Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia Dell'arte |
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Data: | 25.05.2001 |
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1. INTRODUZIONE
“ Dada nacque dallo spirito di rivolta, che è comune alle adolescenze di tutte le epoche e che esige la completa adesione dell’individuo ai bisogni della sua natura più profonda, senza riguardi per la storia, per la logica o per la morale. Onore, patri, morale, famiglia, arte, religione, libertà, fraternità, tutto quello che vi pare: altrettanti concetti che corrispondono ai bisogni umani, dei quali non resta null’altro che scheletriche convenzioni, private ormai del loro significato primitivo”: così nel 1951 Tristan Tzara, il teorico del movimento dada, metteva a fuoco, nell’introduzione al libro di Montherwell, l’idea di fondazione.
All’inizio del secolo, l’arte è più che mai interprete della crisi che investe la cultura occidentale: quella crisi che, nel campo storico, assume tragica evidenza con la guerra mondiale. Dall’espressionismo al cubismo, dal futurismo all’astrattismo tedesco, all’avanguardia sovietica: si succedono con ritmo frenetico riforme che postulano un cambiamento dell’arte nella società. Ma sarà il movimento dada ad arrivare all negazione assoluta e radicale, alla liquidazione di un intero sistema estetico. Dada nasce per caso, nella Svizzera neutrale, a Zurigo: intorno a un caffè letterario si raccoglie un gruppo eterogeneo di artisti e pensatori di varia provenienza. È un gruppo di antimilitaristi e di anarchici, accomunati da un unico stato d’animo: la rivolta e la negazione della cosiddetta “civiltà” che in nome di un presunto razionalismo tende a giustificare la violenza della guerra. Si oppongono alla “ragione” sulla quale si articola il sistema dei valori istituzionalizzati della società attuale. Alla regola viene a sostituirsi l’eccezione: lo stesso termine dada nasce casualmente. Si dice che fu trovato sfogliando a caso il vocabolario, ma in rumeno significa “si si” e in francese “cavallo” nel linguaggio infantile, mentre Tzara lo ricollega a fenomeni dell’Africa Nera. L’unica cosa certa è la data in cui appare, il 15 giugno 1916.
All’operazione artistica succede il lavoro estetico: il più delle volte l’arte viene declinata secondo la nozione di “anti-arte”. È il “disordine necessario auspicato da Rimbaud e teorizzato da Tzara. Si ripudia il progetto e l’oggetto, si torna al soggetto (al comportamento dell’artista, alle manifestazioni scandalistiche). Date queste premesse, è chiaro che il gruppo è contro ogni movimento programmato: quando nel 1921 la sezione di Parigi guidata da André Breton proporrà, con l’analisi dell’inconscio, un sia pur labile indirizzo di ricerca, lo spirito dada può dirsi esaurito.
Anche se già esistono studi storici e filologici su questi teorici dell’assurdo e del nulla oggi dada è ancora un problema aperto. Si preferirà quindi affrontare i suoi protagonisti e le sue idee soprattutto come problemi. Si analizzeranno le figure dei protagonisti, non per un malinteso culto della personalità o per vincoli idealistici, ma perché la vera novità apportata dal gruppo è la totale aschematicità, l’anarchia individualista. La negazione è il primo dei loro interessi: anche se dada non articolerà mai una ideologia del “negativo”, la farà sempre aleggiare sulle sue ricerche come una inquietante idea fissa.
2. LE ORIGINI E L’ESPANSIONE
• I CENTRI DADA
La complessa evoluzione di dada, le sue diverse tendenze a seconda dei centri in cui si è sviluppato, sono il corollario del suo antidogmatismo (dogma = principio tenuto per verità incontrastabile).
A Zurigo si cerca una dialettica tra arte astratta e rivolta, a Berlino si fa arte politica e di propaganda, a Colonia e Hannover si sceglie la via dell’humor, a Parigi dada è “antifilosofico, nichilista, scandaloso”. L’unico principio di questa nuova “internazionale” è lo spirito antiborghese e antiaccademico, l’unico metodo è la provocazione.
1 febbraio 1916: Hugo Ball apre un cabaret nel locale Meierei in un vecchio quartiere di Zurigo, promettendo al proprietario della birreria in cui è ospitato di incrementare gli affari con attività “artistiche”. Mentre infuria la guerra, la Svizzera neutrale è divenuta il rifugio di uomini liberi, e tra questi Ball sceglie i suoi compagni di strada.
Nascono le riviste: prima “Cabaret Voltaire” e poi “Dada” (1917-1918). Il credo di dada-Zurigo è sintetizzato da Ball (14 aprile 1916): “ Il nostro cabaret è un gesto. Ogni parola che qui viene detta o cantata, significa per lo meno un fatto: che questo tempo mortificante non è riuscito a imporci rispetto”. Il movimento zurighese si conclude praticamente con la Soirée dada dell’aprile 1919: la guerriglia estetica prosegue in altri centri, come New York.
Dal 1919 il baricentro del movimento dada si sposta a Parigi. Anche qui nascono molte riviste, tra le quali “Nord Sud”, “Sic” e “Dada”. Gli spettacoli e le azioni scandalistiche (antiborghesi, antiletterarie, antiartistiche) si moltiplicano.
È quest’ultima occasione a divide il movimento in tre tendenze che fanno capo a Breton, Tzara, Picabia: in realtà, la confusione è al limite (anarchia o solidarietà operaia? individualismo o fronte dell’avanguardia?).
Emerge di prepotenza Breton , in un gruppo che agisce e reagisce a seconda dei malumori personali o delle casuali idiosincrasie: sono noti gli scontri tra Breton e Tzara e Picabia, ma quasi tutti cercano, deliberatamente, posizioni diverse. In questa atmosfera tesa, si apre il Congresso internazionale per la determinazione delle direttive e per la difesa dello spirito moderno: un fallimento per il dada. La polemica trascende fino alla rottura clamorosa. La Conference sur la fin de dada tenuta da Tzara a Weimar nel 1922 è la capitolazione teorica: Breton sta preparando il primo manifesto sul surrealismo.
Negli altri centri europei, dada non arriva con la sua forza blasfema (blasfema = sin. irriverente = privo di rispetto pieno di soggezione verso qualcosa) e catalizzante: aleggia appena come un fantasma.
• TRA IL FUTURISMO E IL SURREALISMO
Con la sua dottrina nichilista, il movimento dada si atteggia a liquidatore di tutte le dottrine artistiche, e soprattutto del futurismo che predicava una cieca fiducia nel progresso. Ma, almeno all’inizio, i futuristi sono accolti come precursori. È Ball a chiamare a Zurigo i rappresentanti delle avanguardie, qualificando anzi il dada come “sintesi delle moderne tendenze artistiche letterarie”.
All’inizio degli anni venti, i protagonisti del movimento appaiono sempre più ribelli ed eccitati: la nascita del surrealismo da un filone di dada non indica il lento spegnersi di quell’atteggiamento ma proprio la sua esaltazione. Nel 1924 tutti i protagonisti del dada passano al surrealismo: non c’è altro che un cambio della guardia al vertice, Breton al posto di Tzara. La nuova piattaforma ideologica fa sue tutte le posizioni del dada e vi aggiunge nuovi interessi: dall’onirismo (onirismo = attività psichica caratterizzata da intensa produzione fantastica e perdita del senso della realtà) all’automatismo, dalla psicologia (e anzi psicanalisi, cioè la teoria psicologica e la tecnica psicoterapeutica) all’essoterismo (essoterismo = qualificazione propria delle dottrine rese pubbliche e accessibili a menti comuni).
3. IDEE E IDEOLOGIA
• ANARCHIA E NICHILISMO
Dada eleva a sistema lo spirito di contraddizione e la negazione. Patria, famigli, arte, eroismo: dada irride a tutte le gerarchie (sconvolte, del resto, dalla guerra). L’arte arriva a prevedere il brutto, la poesia e il teatro accettano il nonsense (nonsenso (italianizzato) = ciò che è assurdo, privo di senso), la musica include il rumore puro, il cinema esplora l’immagine non oggettiva o il movimento fermo. Perfino le definizioni che il gruppo dà di se stesso sono in chiave negativa: non si spiegano gli obiettivi e i mezzi a disposizione ma si precisa tutto quello che il gruppo non vuole, tutto quello che non è. C’è tuttavia un metodo dietro l’apparente follia di dada: non a caso questa corrente di irrazionali sceglie a simbolo, nel nome del Cabaret Voltaire, il padre della ragione. In fondo, la ricerca dei trucchi per scardinare la ragione spinge ad essere più razionale dei razionalisti. Si vuole scoprire l’assurdo che sempre esiste dietro ogni saggezza, si vuole allargare con l’arma del dubbio ogni piccola crepatura che appare dietro il volto più serio. È logica allora la predica contro l’arte tradizionale e quindi contro la storia: è logica la scelta del metodo eversivo (eversivo = che intende rovesciare o abolire l’ordine costituito) e distruttivo rubato (con ironia) alla guerra imperversante. Il metodo anarchico prevede, naturalmente, il ritorno alle verità elementari.
I dadaisti si sentono dei folli isolati che declamano (declamare = recitare con voce solenne) poesie o dipingono quadri in un cabaret, ma il mondo è pieno di gente saggia che vive sulla morte degli altri, con i disastri della guerra. L’altra faccia del vitalismo sfrenato diventa, naturalmente, il suicidio.
Il compito dell’artista dada sembra esaurirsi quando è riuscito a insinuare il dubbio che il meccanismo del mondo non è perfetto, dato che c’è qualcuno che si oppone: sia pure con la semplice ironia.
• IL PRIMITIVISMO
Una via di salvezza dalla civiltà moderna è indicata nel ritorno alle origini. È una forma di primitivismo il culto della musica negra praticato a Zurigo da Huelsenbeck, ma anche la pratica di una poesia fonetica che esclude le parole per arrivare alle radici fonetiche (perfino il nome dada nasce dal sillabare infantile). C’è poi la fiducia e il rispetto per il mondo dei folli: Ball dichiara apertamente che la semplicità primigenia di cui parla si richiama “ all’infanzia e alla paranoia”. Tzara, da parte sua, riconquista il credo cartesiano: “Non voglio sapere se ci sono stati uomini prima di me”.
Si può essere “primitivi” anche tornando al ritmo perenne della natura: natura come metamorfosi e origine (Arp) ma anche natura come ideale alternativa al fagocitante mondo tecnologico (Schwitters).
• IL CASO
È forse la prima legge per questi fuorilegge dell’arte. Duchamp lo eleva a generatore delle sue immagini e, polemicamente, lo sostituisce all’ispirazione; Schwitters lo accetta come regolatore dei suoi assemblaggi; Man Ray e Ernst fanno nascere dal caso le loro tecniche.
Le teorie scientifiche di J.W.Gibbs e L.Boltzmann ponevano il caso come componente irrazionale della matematica, mentre con N.Wiener, il teorico della cibernetica, verrà definito “una parte della Natura, elemento fondamentale della struttura dell’universo”.
È all’insegna del caso il ready made di Duchamp. Prende un oggetto “bello e pronto”, lo estrae dal suo contesto abituale, gli assicura quindi un nuovo valore. Uno scolabottiglie preso a caso assume una forma plastica, un badile appeso al soffitto è più bello di una scultura. L’artista accetta anche l’ironia del non-sapere, ma poi l’operazione si complica: Duchamp non vuole fare arte, ma neanche anti-arte. Va oltre, come chiarisce questa proposizione: “ La scelta di questi ready mades non è mai stata dettata da un piacere estetico, ma è basata su una reazione di indifferenza visiva e nel contempo su un’assenza totale di buono o cattivo gusto. In fin dei conti, un completo an-estetismo”. Il gioco casuale di Duchamp investe anche il linguaggio, quando sperimenta interminabili giochi di parole: il punto di arrivo non è il nonsense ma il polisenso, l’inesauribile disponibilità del linguaggio.
È all’insegna del caso tutto il lavoro di Man Ray . Fin dai primi quadri, condotti con l’areografo, un mezzo meccanico che già prevede l’uso del medium fotografico. Scatta poi la scoperta del rayograph: la foto senza fotografo. È la luce che impressiona le cose e i frammenti appoggiati sulla lastra negativa: “Fotografia ottenuta con la semplice interposizione dell’oggetto tra la pellicola sensibile e la fonte luminosa”.
Il caso è all’origine del fotomontaggio, della foto-pittura, dell’operazione e delle tecniche meccaniche.
• LA PROVOCAZIONE
Collocandosi tra arte e vita, dada cerca naturalmente la collaborazione dello spettatore: e meglio se l’attenzione viene richiamata in senso polemico e negativo. I dadaisti sono rimasti famosi anche per questa richiesta di partecipazione ottenuta attraverso lo sdegno e la protesta e non attraverso il consenso. Dai tempi dell’orinatoio di Duchamp, esposto ribaltato e con il titolo Fontana, le provocazioni si moltiplicano.
Il più famoso esempio di provocazione dadaista è la Gioconda con barba e baffi. Duchamp rivede e corregge questo autentico simbolo della pittura con gli attributi virili; Picabia gli chiede l’opera per la sua rivista “391” e, non essendo arrivata in tempo, provvede lui stesso a rifarla, aggiungendo le lettere LHOOQ. Insomma, un lavoro di irrisione condotto in équipe, complicato dal rebus osceno (le lettere si leggono come elle, ache, o, o, q, o meglio elle à chaud au cul). C’è, in questo atteggiamento, la protesta contro il mondo dell’estetica, il rifiuto di ogni canone dell’arte passata e presente. Ma anche questi atteggiamenti eversivi sono stati accolti tra le grandi braccia dell’Arte e del Museo.
• IL METODO MECCANICO
La “freddezza” e lo stile spersonalizzato dei dadaisti vuole quasi rivaleggiare con il paesaggio moderno della macchina. Tuttavia il “macchinismo” di Duchamp o di Picabia, di Schwitters o di Man Ray no si richiama all’amore romantico dei futuristi per la macchina, ma è freddo e tagliente. Non c’è più, insomma la scoperta ingenua del presente, non c’è più l’attesa ansiosa del progresso (i limiti di tutti i movimenti “modernisti”).
Attraverso la freddezza e il macchinismo, dada vuole sostituire al mito eterno della Natura l’esperienza moderna della Macchina: e questo anche per opporsi al falso “stile di vita” dell’art nouveau, che fu l’ultimo tentativo di instaurare il culto della dea Natura. Duchamp Mette a fuoco, giorno dopo giorno, un metodo esatto: più che al pennello sembra richiamarsi a un cervello meccanico. Nella famosa intervista con Sweeney (1955) dichiarava in sintesi che il cattivo gusto è un’abitudine, la ripetizione di una cosa accettata, mentre egli evita il buono e il cativo gusto ricorrendo alle tecniche meccaniche: per cui un disegno di questo tipo non sottintende gusto alcuno.
In chiave macchinista, si spiega infine l’interesse per la parola, per i meccanismi del linguaggio. In un lavoro di Picabia, per esempio, le parole fanno parte del quadro come titolo e poi come anagramma o rebus (il gioco verbale si accoppia ai giochi matematici dei meccanismi dipinti), finché l’artista arriva all’essoterismo, al polisenso, alla cabala (cabala = imbroglio).
• LE TECNICHE SPERIMENTALI
Nel nuovo materialismo dei dada, i due momenti principali sono lo scambio tra le tecniche e le innovazioni di linguaggio. È stato Walter Benjamin a chiarire la fine dell’“aura” nel nuovo tempo della riproducibilità tecnica.
Ma la novità è che il medium e la tecnica non vengono mai scelti feticisticamente (feticismo = ammirazione e desiderio eccessivi per qualcuno o qualche cosa): una tecnica serve soprattutto per dire cose, o meglio per negare certi fatti. Nel 1920 Schwitters affermava infatti che il medium era poco importante, proprio come poteva esserlo la sua persona. Essenziale era solo la possibilità di “formare” attraverso la materia. “Poiché il mezzo non conta, io prendo ogni e qualsiasi materiale che può essere richiesto dal quadro”.
Un esempio di una tecnica diversa per nuove idee è la “poesia fonetica”. Già Ball, al tempo di Zurigo, propone “versi senza parole”, ma la scoperta di una poesia dei rumori è da attribuire a Hausmann.
• L’ESISTENZIALISMO
Il concetto dell’uomo come dio creatore è in tutte le opere dadaiste. Si rinuncia allo “stile di vita” dell’art nouveau ma anche al mito della “ricostruzione futurista dell’universo”. L’arte diventa un fatto di comunicazione istantanea, personale, da uomo a uomo.
Dall’opera d’arte l’attenzione si sposta al comportamento dell’artista. Picabia, per esempio, viene considerato un “nomade”. Questi aforismi (aforisma = breve principio che esprime una norma di vita o una sentenza filosofica) precisano la ricerca di una operazione sempre diversa da se stessa, la filosofia di un comportamento inventato giorno dopo giorno.
Tutta una corrente moderna ha rifiutato recisamente questa tangenza: Sklovskij ha potuto scrivere che “l’arte è sempre stata libera dalla vita”. Eppure il filo rosso dell’avanguardia collega sempre i nodi in cui si pone questo rapporto arte-vita (dal futurismo all’action painting, dalla pop art all’odierna arte di “comportamento”). Si arriva alla vita, dopo che sono state esaurite tutte le possibilità dell’arte.
L’emblema (emblema = figura simbolica ordinariamente accompagnata da motto o sentenza) gigantesco della tangenza arte-vita possiamo indicarlo nel Merzbau di Schwitters.