Materie: | Tesina |
Categoria: | Arte |
Download: | 342 |
Data: | 01.07.2008 |
Numero di pagine: | 7 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
Testo
Nel 1916, mente l’Inghilterra falliva nella spedizione allo Stretto dei Dardanelli, il fronte austro-ungarico si espandeva in Polonia e Cecenia ai danni delle truppe zariste, in Italia si combattevano le battaglie dell’Isonzo e in Francia quelle del Verdun e della Somme, nella pacifica neutralità della Svizzera, un gruppo di giovani preparava la rivoluzione culturale. Questo gruppo cosmopolita riuniva artisti da tutta Europea, come Emmy Heggins, Hans Arp, Richard Huelsenbeck e aveva come capo il regista e letterato Hugo Ball (Permasens, 1886 – Sant’Abbondio, 1927) e come mente più produttiva il romeno Tristan Tzara (Moinesti, 1896 – Parigi, 1963), tutti rifugiatisi per sfuggire agli orrori del conflitto. Si riunivano in un cabaret di Zurigo, al quale avevano dato il significativo nome di Voltaire, per delle serate non molto diverse da quello dei futuriste (nell’articolo “Fascismo e Futurismo” del 1923 Prezzolini scrive che “il figlio diretto e legittimo del Futurismo è il movimento Dada”).
Hans Arp (Strasburgo, 1887 – Basilea, 1966) ammise che “disgustati dai macelli della guerra, a Zurigo ci demmo alle belle arti. Mentre il lontananza brontolava il tuono delle cannonate noi cantavamo, dipingevamo, incollavamo e scrivevamo poesie con tutte le nostre forze”. Tzara in un’intervista radiofonica del 1957 raccontava così l’avventurosa nascita del nuovo movimento artistico:
“Verso il 1916-1917, la guerra sembrava non dovesse finire. In più, sia per me che per i miei amici, essa prendeva le proporzioni falsate da una prospettiva troppo larga. Di qui il disgusto e la rivolta. Noi eravamo assolutamente contro la guerra, senza cadere però nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Noi sapevamo che non si poteva sopprimere la guerra senza estirparne le radici. L’impazienza di vivere era grande, il disgusto si applicava a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla sua logica, al linguaggio, e la rivolta assumeva dei modi in cui il grottesco e l’assurdo superavano di gran lunga i valori estetici.”
I loro spettacoli avevano infatti lo scopo di condannare gli inganni della società industriale, dissacrandone i simboli e deridendone i valori.
Il 14 luglio 1916, Ball recitò per la prima volta il Manifesto del Dada, che venne riscritto in forma definita da Tzara nel 1918. qui l’artista si proclamava “contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’affermazione.” Anche il nome scelto per il movimento è irrazionale: “Dada non significa nulla.” Ma per coloro che si ostinano nulla ricerca di una radice etimologica, aggiunge che “i negri Kru chiamano la coda di una vacca sacra: dadà. il cubo e la madre in non so quale regione italiana: dadà. il cavallo a dondolo, la balia e la doppia conferma russa e romena; dadà.” Nell’arte Dada, il disgusto per le convenzioni della società ed i valori borghesi che avevano condotto alla guerra si traduce in rifiuto di tutto ciò che è considerato bello e dei canoni stessi dell’estetismo (e quindi di ciò che era venuto prima di Dada), della ragione, del razionale; il carattere rivoluzionario forgiato dal tempo in cui i dadaisti vivono (Tzara ha spesso contatti con Lenin durante l’esilio zurighese di quest’ultimo) in arte diventa una libertà creativa irrefrenabile, caratterizzata anche dall’interesse verso altre avanguardie, ma anche ironia e irrazionalità. Presentandosi come anti-arte, l’obbiettivo prefisso è quello di distruggere l’arte stessa, per poi ripartire con una nuova concezione non più sottoposta ai canoni borghesi e che restituisca all’uomo il valore sottrattogli dalla società alienante.
Mentre al gruppo di Zurigo va il merito di aver codificato questa nuova corrente artistica durante la breve esperienza del Cabaret Voltaire, nello stesso periodo, senza contatti di nessun tipo tra il Vecchio ed il Nuovo Continente, si sviluppava una simile corrente Dada anche in America. Questa esperienza, preludio al Dada vero e proprio, avviene tra il 1915 ed il 1920 con la “collaborazione” di grandi artisti come Marchel Duchamp (Blainville, 1887 – Neuilly, 1968), Francis Picabia (Parigi,1879 – Ivi, 1953) e Man Ray (Filadelfia, 1890 – Parigi, 1976), ma le prime avvisaglie si vedevano già nel 1913, in occasione della mostra d’arte europea dell’Armory Show durante la quale Duchamp presentò Ruota di Bicicletta, la sua prima opera ready-made. Le caratteristiche del Dada newyorkese, nato in un paese con un gusto comune e un rapporto con la guerra dissimili da quelli europeo, sono comunque diverse da quelle del Dada svizzero.
Nella sua infinita creatività, Dada non propone particolari tecniche artistiche che siano caratteristiche del movimento: in teoria, tutti possono creare un’opera dadaista. Vengono sviluppate comunque tecniche che diverranno particolari di questo movimento: per esempio il fotomontaggio, inventato e utilizzato grandemente dai dadaisti tedeschi, consistente nell’intervento diversificante su materiale fotografico già esistente; questo a sua volta deriva da dal collage utilizzato soprattutto da Max Ernst (Brühl, 1887 – Parigi, 1976) prima del passaggio al surrealismo, la tecnica consiste nell’incollare su uno sfondo o su un supporto elementi eterogenei (come carta, fogli di giornale, forografie, anche piccoli oggetti). Tipici di Duchamp sono i ready-made (oggetti di uso comune, “già fatti”, sottratti alla realtà a cui appartengono e muniti di un titolo, importante quasi quanto l’opera stessa, che porte lo spettatore verso un nuovo mondo mentale), mentre Man Ray inventa i rayogrammi, nei quali lo strumento principale è la stessa luce, che usa per impressionare le pellicole mettendole direttamente a contatto con gli oggetti senza usare la macchina fotografica.
Dopo la fine della guerra i dadaisti lasciarono i loro luoghi d’esilio e tornarono nei loro paesi d’origine. Duchamp e Ray continuarono il lavoro a New York e fondarono la rivista “New York Dada”, ma quando nel 1919 si accorsero che in America il movimento era già finito, partirono per la Francia per raggiungere Tzara e Picabia, che portavano avanti il movimento che aveva assunto una forma essenzialmente letteraria. In Germania, Berlino e Colonia (e in minor misura anche Hannover, nella figura di Kurt Schwitters e delle sue opere Merzbild) divennero importanti centri artistici del movimento. Nel 1919 venne fondato a Berlino il Club Dada, composto da Richard Huelsenbeck, Raoul Hausmann, Hannah Höch, Wieland Hertzfelde e John Heartfield (che aveva tradotto il suo nome in tedesco per distinguersi dal fratello Wieland). La particolarità del Dada tedesco, oltre all’invenzione della tecnica del fotomontaggio, è la forte componente politica: presero per esempio parte alla rivolta spartachista di Karl Lienknecht e Rosa Luxemburg, che intendeva instaurare in Germania una repubblica bolscevica sul modello sovietico. Nel 1920 Hans Arp raggiunse l’amico Max Ernst a Colonia, dove diedero vita ad un gruppo dadaista meno politicizzato di quello berlinese, ma più intellettualmente radicale. Il gruppo ebbe comunque vita breve, in quanto dopo una scandalosa mostra delle loro opere, dove all’entrata c’era una scultura di Ernst con un’ascia e l’invito ai visitatori di distruggere l’opera ed una ragazzina con i vestiti della prima comunione che recitava oscenità, Arp dovette ripiegare nuovamente in Svizzera per sfuggire alla polizia.
Nello stesso anno, i fratelli Hertzfelde, insieme a George Grosz, si staccarono dal gruppo principale del Club per poter continuare il lavoro di propaganda politica iniziato con la loro casa editrice di testi comunisti, la Malik Verlag. Grosz (Berlino, 1893 – Ivi, 1959), partendo dal Dada, giungerà al Realismo, dove coniugerà la sua attività di caricaturista a quella di propaganda: per lui la stessa attività artistica è sinonimo di lotta politica, ed a questa lotta lui dedica moltissimi disegni, il cui stile è semplice ed essenziale, in modo da favorire la comprensione immediata. Tra le serie da lui realizzate, che illustrano i motivi della guerra e dell’ingiustizia sociale, vi sono Gott Mit Uns, in cui mette in risalto, scegliendo ironicamente come titolo un motto nazista, lo sfruttamento da parte dei politici dei militari, e Il Volto Della Classe Dirigente, dove toglie la coperta del perbenismo e rivela i vizi dei capitalisti. Ma di particolare spicco è la figura John Heartfield (Berlino, 1891 – Ivi, 1968) militante, fin dalla gioventù, nelle fila del Partito Comunista Tedesco (KPD) e assiduo collaboratore della rivista AIZ (Arbeiter Illustrierte Zeitung). Per far fronte all’espandersi del Partito Nazista usa la tecnica del fotomontaggio, di cui è il probabile inventore, per condurre una strenua campagna politica che durerà fino alla repressione. Tra le sue varie opere, ricordiamo quella realizzata in occasione delle elezioni politiche del 1933 (vinte poi da Hitler): Adolfo Il Superuomo Ingoia Denaro E Suona Falso. Nell’immagine radiografica del futuro Führer, che al posto dell’esofago ha una pila di monete che poggia sullo stomaco già pieno di queste, vediamo un’aspra critica al nazismo, che fonda i suoi pilastri nel capitalismo, e anche a Hitler stesso, che si arricchisce a scapito della popolazione. Addirittura profetica invece è un’altra opera del 1936: Questo È Il Benessere Che Essi Portano!, dove dallo scheletro di un avambraccio partono, al posto delle dita, le scie di cinque aerei, le pattuglie acrobatiche tanto esaltate nelle parate militari; in basso, invece l’atmosfera è desolata, su un fondo di maceri, giace un mucchio di cadaveri: un’immagine che non necessita commenti.
Il Dada tedesco e la sua missione politica finirono con l’ascesa del potere del nazismo: dopo che Hitler conquistò tutto il potere dello stato nelle sue mani, i dadaisti, quali artisti indesiderati al nuovo governo, furono obbligati ad espatriare o a mettere fine alla loro attività. L’ultima grande occasione pubblica dadaiste però risale al maggio 1920. la scaletta della serata prevedeva che gli artisti avrebbero fatto a botte sul palco mentre declamavano poesie, e così fecero di fronte ad un pubblico estasiato. Ma erano i primi sintomi di una fine annunciata. Dada, nella sua volontà di stupire, disgustare, di far urlare di rabbia, non poteva seguire una scaletta, rendendosi prevedibile o ripetitiva; non poteva scagliarsi contro la borghesia quando gli stessi borghesi studiavano e ammiravano le opere dadaiste nei musei. Dada era contro ogni forma di ripetizione: così, come avverrà più tardi al futurismo, fu Dada ad uccidere Dada.
BIBLIOGRAFIA
ADORNO, P., L’Arte Italiana. Il Novecento: dalle avanguardie storiche ai giorni nostri. Firenze, G. D’Anna Casa Editrice, dicembre 2000
DE VECCHI, P., CERCHIARI, E., Arte nel Tempo. Dal Postimpressionismo al Postmoderno. Milano, Bompiani, settembre 1999.