipo (Villa Adriana, Pantheon) che caratterizzarono l'architettura romana piщ tarda. Classica grandiositа monumentale si ebbe con gli Antonini, quando i tre ordini architettonici assunsero forme particolarmente elaborate (templi di Baalbek), e con i Severi, periodo in cui l'unione della decorazione all'architettura si fece ancora piщ stretta (arco di Settimio Severo e degli Argentari a R.; monumenti di Leptis Magna e di diverse altre cittа africane); le possibilitа offerte dai nuovi sistemi costruttivi romani trovarono la loro massima applicazione nelle sempre piщ grandi aule delle terme (Terme di Caracalla).
Tra le ultime grandiose realizzazioni architettoniche sono le Terme di Diocleziano a R. e il suo palazzo di Spa lato nonchй i monumenti imperiali di Treviri. Dai ninfei e dai mausolei circolari (Tor de Schiavi, mausoleo di S. Elena) si passт alle chiese a pianta centrale e ai battisteri, dalle grandi aule rettangolari alle basiliche cristiane.Arte: influenze dell'arte grecaNon и facile distinguere l'arte di R. dell'etа regia e dei primi secoli della Repubblica da quella etrusco-italica. La cista Ficoroni (fine del sec. IV a. C.) che l'iscrizione dice fatta a R. da Novios Plautios, non и diversa da altre ciste etrusche; di Veio era del resto Vulca, chiamato a R. nel 500 a. C. ca. per adornare il tempio capitolino di statue fittili. La caratteristica romana del verismo si esplicт soprattutto attraverso i ritratti, derivanti anche dalle imagines maiorum, quella dello stile narrativo attraverso le pitture trionfali, quadri improvvisati con cui i generali illustravano le loro campagne vittoriose. Un deciso orientamento del gusto romano verso l'arte greca si ebbe con l'arrivo a R. di statue e quadri greci, nonchй di oreficerie e argenterie ellenistiche, dai trionfi su Siracusa (212 a. C.) e Taranto (209 a. C.) e da quelli successivi sulle cittа della Grecia e dell'Asia Minore. Opere d'arte greca ornarono gli edifici pubblici e le case dei ricchi romani; artisti greci furono attivi a R., soprattutto nei sec. II e I a. C., sia come copisti o rielaboratori eclettici di modelli classici, sia come creatori di oggetti ornamentali (bronzi decorativi, vasi e candelabri a rilievo, gemme, ecc.) nello stile chiamato neoattico. Il ritratto, che soprattutto nell'etа sillana fu crudamente veristico, per altri aspetti appare influenzato da tendenze ellenistiche (ritratti di Pompeo e Cicerone); nell'ara di Domizio Enobarbo un corteo marino ellenistico si unisce a una scena storica tipicamente romana. La pittura, nota soprattutto nel suo aspetto di pittura decorativa parietale, appare genericamente ellenistica nel cosiddetto primo stile (v. pompeiano), a riquadri imitanti il marmo, ma giа intorno al 100 a. C., con l'inizio del secondo stile, presenta prospettive architettoniche originali (casa dei Grifi al Palatino; villa di Boscoreale presso Pompei); e se di derivazione ellenistica sono le scene dell'Odissea di una casa dall'Esquilino (Vaticano), di tradizione romana sono le pitture storiche di un colombario dell'Esquilino (Museo Nazionale Romano) forse giа di etа augustea ma riecheggianti motivi anteriori. Realismo romano, motivi ellenistici, gusto classicheggiante sono le componenti del "classicismo augusteo" (v. anche Augusto, l'arte dell'etа di-) caratterizzato da grandissima perfezione tecnica e formale. Anche in un monumento ufficiale come l'Ara Pacis le diverse tendenze possono sembrare non perfettamente fuse, ma unica и la concezione generale dell'opera, in cui architettura e decorazione scultorea sono strettamente legate, e le singole figurazioni appaiono tipicamente romane anche nel loro significato. Meno perfette formalmente, forse piщ naturali e realistiche sono altre opere, come il fregio del tempio di Apollo Sosiano (20 a. C.) con corteo trionfale. Precisione accademica, gusto classico, sensibilitа veristica mostrano anche i ritratti di Augusto dove, tuttavia, anche in relazione al luogo di ritrovamento, puт prevalere l'intonazione eroica dei diadochi ellenistici, il patetismo microasiatico, l'accademismo neoclassico o il verismo italico. Nella pittura, che nelle pareti del cosiddetto secondo stile unisce alle prospettive architettoniche grandi scene figurate derivanti o ispirate da celebri quadri classici ed ellenistici, non mancano paesaggi o scene di giardino (Villa di Livia a Prima Porta, ora al Museo Nazionale Romano) o anche megalografie in cui copie di pitture greche e motivi romani sono riuniti in un insieme abilmente omogeneo (Villa dei Misteri a Pompei). La conquista dell'Egitto portт all'introduzione di motivi egizi o egittizzanti (pigmei, coccodrilli, ecc.) dell'arte alessandrina, che si aggiunsero, se pure come moda temporanea, alle altre componenti ellenistiche, soprattutto nella pittura e nel rilievo.Arte: dal classicismo augusteo a TeodosioLa lunga pace augustea favorм lo sviluppo artistico di tutte le province e l'affermarsi, soprattutto in quelle occid., dell'arte "provinciale", con manifestazioni che se da una parte appaiono diverse da luogo a luogo in relazione alla piщ o meno accentuata presenza della componente artistica locale, dall'altra presentano caratteristiche comuni non solo formali – come p. es. la minor precisione di forme – ma anche sostanziali, come una certa maggior vivacitа e spontaneitа di rappresentazione e insieme un certo maggior tradizionalismo (p. es. nei ritratti che sono piщ tipizzati che fisionomici). L'arte "provinciale" и stata avvicinata all'arte non ufficiale – definita talora impropriamente "plebea" – di molte cittа dell'Italia sett. e centr. e in realtа sia in Italia sia nelle province le analoghe manifestazioni artistiche furono l'espressione dei medesimi ceti medi locali: magistrati minori, militari, commercianti, artigiani (v. anche Gallia, Italia, Spagna, illirico, iberico, Romania). L'indirizzo classicheggiante dell'etа di Augusto, presente anche nella raffinata toreutica, nelle gemme, nei cammei, continuт per tutta l'etа giulio-claudia.
I ritratti di questo periodo mostrano perт, giа con Caligola e poi con Claudio e Nerone, notazioni piщ realistiche e ricerca di caratterizzazione, e il rilievo storico (Ara Pietatis Augustae, del 43 d. C.) una sintassi piщ complessa e l'introduzione di sfondi architettonici con preciso valore topografico; la pittura acquistт toni sempre piщ impressionistici e sommari e si espresse sia con la riproduzione di quadri celebri (terzo stile pompeiano) inquadrati in complesse scenografie architettoniche, sia con la raffigurazione di scene di vita quotidiana (pittura pompeiana con rissa tra Nucerini e Pompeiani nell'anfiteatro). Alcuni rilievi aulici dell'etа dei Flavi (arco di Tito al Foro Romano) sono caratterizzati dall'inserimento della figura nello spazio, con sovrapposizione di piani che dа ai rilievi un vivo senso luministico, mentre in altri sono piщ evidenti tendenze classicheggianti (rilievo della Cancelleria); altre opere meno ufficiali si distinguono invece per il vivace realismo (rilievi del sepolcro degli Haterii). Nei ritratti, il raffinato chiaroscuro della superficie delle carni contrasta con quello ben piщ accentuato delle baroccheggianti chiome femminili a nido d'ape (v. anche Flavi). La pittura delle pareti del cosiddetto quarto stile di Pompei (tra il terremoto del 62 e l'eruzione del 79), piene di fantasia e chiaramente impressionistiche, si ispirт probabilmente a quelle, in molte parti distrutte, del pittore Fabulo o Amulio della Domus Aurea di Nerone. Le tendenze plastiche e coloristiche dell'etа dei Flavi si accentuarono nell'arte traianea, come appare nel grandioso rilievo con scene di battaglia, ricco di effetti chiaroscurali, che ornava il Foro Traiano e che fu poi inserito, suddiviso in piщ parti, nell'arco di Costantino, e ancor piщ nel lungo fregio continuo della colonna (v. coclide), un tempo ravvivato dal colore e da elementi metallici aggiunti, in cui i diversi elementi formali genericamente ellenistici sono fusi in una composizione pienamente romana non solo nel suo significato di esaltazione politica o nella sua nuova disposizione a rotolo continuo (come и nuova anche la figura del "barbaro"), ma anche nell'espressione artistica, caratterizzata da una grande espressivitа (si и notata la pietа dell'artista per i Daci sconfitti) e da un'attenta ricerca psicologica. Altri monumenti di R. e d'Italia (rilievi dell'arco di Benevento) si avvicinano all'arte dei rilievi del Foro Traiano, mentre il monumento ad Atene di Filopappo, erede della stirpe regale dei Seleucidi, presenta nell'architettura spunti siriaci, e la decorazione del Trophaeum Traiani ad Adamclisi, grandioso monumento circolare di tipo italico romano eretto a ricordo della vittoria di Traiano sui Daci, и opera di artisti locali, che hanno dato ai rilievi un'ingenua ma forte espressivitа. L'arte ufficiale del tempo di Adriano, legata al gusto personale dell'imperatore, ritornт a composte eleganze classicheggianti (tondi adrianei inseriti nell'arco di Costantino, ritratti di Antinoo), mentre si moltiplicarono le copie o le rielaborazioni di celebri opere d'arte greca; nei sarcofagi, di cui allora ricominciт l'uso, scene mitologiche greche si uniscono a episodi di vita romana (v. anche adrianeo). Una maggiore vivacitа e la tendenza verso un pittoricismo barocco caratterizzano l'arte dei primi Antonini, in particolare i ritratti, in cui, anche per l'uso del trapano, il contrasto tra la levigatezza delle carni e le superfici mosse dei capelli o della barba appare sempre piщ forte. La base della colonna di Antonino Pio (Roma, Vaticano) presenta, a differenza di altri rilievi storici contemporanei di composta classicitа, figure di cavalieri a tutto tondo, galoppanti spesso di scorcio, immersi nello spazio intorno al gruppo centrale. Il pittoricismo, giа chiaro negli otto rilievi storici di Marco Aurelio inseriti nell'arco di Costantino, и particolarmente accentuato nel fregio della sua colonna coclide, piщ povera di invenzioni di quella di Traiano e dal modellato ruvido e duro, ma dall'espressivitа forte e drammatica; la frequente posizione frontale dell'imperatore, a indicarne il carattere divino, come anche la scena del miracolo della pioggia nel paese dei Quadi, preludono all'elemento irrazionale e metafisico che, rompendo la tradizione ellenistica, si affermт poi nell'arte tardo antica e nel Medioevo. Esuberante fu la scultura dell'etа dei Severi, dal vivace colorismo barocco, documentata a R. dall'arco di Settimio Severo, che nelle file sovrapposte di figure ripete lo schema del fregio continuo; da quello degli Argentari; e, a Leptis Magna, dall'arco quadrifronte e dai pilastri della basilica, opera di artisti della scuola di Afrodisia, molto attivi in questo periodo. La scultura romana del sec. III и rappresentata soprattutto dai ritratti, caratterizzati spesso da lineamenti contratti e dolorosi, e dai sarcofagi, con figure sovraffollate e talora deformate, ma di intensa espressivitа e talora con figurazioni simboliche genericamente orientali. Se l'arte di Alessandro Severo (cui si riferiscono anche i grandi mosaici con gladiatori delle Terme di Caracalla) fu caratterizzata dal ritorno al grandioso, quella del filelleno Gallieno si orientт verso un classicismo spiritualizzato, come appare nei ritratti e nei sarcofagi monumentali di Plotino (Laterano) e di un alto funzionario dell'annona (Museo Nazionale Romano). Nella pittura non mancano, pur nel prevalente impressionismo, forme classicheggianti, anche nella sorgente arte cristiana; importanti i numerosi mosaici africani con vivaci scene realistiche ispirate alla vita della regione. Ricca fu anche la produzione di vetri, oreficerie e argenterie, che continuт anche nel sec.IV. Nella scultura tetrarchica le teste delle figure dell'arco quadrifronte di Galerio a Salonicco, con scene allegoriche piщ che belliche, presentano la visione stereometrica propria del tardo antico, mentre le pieghe delle vesti sono scavate con rigida simmetria; per le statue imperiali (gruppi di Venezia e del Vaticano) si usт soprattutto il porfido egiziano, che richiama il colore della porpora.
L'arte di Costantino, che si richiamт ad Augusto come nuovo fondatore dell'Impero, presenta ritratti idealizzati di chiara impronta classica; classiche sono pure le figurazioni dei grandi sarcofagi in porfido di S. Elena e S. Costanza, mentre nel grande arco di Costantino a R., che incorpora anche rilievi di imperatori precedenti, i fregi con la guerra contro Massenzio e con scene di pubblica cerimonia sono caratterizzati da una geometrizzazione cubistica delle figure sproporzionate e da un fortissimo gioco di luci e ombre; inoltre appare sempre piщ preminente la posizione di prospetto dell'imperatore e dei personaggi della sua corte: quanto della nuova concezione artistica venga dall'Oriente, quanto dall'arte provinciale occidentale o da quella "popolare" и ancora da stabilire. Tendenze espressionistiche e insieme classicheggianti sono presenti in tutta l'arte dei sec. IV e V, ivi compresa quella paleocristiana, sia nelle sculture sia nelle pitture e nei mosaici, tra cui eccezionali quelli siciliani di Piazza Armerina e della villa del Tellaro. Nel cosiddetto rinascimento classicheggiante di Teodosio le figure risultano allungate, con particolare eleganza formale, sia nei ritratti sia nei rilievi; quelli della sua colonna coclide di Costantinopoli, e di quella analoga di Arcadio, sono perт soprattutto astratte celebrazioni della maestа dell'imperatore.Archeologia: l'affresco delle Terme di Traiano a Colle OppioNel marzo 1998, in occasione di lavori di sterro condotti in un criptoportico delle Terme di Traiano sul Colle Oppio, и venuto alla luce un grande affresco frammentario (circa 9 m2 di superficie) che raffigura la veduta dall'alto di una cittа. Le prime operazioni di ripulitura hanno permesso di distinguere con chiarezza templi, quartieri abitativi, un teatro e un ampio fiume attraversato da un ponte; la cittа si presenta inoltre cinta da un poderoso circuito di mura fortificate, con torri di guardia disposte a distanze regolari. La scoperta и stata accolta con entusiasmo dagli specialisti, ma ha avuto grande eco anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. In un primo tempo si era pensato (e si era sperato) che la cittа riprodotta fosse la stessa R.: in questo caso l'affresco del Colle Oppio avrebbe acquisito un'importanza eccezionale per la conoscenza del suo antico impianto urbanistico e avrebbe potuto porsi come ideale riscontro della celebre Forma Urbis (la pianta marmorea di R. fatta realizzare in epoca severiana e della quale si sono conservate solo alcune porzioni). Successive e piщ attente osservazioni hanno portato a escludere questa ipotesi ed и piщ probabile che la raffigurazione non abbia come soggetto una cittа realmente esistente. Inoltre и possibile che, data la sua ubicazione (la pittura occupa lo spazio compreso tra due degli archi che fanno parte del criptoportico), l'affresco faccia parte di un piщ esteso ciclo decorativo, basato sulla successione di varie vedute di cittа; le ricerche, tuttora in corso, avranno come fine anche la verifica di questa ipotesi. Al di lа delle ipotesi interpretative, l'affresco и comunque, allo stato attuale delle conoscenze, il piщ antico e il piщ grande paesaggio urbano dell'antichitа e la sua esecuzione puт farsi risalire al I sec. d.C. La datazione dell'opera и una delle principali motivazioni che hanno spinto a escludere che la cittа raffigurata sia R.: nel I sec. d.C., infatti, la capitale dell'impero non era piщ cinta da mura, in quanto quelle serviane erano ormai dismesse (e in ogni caso non erano mai state munite di torri come quelle che invece si distinguono nell'affresco) e quelle aureliane dovevano ancora essere innalzate.BiblioteconomiaLa prima biblioteca pubblica fu aperta da Asinio Pollione nel 39 a. C. nel tempio della Libertа. Nel 32 a. C. Augusto fondт l'Ottaviana (bruciata nell'80, ricostruita nel 203) e nel 28 a. C. la Palatina nel tempio di Apollo (vi si conservavano i libri sibillini; fu distrutta dal fuoco ai tempi di Commodo). Tra le biblioteche posteriori, la Ulpia, fondata da Traiano, custodiva tra l'altro i libri lintei e sopravvisse fino al sec. V; famosa fu anche la bibliotheca Pacis fondata da Vespasiano.MusicaMentre il teatro latino и ampiamente documentato, poco si sa della musica nell'antica R., dove non raggiunse mai la considerazione e la dignitа sociale possedute presso i Greci, che ne influenzarono in maniera determinante i modi e l'espressione. Si conoscono le occasioni che si prestavano all'intervento della musica (dalle piщ solenni legate al culto, al teatro, alla vita militare, ecc.) ma poche notizie si hanno sulle concrete tecniche esecutive e nessuna testimonianza diretta di musica notata. Tra gli strumenti piщ caratteristici si citano la tuba, il cornu, la bucina, il lituus, la tibia o aulos, affine all'omonimo strumento greco, l'utricularius o ascaules, corrispondente alla nostra cornamusa, l'organo idraulico, la lira e la kithara, entrambe di chiara provenienza greca, lo scabellum, sorta di spessa suola di legno o di metallo utilizzata per battere il tempo, il sistrum, nonchй tamburelli, cimbali, campane e fischietti. § Per la lingua, la letteratura e il teatro, v. latino.Storia: il Medioevo, i BizantiniCon la caduta dell'Impero in Occidente, R., che giа da quasi due secoli aveva perduto il ruolo di capitale, fu politicamente ancor piщ degradata, in particolare nei confronti di Costantinopoli, la "Nuova R.", rimasta indenne dalle tempeste scatenatesi sull'Occidente.
A R. restava tuttavia intatto il prestigio che le derivava dal glorioso passato imperiale e dall'arcano presente cristiano, cosм che su di essa convergevano l'ammirazione e la reverenza del mondo civile e del mondo bar barico. Durante la dominazione degli Ostrogoti ariani in Italia, Teodorico non solo onorт R. (la visitт nel 500 e ordinт a sue spese una serie di restauri), ma vagheggiт anche una stretta collaborazione con quanti ne rappresentavano piщ degnamente la cultura. Si sa che questa politica lo deluse e, verso la fine della sua vita, la rovesciт infierendo contro i Romani e il papa stesso Giovanni I; ma si sa pure che raccomandт a chi doveva succedergli di ritentare la via della conciliazione. Le cose andarono altrimenti e nel corso della guerra gotico-bizantina (535-553), voluta da Giustiniano per liberare l'Italia dai barbari e riannetterla all'Impero, R. fu duramente colpita, passando piщ volte dalle mani degli Ostrogoti di Vitige e di Totila a quelle dei non meno barbarici eserciti di Belisario e di Narsete e subendo assedi, devastazioni, carestie e pestilenze. I papi non ne furono risparmiati, soprattutto per opera dei Bizantini. A guerra vinta, le chiavi di R. furono mandate a Giustiniano, che fece della cittа la residenza di un dux bizantino, subordinato all'esarca di Ravenna. R. rimase formalmente bizantina per due secoli; fu una dominazione onerosa, aggravata da servitщ militari, esositа fiscali, pesanti inframmettenze degli imperatori in materia di fede di competenza dei papi (monotelismo nel sec. VII, iconoclastia nel sec. VIII). L'invasione dei Longobardi (568) erose progressivamente la potenza bizantina, ma non apportт benefici a R., costretta a sopportarla per non cadere in mano ai Longobardi che la circondavano in Toscana, a Spoleto e a Benevento. Gli stessi Longobardi dapprima come ariani, poi come cattolici, avevano mirato alla conquista della cittа promuovendo parecchie spedizioni a questo fine. Ma in questi secoli oscuri in R. bizantina andava emergendo al di sopra di ogni altro potere, non solo nel campo spirituale ma anche in quello temporale, la figura del vescovo, il papa. Giа con Gregorio I, tra la fine del sec. VI e gli inizi del VII, i Romani affidavano al papa la gestione di alcune attivitа essenziali d'interesse pubblico affatto trascurate dal governo legittimo (cura dell'annona e degli acquedotti, provvedimenti difensivi, vigilanza su alcune magistrature, esercizio della giustizia, ecc.) vedendo in lui il vero defensor civitatis. Si configurava cioи un nuovo potere, destinato, sia pur lentamente e discontinuamente, a raggiungere la sua piena maturitа. Al tempo stesso, la societа romana, pur sempre torbida e turbolenta, tendeva a comporsi in tre ordini: il "venerabile clero", il "felicissimo esercito" (formato non dai soldati bizantini, ma dall'aristocrazia locale) e il popolo dedito all'agricoltura, all'artigianato e al commercio. E questa societа autenticamente romana era di regola antibizantina. Il peso di queste forze locali si manifestт in pieno nel sec. VIII, dal papato di Gregorio II a quello di Adriano I. Fu in questo periodo che i papi trovarono le forze e i consensi per rompere definitivamente coi Bizantini, senza accettare il soccorso dei pur cattolicissimi Longobardi (Liutprando si arrestт tre volte sulla via di R. e nel 728 fece la prima donazione, quella di Sutri, ai beatissimi apostoli Pietro e Paolo), e per contenere le successive minacce di Astolfo e di Desiderio cercarono quell'alleanza coi Franchi dei re Pipino e Carlo che distrusse il regno longobardo e, grazie alla donazione (o restituzione, per chi credeva nella falsa donazione costantiniana allora coniata) di Pipino (756), diede origine al nuovissimo Stato della Chiesa incuneato in mezzo alla penisola tra un mare e l'altro.Storia: il Medioevo, i CarolingiEcco dunque di nuovo R. capitale politica, non piщ di un impero, bensм di uno Stato re gionale, e insieme centro della cristianitа e mitica custode della dignitа imperiale. I primi tempi del nuovo Stato non furono naturalmente sereni: la tutela imposta su R. dai re franchi, prima Pipino poi suo figlio Carlo Magno col titolo di patricii conferito loro dal papa, urtava suscettibilitа e interessi legati a situazioni del passato. La stessa incoronazione imperiale di Carlo Magno avvenuta durante la messa della notte di Natale (800), l'episodio forse piщ importante del Medioevo occidentale, ebbe come premesse la contrastata politica di Adriano I, intesa a gettare le basi del nuovo governo e una congiura contro il suo successore Leone III, che rischiт la vita, riparт in Germania presso Carlo Magno e, tornato con lui a R., fu da lui reintegrato nel potere e gli cinse in S. Pietro la corona. A tutta la vicenda partecipт appassionatamente il popolo, sia pure senza una precisa coscienza dei suoi mutevoli atteggiamenti. E gravi incidenti provocarono le competizioni tra il clero e l'aristocrazia (l'exercitus) per accrescere i propri poteri, tanto che Ludovico il Pio inviт a R. il figlio e futuro imperatore Lotario I per rendervi effettiva la sua tutela: Lotario emanт una severa Costituzione, che limitava fortemente il potere politico del papa, riservandosi il diritto di intervenire nella sua elezione e di esigere da lui il giuramento di fedeltа (824, con Eugenio II). In questa condizione di vassallaggio, i papi, e R. stessa, subirono le ripercussioni delle guerre tra i Carolingi, soprattutto per opera di Lotario I e Ludovico II. Ai mali di R. si aggiunsero le incursioni dei Saraceni, che si spinsero fino a saccheggiare le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo (846). Furono poi sconfitti nelle acque di Ostia (849), ma R. veniva intanto munita di un robusto sistema di opere difensive, completate entro l'852 da papa Leone IV (Cittа Leonina), che scoraggiarono per qualche tempo gli aggressori. Due papi s'adoprarono nella seconda metа del sec. IX per alleggerire la pressione imperiale su R. che, oltre a offendere il primato del capo della cristianitа, provocava continui scontri tra fazioni: Niccolт I e Giovanni VIII. Il primo riuscм, in R., a tenere di fatto in soggezione Ludovico II, riscattandosi di fronte al popolo delle umiliazioni che la la sua posizione formale di vassallo comportava.
Il secondo ottenne ampi onori da Carlo II il Calvo, ma fu travolto dalle ultime lotte per il potere dei Carolingi, da nuovi assalti saraceni e infine da una congiura che gli costт la vita (882). Ne fu l'animatore Guido II, duca di Spoleto, che puntava su R. circondata dai propri feudi umbri e da quelli beneventani suoi alleati. Guido, forte anche a R., ebbe infine successo quando, finito con la deposizione di Carlo III il Grosso l'Impero carolingio, in competizione con Berengario I del Friuli, cinse la corona d'Italia e quella imperiale per sй dalle mani di papa Stefano V, per suo figlio Lamberto dalle mani di papa Formoso (891-892). Dopo un'effimera eclissi della parte spoletana, a cui il papa non fu estraneo, il vento mutт di nuovo; Lamberto (Guido era morto) e la madre Ageltrude si reinsediarono in R. e, sotto la sinistra regia di papa Stefano VI, consumarono la macabra vendetta contro la memoria di Formoso, dissepolto, processato e gettato nel Tevere in un'orgia di furore plebeo (897); furore che raggiunse ben presto anche Stefano VI. Un ultimo sinistro episodio di questa tragica fine di secolo fu il crollo della basilica lateranense.Storia: il Medioevo, sec. X e XI, l'anarchia politica e religiosaCon la scomparsa di Lamberto di Spoleto (898), R., rimasta priva di un potere politico coattivo e di papi capaci di surrogarlo, cadde nell'anarchia per lo scatenarsi delle ambizioni di potenza delle maggiori famiglie aristocratiche, aspiranti tra l'altro ad appropriarsi del papato concepito come un qualunque principato. Prevalse dapprima la famiglia di un alto dignitario pontificio, Teofilatto, assecondato dalla moglie Teodora e dalle figlie Teodora e Marozia, che inabissт il papato, tenuto da membri o clienti della famiglia, in vicende scandalose e tragiche, accompagnate da inconsulti moti popolari. Anche i Saraceni riapparvero, ma furono debellati (915- 916). Una parentesi meno fosca fu il ventennio 932-954 quando un figlio di Marozia, Alberico di Spoleto, liberata R. dalla turpe madre e dal suo terzo marito Ugo di Provenza, resse e difese la cittа col titolo di principe e senatore, vigilт sul papato con illuminata fermezza e intese anche l'urgente esigenza di una rigenerazione morale e religiosa, sollecitata da Oddone abate di Cluny. Ma Alberico designт come suo successore il figlio quindicenne Ottaviano princeps et senator nel 954 e papa nel 955 col nome di Giovanni XII, politico sprovveduto e pessimo papa. Di qui un rigurgito di anarchia, brevemente arginata dall'intervento di Ottone I di Sassonia, che fu da Giovanni incoronato imperatore e che a Giovanni garantм con un celebre privilegio la piщ ampia tutela, riservandosi per altro il diritto di approvare l'elezione dei futuri pontefici (962). Seguirono terribili tempeste. Giovanni XII tradм l'imperatore, che lo depose e gli oppose Leone VIII; riconquistт la tiara, scacciando a sua volta Leone VIII; morм infine, riaprendo la via del ritorno all'avversario scortato dall'imperatore, mentre i Romani riluttavano a ogni imposizione. Infine, morto anche Leone, Ottone I impose il successore, Giovanni XIII (965), uno dei Teofilatto, e con un'inesorabile repressione mise al silenzio quanti si ostinavano a disconoscere il diritto-dovere dell'imperatore di sottrarre il papa ai giochi di potere dell'aristocrazia romana e di tutelarlo nell'esercizio della sua somma autoritа. Sotto Ottone II e durante la minore etа di Ottone III vi furono altri sussulti contro papi d'osservanza imperiale da parte di due Crescenzi, padre e figlio, anch'essi discendenti da Teofilatto e alla testa del partito che considerava lesiva della dignitа dei Romani l'intromissione di qualunque potere esterno e soprattutto dell'imperatore. Dopo complicate vicende, toccт a Ottone III tagliare il nodo, imponendo come papa, a onta dei Crescenzi e della loro parte, suo cugino Bruno di Carinzia (Gregorio V, 996), il primo papa tedesco, e reprimendo una successiva rivolta con una vera e propria strage (eccidio di Crescenzio e dei suoi complici a Monte Mario o Montemalo, 998). Poi, quasi per ammenda, l'imperatore peregrinт a lungo di santuario in santuario e venne a stabilirsi a Roma, meditando e iniziando col dotto e amico papa Silvestro II (Gerberto d'Aurillac, il primo papa francese) la cosiddetta renovatio Imperii: rinnovazione d'un impero votato alla rinascenza dei piщ alti valori morali e religiosi classici e cristiani di cui R. era depositaria. Tra il nuovo palazzo imperiale sull'Aventino e il Laterano si stabilirono allora nuovi inediti rapporti, in certo senso simili a quelli tra reggia e patriarcato a Bisanzio (Ottone III era figlio di madre bizantina). L'utopistico e sterile programma, che aduggiava Romani e Tedeschi, naufragт tra la fine del sec. X e gli inizi dell'XI per una meschina questione municipalistica (i Romani volevano la rovina di Tivoli, Ottone vi si opponeva): l'imperatore dovette lasciare R. per sempre, il papa per qualche tempo. Anima della reazione fu Giovanni Crescenzi, figlio del suppliziato del 998, che fu l'arbitro di R. e del papato per un decennio, finchй salм sulla cresta dell'onda, protetta dall'imperatore Enrico II e poi da Corrado II il Salico, la nuova famiglia dei conti di Tuscolo, pure discendenti dai Teofilatto, i cui membri per circa un trentennio signoreggiarono come papi (Benedetto VIII, Giovanni XIX, Benedetto IX) e senatori o consoli dei Romani, comportandosi come veri e propri luogotenenti imperiali e offendendo cosм l'inestinguibile orgoglio cittadino. Cosм nel 1044, morto Corrado II e lontano Enrico III, una rivolta animata dai Crescenzi scacciт il papa e il console tuscolani; ma la partita si chiuse con un'ignominiosa transazione, per la quale il papa dei Crescenzi si dimise e quello dei Tusculani vendette la tiara a un terzo, Gregorio VI. Simoniaco senza attenuanti, questo papa, nei pochi mesi del suo regno, dimostrт di possedere ottime qualitа, tanto da meritarsi l'apprezzamento di uomini come Pier Damiani e Ildebrando da Soana, il futuro Gregorio VII, allora agli inizi del suo lungo e aspro cammino.
Ma chi sanт d'autoritа la sempre torbida situazione fu Enrico III, imponendo un nuovo papa tedesco (Clemente II), facendosi da lui incoronare e avocando a sй il diritto di designare i papi da eleggersi in futuro (principatus in electione, 1046); in base a ciт divennero papi, dopo Clemente II, tre enriciani: Damaso II, Leone IX e Vittore II, tutti tedeschi. Particolarmente efficienti gli ultimi due per la dignitа che seppero mantenere verso l'imperatore, per il contributo che portarono all'incipiente riforma ecclesiastica, per gli accorti passi politici che fecero per avvicinare a R. le temute potenze confinanti: la marca di Toscana e i domini normanni del Mezzogiorno. Sotto Leone IX si aprм con Bisanzio quel conflitto che portт alla definitiva separazione della Chiesa greca dalla romana (1054). La morte quasi contemporanea di Enrico III e di Vittore II (1056-57), la minore etа di Enrico IV e il breve papato di Federico di Lorena (Stefano IX) accesero un'aspra zuffa tra il clero riformatore e l'aristocrazia, per una volta tutta solidale (Crescenzi, Tuscolani, conti di Galeria, ecc.), per la nuova elezione. Ebbe successo Niccolт II (1059), sostenuto sм da Goffredo di Lorena, marchese di Toscana, da qualche nobile (come Leone di Benedetto, capostipite dei Pierleoni) e da una parte del clero, ma soprattutto dal consenso di una nuova idea, propugnata da Ildebrando: quella della libertas Ecclesiae, di una Chiesa sovrana e libera sia dalla tutela imperiale sia dalle pressioni locali, condizione della sua effettiva rigenerazione. Niccolт II fece due grandi passi su questa via: decretт che l'elezione del papa fosse riservata ai cardinali, escludendone i laici, compreso l'imperatore, e stipulт un'alleanza rassicuratrice coi Normanni (1059). Ad Alessandro II, del suo stesso stampo, Enrico IV oppose invano un antipapa. Quando infine, con amplissimi suffragi, gli succedette Ildebrando da Soana, Gregorio VII (1073), tra il grande paladino della libertas Ecclesiae e l'imperatore Enrico IV si aprм la lotta delle investiture, che trascende ampiamente la storia di R., ma che si ripercosse in R. con episodi estremamente drammatici, dall'aggressione del papa sull'altare all'ingresso armato di Enrico IV, poi dei Normanni "liberatori", che riempirono di orrori la cittа, portando con sй a Salerno il grande papa destinato a morire non rimpianto in esilio (1085). Nel seguito della lotta, regnante Enrico V, si ebbero alterne e incomposte manifestazioni di solidarietа popolare a favore di Pasquale II e di furore popolare contro Gelasio II, accusato di voler trasferire il papato nell'Italia settentrionale. Ma, se col Concordato di Worms tra Callisto II ed Enrico V si chiuse la lotta delle investiture (1122), strascichi cruenti si manifestarono tra i due nuovi gruppi gentilizi dei Pierleoni e dei Frangipane, per nulla rassegnati a un'effettiva libertа del papato e concorrenti per farsene un appannaggio politico ed economico. Il conflitto tra le due fazioni provocт un lungo scisma (1130-38), di risonanza europea, chiuso con un generoso successo di Innocenzo II, sorretto dai Frangipane.Storia: il Medioevo, la nascita del ComuneA questo punto, contro un'aristocrazia logorata e screditata, si sollevт per la prima volta, con un'esordiente volontа politica, il popolo dei mercanti, degli artigiani, dei piccoli possidenti, che occupт il Campidoglio e vi insediт un governo collegiale dal nome suggestivo di Sacro Senato, (Renovatio Senatus, 1143), con un patrizio alla testa (Giordano Pierleoni, fratello dell'antipapa Anacleto II, rivale di Innocenzo II). Sorgeva a R., come nel resto d'Italia, il Comune, contendendo al papa, come altrove ai vescovi locali, la gestione della cittа. Il Comune respinse un violento attacco di papa Lucio II (che vi perdette la vita), avviт un compromesso con papa Eugenio III, s'arroccт infine su una posizione di radicale intransigenza sotto lo stimolo della predicazione di Arnaldo da Brescia, le cui idee politico-religiose andavano ben oltre le rivendicazioni del Senato cittadino (1145). L'utopia democratica avviata a realizzarsi da Arnaldo fu stroncata dall'effimera alleanza tra papa Adriano IV e Federico I Barbarossa, che sacrificт alla sua incoronazione Arnaldo, tradito, catturato, impiccato e arso per mano del prefetto dell'Urbe; le sue ceneri furono disperse nel Tevere (1155). L'eccidio ebbe uno strascico sanguinoso, per cui l'imperatore dovette ben presto fuggire. Nel successivo ventennio di guerra tra Federico da una parte, i Comuni collegati e papa Alessandro III dall'altra, il Comune romano acquistт una notevole importanza come forza equilibratrice tra le parti in guerra: estese la sua influenza sul contado, curт l'amministrazione cittadina con oculatezza, contribuм alla difesa in momenti difficili (1167). Il successo del papa nella lotta con l'imperatore indebolм il Comune, che dovette rimettere a Clemente III l'investitura dei senatori (1188). Ma dopo qualche sollevazione per rivendicare la piena libertа (Benedetto Carushomo summus senator, unico e popolare, 1191-93), la diplomazia e la severitа di Innocenzo III fecero del senatore unico capo del Comune una creazione papale, vincendo resistenze sia popolari sia aristocratiche (Capocci, Pierleoni, Orsini). Durante la guerra tra il papato e Federico II, il Comune si atteggiт a ghibellino: Gregorio IX l'ebbe talora ostile, Federico II l'onorт inviando in Campidoglio il carroccio di Milano, trofeo della sua vittoria a Cortenuova (1237). Ma, nell'ultima fase della guerra, prese un carattere fieramente indipendente, antisvevo e popolaresco, di cui l'esponente di punta fu una sorta di capitano del popolo avventuroso e trascinante, il bolognese Brancaleone degli Andalт (1252-58). Il Comune era una temibile potenza, che avrebbe potuto decidere dell'esito finale dell'estrema lotta tra papato e Svevi.
L'alleanza tra il papato e Carlo d'Angiт e la grande potenza acquistata da quest'ultimo con la conquista del regno di Sicilia gravarono invece sulla cittа; Carlo vi esercitт a intermittenze, ma con mano pesante, la dignitа di senatore (1263-84), assunta in alternativa dai papi stessi, primo Niccolт III Orsini. La fine del secolo vide in R. i primi scontri tra questa famiglia e quella rivale dei Colonna per l'elezione papale e l'occupazione dei posti-chiave nella curia e subм ancora per qualche tempo l'influenza angioina. Infine, dopo l'inattuale brevissimo pontificato di Celestino V, il papa del "gran rifiuto", su R. ecclesiastica e civile, aristocratica e popolare, chiusa o aperta ai fermenti religiosi che lievitavano in tutta l'Italia, s'impose la dura, imperiosa, implacabile personalitа di Bonifacio VIII Caetani.Storia: il Medioevo, la "cattivitа avignonese"Per quanto concerne R., egli legт il suo nome al primo giubileo (1300), che esaltт il prestigio e moltiplicт la ricchezza della cittа e vi istituм l'universitа; ma lo legт anche alla guerra senza quartiere contro i Colonna e alla distruzione di Palestrina e a una serie di spregiudicate imprese per ambizione di potere e di potenza familiare. Il drammatico crollo di Bonifacio VIII (1303), a cui non furono estranei i Colonna, poi la lunga "cattivitа avignonese" (1309-77) distrussero l'euforia e le illusioni suscitate dal giubileo e inasprirono le frizioni in una societа in cui una rissosa aristocrazia, un clero mondano, un ceto medio robusto e operoso e non privo d'ambizioni e una plebe ondeggiante e facile agli eccessi non riuscivano a organizzarsi in una vera e propria civitas. Alle condizioni socialmente anomale corrispondeva un volto urbanistico sconcertante per gli stridenti contrasti tra i resti dell'antica magnificenza e la nuova, l'umiltа e la miseria dei rioni plebei, le tracce di campagna in piena cittа. Nell'assenza dei papi, si ebbero frequenti sussulti: per la venuta di Enrico VII di Lussemburgo, per l'assunzione del vicariato pontificio e del titolo di senatore da parte di Roberto d'Angiт, per l'incoronazione laica, in Campidoglio, dell'imperatore scomunicato Ludovico IV il Bavaro, col conseguente interdetto e l'intervento napoletano, per le inestinguibili lotte tra le maggiori famiglie. Ma l'episodio piщ significativo del periodo avignonese fu l'insurrezione veramente popolare e ispirata a precisi ideali classici e cristiani promossa dal tribuno Cola di Rienzo (1347) che, in ultima istanza, crollт per l'irriducibile avversione dell'aristocrazia. Il tema di un "buono Stato" incardinato sul popolo fu episodicamente ripreso a metа secolo (da Giovanni Cerroni, da Francesco Baroncelli, dallo stesso Cola di Rienzo), sempre senza successo. Solo l'abilitа del cardinale Egidio Albornoz riuscм a creare un dignitoso modus vivendi tra papato e Comune: senatore unico affiancato da sette riformatori della Repubblica, milizia cittadina esclusivamente popolare, redazione, per opera di una commissione rappresentativa di tutta la cittadinanza, di uno Statuto (1360-63). E in una R. cosм relativamente riassestata rientrarono da Avignone per breve tempo Urbano V e definitivamente Gregorio XI (1377), lungamente invocati e attesi. Ma la cittа tardт a trarne i benefici auspicati. Il grande scisma apertosi subito dopo (1378) riversт su R. ogni sorta di sciagure: vi si scontrarono le milizie dei due papi, quelle papali e quelle del Comune, le bande dei Colonna e degli Orsini e la manomisero i napoletani di Ladislao di Durazzo e di Giovanna II e i mercenari di Braccio da Montone; tutto ciт nel giro di qualche decennio. Quando papa Martino V Colonna, col quale finм lo scisma, fece il suo ingresso in R. (1420), la trovт desolata e spopolata (gli abitanti erano forse 20.000), "che non aveva piщ volto di cittа". Il papa cominciт a costruire e a ricostruire e con maggior magnificenza ne seguм la via Eugenio IV (ancorchй turbato dall'ostilitа dei Colonna e da un violento moto per la restaurazione di una nebulosa "libertа della Repubblica Romana", 1434). Piщ marcatamente principe rinascimentale fu Niccolт V, patrono di umanisti e artisti, fondatore della Biblioteca Vaticana e ideatore di un ambizioso piano urbanistico, vittima designata per altro della congiura di Stefano Porcari, che fallм e portт alla morte il suo promotore (1453), suggestionato dai piщ infiammati ideali di libertа della letteratura umanistica largamente fiorente. Con Callisto III Borgia (1455) gli umanisti ebbero invece vita difficile: il papa colmт di favori i propri parenti e connazionali (gli invisi "catalani"). Cultura e magnificenza riportarono i suoi successori, l'umanista Enea Silvio Piccolomini (Pio II, 1458) e Paolo II (1464); entrambi lasciarono poche tracce della loro opera in R., entrambi furono minacciati da congiurati. Contro Paolo II, come contro Niccolт V, l'attentato partм dall'ambiente umanistico dell'Accademia Romana, di cui era capo Pomponio Leto (1468-69). Grandi nepotisti furono poi Sisto IV della Rovere, il cui nipote Gerolamo Riario fu tra i promotori della fiorentina congiura dei Pazzi (1478) e coinvolse R. nell'ingloriosa guerra di Ferrara (1482-84), e Innocenzo VIII, che con la sua complicitа nella "congiura dei baroni" contro gli Aragonesi di Napoli (1485) attirт la guerra a R. e nel suo territorio infestandolo di soldataglia e di banditi. Il Medioevo si chiudeva cosм a R. in una sorta di sontuosa tragedia: un principato papale politico e mondano prima che religioso copriva col suo splendore profonde miserie e immoralitа; grandi famiglie protraevano indefinitamente le loro faide; il popolo conservava, anche nei tempi piщ tristi, una sua congeniale orgogliosa dignitа, ma anche le ultime tracce dell'autonomia cittadina, pur sempre simboleggiate da larvali senatori, erano ormai scomparse. Voci nuove non mancavano di denunciare il male e d'invocare la rigenerazione, come quella di Gerolamo Savonarola, ma R. non era ancora preparata ad ascoltarle: a Innocenzo VIII sarebbe succeduto Alessandro VI Borgia (1492), divenuto l'emblema della crisi di costume di R. papale alla fine del Medioevo.
Storia moderna: la ripresa economica e culturaleVerso la fine del sec. XV le lotte per la libertа e le autonomie cittadine si andarono via via spegnendo. Rimaneva ancora la carica di senatore, ma essa era interamente nelle mani del papa come, d'altra parte, la carica dei tre conservatori e del consiglio di ventisei cittadini che mantenevano ormai funzioni esclusivamente giudiziarie e avevano smessa ogni importanza nel reggimento della cittа. Se dal punto di vista politico R. andт cosм perdendo la sua autonomia, raggiunse invece, proprio in quegli anni, un primato senza paragoni nel campo culturale. Grazie agli innumerevoli tesori profusi dal mecenatismo dei papi, essa divenne, infatti, la vera capitale artistica dell'Italia e una delle piщ splendide cittа del mondo dove il fasto grandioso della vita pubblica alimentato dalle ingenti ricchezze delle nuove famiglie fu illuminato dalla presenza di sommi pittori, scultori e architetti che parvero rinnovare davvero per un momento le glorie dell'etа classica. L'orribile sacco effettuato dai lanzichenecchi di Carlo V (1527 v. sottolemma) impose purtroppo una brusca battuta di arresto: la maggior parte degli artisti lasciт la cittа e gli abitanti si ridussero a poco meno di 30.000. I guasti dell'invasione e del saccheggio furono perт presto riparati. E nella seconda metа del Cinquecento ebbe inizio una nuova epoca di rigoglio economico e artistico, in concomitanza con la riscossa antiluterana della Chiesa e della Controriforma. Alla fine del sec. XVI gli abitanti raggiunsero il numero di 100.000, il peso fiscale gravante sulla popolazione fu considerevolmente alleggerito e l'amministrazione pubblica si fece piщ attenta e responsabile. Sotto Sisto V (1585-90) venne violentemente represso e quasi stroncato il brigantaggio che affliggeva la campagna romana, fu incoraggiata l'agricoltura e favorita l'attivitа indu striale degli ebrei. R. diventт allora il centro in cui si effettuт e da cui si irradiт nel vecchio e nel nuovo mondo la riorganizzazione del cattolicesimo (Collegio romano, germanico, di propaganda fide, ecc.). L'attivitа edilizia riprese con rinnovato fervore. Lungo il gomito tiberino, davanti al Borgo e a Castel Sant'Angelo, oltre il Campo Marzio e tutto intorno al Pantheon sorsero splendidi palazzi. La cittа si estese sulle alture che erano state abbandonate fin dal tempo dell'Impero. Alla vecchia nobiltа feudale si affiancт la nuova aristocrazia papale creata dal cosiddetto piccolo nepotismo (Aldobrandini, Borghese, Ludovisi, Barberini, Pamphili, Chigi, Odescalchi, Ottobuoni, Pignatelli, Albani, Conti, Corsini), che se da un lato alimentт la corruzione curiale, dall'altro proseguм e accentuт la tradizione della magnificenza e del fasto con l'aiuto di artisti come il Bernini e il Borromini. La vita culturale, benchй fosse soggetta a controlli e remore nuove e severe – introduzione dell'Inquisizione (che nel 1588 ebbe il primo posto fra le congregazioni romane), esecuzione di Giordano Bruno (1600), processo a Galilei (1633) –, ebbe ancora per qualche tempo un discreto sviluppo, favorito dalla presenza dell'universitа che risaliva a Bonifacio VIII e alle numerose accademie a cui nel 1690 si aggiunse l'Arcadia. Il papato secondт il rifiorente studio dell'antichitа (apertura del museo Pio-Clementino), tentт bonifiche (Paludi Pontine) e curт numerose opere pubbliche. Col passare degli anni perт il divario tra il movimento di riforme che si affermava in Europa e il tono culturale della cittа si andт rivelando sempre piщ grande. Accorrevano ancora illustri viaggiatori (Winckelmann, Goethe, ecc.), si pubblicarono nuovi giornali, si discusse di letteratura, di politica, persino di religione, ma in modo prevalentemente distaccato e accademico, senza molta passione. Il fatto и che al di lа del fasto e della vivacitа esteriore della vita, la sostanza del tessuto sociale si andava facendo sempre piщ fragile, piщ apparente che reale. La cittа, giа uscita da tempo dal grande giro della politica europea e italiana, viveva solo per la presenza della corte papale, era priva di proprie risorse e di una classe mercantile degna di questo nome; i traffici, ormai scarsi, erano monopolizzati da poche famiglie signorili e le idee e i fermenti – nati altrove – si andavano perciт via via isterilendo nell'erudizione e nel formalismo. In una situazione giа cosм deteriorata intervennero a creare nuove complicazioni i contraccolpi provocati dalla Rivoluzione francese. Alla propaganda dei pochi giacobini, fomentata dall'ambasciata francese e apparentemente tollerata dall'inetto governo, si oppose la maggior parte della popolazione sordamente sospettosa di qualsiasi novitа. In un tumulto improvviso venne cosм ucciso il giornalista e rappresentante francese Ugo Bassville (13 gennaio 1793) e nel 1797 perdette la vita durante uno scontro tra soldati pontifici e dimostranti repubblicani l'addetto militare francese L. Duphot (27 dicembre). Per ordine del Direttorio, quindi, le truppe francesi del generale Berthier entrarono in cittа il 10 febbraio 1798 e il 15 fu proclamata la Repubblica Romana; Pio VI, costretto a lasciare la cittа (20 febbraio), fu condotto in Francia dove morм l'anno successivo. Una rivolta di cittadini scoppiata in Trastevere per la prepotenza dei Francesi (25 febbraio) venne domata dopo due giorni di lotta furiosa; molti dei rivoltosi, catturati con le armi in mano, furono fucilati in piazza del Popolo. Poco dopo le truppe napoletane abbatterono la Repubblica, che fu ripristinata dal genera le Championnet e cadde definitivamente (1799), per il sopravvento della coalizione austro-russa.
Storia moderna: la Repubblica RomanaIl nuovo papa Pio VII, eletto a Venezia nel marzo 1800, potй quindi rioccupare la cittа e tentare la riorganizzazione con l'aiuto del cardinale Consalvi, ma dovette anche lui abbandonarla dopo pochi anni quando Napoleone, abolito il potere temporale per contrasti sull'attuazione del blocco continentale, incorporт nell'Impero anche R. conferendone il titolo regio al proprio figlio ed erede (1809). Il nuovo governo del generale Miollis promosse riforme e migliorт l'amministrazione, liquidт il vecchio debito pubblico papale e cercт di accattivarsi la nobiltа e l'alta borghesia con cariche e onori, ma non riuscм a vincere il malanimo della media e piccola borghesia e la nettissima ostilitа della maggioranza del clero e della popolazione delle campagne, sicchй, caduto Napoleone, Pio VII potй rientrare in cittа accolto come un trionfatore (1814). Dopo gli anni di moderata saggezza del suo governo e di quello del cardinale Consalvi si instaurт perт con Leone XII (1823-29) e Gregorio XVI (1831-46) una politica grettamente reazionaria e repressiva che favorм la nascita di sette liberali e il propagarsi di un tenace malcontento accompagnato da sporadici tentativi insurrezionali (1825 e 1829, scoperta di due "vendite" carbonare; 1830, tentativo insurrezionale bonapartista; 1831, moti liberali) peraltro inesorabilmente repressi. Insieme al diffondersi degli ideali neoguelfi, l'avvento al pontificato di Pio IX (1846) parve aprire la via a un nuovo indirizzo liberaleggiante: tra il crescente entusiasmo popolare il papa concesse infatti la libertа di stampa, la fondazione della consulta di Stato, la guardia civica e una Costituzione (1848). Ma fu breve illusione. In poco tempo si andт delineando un contrasto insanabile tra il pontefice, che rinnegava la guerra nazionale e intendeva conservare l'effettiva direzione degli affari di Stato, e i liberali, che volevano la guerra e un governo realmente costituzionale. Dopo i ministeri Mamiani e Fabbri, P. Rossi parve finalmente l'uomo adatto a dirigere il governo in mezzo alla furia montante delle fazioni: ma la sua politica energica e autonoma finм con lo scontentare conservatori e democratici e il 15 novembre venne ucciso da un fanatico che si disse figlio di Ciceruacchio. Pio IX si rifugiт allora a Gaeta presso il re delle Due Sicilie e a R. fu creata un'Assemblea Costituente che proclamт ancora una volta la decadenza del potere temporale dei papi e istituм la Repubblica (v. romano, Repubblica Romana). Restaurato il potere pontificio con l'intervento delle armi francesi del generale Oudinot (1849) e ritornato dal regno di Napoli Pio IX (1850), gli acerbi contrasti apertisi con l'esperienza repubblicana passarono dalla fase manifesta e guerreggiata a quella della propaganda e della cospirazione. Mentre si accentuava il potere di attrazione esercitato dalle forze unitarie e si aggravava il distacco tra popolazione e papato, proseguiva intensamente l'attivitа del Comitato d'Azione. Bastт perciт che la guarnigione francese lasciasse la cittа (1866) in forza della Convenzione di settembre perchй si avesse il tentativo garibaldino di Mentana (1867), accompagnato da alcuni conati insurrezionali all'interno della stessa cittа (attentato alla caserma Serristori; eccidio di casa Ajani). Tali avvenimenti non ebbero per il momento alcun pratico risultato e causarono anzi il ritorno dei Francesi. Quando perт la guerra franco-prussiana provocт il loro definitivo richiamo e il papato rimase privo di qualsiasi aiuto internazionale, l'intervento dello Stato italiano per la liberazione di R. (solleci tato soprattutto dalle sinistre) potй attuarsi senza alcuna difficoltа.Storia moderna: dal 1870 alla seconda guerra mondialeIl 20 settembre 1870 (v. sottolemma), dopo una resistenza poco piщ che simbolica dei soldati pontifici, le truppe di R. Cadorna entrarono infatti in cittа, accolte dal generale entusiasmo popolare che fu poi confermato anche dagli esiti del plebiscito (40.785 sм; 46 no). Mentre il papa si chiudeva in corrucciato isolamento nel Vaticano, si aprм allora un nuovo e tumultuoso periodo della storia della cittа. L'esigenza di adunare qui il vasto apparato burocratico e politico del regno portт alla progressiva mescolanza di vari apporti regionali scarsamente integrantisi tra loro e a una rapida e disordinata espansione edilizia che fu la conseguenza di un impetuoso incremento demografico e di un'incontrollata speculazione che fu interrotta solo dalla grave crisi scoppiata alla fine degli anni Ottanta. Intanto la vita culturale si fece piщ vivace e intensa. Fiorirono iniziative editoriali e giornalistiche, accorsero artisti e scrittori come da tempo non succedeva. I cattolici, compresi gli "intransigenti" e l'aristocrazia "nera", smesso l'iniziale e arcigno isolamento, si riorganizzarono e cominciarono a prendere parte alla vita politica locale mentre l'anticlericalismo astioso e un po' becero che era il naturale retaggio di tante battaglie lasciava il posto a un impegno laico e civile che ebbe una delle espressioni piщ persuasive negli anni dell'amministrazione del sindaco Nathan (1907-13). L'incremento demografico si fece sempre piщ rapido e vistoso provocando la formazione di numerosi nuclei urbani periferici spesso isolati dal ritmo e dai servizi della vita cittadina. L'avvento del fascismo (che diede alla cittа una nuova struttura amministrativa con l'istituzione del Governatorato di Roma, 1925) accentuт tale fenomeno con la politica di "sventramenti" del vecchio centro storico perseguita per mettere in luce le vestigia della romanitа imperiale che ebbe per conseguenza l'emarginazione forzata di grossi nuclei di popolani, operai e artigiani in nuove "borgate" periferiche appositamente create, ma presto ridottesi a una sorta di ghetto. Durante la II guerra mondiale la cittа subм alcuni gravi bombardamenti nell'estate del 1943 (19 luglio e 13 agosto).
Alla proclamazione dell'armistizio tra l'Italia e gli Anglo-Americani (8 settembre 1943) le truppe preposte a difesa della cittа (tre corpi d'armata) vennero a conflitto con quelle germaniche mentre la capitale veniva abbandonata dal re, da Badoglio e dai comandi militari. I Tedeschi attaccarono da sud con la II divisione paracadutisti e da nord con la III divisione granatieri. Si registrarono episodi di resistenza italiana, in particolare sulla via di Bracciano (divisione corazzata Ariete), alla Magliana e a porta S. Paolo (granatieri di Sardegna e lancieri di Montebello) cui presero parte anche gruppi di civili. L'assenza di un comando unitario e di rifornimenti, il mancato appoggio di un aviosbarco alleato, la minaccia tedesca di bombardamento e taglio degli acquedotti costrinsero alla capitolazione e la sera del 10 settembre il generale Calvi di Bergolo fu costretto a stipulare una tregua d'armi in base alla quale R., costituita in cittа aperta, sarebbe rimasta sotto il suo diretto comando. Pochi giorni dopo, tuttavia, violati gli accordi, i Tedeschi si impadronirono completamente della cittа, che tennero poi sotto il loro effettivo dominio (nonostante la riorganizzazione del partito fascista) fino all'arrivo degli Alleati. Durante tale periodo R. fu un attivo centro di resistenza. Azioni di guerriglia furono compiute nei dintorni della stessa cittа, nella quale un attentato compiuto in via Rasella il 23 marzo 1944 provocт la strage delle Fosse Ardeatine (v. ardeatino) che costт la vita a 335 italiani. Ai primi di maggio dello stesso anno il comando alleato decise l'attacco per la liberazione di R. e ne affidт il compito all'ala sinistra dell'VIII armata e alla V armata americana. Esse avrebbero dovuto eliminare le difese della zona di Cassino puntando poi verso i monti Ausoni mentre le forze della testa di ponte di Anzio, entrate in azione contemporaneamente, si sarebbero congiunte a esse per proseguire verso Roma. L'azione ebbe inizio l'11 maggio e gli obiettivi della prima fase furono rapidamente raggiunti. Sbarcata quindi una nuova divisione ad Anzio, iniziт l'attacco ai monti Ausoni, superati i quali avvenne l'unione con le truppe della testa di sbarco a Borgo Grappa presso Cisterna (25 maggio). Si procedette quindi all'attacco dei colli laziali che vennero conquistati il 1є giugno. Divenuta cosм insostenibile ogni difesa, Kesserling ordinт la ritirata generale delle truppe tedesche. All'alba del giorno 4 le avanguardie americane raggiunsero la periferia di R. e alle ore 18 vi penetrarono attraverso porta S. Giovanni .Arte: la Roma cristianaFra i piщ antichi monumenti della R. cristiana, oltre alla basilica costantiniana di S. Pietro in Vaticano, deve annoverarsi certamente S. Giovanni in Laterano (311-314); della chiesa originaria resta perт solo l'impianto a cinque navate con transetto, poichй fu varie volte trasformata e da ultimo ricostruita nel sec. XVII dal Borromini; la facciata и settecentesca. Notevole il chiostro dei Vassalletto (1222-30). Coeva per fondazione и la basilica di S. Paolo fuori le Mura, innalzata sulla tomba dell'apostolo a iniziare dal 314, trasformata e abbellita nei secoli seguenti. Devastata da un incendio nel 1823, venne ricostruita da L. Poletti in maniera fedele alla preesistente costruzione. Anch'essa a cinque navate, conserva all'interno un ciborio di Arnolfo di Cambio (sec. XIII), un candelabro pasquale di N. e P. Vassalletto (sec. XII), nell'abside un mosaico con Cristo e santi (scuola veneta, ca. 1220). Se nulla и rimasto delle forme originarie delle prime basiliche romane, tuttavia esse furono senza dubbio modello per le chiese basilicali che nei secoli successivi vennero costruite in cittа e altrove. Quanto all'origine del modello architettonico, che evidentemente non trovava ispirazione nelle modeste costruzioni cristiane precedenti, l'opinione piщ diffusa fra gli studiosi и quella di una derivazione dalle grandi costruzioni ufficiali di etа imperiale, peraltro interpretate in maniera originale e adattate alle particolari esigenze del culto. All'etа costantiniana risalgono anche alcuni edifici religiosi a pianta centrale, dei quali il piщ notevole и il mausoleo di S. Costanza, interessante costruzione a cupola decorata a mosaici andati in parte distrutti. Da quanto ne resta e da incisioni cinquecentesche risulta chiaro trattarsi di decorazioni di gusto classicheggiante, secondo lo stile aulico tipico delle maestranze della corte costantiniana. Con il sec. V alla visione plastica dello spazio se ne sostituм una piщ coloristica: tipico esempio и la basilica di S. Maria Maggiore innalzata, secondo la tradizione, da papa Liberio nel sec. IV, ma rifatta da Sisto III dopo il 431. Trasformata nei sec. XIII-XIV, ebbe l'attuale facciata, opera di F. Fuga, nel Settecento; essa tuttavia mantiene la struttura originaria a tre navate divise da colonnati architravati. La chiesa, ampiamente decorata da mosaici, conserva in parte quelli originari del sec. V, fra cui particolarmente importanti quelli sull'arco trionfale; nell'abside и l'Incoronazione di Maria di I. Torriti (1295). Al sec. V risalgono anche S. Stefano Rotondo, complesso edificio a pianta centrale, e la basilica di S. Sabina. Quest'ultima, restaurata nel 1914-36, ha riacquisito in parte l'originaria fisionomia: a tre navate su colonne, rappresenta una delle piщ notevoli realizzazioni paleocristiane in R., grazie all'estrema importanza del fattore luministico rispetto al tradizionale impianto strutturale romano. Assai importanti sono le porte, raro esempio di scultura paleocristiana in legno. Nei secoli successivi (VI-VII) l'attivitа artistica in R. venne in parte declinando, a seguito delle travagliate vicende del periodo storico. Restт tuttavia sensibile la tradizione paleocristiana, unitamente all'influsso bizantino dovuto ai legami politici e culturali con l'Oriente.
Di grande importanza per l'arte di questo periodo и la chiesa di S. Maria Antiqua, fondata nel sec. VI su una precedente costruzione di Domiziano sul Palatino. La chiesa, a tre navate, con nartece e presbiterio, conserva una sorta di palinsesto pittorico costituito da cinque cicli di affreschi (sec. VI-VIII), tra i quali sono particolarmente notevoli quelli nella cappella dei SS. Quirico e Giuditta (metа sec. VIII). Chiari influssi bizantini, pur nella persistenza delle forme paleocristiane, si avvertono nella comparsa di matronei e capitelli con pulvino, p. es. nella chiesa di S. Agnese (sec. VII), la quale, nonostante le modificazioni del sec. XVII, conserva la struttura originaria.Arte: tradizione paleocristiana e motivi bizantiniNuovo slancio ebbe la produzione artistica romana in etа carolingia. Negli ultimi anni del sec. VIII papa Adriano I ingrandм la chiesa di S. Maria in Cosmedin (fondata nel sec. VI), a tre navate, di struttura semplice e severa (parzialmente modificata nel sec. XII). Negli anni successivi papa Pasquale I innalzт le chiese di S. Maria in Domnica (rimaneggiata nel sec. XV) e di S. Prassede, che conserva importanti mosaici nell'arco trionfale e nell'abside; anche la cappella di S. Zenone и riccamente ornata da mosaici. Questi possono ricollegarsi alla corrente piщ aristocratica del gusto artistico romano, legata a motivi paleocristiani e bizantini, ma aperta anche a nuove tendenze locali, da cui derivano alcuni degli affreschi della chiesa inferiore di S. Clemente (Discesa al Limbo e Ascensione, sec. IX). Nella stessa chiesa, piщ tardi affreschi (sec. XI) con Storie di S. Clemente mostrano invece un gusto stilistico di derivazione ottoniana. I sec. XI-XII, che in altre regioni italiane corrispondono al diffondersi del romanico, non videro invece particolari variazioni stilistiche a R. che restт legata ai motivi paleocristiani: la chiesa di S. Clemente, ricostruita intorno al 1108 da Pasquale II, si presenta a tre navate su colonne, con schema analogo a S. Maria in Cosmedin; la basilica di S. Maria in Trastevere (1130-43) su tre navate a colonne architravate, ripete lo schema di S. Maria Maggiore. I legami con la tradizione paleocristiana restarono vivi anche nel secolo successivo. Nei sec. XII-XIII si distinse a R. l'attivitа degli architetti, scultori e decoratori appartenenti alle famiglie dei Cosmati e dei Vassalletto, che crearono un originalissimo stile di decorazione raffinata, di armoniose proporzioni e di vivacissimo gusto policromo. Oltre ai capolavori dei chiostri di S. Giovanni in Laterano e di S. Paolo fuori le Mura, si deve loro una quantitа di cibori, candelabri pasquali, amboni, transenne, che rivelano il gusto della scultura romana, ben lontano dagli influssi romanici dell'Italia settentrionale. Sotto il profilo architettonico, ai Cosmati si deve anche la ricostruzione di varie chiese, tra cui le giа citate S. Clemente e S. Maria in Trastevere, e la basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, fondata nel sec. IV (la chiesa, restaurata dopo le distruzioni del 1943, и a tre navate e conserva anche due amboni e un candelabro pasquale cosmateschi); ad artisti di ambito cosmatesco si deve anche la trasformazione della chiesa dei SS. Quattro Coronati, anch'essa di origine paleocristiana. La pittura romana dei sec. XI-XII appare ancora legata in gran parte all'assimilazione dei modi bizantini, ma rivela giа una notevole vitalitа e capacitа di elaborazione nei grandi mosaici dell'arco trionfale e dell'abside (1140) di S. Maria in Trastevere e in quelli della chiesa superiore di S. Clemente (Trionfo della Croce). Un importante rinnovamento della tradizione pittorica romana si ebbe perт solo alla fine del sec. XIII con l'opera di I. Torriti (Incoronazione di Maria nell'abside di S. Maria Maggiore) e soprattutto di P. Cavallini (affreschi nel convento di S. Cecilia, mosaici nell'abside di S. Maria in Trastevere), che segnarono con vigorosa individualitа l'allontanamento dai manierismi bizantini e il recupero della dimensione spaziale e del volume dei corpi, parallelamente alla rivoluzione operata da Giotto. Tra la fine del sec. XIII e l'inizio del XIV и da ricordare a R. anche la presenza di Arnolfo di Cambio, scultore gotico cui si devono i cibori di S. Paolo e di S. Cecilia, nonchй le sculture del presepio di S. Maria Maggiore. Pochi sono gli esempi di gotico in R., sia per la tradizionale persistenza di motivi classicheggianti, sia per la grave crisi attraversata dalla cittа durante il sec. XIV. Unica chiesa gotica и S. Maria sopra Minerva, sec. VIII, rifatta nel 1280 e restaurata nel sec. XIX (all'interno, affreschi di Filippino Lippi, Cristo portacroce di Michelangelo). Da ricordare anche la grande scalinata di Aracoeli, costruita nel 1348 da Lorenzo di Simone Andreotti per conto di Cola di Rienzo. La chiesa di S. Maria in Aracoeli, benchй costruita in forme gotiche intorno al 1250, venne trasformata nei sec. XVI-XVII (all'interno affreschi di Benozzo Gozzoli, Pinturicchio).
Arte: il QuattrocentoNel Quattrocento, in conseguenza del ritorno della sede papale da Avignone, ebbe inizio per R. un importante rinnovamento edilizio, che da una parte portт a una vera e propria ristrutturazione del tessuto urbano, dall'altra arricchм la cittа di considerevoli monumenti rinascimentali, grazie all'affluenza di numerosi artisti provenienti dalle varie corti italiane. Si affermт inoltre la nuova tipologia del palazzo, derivato dalla casa-forte medievale, con corte interna a loggiati. La dimensione dei palazzi, spesso affacciati su una piazza, modificт tutto il tessuto urbano circostante. Un esempio classico и offerto da palazzo Farnese, ma la prima realizzazione in ordine cronologico и quella di palazzo Venezia, innalzato verso il 1455 per il cardinale Pietro Barbo; imponente costruzione merlata, и attribuita con qualche incertezza a Bernardo Rossellino. Intorno al 1480 varia fu l'attivitа di Baccio Pontelli, cui si devono l'interessante chiesa di S. Maria della Pace, dalla facciata barocca (il chiostro и del Bramante), e la ricostruzione di S. Maria del Popolo, la cui Cappella Chigi и opera di Raffaello. All'interno si trovano affreschi del Pinturicchio, statue del Bernini e dipinti del Caravaggio (Conversione di S. Paolo e Crocifissione di S. Pietro). Agli stessi anni risale la trasformazione di S. Pietro in Vincoli, nel cui interno и il mausoleo di Giulio II col celebre Mosи di Michelangelo. Nei primi decenni del Cinquecento R. acquistт un eccezionale prestigio artistico e un ruolo preminente nella definizione dell'arte rinascimentale grazie alla presenza di artisti quali Bramante, Raffaello, Michelangelo, richiamati dal mecenatismo di pontefici (Giulio II e Leone X), di mercanti o banchieri (Agostino Chi gi). Bramante iniziт la sua attivitа romana col giа citato chiostro di S. Maria della Pace. Sua massima realizzazione fu perт il tempietto di S. Pietro in Montorio, a pianta circolare, circondato da un peribolo di colonne doriche e sormontato da una cupoletta emisferica; l'edificio, di nettissima derivazione classica, и il primo grande capolavoro dell'architettura cinquecentesca, della quale segnт uno dei fondamentali punti d'avvio. L'immensitа dell'opera della ricostruzione di S. Pietro e dei Palazzi Vaticani mise in certa misura nell'ombra altre realizzazioni contemporanee, come quelle di Raffaello, cui si devono, oltre alla Cappella Chigi, la chiesa di S. Eligio degli Orefici e i progetti nonchй una parziale realizzazione di Villa Madama (condotta a termine, dopo il 1517, da Giulio Romano e Giovanni da Udine). A Baldassarre Peruzzi и dovuta la raffinata villa di Agostino Chigi, la Farnesina; all'interno, i celebri affreschi di Raffaello con la Favola di Psiche e il Ratto di Galatea e le Nozze di Alessandro e Rossane, del Sodoma. Sempre del Peruzzi и l'imponente palazzo Massimo alle Colonne, singolare sia nella convessitа della facciata sia nell'impianto planimetrico, spostato rispetto all'asse della facciata. Contemporaneamente va ricordata l'attivitа romana di Antonio da Sangallo il Giovane: la chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano (1507), il severo palazzo del Banco di S. Spirito e soprattutto il palazzo Farnese (completato da Michelangelo). Blocco semplice e compatto, dominato dal poderoso cornicione michelangiolesco, fu il prototipo dei palazzi romani dei secoli successivi; all'interno, galleria affrescata dai Carracci e dal Domenichino. Neppure il sacco del 1527, che pure segnт la diaspora di numerosi artisti nell'Italia sett., arrestт l'attivitа architettonica: basti pensare a Michelangelo, che si stabilм a R. nel 1534, divenendo l'indiscusso dominatore della vita artistica della cittа, con le sue vaste imprese sia di pittura e scultura (Giudizio Universale nella Cappella Sistina, sepoltura di Giulio II) sia di architettura. Nel 1536 egli diede il progetto per la nuova sistemazione della piazza del Campidoglio: al culmine di un maestoso scalone d'accesso, la piazza, il cui centro ideale и la statua di Marco Aurelio, и chiusa sul fondo dal palazzo Senatorio; ai lati, disposti a ventaglio in modo da accrescere l'ampiezza della piazza, i palazzi dei Conservatori e dei Musei Capitolini. Benchй alterata in fase d'esecuzione da Giacomo Della Porta, la sistemazione del Campidoglio appare, proprio nella limitatezza dello spazio, di grande monumentalitа. Impegnato dal 1547 nella costruzione della basilica di S. Pietro, Michelangelo realizzт anche altre significative opere: Porta Pia, innalzata per volere di Pio IV, e la trasformazione del tepidarium delle terme di Diocleziano nella grandiosa chiesa di S. Maria degli Angeli (1563), trasformata nel Settecento dal Vanvitelli (1749).Arte: tra Manierismo e Barocco
Parallelamente agli interventi di D. Fontana sul tessuto urbano di R., verso la seconda metа del Cinquecento si avviт la trasformazione architettonica della cittа in senso prima manieristico, poi barocco. Prima realizzazione del nuovo gusto (tanto da essere indicata come il prototipo della chiesa barocca) и la chiesa del Gesщ, progettata dal Vignola (1568) e completata da G. Della Porta. L'interno, a una sola navata con transetto appena accennato, и di solenne grandiositа; fastosa la cappella di S. Ignazio, di A. Pozzo. Fra le altre opere del periodo, numerose ma non sempre di elevato livello, possono ricordarsi la Villa Giulia, ancora del Vignola; la chiesa di S. Luigi dei Francesi, che conserva all'interno affreschi del Domenichino e il ciclo di S. Matteo del Caravaggio; il palazzo della Sapienza, il cui imponente cortile (di G. Della Porta) fu completato nel 1660 dal Borromini con la chiesa di S. Ivo, dall'originalissima cupola; il severo palazzo Lateranense, di D. Fontana. A vari architetti (F. Ponzio, O. Mascherino, D. Fontana, C. Maderno) si deve il palazzo del Quirinale, iniziato nel 1574 per volere di papa Gregorio XIII; in parte trasformato dal Fuga nel sec. XVIII, conserva notevoli collezioni d'arte, tra cui un affresco (giа nella chiesa dei SS. Apostoli) di Melozzo da Forlм. A Carlo Maderno, uno fra i maggiori artisti del periodo manierista, si devono oltre alla facciata della basilica di S. Pietro, palazzo Chigi, la chiesa di S. Susanna, di tipo vignolesco, e palazzo Barberini, completato poi dal Bernini; all'interno, notevoli affreschi di Pietro da Cortona. Nel sec. XVII, fra i piщ attivi dal punto di vista architettonico, la cittа acquistт la caratteristica fisionomia barocca che tuttora conserva. Fra i primi grandi architetti secenteschi sono A. Algardi, piщ noto come scultore, che nella facciata di S. Ignazio e nella Villa Doria-Pamphili si ispirт a uno stile accademico e classicheggiante; Pietro da Cortona, cui, oltre a opere di pittura, si devono la chiesa dei SS. Luca e Martina, a croce greca con absidi semicircolari, e la facciata di S. Maria della Pace (1656-57), di aspetto maestoso nell'abile sistemazione del portico a semicerchio. Massimi rappresentanti del barocco romano furono Bernini e Borromini. Il primo, piщ incline alla ripresa di motivi classicheggianti, svolse un'intensissima attivitа sia come scultore (ritratti, monumenti funebri, fontane) sia come architetto (colonnato di S. Pietro, progetto della sistemazione urbanistica di piazza Navona, completamento di palazzo Barberini, chiesa di S. Andrea al Quirinale, a pianta ellittica, ecc.). Borromini, invece, rispetto al classicismo solenne del Bernini, espresse un gusto barocco di piщ alta drammaticitа, come testimoniano le chiese di S. Carlo alle Quattro Fontane e di S. Ivo alla Sapienza, l'elegante oratorio dei Filippini e la chiesa di S. Agnese in Agone, dal fastoso interno. Dal Borromini derivт una corrente di gusto che ebbe larga diffusione nel Settecento. Fra gli altri architetti del sec. XVII vanno ricordati Carlo Rainaldi, autore fra l'altro di adattamenti dell'interno di S. Maria Maggiore, delle chiese di piazza del Popolo e di S. Maria in Campitelli; Carlo Fontana, autore di S. Maria dei Miracoli e della facciata di S. Marcello al Corso; Andrea Pozzo. Sotto il profilo pittorico, l'attivitа romana del Caravaggio e di Annibale Carracci, dai quali derivт gran parte della pittura del sec. XVII, conferм alla cittа grande prestigio e richiamт numerosi artisti, da Rubens a Velбzquez, a Poussin.Arte: dal Settecento al periodo fascistaIl Settecento romano, meno ricco di opere dei due secoli precedenti, si ispirт, pur con qualche variante, alla tradizione berniniana e borrominiana. Numerosi furono i rifacimenti e le trasformazioni di chiese antiche, come quelli giа citati di S. Giovanni in Laterano e S. Maria Maggiore. Nell'architettura civile, caratterizzata spesso da una piacevole misura (piazzetta di S. Ignazio del Raguzzini), vanno ricordati il palazzo Doria al Corso, dall'elegante facciata, e l'armonico palazzo della Consulta, di F. Fuga. Fra gli edifici religiosi meritano citazione la ricca facciata di S. Maria Maddalena, opera di Giuseppe Sardi, la facciata di S. Giovanni dei Fiorentini, del Galilei, e la chiesa e l'ospedale di S. Gallicano, del Raguzzini. Le due piщ celebri realizzazioni della prima metа del secolo furono tuttavia la scalinata di Trinitа dei Monti (1721-25), opera di A. Specchi e F. de Santis, e la Fontana di Trevi, realizzata su progetto di N. Salvi. Intorno al 1760 si affermт il gusto neoclassico, che proprio nella R. antica cercava l'ispirazione per un nuovo modulo artistico. Giа preannunciato, in parte, dalla Villa Albani di C. Marchionni, il neoclassicismo ebbe la sua prima grande manifestazione nella chiesa e nella piazza dei Cavalieri di Malta, di G. B. Piranesi. Tuttavia poche furono le manifestazioni architettoniche di rilievo nell'ultimo periodo del Settecento e nella prima metа del sec. XIX, se si eccettua la geniale sistemazione di piazza del Popolo, del Valadier, e la giа citata ricostruzione della basilica di S. Paolo. Le vicende politiche del declinante potere pontificio pesarono senza dubbio gravemente sul clima, culturalmente chiuso, della R. del tempo. La situazione mutт dopo il 1870, in coincidenza con la grande espansione urbana. Fra i molti edifici pubblici sorti fra il 1870 e il 1915, alcuni sono ben rappresentativi della situazione culturale e sociale dell'Italia umbertina e giolittiana, dai solenni palazzi di piazza Esedra, di G. Koch, alle varie opere di Pio Piacentini, al monumentale, decoratissimo Palazzo di Giustizia, di G. Calderini, fino al celebre monumento a Vittorio Emanuele II (Vittoriano), enorme scenografia retorica costruita fra il 1885 e il 1911 su progetto di G. Sacconi. Numerose nel periodo fascista le realizzazioni di "arte ufficiale", come la Cittа Universitaria (1932-35), gli edifici monumentali dell'EUR (1938-42), il Foro Italico (1932-36), complessi nei quali, a fianco di realizzazioni di architettura razionale (di Michelucci, Aschieri, Pagano), stanno i pesanti palazzi "littori" di M. Piacentini, massimo esponente dell'architettura ufficiale dell'epoca.
Fra le piщ notevoli realizzazioni del dopoguerra sono la stazione Termini (di E. Montuori, A. Vitellozzi e altri), l'edificio della Rinascente di F. Albini, lo Stadio Flaminio e il Palazzo dello Sport di P. L. Nervi e M. Piacentini.Arte: museiLa cittа di R. ospita numerose raccolte d'arte, alcune delle quali di grandissima importanza. Fra i musei archeologici, i piщ antichi sono quelli capitolini, nati da una donazione di papa Sisto IV nel 1471, i quali costituiscono anche la prima raccolta d'arte pubblica del mondo moderno. Nella sistemazione attuale il Museo Capitolino propriamente detto comprende in prevalenza opere di scultura, sia copie di statue greche, sia originali di etа imperiale. I due pezzi piщ famosi sono il Galata morente, replica da un originale di arte pergamena del sec. III a. C., e la Venere Capitolina, sul tipo della celebre Afrodite di Cnido, cui si aggiungono molte altre importanti opere ellenistiche (Amore e Psiche, Fanciullo con l'oca, Vecchia ebbra). Degne di menzione sono anche le diverse copie di opere del sec. V a. C. (Diadumeno di Policleto, Amazzone ferita attribuita a Cresila) e di capolavori prassitelici (Satiro in riposo, Apollo Liceo) e scopadei (Pothos restaurato come Apollo con la cetra). Ricchissima и la serie di ritratti di poeti e filosofi greci e di imperatori romani. Tra le molte altre opere romane il Sarcofago di Vigna Amendola (con battaglia tra Romani e Sarmati) e quello colossale detto di Alessandro Severo del sec. III d. C. Dei Musei Capitolini fanno parte anche le raccolte del palazzo dei Conservatori, comprendenti anche il Museo Nuovo Capitolino e il cosiddetto Braccio Nuovo, con le opere di piщ recente scoperta. Vi si conservano celebri pezzi come la Lupa capitolina (bronzo del sec. V a. C.), una stele funeraria ionica (sec. V a. C.), il ritratto detto di Bruto (sec. III a. C.), la Venere dell'Esquilino (sec. I d. C.), importanti rilievi storici del sec. II d. C. e molte altre opere di scultura antica; inoltre il Cratere di Aristonothos, rara opera di ceramica del sec. VII a. C., e i Fasti Capitolini, elenco dei magistrati romani dell'etа repubblicana, di eccezionale interesse storico. Il museo comprende anche sculture medievali e moderne, di Arnolfo di Cambio, del Bernini, dell'Algardi, ecc. Nel palazzo dei Conservatori ha sede inoltre la Pinacoteca Capitolina, fondata alla metа del sec. XVIII da Benedetto XIV. Ospita importanti opere di artisti italiani e stranieri dal XIV al XVIII sec., tra i quali Tiziano (Battesimo di Cristo), Veronese (Fortezza e Temperanza), Caravaggio (Buona Ventura e S. Giovanni Battista), Rubens (Romolo e Remo), Van Dyck (Ritratto dei faratelli de Wael), Guido Reni (Anima Beata, Fanciulla con corona), Guercino (S. Petronilla), Pietro da Cortona (Ratto delle Sabine). Ricchissima и anche la raccolta del Museo Nazionale Romano, sistemato nei ruderi colossali delle terme di Diocleziano. Fra le opere di scultura vanno ricordati il Discobolo detto di Castelporziano, bella replica dell'originale di Mirone, l'Apollo detto del Tevere, l'Efebo di Subiaco (da un originale del sec. IV a. C.), la Fanciulla di Anzio, di etа ellenistica, la bellissima Venere di Cirene. La Collezione Ludovisi, cosм chiamata dal cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di Gregorio XV, che la iniziт, comprende pezzi di eccezionale rilevanza, come il Trono Ludovisi, originale magno-greco del sec. V a. C., con importanti rilievi, e il Galata che si uccide, copia coeva da un originale di scuola pergamena (sec. III a. C.). Fra le altre sculture greche da ricordare la Niobide degli Orti Sallustiani (sec. V a. C.); fra quelle romane i numerosi sarcofagi, tra cui quello con scene di battaglia tra Romani e barbari (etа di Marco Aurelio) e la serie di ritratti imperiali tra cui il noto Augusto velato di via Labicana. Eccezionali sono poi i dipinti murali della sala del "giardino" della villa di Livia a Prima Porta e le pitture e gli stucchi della casa della Farnesina. Degne di menzione anche una statua di Cristo seduto, del sec. IV, l'unica conosciuta di etа imperiale, e una pittura murale di tarda etа imperiale con la raffigurazione simbolica di R. (Roma Barberini). Altra importante raccolta archeologica и il Museo Nazionale di Villa Giulia, dedicato alla civiltа etrusca e italica. Le opere piщ importanti sono l'Apollo di Veio, opera di Vulca, del sec. VI a. C., il sarcofago fittile da Cerveteri detto "degli sposi", la cosiddetta cista Ficoroni, firmata da Novio Plauzio, e la celebre olpe Chigi, uno dei piщ notevoli vasi protocorinzi conosciuti (sec. VII a. C.). Assai importanti sono le collezioni Castellani e Barberini, comprendenti fra l'altro una biga da Tuscania, un trono in lamina di rame da Palestrina, specchi e altri oggetti metallici, nonchй la ricchissima raccolta di ceramiche figurate greche ed etrusche.
Degni di menzione anche i resti del tempio di Mercurio di Falerii Veteres e quelli del tempio di Diana di Nemi, e inoltre ricche collezioni di vasi, corredi funebri, gioielli, armi, ecc. И da ricordare poi il Museo Preistorico Luigi Pigorini, che raccoglie materiale di tutte le piщ antiche civiltа fiorite in Italia; soprattutto importante и la sua sezione delle antichitа del Lazio all'EUR. Il piccolo Museo Barracco contiene scelti pezzi di arte greca oltre a sculture romane, assire ed egizie. Infine il Museo della Civiltа Romana all'EUR и una raccolta molto ampia e unica nel suo genere di plastici, calchi e altre riproduzioni di monumenti romani esistenti sia a R. e in Italia sia in tutte le altre aree di Europa, Asia e Africa facenti parte un tempo dell'Impero romano. La Galleria Nazionale d'Arte Antica comprende dipinti dal sec. XIII al XVIII. Iniziata dal cardinale Neri Corsini (sec. XVIII), и divisa tra palazzo Barberini e palazzo Corsini. И ricca di opere sia italiane sia straniere, tra le quali un trittico del Beato Angelico, l'Enrico VIII di H. Holbein, la Fornarina di Raffaello, Cristo e l'adultera di Tintoretto, Venere e Adone di Tiziano, Madonna col Bambino di Murillo; inoltre tele di G. B. Caracciolo, S. Rosa, il Baciccia, Tiepolo, Rombouts, Vouet, ecc. La Galleria Nazionale d'Arte Moderna, che ha sede nel monumentale edificio di Valle Giulia, и la piщ completa raccolta d'arte italiana da Canova fino alle piщ moderne manifestazioni artistiche. Possono citarsi in particolare opere di Hayez (I Vespri siciliani), G. Fattori (Ritratto della prima moglie), S. Lega (La visita), T. Signorini, G. Toma, G. De Nittis, G. Segantini (Alla stanga), M. Rosso, C. Carrа, Morandi, De Chirico, Guttuso, Capogrossi; notevoli le sculture di A. Martini, M. Marini e G. Manzщ (Il cardinale). Vanno poi ricordate le raccolte d'arte derivate da collezioni patrizie, fra cui di massimo rilievo la Galleria Borghese, che ospita soprattutto importanti opere di pittura, ma anche sculture classiche, barocche e neoclassiche. Molto importante anche la Galleria Doria-Pamphili, ricca di dipinti dei sec. XVI-XVII, tra cui significative tele di Caravaggio, A. Carracci, L. Lotto, C. Lorrain, S. Pulzone, H. Memling, Tiziano, Tintoretto, ecc. e numerosi arazzi di Bruxelles del sec. XVI. La Galleria Colonna raccoglie significative opere del Veronese, Moretto, Melozzo da Forlм, ecc. Nella Galleria Spada si trovano in prevalenza opere del Seicento, da G. Reni a O. Gentileschi, dal Cerquozzi a Rubens. Nel Museo di palazzo Venezia, che ha conservato gli originari ambienti quattro-cinquecenteschi, si trovano mobili, arredi, sculture, dipinti (soprattutto dei sec. XIV-XV), bronzetti (notevole la collezione Barsanti), ceramiche di Meissen e di Fontainebleau, smalti, avori. Carattere storico presenta il Museo Nazionale Militare e d'Arte di Castel Sant'Angelo, di grande interesse per gli ambienti conservati (prigioni, cortili, ecc.) e la notevolissima armeria. Vi si trovano anche alcuni dipinti (di L. Signorelli, di scuola veronese, ecc.). Per quanto riguarda i Musei Vaticani, comprendenti anche i Musei Lateranensi, v. Vaticano, Stato della Cittа del-.Istituti culturaliR. и sede di numerosi istituti culturali e universitа, la piщ importante delle quali и La Sapienza, i cui istituti e facoltа sono riuniti per la maggior parte nella Cittа Universitaria (inaugurata nel 1935). La fondazione dell'universitа come studium generale risale alla bolla di Bonifacio VIII del 20 aprile 1303. In seguito Eugenio IV (1431-47) riorganizzт lo Studio di R., gli confermт i privilegi conferitigli da Bonifacio VIII e gli assegnт cospicue rendite che resero possibile l'acquisto di nuove case come sede presso S. Eustachio. L'inizio della costruzione del palazzo della Sapienza, che fu sede dell'universitа fino al 1935, risale al pontificato di Leone X (1513-21): in tale periodo lo Studio romano ebbe particolare fioritura. Il palazzo della Sapienza venne terminato sotto il pontificato di Alessandro VII (1655-67). Dopo periodi di decadenza e di ripresa, l'ateneo ebbe vita difficile nel corso del sec. XIX; in seguito il governo italiano procedette a una serie di riforme e di sovvenzioni. Fra gli istituti a livello universitario vi sono l'Accademia di Belle Arti, l'Accademia Nazionale di Danza, l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico, l'Accademia Musicale di Santa Cecilia. In un ambito piщ vasto si annoverano: l'Accademia Nazionale dei Lincei, l'Accademia Nazionale di San Luca, l'Accademia dell'Arcadia, l'Accademia Tiberina, la Societа Geografica Italiana, la Societа Nazionale Dante Alighieri, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana; le universitа pontificie: Gregoriana, Antonianum, Universitа Internazionale degli studi sociali (Pro Deo), Pontificio Istituto Internazionale Angelicum. Fra le accademie e gli istituti di cultura pontifici vi sono: il Pontificio Istituto Biblico, il Pontificio Istituto per gli Studi Orientali, la Pontificia Accademia Ecclesiastica, la Pontificia Accademia delle Scienze, ecc. Fra le accademie internazionali si possono citare: le accademie americana, tedesca, belga, britannica, di Francia, di Danimarca, di Spagna, di Romania, di Polonia, d'Ungheria, ecc.
ArchivisticaOltre alla Biblioteca Vaticana, alle biblioteche delle universitа pontificie e quelle degli istituti stranieri (i maggiori sono l'Istituto archeologico germanico, la Scuola francese, il Max Planck Institut, l'Istituto storico germanico, l'Accademia americana, l'Accademia belga), le piщ importanti biblioteche di R. sono la Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, la biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, l'Angelica, la Casanatense, l'universitaria Alessandrina, la Vallicelliana, la Medica Statale distaccata dalla Lancisiana, la biblioteca di Storia moderna e contemporanea distaccata dalla Nazionale, la biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte, la biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia, tutte biblioteche pubbliche statali. Tra le altre sono da ricordare la biblioteca della Camera dei Deputati, quella della rivista La civiltа cattolica, quella del Consiglio Nazionale delle Ricerche e quella della Societа geografica italiana. § L'Archivio di Stato di R. fu istituito nel 1871 e raccolse tutti i documenti dello Stato Pontificio che al momento dell'occupazione della cittа non erano conservati in Vaticano; vi si aggiunsero poi i fondi archivistici di enti e privati del territorio di competenza. I fondi di maggiore rilevanza storica sono l'Archivio notarile (atti dal sec. XV) e numerosi archivi familiari. L'Archivio Centrale dello Stato, istituito nel 1875, raccoglie invece solo gli atti degli organi centrali dello Stato (p. es. i ministeri) oltre ai fondi liberamente versati, tra i quali sono di fondamentale importanza per la storia dell'Italia contemporanea le raccolte di carteggi di uomini politici. Per l'Archivio Vaticano, v. Vaticano, Stato della Cittа del-.SpettacoloCon la fine dell'Impero e con la trasformazione della cittа in capitale della cristianitа cessarono le forme superstiti del teatro latino, le maggiori delle quali (mimo, pantomimo e spettacoli circensi), licenziose o sanguinarie, furono rigorosamente vietate dalla nuova religione. Anche a R., come in quasi tutto l'Occidente cristiano, il teatro rinacque in chiesa con le varie forme di dramma liturgico o con i canti delle laudi in occasione di feste religiose. Piщ avanti, tra il sec. XIII e il XIV, si ebbero rappresentazioni sacre in dialetto presentate al Colosseo e altrove da un'Arciconfraternita del Gonfalone formata da religiosi e laici a fini soprattutto di beneficenza, cui si affiancarono, sempre nella stessa epoca, naumachie in piazza Navona, giochi militari e spettacoli a grande effetto, con ausilio di macchine mirabolanti, per occasioni di particolare solennitа. Alla fine del Quattrocento risalgono i primi esempi di teatro umanista, con esumazioni, generalmente in case private, dei testi di Plauto e Terenzio, cui seguirono le commedie erudite in lingua, mentre si susseguivano con una certa regolaritа le rappresentazioni basate sulla macchinositа degli apparati che trovarono nelle fastose corti dei pontefici rinascimentali una sede estremamente adatta. Questo tipo di teatro, di carattere precipuamente visivo, continuт a prevalere nell'etа della Controriforma, anche perchй un decreto di Sisto V, che vietava alle donne di comparire sulle scene, tenne lontane da R. le piщ prestigiose compagnie di comici dell'Arte. Il Seicento fu tuttavia un secolo d'intensa attivitа teatrale: nei collegi dei gesuiti si sviluppт una copiosa anche se mediocre drammaturgia originale e fiorм, accanto all'oratorio, il dramma sacro; nelle chiese le solennitа religiose divennero occasioni di portentosi e suggestivi spettacoli; nei palazzi signorili e nelle case degli artisti (ma anche in teatri privati, come il Barberini, il Colonna, il Pamphili, ecc.) gruppi d'amatori, Bernini compreso, allestirono con dovizia di mezzi melodrammi importanti nella storia del teatro in musica, del quale R., con autori come V. e D. Mazzocchi, L. Rossi, S. Landi, M. Cesti, A. Stradella e A. Scarlatti, fu per tutto il sec. XVII uno dei maggiori centri europei. Tuttavia, solo nel 1671 si aprм, soprattutto per l'intervento di Cristina di Svezia, il primo teatro pubblico, il Tor di Nona, nato in legno e piщ volte ricostruito anche in miniatura, che fu demolito dopo oltre due secoli, nel 1889, quando da quasi cent'anni era stato ribattezzato Teatro Apollo. Vi si svolse la parabola del melodramma, vi si esibirono compagnie di prosa e di balletto, vi si vararono in prima assoluta Il Trovatore e Il ballo in maschera. Nel 1692 si aprм al pubblico anche il Capranica, che esisteva giа da alcuni lustri come teatro privato e che sopravvisse sino al 1881: fu soprattutto la sala dell'opera buffa e della riforma goldoniana. A questi due teatri s'affiancarono nel 1717 l'Alibert, ribattezzato pochi anni dopo Teatro delle Dame, sede principale del nuovo melodramma di Zeno e di Metastasio; e nel 1726 il Valle, sorto in un palazzo della famiglia Capranica e tuttora in attivitа. Era in origine un teatrino di legno, ricostruito in muratura da Valadier all'inizio del secolo e destinato ad acquistare particolare importanza soprattutto come teatro di prosa: fu qui che Novelli tentт nel 1900 l'esperimento della Casa di Goldoni, embrione di teatro stabile, e che si susseguirono nei decenni altre iniziative prestigiose come, intorno al 1950, il Teatro d'Arte italiano di Gassman e Squarzina e il Teatro Nazionale diretto da G. Salvini. Tuttora in attivitа, e sede attuale del Teatro di R. dopo i lavori d'adattamento del 1971, и anche l'Argentina, inaugurato nel 1732 su disegno di Girolamo Theodoli e sino alla fine dell'Ottocento il piщ prestigioso teatro d'opera cittadino, che ospitт, tra l'altro, la burrascosa prima de Il barbiere di Siviglia (1816).
All'inizio del secolo successivo (1905-16) fu sede della Stabile Romana, il piщ importante esperimento di compagnia permanente compiuto sino allora nell'Italia unita; in seguito ospitт soprattutto spettacoli di prosa e dal 1945 divenne la sede dell'Accademia di Santa Cecilia. Per le opere liriche c'era dal 1880 il Costanzi, dove nel 1890 ebbe luogo il battesimo trionfale di Cavalleria rusticana di Mascagni, ribattezzato nel 1928 Teatro dell'Opera e attualmente organizzato come ente autonomo, che dispone anche di una prestigiosa compagnia di balletto. Il panorama dei teatri piщ noti и completato dal Quirino, nato nel 1871 come teatro popolare in legno e rifatto in muratura nel 1914, che ospita le maggiori compagnie di prosa insieme con il Valle, l'Argentina e l'Eliseo, sorto quest'ultimo nel 1900 e rifatto nel 1938. Ma l'elenco delle sale importanti non finisce qui: si de vono almeno ricordare l'Odescalchi, sede del Teatro dei Piccoli di Podrecca e nel 1925 dell'effimero Teatro d'Arte di Pirandello; il Rossini e il Manzoni, dedicati soprattutto al repertorio dialettale; il Teatro degli Indipendenti, aperto nel 1922 da A. G. Bragaglia come teatro sperimentale permanente; il Teatro delle Arti, che lo stesso Bragaglia diresse dal 1937 al 1943 con una compagnia semistabile e che continua a ospitare spettacoli di prosa; il Salone Margherita, celeberrimo caffй-concerto; il Duse, legato all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, dove nel 1948 nacque, diretto da O. Costa, un Piccolo Teatro della Cittа di Roma rimasto in attivitа sino al 1954 e sostituito solo nel 1965 da un teatro stabile vero e proprio, ecc. Gli anni di questo dopoguerra hanno definitivamente consolidato la posizione di R. come capitale anche teatrale del Paese. Qui sono sorte molte delle compagnie di maggiore prestigio (basti citare quelle dirette da L. Visconti); da qui и partito l'affascinante esperimento del Teatro Popolare italiano diretto da V. Gassman; qui infine и nato e si и sviluppato, a iniziare dagli anni Sessanta, un nuovo movimento per il rinnovamento del linguaggio teatrale che ha trovato in minuscole salette sparse in vari quartieri le sue sedi e in personaggi come C. Bene, M. Ricci, G. Vasilicт, G. Nanni, M. Perlini, ecc. i suoi artefici di piщ riconosciuto rilievo. § L'attivitа musicale ha oggi i suoi centri, oltre che nel Teatro dell'Opera e nell'Accademia di Santa Cecilia – fondata nel 1584 – nell'Accademia Filarmonica Romana (fondata nel 1821), nell'Istituzione Universitaria dei Concerti e nell'Orchestra Sinfonica della RAI.TeatroSi suole fissarne la data di nascita al 1834, quando il Pulcinella Giovan Battista Trabalza, probabilmente d'origine napoletana, presentт al Teatro Pallacorda uno spettacolo "in dialetto trasteverino" dichiaratamente ispirato al notissimo poema giocoso Meo Patacca (1695) del conte Giuseppe Berneri. Ma numerosi sono naturalmente gli antecedenti: parlavano in romanesco personaggi di bassa condizione sociale in certe sacre rappresentazioni (sin dal sec. XIII) e in alcune commedie del Rinascimento; si scrivevano in romanesco farsette che nel Settecento fungevano da intermezzi tra un atto e l'altro dei melodrammi. C'era inoltre tutta una serie di maschere, da Rugantino a Cassandrino, da don Pasquale alla coppia Meo Patacca-Marco Pepe (presente sui palcoscenici assai prima dell'iniziativa di Trabalza), inserite in copioni in lingua e presenti nella vita della cittа e nelle feste popolari. C'erano i cantastorie e c'erano i burattinai (Filippo Acciaiuoli, Filippo Teoli e, piщ famoso di tutti, Gaetano Santangelo detto Ghetanaccio). Ma Trabalza fu il primo a presentare spettacoli interamente parlati in dialetto fissando un modello destinato a gran fortuna per quasi mezzo secolo. A Trabalza seguirono Filippo Tacconi, detto il gobbo Taccone, Pippo Tamburri e altri, ma il repertorio mutт poco: si sceneggiarono episodi del poema di Berneri o si composero farsette con musiche e cauti riferimenti all'attualitа. A Meo Patacca e a Marco Pepe s'affiancт presto Pippetto, "ragazzo di poco spirito", che figurт tra i personaggi de L'ajo nell'imbarazzo di Giraud e divenne, grazie all'attore Oreste Raffaelli, protagonista di numerose operette. Per tutto l'Ottocento i tentativi di un teatro diverso furono pochissimi: si possono citare un paio di adattamenti da Goldoni di Luigi Rondanini, un testo Evviva la migragna (1887), di Giggi Zanazzo, mentre tra le commedie con musica fece spicco Il marchese del Grillo (1889) di Berardi e Mascetti. La prima reazione importante fu un'iniziativa di Giacinta Pezzana, torinese di nascita e giа gloriosa attrice in lingua, che nel 1908 formт una compagnia cercando copioni "con intendimenti morali e sanamente educativi". Suo primattore fu Gastone Monaldi che nel 1912 si mise in proprio e ottenne vistosi successi con truculenti drammoni d'appendice, di cui era anche autore, ambientati nel mondo della malavita e imperniati su travolgenti passioni amorose e su coltellate inflitte per motivi d'onore (Er piщ de Trastevere, Nino er boja, ecc.). Ma Monaldi rappresentт occasionalmente anche testi di natura diversa. Allestм, p. es., la garbata Commedia de Rugantino (1918) di Augusto Jandolo, autore anche di un Ghetanaccio (1925) affidato invece a Ettore Petrolini. И questi il massimo attore espresso dal teatro dialettale di R., anche se difficilmente inseribile nella storia della scena romanesca ("Io sono romano" diceva, "non romanesco"). Non ebbe predecessori nй successori e il suo teatro (le "macchiette" soprattutto, ma anche copioni "regolari" come Chicchignola, Nerone, Benedetto fra le donne), un livido e beffardo jeu de massacre che ha come bersagli i miti e i personaggi dell'epoca, и nettamente superiore al consueto teatro dialettale.
Il teatro romanesco prosegue con la compagnia di Checco Durante, attore gradevole e bonario che ebbe una certa fortuna anche fuori della capitale in un repertorio di commedie senza ambizioni che rispecchiavano i gusti e la mentalitа della piccola borghesia. I suoi successori, da Aldo Fabrizi ad Alberto Sordi, hanno dedicato al teatro solo una parte esigua della loro attivitа. Ma si deve a essi e ad altri interpreti, da Anna Magnani a Nino Manfredi, da Enrico Montesano a Gigi Proietti, il merito di aver mantenuto viva la verve romanesca, anche attraverso una fortunata attivitа cinematografica.Convenzione di RomaLa Convenzione di R. sulle obbligazioni и entrata in vigore il 1є settembre 1991. A partire da questa data essa diviene diritto positivo dei Paesi comunitari che hanno ratificato la Convenzione stessa e nessun contratto multinazionale o transfrontaliero stipulato da un cittadino di uno Stato della Comunitа Europea potrа essere concluso validamente in difformitа delle disposizioni della Convenzione. In base all'art. 3 della Convenzione, il contratto и regolato dalla legge (anche diversa dalla legge di uno Stato contraente) scelta dalle parti. La scelta deve essere espressa, o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Tuttavia le parti possono convenire, in qualsiasi momento, di sottoporre il contratto a una legge diversa da quella che lo regolava in precedenza. In mancanza di scelta, il contratto и regolato dalla legge del Paese col quale presenta il collegamento piщ stretto. Diverso и il regime giuridico qualora si tratti di contratto concluso da consumatori ovverosia di contratto che abbia per oggetto la fornitura di beni materiali o di servizi per un uso estraneo all'attivitа professionale del consumatore. In tal caso, la scelta della legge applicabile non puт avere per risultato di privare il consumatore della protezione garantitagli dalle disposizioni imperative della legge del Paese nel quale risiede abitualmente. Marcia su RomaVinta ogni opposizione di sinistra grazie alla violenza squadrista e alla connivenza degli organi dello Stato, nell'autunno del 1922 i fascisti mirarono alla conquista definitiva del potere. Il 16 ottobre decisero perciт una marcia su R. delle camicie nere che venne pubblicamente preannunciata il 24 dello stesso mese al congresso di Napo li. Costituitosi un comando generale con sede a Perugia e formato dai "quadrumviri" De Bono, Balbo, Bianchi e De Vecchi, gli squadristi ebbero quindi l'ordine di concentrarsi a Santa Marinella (colonna toscana: comandanti Dino Perrone Compagni e il generale Ceccherini), a Monterotondo (colonna laziale-umbra: comandanti U. Igliori e il generale G. Fara) e a Tivoli (colonna marchigiano-abruzzese: comandante G. Bottai). La marcia sarebbe dovuta avvenire il 28 ottobre, ma le squadre d'azione – giа organizzate nei giorni precedenti – vennero bloccate dalle forze dell'ordine e dalle trattative in corso a Roma. Dopo che il governo presieduto da Facta aveva stabilito di resistere a ogni costo il re si rifiutт infatti di firmare lo stato d'assedio e, dopo febbrili consultazioni, decise di chiamare al governo lo stesso B. Mussolini (29 ottobre). La mattina del 30, quando il capo dei fascisti era giа nella capitale impegnato a formare il governo, fu finalmente concesso alle camicie nere di marciare su R. dove arrivarono in parte a piedi, in parte su autocarri, ma per lo piщ su treni speciali. Il successo aveva aumentato il loro numero: forti di ca. 27.000 uomini all'inizio, al momento di entrare in cittа erano circa 40.000 e al momento di abbandonarla, terminata ogni dimostrazione, quasi 70.000.Presa di Roma del 1870Scoppiata nel 1870 la guerra franco-prussiana e ritiratasi da R. la guarnigione francese, il governo italiano denunciт la Convenzione di settembre (6 settembre 1870) e, dopo aver inutilmente cercato di usare le vie diplomatiche (missione di Ponza di San Martino, 8 settembre), si decise con qualche esitazione a una spedizione militare per la conquista della cittа. Il 12 settembre il generale Cadorna entrт cosм nel territorio pontificio con 5 divisioni e avanzт senza trovare resistenza fino a R. dove giunse il 17. Andato a vuoto un ultimo tentativo di soluzione diplomatica messo in atto dal ministro prussiano presso la Santa Sede, conte Arnim, il 20 settembre Cadorna investм la cittа da porta S. Pancrazio alla Flaminia portando l'attacco decisivo tra Porta Pia e Porta Salaria dove erano schierate l'XI e la XII divisione. Iniziato alle 5,15 il fuoco dell'artiglieria, comandata dal generale L. G. Pelloux, alle 10 fanti e bersaglieri entrarono in R. senza molta difficoltа attraverso un'ampia breccia aperta presso Porta Pia e alle 14 il generale Cadorna e il generale Kanzler, comandante dei 15.000 soldati pontifici, firmarono la capitolazione. Lo scontro era costato complessivamente agli italiani 49 morti e 141 feriti, ai pontifici 19 morti e 68 feriti. Il giorno successivo, in seguito a uno scontro scoppiato nel rione di Borgo tra la popolazione e i gendarmi pontifici, Cadorna, su richiesta del cardinale Antonelli, fece occupare anche Castel Sant'Angelo e la Cittа Leonina, escluso il Vaticano.
Presa e sacco di Roma del 1527Durante la guerra tra Carlo V e i collegati della Lega di Cognac, il duca di Urbino, comandante degli alleati italiani, per incertezza e obiettive difficoltа non seppe impedire la concentrazione in alta Italia di un esercito imperiale guidato dal connestabile di Borbone e la marcia di questo verso Roma. Il 6 maggio 1527 la cittа, che poteva contare su un esercito raccogliticcio di 4-5000 uomini comandati da Renzo di Ceri (Lorenzo Orsini), fu perciт investita quasi improvvisamente da una colonna di 35.000 soldati nemici. Il Borbone, in un tentativo di superare le mura, rimase ucciso ma i suoi soldati, in gran parte lanzichenecchi luterani e antipapali, lanciandosi nella lotta con furore vendicativo, infransero ogni resistenza e penetrarono in Roma. Clemente VII riuscм a salvarsi in Castel Sant'Angelo grazie al sacrificio della guardia svizzera che rimase quasi completamente sul campo insieme al comandante Gaspard Roust. La cittа si trovт abbandonata alle peggiori violenze e a uno spietato saccheggio che durт molti giorni.Trattato di RomaFirmato il 25 marzo 1957 da Belgio, Francia, Rep. Fed. di Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, diede vita alla Comunitа Economica Europea che entrт formalmente in vigore il 1є gennaio 1958 (v. C.E.E.). BibliografiaPer la geografia: E. Migliorini, Materiali per una monografia geografica su Roma, Roma, 1951; A.-N. Seronde, Le rфle de l'industrie dans la vie de l'agglomйration romaine, in "Bulletin de l'Association des Gйographes franзais", Parigi, 1958; D. Rossi, Aspetti dello sviluppo demografico ed edilizio di Roma, 1959; I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, Torino, 1962; F. Martinelli, Ricerche sulla struttura sociale della popolazione di Roma (1871-1961), Pisa, 1964; M. Zucchini, Evoluzione delle strutture agricole nell'Agro romano, in "Rassegna del Lazio", Roma, 1969; E. Aureli Cutilla, F. Mignella Calvosa, Abitare a Roma. Urbanizzazione e crescita urbana, Milano, 1989. Per la storia antica: L. Pareti, Storia di Roma, Torino, 1952-55; S. I. Kovaliov, Storia di Roma, Roma, 1953; L. De Regibus, Storia Romana, Genova, 1957; P. Grimal, La civilisation romaine, Parigi, 1960; A. Bernardi, L'etа romana: dalla fondazione al declino della Repubblica, Novara, 1966; A. Piganiol, La conquкte romaine, Parigi, 1967; J. Heurgon, Rome et la Mйditerranйe Occidentale, Parigi, 1969; G. Antonelli, Roma tra repubblica e impero, Roma, 1990. Etа imperiale: R. Paribeni, L'Italia imperiale, da Ottaviano a Teodosio, 44 a. C.-395 d. C., Milano, 1938; G. M. Columba, L'impero romano. Da Cesare ai Flavi, 45 a. C.-96 d. C., Milano, 1944; E. T. Salmon, A History of the Roman World from 30 B.C. to A.D. 138, Londra, 1944; A. Ferrabino, Nuova Storia di Roma: Da Cesare a Traiano, Roma, 1947; A. Piganiol, L'empire chrйtien, 325-395, Parigi, 1947; E. Stein, Histoire du Bas-Empire, 2 voll., Parigi, 1949-59; A. Aymard, J. Auboyer, Rome et son empire, Parigi, 1954; A. Garzetti, L'impero da Tiberio agli Antonini, Bologna, 1960; M. A. Levi, L'impero romano, Torino, 1963; R. Remondon, La crise de l'empire romain, Parigi, 1965; P. Petit, La paix romaine, Parigi, 1967; A. Chastagnol, Le bas empire, Parigi, 1969; P. Petit, Histoire gйnйrale de l'Empire Romain, Parigi, 1974.Per il medioevo: P. Brezzi, Roma e l'impero medioevale (774-1252), Bologna, 1947; L. Homo, De la Rome paпenne а la Rome chrйtienne, Parigi, 1950; E. Duprй Theseider, Roma dal Comune di popolo alla Signoria pontificia (1252-1347), Bologna, 1952; A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del sec. XII, Roma, 1954; R. Cessi, Saggi romani, Roma, 1956; A. Piganiol, Le sac de Rome, Parigi, 1964; A. Martini, Arti, mestiere e fede nella Roma dei papi, Bologna, 1965; A. Prandi, Roma nell'Alto Medioevo, Torino, 1968; P. Llewellin, Roma nei secoli oscuri, Bari, 1975; A. Corbo, Fonti per la storia sociale romana al tempo di Nicolт V e Callisto III, Roma, 1991. Per la storia moderna: P. Paschini, Roma nel Rinascimento, Bologna, 1948; P. Pecchiai, Roma nel Cinquecento, Bologna, 1948; V. E. Giuntella, La crisi del potere temporale alla fine del Settecento e la parentesi costituzionale del 1789-99, Bologna, 1954; J. Delumeau, Vie йconomique et sociale de Rome dans la seconde moitiй du XVI siиcle, Parigi, 1957-1959; R. Perrone Capano, La resistenza in Roma, Napoli, 1962; S. Murano, Il sacco di Roma, Milano, 1967; M. Tosi, La societа romana dalla feudalitа al patriziato, 1816-1853, Roma, 1968; G. Bolton, Roman Century 1870-1970, Londra, 1970; F. Ferrarotti, Roma da capitale a periferia, Bari, 1970; V. E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna, 1971; A. Caracciolo, Roma capitale.

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