La Guerra Fredda e la conquista della spazio

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Testo

La Guerra Fredda
e la conquista dello spazio
Ciò che la seconda guerra mondiale causò all’umanità non furono soltanto quei tragici sei anni di spaventoso conflitto che distrusse l’Europa, ma anche il radicalizzarsi e l’estremizzarsi dello scontro, durato poi per quasi mezzo secolo, tra i due blocchi delle potenze vincitrici, vale a dire tra quello statunitense-capitalista da una parte e quello sovietico-comunista dall’altra.
Bisogna però dire che lo scontro esisteva già da quando il comunismo prese il sopravvento in Russia nel 1917 a seguito della rivoluzione bolscevica: da allora le principali nazioni occidentali guardarono con forte sospetto il nuovo stato di cose, ed intervennero sostenendo le Armate bianche controrivoluzionarie sino a tutto il 1922 e isolando poi l'Unione Sovietica fino alla seconda guerra mondiale. La contraddizione e la stranezza si trovavano quindi più nell’innaturale alleanza tra l’Occidente e l’URSS, che non nella loro opposizione rinata già verso la fine del conflitto.
L’inizio della crisi

Come detto, la nuova contrapposizione tra gli alleati è perfettamente visibile ancor prima della fine della guerra alle conferenze di Mosca e di Yalta, tenute rispettivamente nell’ottobre del’44 e nel febbraio del ’45. Nella prima venne decisa sommariamente, per la durata del conflitto, la divisione dei Balcani in sfere d’influenza tra Inghilterra e Unione Sovietica, di comune accordo tra Churchill e Stalin secondo queste proporzioni:
“Romania: Russia 90%; gli altri 10%
Grecia: Gran Bretagna (d’intesa con gli Stati Uniti) 90%; Russia 10%
Jugoslavia: 50-50%
Ungheria: 50-50%
Bulgaria: Russia 75%; gli altri 25%.” 1
Alla conferenza di Yalta prese parte anche Roosevelt ed i tre grandi giunsero ad alcuni accordi riguardo alla formulazione della strategia militare alleata per la fase conclusiva delle ostilità, e alla formulazione di alcune linee-guida per il governo dell'ordine postbellico, soprattutto per quanto riguardava la Polonia e la Germania. Per quest’ultima si affermava l'intenzione di "distruggere il militarismo e il nazismo" e di "assicurare i criminali di guerra a una giusta e rapida punizione", garantendo che essa non sarebbe mai più stata in grado di turbare la pace mondiale. Per andare incontro alle esigenze sovietiche, inoltre, si esigeva “un’adeguata riparazione per la distruzione causata dalla Germania". Durante il suo svolgimento si discusse anche sull’utilità di dividere la Germania in tre zone d'occupazione e di governarla per mezzo di una commissione centrale di controllo con sede a Berlino. Inoltre si affermò l'intenzione di assistere i paesi liberati, soprattutto quelli di occupazione sovietica, nella formazione, attraverso libere elezioni, di governi democratici, nel tentativo da parte occidentale d’impedire che essi venissero sovietizzati. Uno dei maggiori punti di contrasto fu la Polonia, per la quale si decise che, a titolo di risarcimento, essa dovesse ricevere "sostanziali aggiunte territoriali a nord e a ovest", ovviamente a spese della Germania, per compensare i territori sottratti dalla Russia nel settembre del ’39 a seguito del patto Ribbentop-Molotov2. La Russia a sua volta però, per motivi di sicurezza, voleva che la Polonia rientrasse tra i suoi territori d’influenza. Un altro importante accordo raggiunto a Yalta, ma tenuto segreto, prevedeva che l'Unione Sovietica dichiarasse guerra al Giappone entro novanta giorni dalla fine delle operazioni in Europa. Tutto questo sembra evidenziare un sostanziale accordo tra gli alleati, ma invece altro non era che “il tentativo occidentale di obbligare Stalin […] a restituire quanto lui e la Russia di sempre si erano conquistati in sei anni drammatici” 3. Quindi “è con una serie di compromessi verbali che, per quanto riguarda l’Europa, si conclude […] la conferenza di Yalta. La sostanza delle cose è rimasta esattamente quella di otto giorni prima”.4
Quello che si intuiva dunque nell’aria durante questi due incontri diventò certezza alla conferenza di Potsdam del luglio-agosto ‘45: i nodi fondamentali del contrasto si rivelarono infatti il futuro della Germania e gli sviluppi nell’Europa orientale, dove era ormai chiaro che l’influenza sovietica non si sarebbe affermata nel rispetto della volontà popolare. Alla successiva conferenza di Parigi del luglio-ottobre ’46 ancora una volta non si riuscì a trovare un accordo sulla Germania.
Motivi della divisione e cause del conflitto
Come già detto, lo scontro tra le due nuove superpotenze non era solo una questione politica, ma anche ideologica. I due blocchi si fronteggiavano con modelli di vita e di pensiero del tutto opposti: da una parte il capitalismo, dall’altra il comunismo. Il messaggio americano propugnava l’espansione della democrazia liberale, il pluralismo politico, la concorrenza economica, la proprietà privata e la libertà individuale, in base ad un’etica del successo a sfondo individualistico e appunto capitalista. Secondo questo sistema la produzione viene affidata ai singoli individui e alle imprese che, nel perseguire l'interesse personale, promuovono così anche i fini di tutta la società, mentre il controllo statale necessario è ridotto al minimo: lo stato deve limitarsi a proteggere la società dagli attacchi stranieri, sostenere i diritti della proprietà privata e garantire l'esecuzione dei contratti. Dalla parte opposta il messaggio sovietico proponeva la trasformazione dei vecchi assetti politico-sociali in nome del modello collettivistico, fondato sul partito unico e sulla pianificazione centralizzata, in base ad un’etica anti-individualista della disciplina e del sacrificio, mossa dall’ideale della costruzione di una nuova società. Questo modello ritiene infatti che la terra e il capitale dovrebbero essere posseduti collettivamente e che i prodotti del sistema dovrebbero essere distribuiti a seconda del bisogno. Inoltre esso sostiene di poter essere caratterizzato in una sua seconda fase da abbondanza di beni materiali e, succedendo al capitalismo, di poter emancipare per sempre gli esseri umani dalla necessità di lottare per sopravvivere.
Per quanto riguarda il lato politico, entrambi gli schieramenti avevano validi motivi per essere sospettosi nei riguardi dell’avversario. Già nel ’43 l’URSS vide nella non apertura di un secondo fronte di guerra nel Mediterraneo, apertura promessa in Francia per quell’anno, ma slittata poi nel’44 per la scelta stessa della Francia come luogo di sbarco, il segno della volontà Alleata di dissanguarla. Del resto esisteva una forte diffidenza da parte occidentale verso l’amministrazione dei territori liberati o occupati dai sovietici, diffidenza che si manifestò nell’esclusione dell’URSS dal controllo sull’esecuzione dell’armistizio in Italia. Questo fatto anticipò la divisione dell’Europa e creò un precedente a favore dei Sovietici per compiere lo stesso nei Balcani.
Lo sviluppo successivo alla guerra deriva da una parte dalla necessità dell’URSS di energiche prese di posizione per evitare che gli USA, “lasciati soli a imprimere le loro concezioni nell’ordinamento internazionale, facessero dominare esclusivamente i loro interessi” 5, apparendo perciò come “un gigante fragile ed aggressivo, che cercava un suo spazio ed un suo ruolo” 6 ed evidenziando quindi il volto aggressivo del capitalismo. Dall’altro lato gli USA erano una forza immensa, ma riluttante ad accettare la conseguenze e gli oneri della propria potenza e di conseguenza inclini a sottolineare a loro volta il lato aggressivo del comunismo. Il conflitto vero e proprio durò finché gli Stati Uniti non riconobbero all’Unione Sovietica il ruolo di semplice rivale, e non di nemica mortale, con una propria politica che non subiva l’influenza di quella americana (che al massimo osteggiava), con la conseguente ammissione dei propri limiti.
Tesi ortodossa e tesi revisionista
Fino alla prima metà degli anni ’60 l’analisi storica predominante sul periodo della guerra fredda da parte degli studiosi americani fu quella cosiddetta ortodossa, che faceva risalire le responsabilità dello scontro alla spinta del comunismo verso la rivoluzione mondiale. A partire però dall’evoluzione dei rapporti internazionali, avviata proprio agli inizi dei ’60 da Kennedy e Kruscev, la tesi più seguita fu quella detta revisionista, che, all’esatto contrario della precedente, segnalava la causa del conflitto nel capitalismo americano, proiettato alla reintegrazione dei domini sovietici nel sistema di mercato. Come ammette Aga Rossi, queste posizioni sono sostanzialmente sbagliate, perché tendono ad affidare la completa responsabilità solo ad una delle due parti, senza rendersi conto della loro complicità. A queste due tendenze fece seguito negli anni ’70 quella denominata postrevisionistica, che è caratterizzata dalla matrice realistica della sua analisi, che vede lo scontro in termini di politica di potenza, ed è quindi deideologizzata. Come sottolinea Ennio Di Nolfo, il punto di vista ideologico è scorretto, perché afferma implicitamente che solo regimi omogenei tendono a collaborare (ma questo non è vero), che perciò il conflitto era inevitabile fino alla completa estinzione dell’avversario e che i vari periodi di distensione erano solamente delle parentesi. Dall’altro lato, il punto di vista non ideologico risulta essere migliore, perché vede gli aspetti ideologici dello scontro come dei momenti propagandistici, esterni alla vera natura del conflitto.
La nascita dell’ONU
La nascita dell’ONU avvenne come diretta conseguenza di alcune conferenze interalleate seguite alla firma della Carta Atlantica7 da parte di Roosevelt e Churchill nel 1941. Questo nuovo organo era inteso come la prosecuzione della Società delle Nazioni, l’organizzazione internazionale nata dopo la prima guerra mondiale con gli stessi fini, ma che si era rivelata incapace di mantenere la pace. L'intesa verso un sistema di sicurezza e cooperazione internazionale fu ribadita nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1942, siglata da 26 nazioni alleate in guerra contro le potenze dell'Asse. Un’altra tappa verso la sua costituzione fu la conferenza di Mosca del 1943, che impegnò Unione Sovietica, Gran Bretagna, Cina e Stati Uniti a creare, nel più breve tempo possibile, un'organizzazione internazionale in grado di eliminare il flagello della guerra. L'incontro di Dumbarton Oaks (Washington DC) nel 1944 produsse una bozza di carta fondamentale delle future NU; rimaneva però il disaccordo sulla procedura di voto entro il Consiglio di sicurezza, organo responsabile del mantenimento della pace. Il dissenso fu composto alla conferenza di Yalta nel febbraio del 1945, quando i Sovietici accettarono le limitazioni imposte alle superpotenze in materia procedurale, fermo restando il diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio sulle decisioni più importanti, veto voluto proprio dai Russi per evitare che l’ONU si piegasse ad una funzione antisovietica.
I delegati di 50 nazioni alla conferenza delle Nazioni Unite sull'Organizzazione internazionale si ritrovarono a San Francisco nell'aprile del 1945 e, in base al progetto di Dumbarton Oaks, stesero in due mesi i 111 articoli che compongono il testo dello statuto delle NU, che fu approvato nel giugno del 1945 ed entrò in vigore nell'ottobre dello stesso anno. Fu deciso che le funzioni principali dell’ONU fossero il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, la promozione della cooperazione in materia economica, sociale e culturale e l’incoraggiamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. I suoi membri furono inoltre tenuti a impegnarsi per risolvere le controversie in modo pacifico, ad astenersi dall'uso della forza e a sostenere le iniziative delle Nazioni Unite. Come si vede lo statuto delle Nazioni Unite è ancora caratterizzato dalla concezione democratica wilsoniana, ma presenta anche tratti più propriamente rooseveltiani nella necessità di un direttorio delle grandi potenze che sia in grado di governare gli affari mondiali. Questo ultimo punto però sostanzialmente fallirà, perché esso presupponeva una durevole intesa tra tutti i vincitori della guerra ed in caso contrario, come in effetti accadrà, la sua alternativa sarebbe stata la paralisi del sistema di sicurezza.
La questione tedesca e la crisi di Berlino
Come detto, durante la conferenza di Yalta si discusse anche sull’utilità di dividere la Germania in tre zone d'occupazione e di governarla per mezzo di una commissione centrale di controllo con sede a Berlino, anch’essa divisa tra i vincitori. Da parte statunitense ed inglese si sarebbe voluto risolvere il problema della divisione con una riunificazione controllata in tempi non troppo lunghi, a cui sarebbe seguito il reinserimento del Paese tedesco nell’economia occidentale. Tale prospettiva era però osteggiata sia dall’URSS, che in tal modo avrebbe probabilmente perso la Germania come ponte per il controllo dell’Europa centrale e come serbatoio di risorse economiche ed industriali, sia dalla Francia (nel frattempo entrata a far parte delle nazioni vincitrici), che voleva assicurarsi un modo per tenere la Germania quanto più possibile debole e divisa. Inoltre, sempre in contrasto con Inglesi e Americani, i Francesi ed i Sovietici sentivano il bisogno delle riparazioni da parte tedesca. Mancava quindi l’assenso di due partner per la creazione di un’amministrazione unica, ma mentre si raggiunse un accordo con la Francia, con l’URSS si ebbe una completa rottura nel marzo-aprile ’47, a seguito della sua politica di smantellamento degli impianti industriali tedeschi, a cui era stato permesso di raggiungere il 55% della produzione del ’38, e dell’ulteriore prelevamento da questa della loro parte di riparazioni. Si giunse così alla fusione delle zone occidentali in contrapposizione a quella orientale: “la cortina di ferro8 tagliava in due anche la Germania”.9
Nel giugno del ’48 l’URSS chiuse gli accessi a Berlino ovest, nella speranza di indurre gli occidentali a lasciare la zona occupata, ma questi si produssero in un ingente sforzo di rifornimento alla città attraverso l’unica via d’accesso garantita da un trattato internazionale. Per quasi un anno fino al maggio del ’49, quando il blocco fu tolto, essi organizzarono un continuo ponte aereo che riuscì a sostenere la città ed i suoi abitanti. “Tutta la situazione pose l’Occidente nella possibilità di usare la propria forza per una causa umanitaria, mentre l’Unione Sovietica fu vista come una potenza che usava il ricatto della fame come arma politica”.10 Nello stesso ’49 furono unificate le tre zone occidentali e fu proclamata la Repubblica federale tedesca (BRD, con capitale Bonn), a cui risposero i Sovietici con la creazione della Repubblica democratica tedesca (DDR, con capitale Pankow). “La divisione della Germania diventava così il simbolo più vistoso del modo in cui la guerra fredda, dopo aver attraversato l’Europa, iniziava a stabilizzarla”.11
La dottrina Truman del containment
Nel marzo del ‘47 il presidente Truman enunciò una nuova linea politica da attuare nei confronti dell’Unione Sovietica, che, in analogia con la dottrina Monroe12 (1823), venne chiamata dottrina Truman. In base ad essa gli Stati Uniti si impegnavano, quando necessario, ad intervenire economicamente e militarmente per sostenere i popoli liberi nella resistenza all’asservimento da parte di minoranze armate o di pressioni straniere e per arginare il “pericolo sovietico”. Tale presa di posizione seguiva la convinzione che l’orbita sovietica fosse un’entità distinta con cui non era possibile cooperare, che il sistema sovietico fosse un sistema chiuso, un’entità separata dal resto d’Europa per il quale non poteva esserci la speranza o l’illusione di democratizzarlo (la questione era vista in modo del tutto diverso dall’URSS, che sentiva invece il bisogno occidentale di indebolirla, frammentarla e riassorbirla). La dottrina Truman, però, implicitamente riconosceva all’Unione Sovietica il ruolo di superpotenza e di avversario, non più di nemico, con prerogative e funzioni rispetto alle quali prendere posizione, per esempio influenzando la formazione dei governi amici con l’esclusione dei partiti (filo)comunisti, e spostava poi il livello del confronto su sistemi economici sani più che sul campo della difesa globale e militare, rinunciando quindi a pensare al ruolo americano come un ruolo globale.
La dottrina Truman fu causata e venne adoperata in tre situazioni internazionali critiche, vale a dire quelle in Iran, Turchia e Grecia. Nel primo caso gli Americani intervennero perché esisteva una forte riluttanza sovietica riguardo al ritiro delle truppe dal nord dello Stato entro i tre mesi dalla fine della guerra stabiliti dagli accordi (e la stessa cosa la dovevano fare gli Inglesi nel sud), per l’intenzione di incoraggiare le tendenze autonomistiche dell’Aserbaigian. Nel caso della Turchia, l’intervento USA fu determinato dall’ostilità sovietica verso lo Stato turco per il ritardo dell’intervento in guerra dello stesso, che aveva così causato la chiusura dello stretto dei Dardanelli, impedendo i contatti tra gli Alleati, ed inoltre per la richiesta dell’URSS riguardo la restituzione delle tre provincie armene concesse nel ’21 e l’installazione di basi militari per controllare gli stretti. L’azione statunitense in Grecia fu dovuta invece alla delicata situazione di guerra civile di quello Stato, a favore delle forze governative sostenute dagli Inglesi che si scontravano con le forze militari di sinistra, sostenute a loro volta da Jugoslavia, Bulgaria e URSS. Ma la prima importante applicazione di questo impegno si realizzò con il piano Marshall e successivamente, sulla spinta della crisi del blocco di Berlino, con la creazione dell'Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (NATO).
Risposta ideologica globale a una crisi localizzata, la dottrina Truman determinò un'accelerazione nello sviluppo della guerra fredda e della lotta intrapresa dagli USA contro il comunismo internazionale. Fu questo contesto di confronto a tutto campo che il giornalista Walter Lippmann definì "guerra fredda", termine che entrò subito nell'uso comune. Negli Stati Uniti la sindrome del "pericolo rosso", particolarmente acuta negli anni Cinquanta, trovò esemplare manifestazione nelle campagna di denuncia anticomunista del senatore Joseph McCarthy, campagna che prese poi la forma di una vera e propria caccia alle streghe.
Il piano Marshall
Il 5 giugno 1947 il segretario di stato statunitense George Catlett Marshall propose un piano di aiuti economici a favore dell’Europa con il nome di European Recovery Program (ERP, Programma di ricostruzione europea), varato dal governo degli Stati Uniti per favorire la ricostruzione economico-finanziaria delle nazioni devastate dalla seconda guerra mondiale. Alla base della decisione di inviare alimentari, materie prime, macchinari e denaro oltre Atlantico stavano molteplici ragioni: innanzi tutto un'Europa non in grado di autoalimentarsi sarebbe diventata una passività per gli Stati Uniti ed avrebbe gravemente danneggiato lo stesso sistema economico americano per la perdita di un solido mercato d’interscambio; in secondo luogo, la crisi economico-sociale dei paesi europei offriva ampie opportunità alla propaganda comunista e agli interessi dell'Unione Sovietica; infine, si rendeva indispensabile, quale tampone contro l'espansione sovietica, la ricostruzione della Germania occidentale, il cui inserimento nel più ampio contesto di un'Europa integrata poteva ridimensionare i timori degli altri paesi europei nei confronti del vecchio nemico. Al fondo di tutto stava quindi l’interesse politico ed economico.
Nel giugno 1947 Marshall rese nota la disponibilità americana a finanziare un programma unitario di ricostruzione europea non solo per i Paesi occidentali, ma anche per i Paesi del blocco comunista, ma un primo incontro a Parigi tra Francia, Gran Bretagna e URSS per definire le linee essenziali del piano si rivelò un fallimento. La prospettiva di dover interagire con i sistemi economici capitalisti più avanzati convinse Mosca a mettere a punto un proprio programma di ricostruzione, indirizzato ai soli paesi dell'Europa orientale posti sotto la sua influenza: nel settembre del 1947 nacque così il Cominform, l'Ufficio d'informazione dei partiti comunisti. Era una risposta dovuta alla consapevolezza di poter ormai governare senza pesanti intralci stranieri: non si cercava più una collaborazione interclassista, ma si tornava nuovamente allo scontro frontale. A un'ulteriore conferenza a Parigi parteciparono i rappresentanti di sedici nazioni dell'Europa occidentale e il piano Marshall fu ratificato il 22 settembre. Con l'intensificarsi della guerra fredda, una parte sempre maggiore dei fondi stanziati (poco più di tredici miliardi di dollari) fu utilizzata per sostenere le spese militari più che il processo di ricostruzione industriale; ciononostante, al termine del programma, i livelli produttivi euro-occidentali superarono del 35% quelli prebellici.
Le democrazie popolari
Nell’Europa dell’est, come già è stato detto, la speranza che l’affermazione di regimi filosovietici avvenisse secondo la volontà popolare era praticamente nulla. Mosca trasformò tutti i Paesi occupati in altrettante democrazie popolari, espressione che serviva a mascherare imposizioni di governi ricalcati sul modello sovietico. Nel 1947, come detto, fu creato il Cominform, un'organizzazione di coordinamento meno centralizzata del Comintern (sciolto nel maggio del ’43 a garanzia della nuova linea Alleata), in cui erano rappresentati, accanto ai partiti al potere nell'Est europeo, i partiti comunisti dell'Europa capitalista, in primo luogo quello italiano e quello francese. In Polonia, alle elezioni del gennaio ’47, il partito comunista ruppe la coalizione con i partiti borghesi in atto dal ’45 con il governo socialista di Morawski, prendendo il potere e liquidando velocemente le altre forze politiche. Non molto diversa fu la situazione in Romania, Bulgaria e Ungheria, se si eccettua la tenace resistenza opposta in questo ultimo Paese soprattutto dal “Partito dei contadini”. Ancora più drammatica la situazione in Cecoslovacchia, Stato di solida tradizione democratica governato da una coalizione di sinistra che si ruppe al momento di decidere l’accettazione del piano Marshall: i comunisti costrinsero alle dimissioni dodici ministri e formarono un nuovo governo, giungendo alle elezioni del ’48 col sistema della lista unica. La presa del potere avvenne invece senza eccessivi problemi in Albania e in Jugoslavia, che era stata liberata dai partigiani comunisti di Tito. Paradossalmente la prima incrinatura nel monolito comunista fu provocata proprio dalla ferma difesa da parte jugoslava della propria autonomia in politica estera e dalle scelte economiche a favore dell'autogestione. Questa allora fu espulsa dal Cominform nel 1948 e, nel timore che la sua deviazione contagiasse altri paesi dell'Europa orientale, alcuni leader comunisti sospetti di orientamenti nazionali furono arrestati e soppressi in Cecoslovacchia e in Ungheria.
La guerra di Corea
Nel settembre ’49 gli Americani persero il monopolio della bomba atomica, e neppure un mese più tardi (1° ottobre) fu proclamata la Repubblica popolare cinese: gli interessi statunitensi erano così messi in discussione non solo nell’Atlantico, ma ora anche nel Pacifico. Quindi quando alla fine del giugno del ’50 la Corea del nord (comunista) attaccò quella del sud, gli Stati Uniti, sotto l’egida dell’ONU, inviarono nella penisola alcuni contingenti precedentemente dislocati nel Pacifico. Gli USA consideravano il fatto che i nordcoreani fossero appoggiati dai sovietici e che Pechino inviasse loro l’aiuto di volontari (anche se posteriormente allo sconfinamento per vie aeree dell’ONU in Cina) come una prova ulteriore delle intenzioni aggressive dell’URSS e della sua propensione alla guerra per procura. In questo intervento gli Americani furono messi duramente alla prova nella loro capacità e volontà di tener fede fino in fondo al ruolo globale prefissatosi, e si convinsero dell’utilità di ristabilire rapporti amichevoli con il Giappone. I negoziati per la pace iniziati nell’aprile del ’51 si protrassero per altri due anni, quando nel ’53 si conclusero con il ritorno allo status quo del ’50, vale a dire con il confine sul 38° parallelo.
La politica del riarmo e l’equilibrio del terrore
La guerra fredda non sfociò mai in uno scontro diretto combattuto con le armi grazie al potere deterrente legato al possesso di un vastissimo arsenale nucleare da parte di entrambe le nazioni contrapposte, a favore invece di un conflitto che si concretizzò in uno stato di continua tensione economica e diplomatica tra gli stati che costituivano i blocchi formatisi attorno a USA e URSS. L’unico, seppur terribile, uso delle armi si ebbe nello svolgimento di una serie di guerre locali combattute soprattutto nel Terzo mondo. Questo carattere bipolare, che tutto sommato non ebbe come caratteristica principale l’uso della forza (che avrebbe con ogni probabilità portato alla distruzione di entrambi i contendenti e non solo), ha peraltro semplificato il quadro internazionale, congelando molte delle dinamiche di scontro che avevano caratterizzato il precedente sistema dominato da più potenze, con l'esito paradossale di garantire il più lungo periodo di pace nella storia dell'Europa contemporanea. “Gli armamenti furono in grado di influire sulle decisioni politiche degli Stati, costringendoli in pratica ad una diplomazia pacifica”.13 Ciò che fu in grado di garantire questo equilibrio fu nel ‘49 l'esplosione della prima bomba atomica sovietica, che, ponendo fine al monopolio atomico statunitense, diede il via a una continua corsa al riarmo. L’equilibrio del terrore fu quindi una peculiare forma di pace, in quanto non poteva ammettere la possibilità di essere rovesciato ed aveva perciò effetti deterrenti nei confronti di Stati con velleità indipendentiste o emancipatrici. In queste condizioni, per gli Stati “i pericoli maggiori e meno controllabili, quelli esterni, sono anche i più remoti e improbabili.”14
La creazione della NATO (1949) fu un altro passo nella direzione del riarmo per la sicurezza: il sistema integrato di difesa militare della regione euroatlantica che coordinava tra loro gli eserciti delle principali nazioni europee, degli Stati Uniti e del Canada, tentava infatti di garantire la difesa collettiva nell'eventualità di un attacco dell'URSS e dei suoi alleati, ed inoltre stabilizzava definitivamente l’Europa occidentale. Stessa cosa dicasi per il patto di Varsavia, stretto tra Mosca e gli Stati europei sotto la sua influenza a seguito dell’entrata della BRD nella NATO (1955).
La corsa al riarmo determinò una nuova fase di tensione sul finire degli anni Cinquanta a causa della produzione, da parte di entrambi gli schieramenti, di missili balistici atomici intercontinentali.
La conferenza di Bandung e i Paesi non allineati
Alla morte di Stalin nel 1953 seguì un periodo di rallentamento della tensione, durante il quale il quadro generale sembrò stabilizzarsi. Nel 1955, mentre la Germania federale entrava a far parte della NATO e le nazioni dell'Europa orientale opponevano a quest'ultima il patto di Varsavia, in aprile si tenne la conferenza di Bandung (in Indonesia), che vedeva il formarsi di un terzo blocco, quello delle nazioni non-allineate (per la maggior parte appartenenti al Terzo mondo), deciso a non accettare che lo scontro tra USA e URSS condizionasse la realtà di tutto il pianeta. Tra le nazioni maggiori che vi facevano parte c’erano India ed Egitto, alle quali si unirono la Jugoslavia per la sua particolare posizione internazionale e la Cina, dopo la sua definitiva rottura dei rapporti con l’URSS nel ’60 a seguito della propria politica del “grande balzo in avanti” ed al conseguente rifiuto sovietico di fornirle qualsiasi aiuto. La meta prefissata dagli Stati non allineati era quella di attuare una politica di sviluppo senza dover investire risorse ai fini della guerra fredda e di riuscire quindi a proporsi come un modello più attraente che non gli USA o l’URSS per gli altri Stati per quanto riguardava i metodi, le risorse e l’organizzazione. Il fine ultimo dei Paesi non allineati era una coesistenza competitiva in tutto il mondo.
Kennedy e Kruscev
Con la fine della presidenza Truman (novembre ’52) e la morte di Stalin (marzo ’53), la guerra fredda perse i suoi maggiori protagonisti ed il confronto tra i due blocchi iniziò ad assumere nuove forme; in un primo tempo tuttavia ciò non comportò significative variazioni di rotta. Infatti, quando nel giugno ’53 gli operai di Berlino est scesero in piazza, la direzione collegiale succeduta a Stalin decise di reprimere nel sangue la rivolta e contemporaneamente la nuova amministrazione Eisenhower pareva accentuare l’atteggiamento di sfida globale. Gli anni ‘53-’54 segnarono quindi uno dei periodi di più acuta tensione internazionale dagli inizi della guerra fredda, eppure proprio in questi anni venne maturando un nuovo atteggiamento di accettazione reciproca che costituiva almeno la premessa per una coesistenza pacifica tra i due blocchi, che si concretizzò a partire dal ’55 col declino del maccartismo negli Stati Uniti e con l’ascesa di Nikita Kruscev in Unione Sovietica.
Nel marzo ’55, con la firma del trattato di Vienna, i Sovietici ritirarono le loro truppe dall’Austria e gli Americani si impegnarono a garantire la neutralità del Paese. Nella conferenza di Ginevra del giugno successivo non si volle mettere in discussione lo status quo europeo, decisione confermata dalla crisi di Suez15 dell’estate ’56, quando si videro USA e URSS unite contro Inghilterra e Francia, e dal non intervento statunitense nella crisi dell’Europa dell’est. Con l’ascesa di Kruscev si ebbero quindi il trattato di Vienna e la conferenza di Ginevra, ma ancora più importanti furono la riconciliazione con i comunisti jugoslavi nel maggio ’55 e lo scioglimento del Cominform e soprattutto la demolizione della figura di Stalin al XX congresso del PCUS nel ’56. In questa occasione il presidente sovietico riconobbe il principio delle vie nazionali al socialismo e denunciò le illegalità e le repressioni del suo predecessore negli anni Trenta e Quaranta, attribuendo errori e deviazioni al “culto della personalità”, all’eccessivo potere della burocrazia e alle troppo frequenti deviazioni dalla “legalità socialista”. Ma ciò non impedì che, nello stesso anno, fossero spietatamente represse dall'esercito l'insurrezione ungherese e la rivolta degli operai di Poznan in Polonia, anche se poi a seguito dell’ottobre polacco salì al potere Gomulka che riuscì comunque a promuovere una politica di cauta liberalizzazione.
La salita alla presidenza degli Stati Uniti di John Fitzgerald Kennedy nel novembre ’60 portò nella politica estera americana una linea ambivalente, che se da una parte poneva l’accento sui temi della pace e della distensione, dall’altra opponeva una sostanziale intransigenza sulle questioni ritenute essenziali. Il primo incontro tra Kennedy e Kruscev avvenne a Vienna nel giugno ’61 e fu dedicato alla questione di Berlino ovest: si risolse tutto in un fallimento e come risposta alle fughe molto frequenti verso quella parte di città, i Sovietici risposero innalzando un muro, che divenne ben presto il simbolo della guerra fredda. Seguì poi un altro momento di altissima tensione, la crisi di Cuba, al quale succedette una nuova fase di distensione.
Kennedy fu assassinato il 22 novembre ’63 in un attentato a Dallas (gli succedette il vicepresidente Johnson), mentre Kruscev fu estromesso da tutte le sue cariche nell’ottobre ’64 (gli subentrò una direzione collegiale nella quale prese poi il potere Breznev).
La crisi dei missili di Cuba
La crisi cubana fu una delle crisi più gravi, nel contesto della guerra fredda, nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l'URSS. Scoppiata in seguito alla tentata installazione sovietica di missili nucleari a Cuba per poco non causò una guerra nucleare. Nel maggio 1960 Kruscev aveva assicurato il sostegno di Mosca al governo rivoluzionario socialista da poco istituito nell'isola da Fidel Castro, avviando in segreto tra l'altro un piano per dotare il nuovo alleato di missili nucleari a media portata che ponevano sotto tiro parte delle coste orientali degli Stati Uniti. Questi a loro volta nel ’61 tentarono di soffocare il nuovo governo appoggiando una spedizione armata di esuli anticastristi (sbarco della Baia dei porci). Nell'estate del 1962 aerei spia statunitensi scoprirono però le prime rampe di lancio già installate e in ottobre individuarono il primo missile. Dopo una settimana di consultazioni con i più stretti consiglieri, Kennedy annunciò di avere ordinato il blocco navale di Cuba per impedire l'arrivo di altri missili, con le unità americane pronte a intercettare e controllare ogni nave in rotta verso l'isola, pretendendo dall'URSS lo smantellamento di quelli già posizionati. Seguirono sei giorni (16-21 ottobre) di fortissima tensione e di continui contatti telefonici tra i leader di Stati Uniti e Unione Sovietica: alla fine le navi sovietiche che dirigevano su Cuba invertirono la rotta, evitando di entrare nella zona di controllo delle forze statunitensi. Poco dopo (28 ottobre) Kruscev acconsentì allo smantellamento, in cambio della rimozione di alcuni missili americani in Turchia. La capitolazione cui si vide costretta in questa occasione l'Unione Sovietica fu tra i fallimenti attribuiti a Kruscev al momento della sua deposizione nel ‘64.
La guerra del Vietnam
Iniziata come guerra per la decolonizzazione, la guerra del Vietnam (1964-1975) divenne ben presto luogo di scontro tra Stati Uniti e mondo comunista. Gli accordi di Ginevra del ’54 avevano diviso la regione in due repubbliche: quella del Nord era retta dai comunisti, mentre quella del Sud era governata da un regime semidittatoriale appoggiato dagli Americani. Contro il governo del Sud si sviluppò un movimento di guerriglia (il Vietcong) guidato dai comunisti e sostenuto dallo Stato nordvietnamita. Preoccupati da un’Indocina comunista, gli Stati Uniti nel febbraio ’65 iniziarono una serie di violenti bombardamenti sul Vietnam del Nord. Davanti ad un nemico che si rivelò inafferrabile, l’esercito americano entrò però in crisi, anche perché ad una larga parte dell’opinione pubblica questa sembrava essere una guerra ingiusta (una “sporca guerra”). Nel marzo del ’68, dopo una grande offensiva lanciata dai Vietcong, Johnson decise la sospensione dei bombardamenti e più tardi Nixon avviò dei negoziati ufficiali, riducendo progressivamente l’impegno militare americano, ma nello stesso tempo allargando il conflitto al Laos e alla Cambogia, dove pure erano attivi movimenti di guerriglia comunisti. Solamente nel gennaio ’73 fu firmato l’armistizio, ma la guerra continuò fino alla fine di aprile del ’75 quando Vietcong e truppe nordvietnamite conquistarono Saigon, la capitale del Sud. La stessa sorte toccò alla Cambogia e al Laos: ciò che era stato temuto di più dagli Americani si era dunque avverato, l’Indocina era diventata comunista.
Trattati sulla riduzione degli armamenti
Con l'avvento degli anni Settanta veniva però inaugurata la politica della distensione, con i colloqui SALT (Negoziati sulla limitazione delle armi strategiche) intesi sia a rallentare l'ormai costosissima corsa al riarmo, introducendo forme di controllo degli armamenti, sia ad arginare il pericolo di guerre nel Terzo mondo. Tali trattati furono preceduti nel ’63 da quello per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, che non fu però firmato da Cina e Francia. Il trattato più importante del periodo fu quello sovietico-statunitense del 1972 sulla limitazione dei sistemi di missili antibalistici: esso consentì la loro installazione in sole due zone degli Stati Uniti e dell'URSS e in soli due casi: a difesa delle capitali (Washington e Mosca) e a difesa di una base di missili balistici intercontinentali.
Pietra miliare degli accordi in tema di armamenti è il trattato di non proliferazione nucleare (Nuclear Non-proliferation Treaty) del 1968 che impedisce agli stati non in possesso di armi nucleari di produrne, e agli stati possessori di assisterli, facilitando invece l'uso pacifico della tecnologia nucleare. Nel maggio 1995, il trattato di non proliferazione è stato prorogato senza termine e corredato di una carta sui principi e sugli obiettivi dei futuri negoziati sul disarmo e dei vincoli che le parti contraenti si sono impegnate a rispettare.
I negoziati sulle armi strategiche, noti come Strategic Arms Limitation Talks (SALT), che hanno preso avvio a fine anni Sessanta tra URSS e Stati Uniti per regolamentare gli arsenali di missili a lunga gittata, portarono nel 1972 a una serie di accordi, noti come SALT I, seguiti poi da due trattati per la messa al bando delle armi nucleari dal fondo del mare e per la limitazione dei sistemi d'arma offensivi. I negoziati SALT II, condotti dal 1972 al 1979, portarono ad accordi non ratificati poi dal Senato statunitense a causa del peggioramento delle relazioni con l'URSS.
Nel 1976 fu negoziato un accordo che limitava le esplosioni sotterranee a bombe di 150 kilotoni; il presidente statunitense Ronald Reagan osteggiò inoltre gli incontri già programmati nel 1981 per concludere un trattato generale sulla messa al bando degli esperimenti nucleari, poi riavviati. In quegli anni le controversie maggiori vertevano sulla dislocazione di missili balistici statunitensi nelle basi di alcuni paesi della NATO, tra cui l'Italia per la base di Comiso (Sicilia). I negoziati tra USA e URSS ripresero nel 1985 e già nel 1987 un vertice tenuto a Washington tra Reagan e Gorbaciov stabilì un trattato per la messa al bando delle forze nucleari a raggio intermedio (Intermediate-Range Nuclear Forces), includendo molti sistemi missilistici dislocati in Europa occidentale, come i Cruise e i Pershing: esso implicò la distruzione di tutti i missili sovietici e statunitensi di gittata compresa tra i 500 e i 5500 km, e un programma di verifica nell'arco di tredici anni, vincoli ormai obbligatori per le due potenze dopo la ratifica del trattato, avvenuta nel 1988. Un ultimo incontro tenutosi a Parigi nel novembre ’90 tra i Paesi della NATO e quelli del Patto di Varsavia, con la significativa partecipazione della Germania riunificata, vide la firma di un trattato di non aggressione e di riduzione degli armamenti convenzionali.
Breznev

Preso il potere dopo l’estromissione di Kruscev, Leonid Breznev mutò profondamente lo stile della politica del suo predecessore, ma ne lasciò invariata la sostanza. Accentuò invece la repressione di ogni forma di dissenso e varò alcune riforme economiche che però non riuscirono a diminuire il distacco rispetto ai Paesi occidentali. In questo periodo, in politica estera, Mosca dovette subire la rottura dell'alleanza con la Cina di Mao e affrontare la rivolta della Cecoslovacchia, chiaro segno del malessere presente oltrecortina. La linea della coesistenza con l’occidente non fu mai messa in discussione, ma si accentuò la corsa al riarmo. La Romania, sotto la guida di Ceausescu, riuscì a conquistare una certa autonomia, mentre il periodo di liberalizzazione inaugurato nel gennaio ’68 da Dubcek in Cecoslovacchia (la Primavera di Praga) fu duramente represso. Dubcek prometteva un "socialismo dal volto umano" con l’introduzione di elementi di pluralismo economico e politico con una più ampia libertà di stampa e di opinione. Ma Breznev, invocando il principio della "sovranità limitata", il 21 agosto fece intervenire ancora una volta i carri armati del Patto di Varsavia.
Da Nixon a Bush
Il caso Watergate16 nel ’74 costrinse alle dimissioni Nixon a cui subentrò Ford, seguito nel ’76 dal democratico Carter che presentò una politica di tipo “wilsoniano”, fondata sul riconoscimento dell’autodeterminazione dei popoli e sulla difesa dei diritti umani, ma che fu criticata perché lasciava spazio all’affermazione di regimi ostili agli Stati Uniti (Etiopia, Angola, Mozambico, Iran, Nicaragua). Nell’80 fu eletto Ronald Reagan, repubblicano, che si presentò con un programma liberista e più intransigente nei confronti dell’URSS e di tutti i nemici dell’America. Reagan riuscì far risalire l’andamento dell’economia, che tra l’83 e l’86 riprese a marciare a pieno ritmo, diede l’appoggio all’iniziativa di difesa strategica (Sdi) meglio nota come scudo spaziale e sostenne economicamente e militarmente i guerriglieri afghani in lotta contro i Sovietici ed i contras del Nicaragua. Alle elezioni dell’88 gli successe il vicepresidente George Bush che riprese la sua politica con uno stile più prudente ed equilibrato, anche se fu proprio lui ad assumersi la responsabilità dei più vasti interventi militari dopo la guerra del Vietnam: quello effettuato a Panama nel dicembre ’89 per deporre ed arrestare il dittatore locale accusato di stretti rapporti con i trafficanti di droga e quello molto più massiccio deciso nel ‘90-’91 contro l’Iraq di Saddam Hussein.
Gorbaciov e le ultime fasi della guerra fredda
La distensione ebbe bruscamente fine con l'invasione sovietica dell'Afghanistan, che, iniziata alla fine del ’79 per imporre un governo fedele alle direttive russe, si protrasse per quasi dieci anni, e con l'imposizione della legge marziale in Polonia nel 1981 per stroncare i moti di protesta guidati dal movimento democratico di Solidarnosc. Il governo statunitense decise dapprima di non ratificare il trattato SALT II, quindi, sotto la presidenza Reagan, di rilanciare drasticamente la competizione nucleare, nonché di incrementare il sostegno ai movimenti di resistenza ai regimi comunisti in America latina, Asia e Africa.
Morto Breznev nell’82, nel 1985 giunse al potere in Unione Sovietica Michail Gorbaciov lanciando le parole d'ordine glasnost e perestroika e accingendosi a riformare radicalmente il sistema sovietico per porre fine alla lunga contesa con l'Occidente, i cui costi erano divenuti per Mosca ormai insostenibili. Con il termine glasnost (in russo “apertura”, “trasparenza”), Gorbaciov indicava una politica a favore della libertà di parola e comunicazione che facesse sì che decisioni politiche e non solo potessero essere rese pubbliche e non restare segrete: essa permise infatti la divulgazione del disastro del 1986 a Cernobyl, la liberazione di alcuni prigionieri politici e l’emigrazione di dissidenti, al fine di creare un dibattito positivo interno all’Unione Sovietica. Con il termine perestrojka, invece, (in russo “riforma”, “ristrutturazione”), veniva intesa la riforma economica avviata per scoraggiare il collasso economico dell’URSS. La perestrojka avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo del paese con un programma di intervento in tutti i campi del sistema sovietico: l’obiettivo era passare da una direzione economica molto centralizzata a un sistema più decentrato, basato sull’autonomia delle imprese statali, la diretta responsabilità degli amministratori, l’incoraggiamento dell’iniziativa privata. Essa incontrò però l’opposizione dei fautori di riforme più rapide e dei nostalgici del vecchio regime, impauriti dal possibile crollo del paese.
Durante il suo governo e proprio a causa della sua politica meno rigida emersero alcuni movimenti autonomisti ed indipendentisti: le prime a chiedere l’indipendenza furono le tre repubbliche baltiche d’Estonia, Lettonia e Lituania, seguite da Armenia, Georgia e Azerbaigian, ma anche dalla stessa Russia, che chiese maggiore autonomia dal governo federale, eleggendo alla propria presidenza Boris Eltsin.
Conseguenza diretta di ciò fu il crollo delle tensioni tra Est e Ovest sancito dalla sottoscrizione di nuovi accordi sul disarmo nucleare e convenzionale (a Washington nell’87 e nel ’90 e a Malta nell’89) e dal ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan e il ridimensionamento dell'egemonia sovietica all'interno del blocco orientale. La serie di riforme e concessioni nei riguardi degli Stati appartenenti all’URSS e al Patto di Varsavia permisero libere elezioni prima in Polonia nel giugno dell’89 e in Ungheria nel maggio ’90, dove si decise di aprire le frontiere verso l’occidente formando la prima vera breccia nella cortina di ferro, e poi anche in Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria e Albania, ed inoltre causarono lo sfaldamento di tutta l’Unione Sovietica, preceduto dalla caduta del muro di Berlino il 9 novembre ’89 e dall’unificazione della Germania il 3 ottobre ’90.
Nel 1991 Gorbaciov fu estromesso dal potere da un colpo di stato poi fallito, e gli successe Boris Eltsin.
Conclusione
Con l'avvento di Michail Gorbaciov il comunismo sovietico entrò in un periodo di riforme da tempo necessarie, ma mentre l'effetto delle riforme tardava il paese implodeva sotto le spinte separatiste. Nello stesso tempo anche il blocco sovietico cominciò a crollare, prima con la vittoria elettorale di Solidarnosc in Polonia, poi con la caduta del muro di Berlino e l'unificazione tedesca.
La caduta del muro di Berlino e il successivo sfaldarsi dell'intero blocco comunista, la riunificazione della Germania e la scomparsa dell'URSS nel 1991 furono le principali tappe che posero fine alla guerra fredda. “La straordinaria e del tutto imprevista fine della terza guerra mondiale, non combattuta ma vinta dagli Stati Uniti, ha addirittura determinato […] la scomparsa dello stato sconfitto e la disgregazione del suo impero”.17
La conquista dello spazio
Il campo delle esplorazioni e delle conquiste spaziali fu forse l’ambito in cui si fece maggiormente sentire la competizione causata dalla guerra fredda. In un ramo così nuovo ed inesplorato della scienza e della tecnica, le due superpotenze potevano mostrare l’una all’altra la loro superiorità nello sviluppo di nuove conoscenze, spostando l’accento del contrasto sulla propaganda, sull’immagine, sull’apparenza davanti all’opinione pubblica mondiale ed esibendo quindi la propria ideologia come la migliore, che permetteva maggiori possibilità di potenziamento al popolo che la adottava.
Storia: i precedenti
Fin dalla seconda metà dell’800 lo spazio è stato oggetto dei sogni della fantascienza e dei primi progetti dei pionieri che, più o meno realisticamente, ma sempre molto seriamente, hanno studiato alcune soluzioni per abitare lo spazio, talvolta con esiti così ambiziosi che sono di difficile attuazione persino ai nostri giorni, ma sono comunque validi. Tra i primi scrittori possiamo citare Jules Verne, che nel 1865 aveva pubblicato il romanzo “Dalla Terra alla Luna”, e lo scrittore Edward E. Hale, che nel 1869 pubblicava il racconto “La Luna di mattoni”, la storia di tre giovani decisi a costruire una sfera di 65m di diametro da mandare in orbita a 6000m di quota.
Il primo pioniere che affrontò scientificamente il problema fu nel 1902 il Russo Konstantin Eduardovich Tsiolkovsky (1857-1935), che nel suo studio “Exploring Universal Expanses with Jet Instruments” dimostrava la capacità dei razzi di volare nello spazio e gettava il primo sguardo nella prospettiva delle esplorazioni spaziali. “Noi possiamo realizzare un osservatorio permanente, in movimento oltre i limiti dell’atmosfera per un lungo, indefinito periodo di tempo attorno alla Terra, proprio come la nostra Luna”.18 Egli disegnò razzi, calcolò propellenti suggerendo la combinazione idrogeno-ossigeno, immaginò per la prima volta vettori spaziali a più stadi e si occupò anche delle stazioni spaziali, ed è per questo che è internazionalmente riconosciuto come il primo padre dell’astronautica.
Il secondo padre dello spazio è invece considerato l’Ungherese Hermann Oberth (1894-1989) che nel libro “Die Rakete zu den Planetenraum“ (“Il razzo nello spazio interplanetario”) descriveva il viaggio di un razzo verso lo spazio, il funzionamento di un motore a razzo anche nel vuoto, il collocamento in orbita di un satellite e gli eventuali effetti subiti da un astronauta a bordo. Inoltre illustrava nei particolari due tipi di razzi ed esplorava il concetto di stazione spaziale, che avrebbe approfondito in seguito. Al contrario di Tsiolkovsky, egli vedeva nelle basi orbitali anche vantaggi militari, meteorologici e per le telecomunicazioni, nonché la possibilità di sfruttarle come basi d'appoggio per veicoli interplanetari. Le stazioni spaziali da lui progettate prevedevano la presenza di più elementi a notevole distanza gli uni dagli altri a formare un sistema di stazioni ed un altro suo studio riguardava un gigantesco specchio spaziale in grado di illuminare una vasta superficie del nostro pianeta.
Un altro pioniere fu il barone austriaco Guido von Pirquet (1889-1966), che si occupò più che di progettazione, del posizionamento delle basi nello spazio, studiando una “stazione a tre unità” a grande distanza la une dalle altre, le più esterne delle quali aventi orbite circolari, mentre quella centrale detta “stazione di transito” avente orbita ellittica e funzione di collegamento tra le altre due basi, ricoprendo quindi la funzione di astronave.
Molto importante dal punto di vista ingegneristico è stato il lavoro di Hermann Noordung (pseudonimo di H. Potocnik), che progettò una stazione spaziale formata da tre elementi. Il primo è la Wohnrad (ruota d’abitazione), che ruotava intorno al proprio asse per generare un livello di gravità equivalente a quello terrestre, vicino alla quale stavano un “Observatorium”, una “Maschinenhaus” (Sala macchine), grande concentratore solare all’interno del quale venivano ospitati i sistemi elettrici e meccanici indispensabili come gli apparati di telecomunicazione e le batterie, entrambi raggiungibili con una breve passeggiata spaziale.
A partire dagli anni trenta le intuizioni pionieristiche furono incanalate in progetti più concreti, come la costruzione di un vettore in grado di portare uomini e mezzi al di fuori del pianeta. Un primo tentativo riuscito risale all’Americano Robert Goddard, che aveva fatto volare un primo razzo a propellenti liquidi già nel ’26, ma saranno i Tedeschi sotto la guida di Wernher von Braun19 (1912-1977) a giungere durante la guerra alla costruzione dei primi missili balistici, i famigerati V-1 e V-2. Nello stesso tempo sempre i Tedeschi pensavano ad un‘applicazione militare dello specchio solare di Oberth, battezzata Sun Gun. Nel ’45 fu invece Arthur C. Clarke a rifarsi al progetto di Noordung, proponendo la sistemazione di tre basi in orbita geostazionaria20 intorno all‘equatore ad un‘altezza di 42000 km e distanziate di 120° ciascuna, in modo da funzionare come dei ripetitori per le telecomunicazioni. Lo stesso von Braun all‘inizio degli anni ’50, ormai trasferito negli USA e dipendente dell‘esercito, progettò una stazione spaziale circolare, cosiddetta ruota, che secondo i suoi progetti sarebbe stata il primo passo per la conquista della Luna.
La propulsione a razzo
I viaggi spaziali divennero però possibili solo quando le scoperte del XX secolo fornirono le basi per gli sviluppi della propulsione a razzo e dei sistemi di guida e di controllo degli stessi veicoli spaziali. Come detto, il primo razzo a propellente liquido venne lanciato con successo il 16 marzo 1926 dal fisico statunitense Robert Goddard e nello stesso periodo accurati studi sulla propulsione, anche applicati all'esplorazione dello spazio, vennero condotti da fisici e scienziati di molte parti del mondo. Il primo missile moderno venne però realizzato da Wernher von Braun e trasformato immediatamente nella terribile arma da guerra divenuta tristemente famosa con il nome di V2. La seconda guerra mondiale diede infatti un considerevole impeto allo sviluppo di razzi suborbitali a grande gittata a scopo militare: Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Germania svilupparono contemporaneamente vari razzi, una parte dei quali venne utilizzata al termine del conflitto per voli sperimentali.
I motori dei razzi utilizzati per il lancio di veicoli spaziali sono principalmente di due tipi: a propellente solido e a propellente liquido. I primi impiegano prodotti chimici che bruciano in modo simile alla polvere da sparo, mentre nel secondo caso vengono usati carburanti liquidi e ossidanti in serbatoi separati. Poiché la tecnologia di costruzione dei vettori spaziali è molto simile a quella dei missili balistici a lunga gittata, tra il 1957 e il 1965 gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica furono i soli due paesi ad avere la possibilità di lanciare satelliti.

Il rientro a terra
Un altro problema posto dall’esplorazione umana dello spazio che gli ingegneri dovettero superare prima di lanciare il primo uomo fu il rientro a terra. Il rientro pone numerosi problemi, in particolare è necessario rallentare la navicella in modo che essa possa atterrare senza essere distrutta dal calore sviluppato per effetto dell'attrito con l'atmosfera. Nelle navicelle statunitensi Mercury, Gemini e Apollo il problema della protezione della superficie venne brillantemente risolto per mezzo di uno schermo appositamente progettato, di metallo, plastica o ceramica: durante il rientro questi materiali fondevano e vaporizzavano, dissipando il calore in eccesso senza danni per la capsula o per gli astronauti.
In orbita attorno alla Terra
L'orbita di una navicella attorno alla Terra può essere circolare oppure ellittica. Un satellite artificiale in orbita circolare viaggia a velocità costante: maggiore è l'altitudine, minore è la velocità del suo moto relativo rispetto alla superficie terrestre. Un satellite situato ad un'altezza di 35.800 km sull'equatore descrive un'orbita geosincrona (ovvero alla stessa velocità della Terra) in 24 ore, e rimane quindi sulla perpendicolare di un luogo fisso dell'equatore; per questo motivo è detto geostazionario. La maggior parte dei satelliti per comunicazioni è collocata in orbite di questo tipo. Al contrario, la velocità di un oggetto che descrive un'orbita ellittica intorno alla Terra non è costante in tutti i punti della traiettoria, e raggiunge il valore massimo in prossimità del perigeo (il punto più vicino al nostro pianeta) e quello minimo all'apogeo (il punto più lontano). Un'orbita ellittica può giacere su qualunque piano che passi per il centro della Terra: in particolare essa viene detta polare oppure orbitale se il piano contiene rispettivamente l'asse terrestre o l'equatore. L'angolo tra il piano orbitale e l'equatore prende il nome di inclinazione dell'orbita.
Osservata da un satellite in orbita polare, la Terra compie una rotazione completa ogni 24 ore. Come conseguenza di ciò, un satellite meteorologico che descriva un'orbita di questo tipo e che trasporti telecamere televisive e a infrarossi, può in un solo giorno osservare le condizioni meteorologiche dell'intero globo, da polo a polo. Un'orbita diversamente inclinata permette invece l'osservazione diretta di una porzione più ridotta della superficie terrestre.
Un oggetto in orbita nello spazio percorre la sua traiettoria senza bisogno di spinta propulsiva, dal momento che non si manifestano forze di attrito che rallentino il moto. Al contrario, se esso attraversa l'atmosfera terrestre, parte della sua energia viene dissipata per effetto dell'attrito e il corpo rallenta, fino a decadere gradualmente ad altitudini sempre minori e a bruciare come una meteora.
Programmi spaziali senza equipaggio
La lunga storia dei miti, dei sogni, della fantascienza e della tecnologia culminò infine il 4 ottobre 1957, con il lancio del primo satellite artificiale orbitante, lo Sputnik 1, da parte dell'Unione Sovietica, che si vedeva così vincitrice sulla scena politica internazionale della prima fase della conquista dello spazio. Con l’inizio della guerra fredda l’URSS aveva sentito la necessità di riuscire a contrastare militarmente gli Stati Uniti, dai quali poteva essere attaccata dalle vicine basi europee senza avere possibilità di risposta, e l’unica via praticabile era il perfezionamento della nuovissima tecnologia dei razzi, che si rivelò utile anche per battere l’avversario durante le prime battute della corsa spaziale: inizialmente, infatti, gli USA non avevano ritenuto necessario impegnarsi in un tentativo oneroso e difficile di conquista dello spazio avendo a disposizione come “rampe di lancio” gli Stati europei. Una volta sentitisi minacciati dai progressi tecnologico-militari della rivale, però, gli Americani si trovarono costretti ad accettare la sfida e a dover rincorrere.

Primi satelliti artificiali
Lo Sputnik 1 (dal russo Sputnik Zemli, "compagno di viaggio della Terra") era una sfera di alluminio di 58 cm di diametro e pesante 83 kg. Orbitava attorno alla Terra in 96,2 minuti, compiendo una traiettoria ellittica che portava il satellite a un apogeo di 946 km e a un perigeo di 227 km. La sfera conteneva strumenti che per 21 giorni consecutivi trasmisero dati riguardo ai raggi cosmici e alle meteoriti e fornirono informazioni sulle condizioni di densità e di temperatura dei gas che compongono l'alta atmosfera. Dopo 57 giorni il satellite rientrò nell'atmosfera terrestre e venne distrutto dal calore sviluppato per effetto dei fenomeni di attrito.
Il secondo satellite artificiale, lo Sputnik 2, venne lanciato il 3 novembre 1957 con a bordo il primo essere vivente, una cagnetta di nome Laika, che permise di effettuare i primi studi sugli effetti fisiologici di un volo nel cosmo. Lo Sputnik 2 rientrò nell'atmosfera terrestre e si distrusse dopo 162 giorni di volo.
Il 31 gennaio 1958, mentre lo Sputnik 2 era ancora in orbita, gli Stati Uniti lanciarono finalmente il loro primo satellite, l'Explorer 1. La sonda, un cilindro di 15 cm di diametro, lungo 203 cm e del peso di 14 kg, effettuò per 112 giorni precise misure dei raggi cosmici e dei micrometeoroidi21 e fornì inoltre i primi dati da satellite che condussero alla scoperta delle fasce di radiazione di Van Allen.
Il 17 marzo 1958 gli Stati Uniti posero in orbita il Vanguard 2, che per oltre sei anni trasmise segnali utilizzando l'energia solare. Lo studio preciso delle variazioni della sua traiettoria fornì preziosi dati sulla forma del nostro pianeta. Il Vanguard 2 fu seguito dall'Explorer 3, lanciato il 26 marzo 1958, e dallo Sputnik 3 sovietico, lanciato il 15 maggio. Quest'ultimo, del peso di 1327 kg, misurò la radiazione solare, i raggi cosmici, il campo magnetico terrestre e altri fenomeni astronomici, finché la sua orbita decadde nell'aprile del 1960. Il 25 maggio ’59 anche gli Americani riuscirono a mandare i primi esseri viventi nello spazio: si trattava di due scimmiette a bordo dell’Atlas Mercury.
Tutte le serie di queste prime sonde, compresa quella successiva della Pioneer, avevano lo scopo principale di studiare gli spazi extraterrestri.
Missioni lunari senza equipaggio

La Luna fu l'obiettivo di molte missioni spaziali, tuttavia i primi tentativi di inviare nello spazio sonde lunari non ebbero gran successo. La sonda sovietica Lunik 2, lanciata il 12 settembre 1959, cadde sulla Luna dopo 36 ore, e pochi mesi dopo il Pioneer 4 degli Stati Uniti sfiorò la superficie del nostro satellite. Da quel momento vennero effettuati numerosi lanci, con risultati diversi. Fu l’Unione Sovietica ancora una volta ad ottenere una piccola vittoria: le prime fotografie della faccia lunare nascosta furono infatti scattate dalla sonda Lunik 3, lanciata il 4 ottobre ‘59. Uno dei successi più eclatanti fu però la missione americana Ranger 7, lanciata il 28 luglio ‘64: prima di cadere sulla superficie lunare, il satellite trasmise 4316 immagini della superficie lunare, riprese da una quota variabile tra i 1800 km e i 300 m, dando all'umanità le prime fotografie ravvicinate.
Il 31 gennaio 1966 l'URSS lanciò il Lunik 9, che effettuò il primo atterraggio morbido. A questa missione, il 30 maggio fece seguito il lancio statunitense del Surveyor 1, che atterrò sulla superficie lunare e trasmise a terra 11.150 immagini ravvicinate del nostro satellite naturale. Le missioni delle sonde Surveyor e Lunik consentirono inoltre la misura diretta delle proprietà fisiche e chimiche del nostro satellite.
Le missioni lunari nell'ambito del programma statunitense, oltre alla raccolta di informazioni scientifiche, ebbero come obiettivo fondamentale quello di riuscire a portare l'uomo sulla Luna. A questo scopo vennero effettuati moltissimi altri lanci di sonde automatiche, tra le quali Surveyor 3 e 5, che nel 1967, dopo un viaggio di circa due giorni, inviarono a Terra un gran numero di fotografie della superficie del satellite. Il Surveyor 3 raccolse campioni del suolo e li esaminò per mezzo di una telecamera. Il Surveyor 5 analizzò chimicamente la superficie lunare sfruttando la tecnica di diffusione delle particelle alfa e compiendo così la prima analisi in sito di un corpo extraterrestre.
Nel 1966 e nel 1967 le sonde trasportate dalla navicella statunitense Lunar Orbiter orbitarono attorno alla Luna, inviando a Terra migliaia di fotografie che vennero in seguito utilizzate per scegliere i luoghi per l'allunaggio dell'Apollo.
Negli stessi anni due progetti lunari di un certo rilievo furono portati avanti dall'Unione Sovietica. La sonda Lunik 16, lanciata il 12 settembre ‘70, si posò sulla Luna e stivò circa 113 g di suolo lunare poi analizzati a terra. La Lunik 17, lanciata il 10 novembre, depositò sulla superficie del satellite un veicolo automatico di esplorazione (rover) denominato Lunokhod 1, dotato di una telecamera e alimentato a batterie solari. Nel corso di dieci giorni lunari il veicolo, controllato da terra, percorse 10,5 km, effettuando riprese televisive e misure scientifiche. Nel ‘73 la Lunik 21, con il Lunokhod 2, ripeté la stessa esperienza.
Studio dei pianeti
L’enorme interesse verso gli altri pianeti del sistema solare spinse USA ed URSS ad avviare missioni per l'esplorazione di Marte, Venere e Giove, che furono raggiunti ognuno da più satelliti. Allo studio degli altri pianeti e delle comete furono adibite molte sonde orbitanti intorno alla Terra.
Mercurio, il pianeta più vicino al Sole, venne esplorato dalla sonda statunitense Mariner 10, che nel corso del suo viaggio verso l'interno del sistema solare, sorpassò Venere nel febbraio del ‘74 sfruttandone la gravità per entrare in orbita attorno al Sole. In marzo arrivò a 692 km da Mercurio, fornendo la prima visione della superficie craterizzata del pianeta, mentre in settembre, durante il suo secondo avvicinamento, rivelò un campo magnetico del tutto inaspettato (1% di quello terrestre). Al suo terzo avvicinamento nel ’75 la Mariner 10 registrò una temperatura di circa 350 °C sul lato esposto al Sole e di circa -150 °C sul lato in ombra. Nel 1991 potenti radiotelescopi a terra mostrarono nelle regioni polari del pianeta segni di vasti strati di ghiaccio che non erano stati rilevati dalla sonda.
Anche Venere fu avvicinato per la prima volta da una sonda americana: si trattava della Mariner 2, lanciata nel 1962, seguita dalla Mariner 5 nel ‘67 e dalla Mariner 10 nel ‘74. A partire dagli anni Sessanta furono inviate verso il pianeta anche le numerose sonde sovietiche del tipo Venera. Informazioni dettagliate vennero fornite dalle due navicelle statunitensi Pioneer Venus dotate di speciali radar e sofisticati strumenti di misura. La sonda Magellano, lanciata nel 1989 da uno Shuttle, iniziò l'anno successivo a trasmettere immagini radar del pianeta.
I sovietici riuscirono per primi con grande successo ad immettere alcune sonde all'interno della sua densa atmosfera. La Venera 7, lanciata nell'agosto del ‘70, sopravvisse per circa 23 minuti nell'atmosfera di Venere, inviando precisi dati a terra. Il progetto proseguì con la missione della Venera 8, lanciata nel ’72, che trasmise informazioni riguardanti la superficie del pianeta ed effettuò una dettagliata analisi del suolo. Nell'ottobre del ‘75 due sonde che si posarono sul suolo venusiano scattando le prime fotografie vennero sganciate dalle Venera 9 e 10. Nel ‘78 le Venera 11 e 12 registrarono una pressione di 88 atmosfere e una temperatura superficiale di 460 °C. Il 1° e il 5 marzo 1982 le Venera 13 e 14 scesero sulla superficie del pianeta e analizzarono la composizione chimica dell'atmosfera e del suolo. Il 10 e il 14 dicembre del ‘83 le Venera 15 e 16 entrarono in orbita attorno a Venere inviando a terra immagini radar; infine, nel giugno del ‘85, le Vegas 1 e 2, in viaggio verso la cometa di Halley, sganciarono quattro sonde nell'atmosfera venusiana.
I satelliti statunitensi Pioneer Venus 1, un Orbiter, e Pioneer Venus 2, dotato di cinque sonde, vennero lanciati il 20 maggio e l'8 agosto del ‘78 e raggiunsero Venere, rispettivamente, il 5 e il 9 dicembre dello stesso anno. L'Orbiter registrò una mappa di quasi tutta la superficie venusiana e le sonde analizzarono la composizione e i movimenti dell'atmosfera, nonché la sua interazione con il vento solare.
A partire dal 1965 numerose sonde statunitensi e sovietiche furono lanciate nello spazio per l'esplorazione del cosiddetto "pianeta rosso". Alcuni dati vennero trasmessi dalle due sonde Mars 2 e 3, lanciate nel maggio del ‘71 dall'Unione Sovietica, e oltre 7000 immagini vennero trasmesse dalla sonda statunitense Mariner 9, che orbitò attorno a Marte dal novembre ‘71 all'ottobre ‘72. L'esplorazione del pianeta giunse al culmine nell'agosto e settembre del ‘75, quando le sonde Viking 1 e 2 iniziarono i rispettivi viaggi. Ciascuna di esse era formata da un modulo (Orbiter) destinato a rimanere in orbita intorno a Marte e da una sezione (Lander) destinata a posarsi sul suolo marziano ed equipaggiata con laboratori chimici, telecamere a colori, strumenti meteorologici e sismologici e un braccio meccanico retrattile, lungo tre metri, che poteva essere manovrato da Terra.
Le sonde statunitensi Pioneer 10 e 11, lanciate nel ‘72 e nel ‘73, superarono senza danni la fascia degli asteroidi situata oltre l'orbita di Marte e raggiunsero Giove nel dicembre dell’anno successivo. Le due sonde, pesanti ciascuna 260 kg circa, sorvolarono il pianeta gigante a distanze di 130.400 km e 46.700 km. Il Pioneer 10, prima sonda a uscire nello spazio interstellare, continuò il proprio viaggio verso l'esterno del sistema solare: incontrerà la prima stella tra circa 80.000 anni. Il Pioneer 11 raggiunse Saturno nel settembre ‘79, aprendo la strada ai Voyager 1 e 2. Questi ultimi, lanciati nel ‘77, entrarono nel sistema di Giove rispettivamente nel marzo e nel luglio ’79 effettuando varie misure e scattarono fotografie straordinarie. Nel novembre ‘80 e nell'agosto ‘81 le due sonde raggiunsero il sistema di Saturno.
Dopo aver superato Saturno, il Voyager 2 si diresse verso Urano. Nel gennaio dell‘86 passò a una distanza di 80.000 km dal pianeta scoprendo quattro nuovi anelli e dieci nuovi satelliti. La sonda si avvicinò a una delle lune, Miranda, trasmettendo bellissime immagini del corpo ghiacciato. Nell'agosto ‘89 il Voyager 2 si avvicinò a Nettuno scoprendo sei nuovi satelliti, e infine uscì dal sistema solare.
I due Voyager, tuttora operativi, hanno solcato intorno al 2000 il confine tra il sistema solare e lo spazio interstellare raccogliendo dati sulla complessa struttura dell'interfaccia fra i due ambienti, prima di dedicarsi finalmente allo studio del mezzo interstellare.
Programmi Vostok e Mercury
Il 12 aprile ‘61 l'Unione Sovietica vinse ancora una volta la competizione con gli Stati Uniti raggiungendo l'obiettivo del volo orbitale umano con la missione della navicella Vostok 1, che trasportava il cosmonauta Yury A. Gagarin. Durante il volo, durato 1 ora e 48 minuti, egli raggiunse un apogeo di 327 km e un perigeo di 180 km, atterrando con successo in Siberia. Nei due anni seguenti vennero lanciate altre cinque Vostok, l'ultima delle quali compì 48 orbite attorno alla Terra pilotata dalla cosmonauta Valentina Tereškova, la prima donna astronauta. Durante le missioni Vostok 3 e 4 si compì il primo rendez-vous della storia nel cosmo, quando le due navicelle si agganciarono per la prima volta.
Contemporaneamente gli Stati Uniti svilupparono il programma statunitense Mercury per sperimentare le condizioni di volo in orbita. Il 5 maggio 1961 Alan B. Shepard, effettuò una traiettoria balistica a bordo della navicella Freedom 7, compiendo un volo suborbitale di 15 minuti. Una missione simile, la Liberty 7, venne ripetuta il 21 luglio da Virgil Grissom. Ma fu solo il 20 febbraio ‘62 che John H. Glenn compì per la prima volta tre orbite attorno alla Terra. Nel medesimo periodo si svolsero altri tre voli Mercury, pilotati da M. Scott Carpenter, Walter M. Schirra e Leroy Gordon Cooper.
Programmi Voskod e Gemini
La navicella Voskod, un'evoluzione della Vostok, fu progettata per ospitare due o tre cosmonauti. Il 12 ottobre ‘64 Vladimir Komarov, Boris Yegorov e Konstantin Feoktistov effettuarono un volo di 15 orbite a bordo della Voskod 1. La Voskod 2 venne lanciata il 18 marzo dell'anno successivo con un equipaggio formato dagli astronauti Pavel Belyayev e Aleksei Leonov. Durante la missione Leonov effettuò la prima attività extraveicolare (EVA), cioè la prima "passeggiata" nello spazio, uscendo dalla navicella e rimanendovi attaccato tramite un cavo. L’Unione Sovietica era riuscita quindi a conquistarsi un altro primato.
La navicella statunitense Gemini venne progettata per sperimentare la tecnologia richiesta per raggiungere la Luna e per verificare le possibilità di manovra nello spazio di veicoli in grado di ospitare un equipaggio composto da più di un astronauta. Nel maggio del ‘61 venne istituito il programma Apollo, con l'obiettivo di portare un uomo sul suolo lunare e farlo ritornare a Terra "prima della fine del decennio": “Credo che questa Nazione debba impegnarsi […] a far giungere un uomo sulla Luna e a riportarlo sano e salvo sulla Terra…Nessun progetto […] è mai stato più ambizioso o costoso e nel contempo difficile da completare… Comunque, se decidessimo di intraprenderlo dovrà essere per portarlo fino in fondo […] altrimenti, piuttosto che fermarci a metà strada, sarà meglio non cominciare nemmeno”22. Questo ambizioso proponimento produsse una serie intensa di voli pilotati e nel corso degli anni successivi vennero effettuate circa dieci missioni nell'ambito del progetto Gemini. Durante il volo della Gemini 4, Edward White effettuò un'attività extraveicolare durata 21 minuti, utilizzando un dispositivo pressurizzato a getti di gas. Nel dicembre ‘65 le Gemini 6 e 7 si avvicinarono l'una all'altra fino a una distanza inferiore al metro. La prima di esse atterrò dopo un volo di circa 20 ore, con i cosmonauti Schirra e Thomas Stafford. La Gemini 7, il cui equipaggio era formato da Frank Borman e James Lovell, rimase invece in orbita per 334 ore, fornendo importanti dati medici sulla permanenza dell'uomo nello spazio e verificando l'affidabilità del sistema di propulsione a idrogeno e ossigeno. I primi tentativi di aggancio americano fallirono con le Gemini 8 e 9, ma riuscirono invece quelli delle Gemini 10, 11 e 12, che si avvicinarono e si collegarono ripetutamente a un veicolo bersaglio messo preventivamente in orbita.
Programmi Soyuz e Apollo
Il 1967 fu segnato da tragici incidenti per entrambe le nazioni che si proponevano il traguardo dell'esplorazione lunare. Il 27 gennaio, durante un test della navicella Apollo a Cape Kennedy, si sviluppò un incendio nel modulo di comando: a causa dell'atmosfera interna pressurizzata con ossigeno puro, le fiamme divamparono all'istante e i tre astronauti Grissom, White e Chaffee persero la vita. Il programma Apollo venne ritardato di oltre un anno per rivedere il progetto del veicolo e i materiali utilizzati.
Il 23 aprile dello stesso anno venne lanciato nello spazio il cosmonauta Komarov a bordo della Soyuz, una nuova navicella sovietica che poteva ospitare tre astronauti ed era dotata di un modulo di lavoro separato, accessibile attraverso un portello. L'incidente mortale si verificò durante il rientro nell'atmosfera terrestre, quando i cordoni per l'apertura del paracadute di atterraggio si attorcigliarono e la navicella si schiantò al suolo. Dopo le opportune modifiche la Soyuz riprendeva comunque a volare.
Nell'ottobre del 1968 venne lanciato il primo Apollo con equipaggio. Ciò che permise la sua messa in orbita fu il capolavoro di Werner von Braun, il gigantesco razzo vettore Saturno 5, pesante quasi 3000 tonnellate, alto 110 m con l’Apollo in vetta, in grado di generare una spinta di 3400 tonnellate e di trasportare un carico di 130. Gli astronauti Schirra, Walter Cunningham e Donn Eisele effettuarono 163 orbite durante le quali controllarono le prestazioni della navicella, scattarono numerose fotografie della Terra e trasmisero immagini televisive. La notte di Natale del ‘68 l'Apollo 8, che portava a bordo gli astronauti Borman, Lovell e

Anders, compì dieci giri intorno alla Luna, quindi atterrò regolarmente. L’Apollo 9, pilotato dagli astronauti James McDivitt, David Scott e Russell Schweickart provò lo sgancio, l'avvicinamento e il riaggancio del modulo lunare (LEM) nel corso delle 151 orbite terrestri. L'Apollo 10 effettuò una prova generale di allunaggio, durante la quale gli astronauti Stafford e Cernan si trasferirono dal modulo di comando al LEM e scesero fino a circa 14 km dalla superficie lunare sopra il Mare della Tranquillità. Durante l'operazione essi provarono l'avvicinamento e il riaggancio del LEM, quindi si trasferirono di nuovo nel modulo di comando, nel frattempo affidato all'astronauta Young. Con questa missione il progetto Apollo era pronto per portare l'uomo sulla Luna.

Nello stesso periodo l'Unione Sovietica lanciò la Zond, una navicella senza equipaggio che effettuò numerose riprese e alcuni importanti esperimenti biologici. Nell'ottobre del ‘68 l'astronauta Georgi Beregovoi effettuò una missione di 60 orbite con la Soyuz 3, e nel gennaio dell'anno successivo le Soyuz 4 e 5 si incontrarono in orbita. Mentre le due navicelle erano attaccate, i cosmonauti Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov, utilizzando delle tute spaziali, si trasferirono dalla Soyuz 5 alla Soyuz 4, che era pilotata da Vladimir Shatalov. Nell'ottobre del ‘69, le Soyuz 6, 7 e 8, lanciate a un giorno di distanza l'una dall'altra, si incontrarono in orbita senza però agganciarsi. Nel giugno del ‘70 la Soyuz 9, con un equipaggio di due cosmonauti, effettuò un volo record di quasi 18 giorni.
Il 17 luglio 1975 avvenne la prima storica collaborazione tra i due rivali in campo spaziale: l’ultima missione dell’Apollo, che venne poi sostituito dallo Shuttle, e la navicella Soyuz 19 si agganciarono tra loro per la prima volta e restarono unite per una settimana. Questa operazione rispecchiava la situazione di distensione che si era venuta a creare già da qualche anno tra le due superpotenze sulla Terra.
Apollo 11: l’uomo sbarca sulla Luna
Nel 1969 l'umanità e soprattutto gli Americani riuscirono a raggiungere l'obiettivo di effettuare lo sbarco sulla Luna. Lo storico volo dell'Apollo 11 iniziò il 16 luglio. Dopo essere entrati in orbita lunare, Edwin Aldrin e Neil Armstrong si trasferirono nel LEM, il modulo per l'allunaggio, mentre il modulo di comando era affidato al pilota Michael Collins. Il modulo lunare toccò la superficie del satellite il 20 luglio, nei pressi del margine del Mare della Tranquillità e poche ore dopo Armstrong mise piede sul suolo lunare, con le parole: "Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigante per l'umanità". L'astronauta venne raggiunto da Aldrin e insieme camminarono due ore sulla superficie della Luna, raccogliendo 21 kg di campioni del suolo, scattando fotografie e installando un apparato sperimentale per l'analisi del vento solare, un riflettore laser e un laboratorio per misure sismiche. Issarono quindi una bandiera statunitense e comunicarono, via satellite, con il presidente Richard Nixon, mentre milioni di persone seguivano in diretta la trasmissione. Armstrong e Aldrin lasciarono il nostro satellite utilizzando lo stadio superiore del LEM e sfruttando quello inferiore come rampa di lancio. Il modulo di risalita venne abbandonato dopo l'aggancio con il modulo di comando e i due astronauti si trasferirono di nuovo nella navicella. Il volo di ritorno dell'Apollo 11 non presentò inconvenienti e la navicella ammarò il 24 luglio nell'oceano Pacifico, vicino alle Hawaii, dove venne facilmente recuperata. Benché la possibilità di contaminazione da parte di organismi viventi lunari fosse remota, gli astronauti indossarono indumenti isolanti prima di lasciare la navicella e vennero sottoposti a un periodo di quarantena, senza tuttavia presentare problemi di salute.
Gli Americani in questo caso trionfarono letteralmente sui rivali sovietici, infatti questi non arriveranno mai a toccare direttamente il suolo lunare. Solo più tardi si verrà a sapere che l’URSS perse la corsa alla Luna per non essere riuscita a progettare un razzo in grado, come il Saturno 5, di portare in orbita una massa ragguardevole come l’Apollo ed il LEM.
L’Apollo 12
La successiva missione di allunaggio iniziò il 14 novembre 1969, quando venne lanciato l'Apollo 12 con a bordo gli astronauti Charles Conrad, Richard Gordon e Alan Bean. Il lancio fu drammatico: appena decollato, il Saturno 5 venne colpito da un fulmine che fece impazzire i comandi elettronici di bordo, ma poi tutto si risolse per il meglio. Dopo l'entrata in orbita lunare, Conrad e Bean si trasferirono nel LEM, quindi sbarcarono sulla superficie del satellite a nord dei monti Riphaeus, ad appena 180 m dal luogo dove due anni prima si era posata la sonda Surveyor 3, di cui recuperarono alcuni frammenti per farli esaminare a terra. I due astronauti esplorarono la zona circostante in due fasi, ciascuna di circa quattro ore, durante le quali effettuarono esperimenti scientifici, scattarono numerose fotografie e prelevarono campioni del suolo. Dopo il decollo dalla Luna e il rendez-vous con il modulo di comando pilotato da Gordon, ammararono felicemente il 24 novembre.
Il successo dell'Apollo 12, che presentava caratteristiche tecniche notevolmente migliori rispetto all'Apollo 11, in particolare per quanto riguardava la precisione nello sbarco, indusse a stabilire per l'Apollo 13 un sito di allunaggio più irregolare.

L’Apollo 13
L'11 aprile 1970 venne lanciato l'Apollo 13, con a bordo gli astronauti Lovell, Haise e Swigert. Una grave avaria durante il volo, prodotta dalla rottura di un serbatoio di ossigeno, danneggia vari apparati del modulo di comando, costringendo gli astronauti a cancellare il piano di allunaggio ed a rientrare precipitosamente a terra. Il ritorno fu reso possibile dall’utilizzo del LEM come scialuppa di salvataggio, quindi, dopo aver girato attorno alla Luna, ammararono senza ulteriori problemi nell'oceano Pacifico meridionale il 17 aprile.
La missione, sotto il punto di vista del risultato, fu un completo disastro. Guardata però da un altro punto di vista risultò essere un successo, perché riuscì a portare in salvo i tre astronauti dimostrando le capacità umane ad operare sotto altissima tensione.
Apollo 14 e 15
La missione fallita dell'Apollo 13 venne portata a compimento dall'equipaggio dell'Apollo 14, lanciato il 31 gennaio 1971, dopo alcune modifiche apportate alla navicella per evitare l'inconveniente occorso alla precedente. Gli astronauti Shepard, ormai veterano dello spazio, e Mitchell allunarono con il LEM nell'irregolare regione di Fra Mauro, mentre Stuart Roosa rimase nel modulo di comando in orbita lunare. Shepard e Mitchell esplorarono in due escursioni di oltre nove ore un'area che si credeva contenere alcune delle rocce più vecchie mai studiate, raccogliendo circa 43 kg di campioni geologici e predisponendo delle apparecchiature per esperimenti scientifici. Il 9 febbraio 1971 gli astronauti tornarono sulla Terra senza incidenti.
L'Apollo 15 venne lanciato il 26 luglio 1971, con a bordo il comandante Scott, il pilota del LEM James Irwin e il pilota del modulo di comando Alfred Worden. Scott e Irwin rimasero 2 giorni e 18 ore sulla superficie lunare ai margini del mare Imbrium. Nel corso della loro esplorazione, gli astronauti percorsero più di 28,2 km nella zona del monte Hadley, servendosi per la prima volta di un rover elettrico a quattro ruote. Prepararono inoltre una complessa serie di strumenti scientifici e raccolsero circa 91 kg di rocce, tra cui un frammento di circa 4,6 miliardi di anni che venne ritenuto un costituente della crosta cristallina originale del satellite. Al termine della terza ed ultima escursione venne reso un omaggio a Galileo Galilei e alle sue teorie sulla gravità: Scott fece cadere insieme un martello ed una piuma che giunsero contemporaneamente al suolo. Una telecamera lasciata al suolo riprese la partenza di Scott e Irwin dalla superficie della Luna. Prima che l'equipaggio lasciasse l'orbita lunare per ritornare verso la Terra, venne lanciato un "subsatellite" progettato per trasmettere dati sui campi gravitazionale, magnetico e di alta energia dell'ambiente lunare. Nel corso del viaggio di ritorno, Worden fece una passeggiata spaziale di 16 minuti quando la navicella si trovava a circa 315.400 km dalla Terra, un record di distanza per l'EVA. Gli astronauti dell'Apollo 15 ammararono senza incidenti il 7 agosto, circa 530 km a nord delle Hawaii.
Apollo 16 e 17
Il 16 aprile 1972 gli astronauti Young, Charles Duke e Thomas Mattingly vennero lanciati verso la Luna a bordo dell'Apollo 16, per esplorare le colline di Cartesio e le pianure di Cayley. Il 20 aprile, mentre Mattingly li attendeva in orbita, gli altri due astronauti effettuarono l'allunaggio nell'area prevista, dove rimasero 20 ore e 14 minuti, eseguendo numerosi esperimenti, percorrendo circa 26,6 km con il rover, prelevando oltre 97 kg di campioni di rocce ed installando per la prima volta un telescopio.
Le missioni verso la Luna programmate dagli Stati Uniti si conclusero tra il 6 e il 19 dicembre 1972 con il volo dell'Apollo 17, infatti i successivi tre viaggi (Apollo 18, 19 e 20) furono tagliati per mancanza di fondi. Nel corso della missione di 13 giorni, l'astronauta Cernan e il geologo Harrison Schmitt, l’unico scienziato di professione sulla Luna, rimasero per tre giorni sul nostro satellite e, compiendo tre escursioni record di 21 ore, percorsero 35 km con il rover ed esplorarono la regione della valle di Taurus-Littrow, mentre al comandante Ronald Evans era affidato il modulo di comando. Questo fu il primo lancio in notturna di una missione americana con equipaggio e quindi, durante l’addestramento, gli astronauti dovettero studiare il cielo e le costellazioni a memoria, per eventuali manovre di emergenza durante i primi minuti di lancio.
Stazioni americane
Il programma statunitense riguardante le stazioni spaziali ebbe inizio nel ’59, sulla scia del successo Mercury: si credeva che una stazione ne sarebbe stato il giusto seguito. In meno di tre mesi, tra il marzo ed il giugno ’59, fu elaborato il progetto Horizon, di ispirazione militare, che sarebbe stato in grado di ospitare a bordo 12 persone entro il ’66. Tale progetto fu però ben presto abbandonato a favore di altri. Uno era il MORL, una stazione cilindrica con compiti civili con tre versioni a disposizione, capaci di ospitare rispettivamente 4, 6 e 9 astronauti, da mandare in orbita entro il ’72. Un altro, simile al precedente, ma più grande (poteva ospitare infatti fino a 24 persone) era l’Olympus, utilizzabile anche come base orbitale per le missioni interplanetarie. Entrambi vennero cancellati nel ’63 a favore della MOL, la stazione del Pentagono, conosciuta anche come Gemini-X più laboratorio, perché era formata da una capsula Gemini modificata a cui era agganciato un laboratorio pressurizzato. Complessivamente questa struttura era lunga oltre 15 metri e pesante quasi 12 tonnellate. Anche questa volta, però, nel ‘69 il progetto fu cancellato, anche se si era giunti molto vicino alla sua concreta realizzazione spendendo già 1495 miliardi di dollari.
Decisa a non tralasciare questo importante passo dell’avventura spaziale, la NASA si impegnò a proseguire un programma di base spaziale civile, ma ancora una volta ci furono molti progetti e molti rinvii, finché nel ’69, sull’onda del successo del primo sbarco lunare, non si decise per la soluzione dello Skylab. Lo Skylab era un laboratorio ricavato dal terzo stadio del razzo Saturno 5 già trasformato ed attrezzato a terra. Finalmente il 14 maggio ’73 lo Skylab fu lanciato in orbita da un vettore Saturno 5. La stazione, che pesava circa 89 tonnellate, era formata da quattro moduli: il laboratorio, il modulo per consentire l’uscita degli astronauti, il modulo per gli agganci multipli ed il telescopio Apollo. Per proteggerlo da eventuali micrometeoriti, lo Skylab fu avvolto da uno strato d’alluminio distante 15 centimetri dalle pareti, anch’esse in lastre di alluminio scavate all’interno e spesse 1,9 centimetri. Problemi importanti erano il controllo della posizione ed il rifornimento di energia. Nel primo caso veniva utilizzato un sistema di nove grossi giroscopi elettrici (tre per ogni asse) o in alternativa dei piccoli razzetti posti all’esterno del laboratorio, mentre nel secondo si usavano quattro pannelli solari lunghi 11 metri che fornivano 3,7 kilowatt ed altri due di 9 metri che fornivano altri 3,8 kilowatt. I pannelli erano collegati a delle batterie che accumulavano l’energia per quando la stazione si trovava nella zona d’ombra. Per agevolare gli astronauti quando dovevano stare fermi (operazione non facile in assenza di gravità) i tecnici avevano rivestito il pavimento con una griglia traforata a base triangolare, in cui potevano essere incastrate le scarpe, provviste di una seconda suola a triangolo. Lo Skylab venne utilizzato per studi astronomici sul Sole, per studi medici sull'effetto dell'ambiente spaziale sugli uomini dell'equipaggio, per osservazioni intensive e multispettrali della Terra e per vari esperimenti scientifici e tecnologici, come la crescita di cristalli metallici in assenza di gravità.
Durante il lancio lo schermo antimeteoriti ed i pannelli solari laterali vennero danneggiati, ma il primo equipaggio partito il 25 maggio e composto dagli astronauti Conrad, Kerwin e Weitz riuscì a ripararli velocemente. Al posto dello schermo fu posizionata una sorta di ombrello parasole ed il pannello solare ancora integro fu aperto. Dopo circa quattro settimane, il 22 giugno il primo equipaggio ripartì verso la Terra e fu sostituito circa un mese dopo (il 28 luglio) dal secondo, composto da Bean, Lousma e lo scienziato Garriot, che montò un nuovo telo parasole in sostituzione del vecchio ormai danneggiato. Il25 settembre, dopo otto settimane si concludeva anche la seconda missione, a cui succedette la terza ed ultima il16 novembre, composta da Carr, Pogue e Gibson. Il 3 febbraio ’74 si compì l’ultima passeggiata spaziale per recuperare tutti gli apparecchi ed i campioni esposti al vuoto cosmico e le ultime pellicole del telescopio. L’8 febbraio, dopo 84 giorni in orbita, la più lunga missione spaziale mai compiuta fino a quel momento, anche l’ultimo equipaggio abbandonò lo Skylab.
Con le ultime due missioni, il progetto Skylab ebbe completo successo: vennero impiegate oltre 740 ore in osservazioni solari e vennero raccolte 175.000 immagini del Sole e 64.000 della superficie terrestre. L'11 luglio 1979, durante la sua orbita numero 34.981, lo Skylab precipitò a Terra, spargendo frammenti su un'area scarsamente popolata dell'Australia e sull'oceano Indiano.
Stazioni sovietiche

I sovietici, seppur partiti un po’ in ritardo con la progettazione delle stazioni spaziali, arrivarono primi anche in questo campo, non solo cronologicamente, ma, anche se inizialmente ebbero molti problemi, anche qualitativamente, visto che riuscirono a mandare in orbita ben sette stazioni Salyut e la Mir, quando gli Statunitensi ebbero solamente lo Skylab e per un tempo abbastanza breve. Al contrario dei rivali, i russi non rinviarono molte volte l’approvazione dei progetti ed inoltre ebbero solo due alternative: l’Almaz (“diamante”), militare, e la Salyut (“salute”), civile. Per questioni di segretezza l’unico nome trapelato oltrecortina fu il secondo anche per le stazioni militari.
Così il 19 aprile 1971 venne lanciata la Salyut 1, dal peso di 18,6 tonnellate, lunga 16 metri che arrivavano a 23 con la Soyuz e con un’ampiezza di oltre quattro metri di diametro, il cui scopo principale era il collaudo dei sistemi e delle tecnologie necessarie a garantire lunghe permanenze dell’uomo nello spazio. Essa era formata da tre moduli: un compartimento di aggancio e trasferimento posto anteriormente di forma cilindrica terminante in un tronco di cono, un compartimento di lavoro e soggiorno formato da due cilindri di diametro diverso uniti da una struttura troncoconica ed infine un compartimento motori agganciato in coda, inaccessibile ai cosmonauti e non pressurizzato. Il primo modulo conteneva i pannelli di controllo ambientale e alcune strumentazioni di ricerca, mentre al suo esterno si trovavano due pannelli solari, una telecamera ed un’antenna per il rendez-vous con la Soyuz e più tardi verrà installato un telescopio. Nel secondo c’era un ingombrante cono che conteneva tutte le apparecchiature per osservare all’esterno, gli attrezzi ginnici, i servizi igienici, le scorte di acqua e viveri ed i sistemi di controllo della stazione.
Il 23 aprile fu agganciata dalla Soyuz 10, ma, a causa dei collegamenti elettrici difettosi e di altri gravi problemi, i cosmonauti si dovettero sganciare e tornare a terra senza essere entrati nella stazione. Modificato il sistema di aggancio, il 6 giugno dello stesso anno la Soyuz 11 si agganciò alla Salyut 1, e i tre uomini di equipaggio vi rimasero per la durata record di 24 giorni, durante i quali vennero condotti moltissimi esperimenti sulle risorse del nostro pianeta. Durante il viaggio di ritorno un guasto ad una valvola della Soyuz fece uscire tutta l’aria dalla navicella ed i tre cosmonauti Georgi Dobrovolsky, Vladislav Volkov e Viktor Patsayev (che non indossavano le tute spaziali) vennero trovati senza vita dopo l'atterraggio. Il programma spaziale sovietico subì un lungo ritardo. La Salyut 1 venne fatta precipitare nel Pacifico il 1° ottobre 1971 ed il tentativo della sua sostituzione con un’altra Salyut il 2 luglio ’72 non riuscì.
Nell'aprile del ’73 venne lanciata la nuova Almaz 1/Salyut 2 che, sebbene simile alla precedente, adottava alcuni sistemi diversi, portava in coda il modulo di aggancio spostando i motori a lato dei compartimenti, dai quali uscivano due pannelli solari, e presentava notevoli miglioramenti. Decollata il 3 aprile, il14 andò fuori controllo ed il 28 maggio, dopo essersi spezzata in diverse parti, ricadde a terra disintegrandosi nell’atmosfera. Il successivo tentativo di sostituzione con una Salyut di concezione civile fallì nuovamente l’11 maggio, a pochi giorni dalla partenza del primo equipaggio dello Skylab americano.
Il programma sovietico proseguì con la Almaz 2/ Salyut 3, lanciata il 24 giugno 1974. Simile ad Almaz 1, erano stati introdotti anche questa volta notevoli miglioramenti, come i pannelli solari non più fissi, ma in grado di ruotare di 180° così da poter seguire l’astro durante l’orbita ed altri aspetti innovativi per migliorare la vita a bordo e le comunicazioni con la base a terra. Il primo ed unico equipaggio, partito il 3 luglio, doveva riprendere alcuni particolari siti militari oltre che collaudare la stazione. Dopo 16 giorni, il 19 luglio rientrarono a terra. Progettata per rimanere attiva tre mesi, rimase in orbita per ben7, rientrando nell’atmosfera e disintegrandosi il 24 gennaio 1975.
Il 26 dicembre ’74, intanto, partiva la nuova stazione civile Salyut 4, uguale alla Salyut 1 nelle strutture, ma con i sistemi della stazione fallita l’anno precedente e con molti miglioramenti collaudati sulla Almaz 2. Furono cambiati nuovamente i pannelli solari, installandone tre con superficie maggiore dei precedenti e ruotanti di 340° sulla sezione più piccola del corpo centrale. Il 12 gennaio ’75 arrivò il primo equipaggio di due cosmonauti, che si dedicarono soprattutto alle osservazioni astronomiche. Dopo 30 giorni, il 9 febbraio essi tornarono a terra. La missione del secondo equipaggio partito il 5 aprile fallì, mentre andò a buon fine quella del terzo, partito il 26 maggio e rientrato il 26 luglio, dopo una permanenza record di 63 giorni. La Salyut 4 ospitò ancora un ultimo equipaggio sempre per 63 giorni. La stazione concluse la sua vita estremamente positiva nel febbraio 1977.
Il 22 giugno ’76 venne lanciata l’ultima stazione militare Almaz 3/ Salyut 5, quasi del tutto simile ad Almaz 2 tranne per un nuovo sistema sferico di aggancio multiplo e dei miglioramenti all’interno per una maggiore sicurezza per gli occupanti. La sua missione si concluderà l’8 agosto 1977.
Con la Salyut 6 (29 settembre ‘77–29 luglio ‘82) si aprì la seconda generazione delle stazioni spaziali sovietiche. Sebbene simile per forma e dimensioni alle precedenti, era del tutto diversa nei sistemi e negli strumenti, come il secondo modulo di aggancio, che permetteva quindi l’attracco della navicella automatica Progress per i rifornimenti, che rendevano così possibili le missioni di lunga durata. Dal dicembre ’77 al maggio ’81 la Salyut 6 ospitò ben 33 astronauti, dieci dei quali, a coppie, furono protagonisti di cinque missioni di lunga durata variabili dai 75 ai 185 giorni, ed inoltre inaugurò le visite di ospiti stranieri. Il bilancio di questa stazione fu estremamente positivo, sia dal punto di vista delle ricerche e degli esperimenti scientifici effettuati a bordo, sia dal punto di vista tecnologico e della progettazione, poiché non si verificarono gravi guasti.
La Salyut 7 (19 aprile ’82-7 febbraio ‘91) fu l’ultima stazione della famiglia. Anch’essa ospitò numerosi cosmonauti, stabilendo nuovi record di permanenza nel cosmo (con i 237 giorni di Leonid Kizim, Vladimir Solovyov e Oleg Atkov nell’84) ed ospitando la seconda donna nello spazio, però ebbe qualche problema in più rispetto alla precedente, anche se si può dire che i risultati furono comunque molto positivi. Fu abitata fino al 25 giugno ’86.
L’esperienza delle stazioni spaziali sovietiche si concluse con la Mir, che venne lanciata il 19 febbraio ‘86 quando era ancora in funzione la Salyut 7. Descritta dai sovietici come il nucleo centrale della prima stazione spaziale abitata permanentemente, aveva sei portelloni di aggancio con cinque laboratori specializzati e poteva ospitare permanentemente due cosmonauti fino ad un massimo di sei, dunque veniva abitata senza intervalli rimanendo sempre in funzione. Al suo interno era scomparso l’ingombrante cono con gli strumenti e tutti i sistemi erano stati rimodernati e migliorati. Dopo i primi equipaggi sovietici, dal ’93 anche i primi 7 astronauti americani e 2 europei iniziarono ad abitare la stazione. Nel ’91 iniziarono a verificarsi i primi incidenti “fisiologici”, ma dal ’95, probabilmente a causa dell’utilizzo molto più lungo del previsto, emersero dei guasti molto seri, come un incendio, lo scontro con la sonda automatica Progress appena sganciata dalla stazione e l’avaria dei computer. Ma fu proprio a bordo della Mir che si ottennero i maggiori record, a partire dal numero di visitatori, ben 120, passando per la lunga vita della stazione, per finire con la nuova permanenza più lunga: 437 giorni nello spazio da parte del medico Valerij Poliakov. Infine, il rientro a terra dell’ultima stazione avvenne nel 2000.
Stazione spaziale internazionale
La fine della guerra fredda nel ’90, come abbiamo visto portò i primi astronauti statunitensi ed europei a bordo della Mir ed inaugurò anche un nuovo periodo di collaborazione tra le maggiori agenzie spaziali internazionali. La NASA, l’ESA, le agenzie spaziali russa, canadese, giapponese e brasiliana stanno infatti attualmente progettando e lanciando in orbita una stazione spaziale permanente chiamata Alpha, che dovrebbe essere completata nel corso di quest’anno, sfruttando le enormi conoscenze che i Russi hanno accumulato in questo campo in oltre trent’anni di esperienze.
Nietzsche in “2001: Odissea nello spazio”
Come dal cinema di fantascienza si passa alla filosofia
Come buon collegamento agli argomenti dell’esplorazione spaziale e della competizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica per la conquista dello spazio che avevo intenzione di trattare nella mia tesina, avevo deciso di presentare brevemente “2001: Odissea nello spazio”, la pellicola forse più famosa di Stanley Kubrick. Questa decisione seguiva anche la speranza, suggeritami dal titolo del film, nelle possibilità delle esperienze umane future in questo campo, speranza che avrebbe potuto concludere la mia tesina con uno sguardo per così dire sognatore sull’avvenire. Però dovevo ancora visionare la pellicola e non avevo la minima idea che, invece di farmi finire velocemente il lavoro, me lo avrebbe allungato. Già dopo i primi minuti, infatti, avevo capito che di fantascienza in “2001” ce n’era ben poca, eccetto l’astronave e l’ambientazione nel futuro, e che quindi avrei dovuto cercare il suo significato più profondo da qualche altra parte. Questo significato mi è rimasto oscuro finché non ho letto due recensioni che basavano le loro analisi su Nietzsche ed il suo Oltreuomo (Übermensch).
“Le drammatiche inquadrature dell’alba dell’uomo unite alla sinfonia di Strauss “Così parlò Zarathustra”: da un lato l’evoluzione della specie, dall’altro un tono profetico che accenna al mito del Superuomo. Come la vita si è evoluta dal più semplice al più complesso […] e poi si è evoluta la cultura umana […] è possibile che l’evoluzione porti oltre l’uomo, a qualcosa di più complesso e superiore?”23. Già queste prime parole hanno illuminato la vera essenza di “2001”: pur non essendo un’illustrazione della visione di Nietzsche, il film si basa su di essa e ne prolunga l’eco.
Prima di continuare bisogna però fare qualche accenno dell’idea che Nietzsche ha di Übermensch. L’Oltreuomo è colui in grado di accettare totalmente la vita e di esaltarla, cioè di operare una trasvalutazione dei valori su cui essa è fondata, abbandonando quelli basati sulla rinuncia, che mortificano l’energia vitale e impoveriscono la vita abbassando l’uomo sotto di sé, e accogliendo invece le passioni che dicono sì al vivere e al mondo, cioè gli istinti rovesciati nell’evoluzione umana (forza, salute, bellezza, gioia, amore sessuale, inimicizia e guerra). L’Oltreuomo è colui il quale riesce anche a reggere la morte di Dio seguita alla trasvalutazione dei valori (Dio che è “inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell’aldiqua, di ogni menzogna dell’aldilà.”24) ed è quindi in grado di guardare in faccia al reale al di là delle illusioni metafisiche. Egli è colui che riesce a superare il nichilismo (la cessazione della credenza nei “valori supremi”) ed il conseguente sgomento del vuoto e del nulla che gli si parano davanti dando un senso al caos del mondo. L’Oltreuomo è colui che riesce a collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno dell’uguale (di tutte le vicende del mondo) grazie alla sua accettazione totale della vita che gli fa desiderare nient’altro “che questa ultima eterna sanzione, questo suggello”.25 Infine il Superuomo riesce a porsi come volontà di potenza, che si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi, e con la spinta all’autoaffermazione e alla crescita. Essendo la vita oltrepassamento di sé, essa è anche autocreazione: l’Oltreuomo quindi si autocrea e riesce a superare anche il macigno dell’eterno ritorno, trasformando ogni “così fu” prima in un “così volli che fosse“ e poi in un “così voglio. Così vorrò”.26 “Imprimere al divenire il carattere dell’essere - è questa la suprema volontà di potenza”.27
Anche se Stanley Kubrick afferma che “ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico ed allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”28, sembra quasi impossibile staccare l’interpretazione di “2001: Odissea nello spazio” da Nietzsche, perché così sembra cadere il significato del film.
Il film si divide in quattro parti, che corrispondono alle quattro tappe decisive dell’evoluzione dell’uomo. Nella prima troviamo la scimmia con i propri istinti primordiali che si accosta con rispetto al monolite nero e che poi scopre poco a poco l’uso dell’osso come arma, primo passo di un dominio tecnico sul mondo. L’apparizione del monolite, come le tre successive, segna un passaggio: ad ogni sua presenza si riscontra una trasformazione nell’uomo, ed è per questo che esso è stato visto anche come una forza superiore divina o aliena. Ma la sua presenza costante può essere paragonata anche ad una memoria universale, ad un codice genetico, ad un progetto cosmico, ad un DNA presente nell’universo e nell’uomo che indica la nascita e la morte ed il loro eterno susseguirsi.
L’osso usato come arma viene lanciato in aria dalla scimmia e si trasforma in astronave, quasi a sottolineare che quel passaggio evolutivo è stato il primo anello di una catena che ha portato l’uomo a dominare l’universo attraverso l’intelligenza e la tecnologia. Intelligenza e tecnologia che hanno permesso di creare il supercervello elettronico Hal 9000, unico controllore dell’astronave e unico depositario del vero scopo della missione spaziale partita dopo che il monolite nero è stato ritrovato sulla Luna, sconvolgendo tutta l’apparente sicurezza dell’uomo e mostrando come il mondo di “2001” fosse ormai pronto a morire e maturo per la distruzione per poi rinascere. Ma la stessa intelligenza che si è incarnata in Hal ora non basta più, perché il computer, diventato troppo umano, si ribella alla propria missione, in preda all’angoscia ed alla paura di morire, e seguendo soltanto la sua logica di salvezza in realtà si pone al di sopra di tutto, anche a costo di distruggere la vita umana. Ed ecco che Bowman (l’unico uomo superstite) deve nuovamente uccidere per sopravvivere e per evolversi, come avevano fatto prima di lui le scimmie che, eliminando l’avversario, erano diventate delle oltre-scimmie trasformandosi in uomini29 e come aveva fatto anche Hal. Il film sembra dire quindi che ogni progresso della specie è legato alla soddisfazione degli istinti, all’accettazione totale della vita30: “l’uomo supera lo stadio animale con la tecnologia e raggiunge lo stadio del superuomo liberandosi di questa stessa tecnologia e recuperando la forza e il calore degli istinti e delle emozioni”.31 I passaggi evolutivi, infatti, “non avvengono in modo lineare, ma richiedono momenti di crisi in cui bisogna fare i conti con tutto il nostro passato e la nostra storia”.32 Questo fatto è sottolineato dalla regressione di Hal quando subisce quella specie di lobotomia: lo svuotamento del cervello e della memoria causa un ritorno alla sua infanzia e ai suoi primordi, che simboleggiano l’infanzia ed i primordi dell’umanità.
Nell’ultima parte, dopo il tuffo “oltre l’infinito”, Bowman appare invecchiato e si trova in una stanza dove passato, presente e futuro convivono. Egli incontra un vecchio vegliardo morente, che altro non è che se stesso, che gli indica ancora il monolite nero, il quale prelude alla nascita di un altro uomo, l’Oltreuomo, simboleggiato dal feto luminoso con i grandi occhi stupiti.33 È l’uomo che muore alla sua vecchia esistenza e contemporaneamente nasce ad una nuova.
2001: A Space Odyssey
summary, comment and connections
2001: A Space Odyssey is a very strange film. We hear the first words only after 20 minutes from the beginning, 20 minutes in which the “Dawn of man” is represented. There are monkeys, the ancestors of men, who fight for water, rest, discover the black monolith and use a bone as an arm to kill their rivals.
The bone thrown in the sky by a monkey turns into a space-ship flying to the moon, where the black monolith is found again. This object produces a big radio-signal to Jupiter, so an expedition (the Discovery 1) is sent to it. The crew consists of 5 men (three of which are hibernated) and a computer, Hal 9000, that “can reproduce a very big part of human brain’s activities, with speed and certainty much more bigger. No Hal has ever committed any error or changed any information: they are error-proof.” But this time Hal commits its first error, so the crew decides to disconnect it. Hal decides then to kill all the men to continue the mission alone, but David, the only one still alive, succeeds to disconnect it, while the computer prays him not to do it: “Stop. Stop, please. Stop, David. Do you want to stop, David? Stop, David. I’m scared. I’m scared, David. My mind goes away. I feel it. I feel it. My mind fades. There’s no doubt. I feel it. I feel it. I’m scared. Good morning gentlemen, I’m a calculator Hal 9000. […] My teacher taught me even to sing an old nursery rhyme. […] I can sing it.” While it’s singing its voice goes out slowly and David at last discovers the real aim of the mission.
Once arrived near Jupiter David sees the black monolith again and he seems to do a voyage to another dimension. There he finds himself growing older and older, he also finds the black monolith for the fourth time and then he sees himself as a new-born child.

The first time I have seen this film I didn’t enjoy it very much because of the lack of any action and because of the speeches. In this film, in fact, there are extremely long pauses in the dialogues, quite flat, without any emotion. But after reading two reviews about it and seeing the film again, I have understood the inner meaning of “2001: A Space Odyssey”: the need of a spiritual evolution for mankind and of a continuous process of knowledge together with the awareness of some sort of rebirth including different dimensions (past, present and future), out of which a new man is born. And now I think it’s a great film.
The scene I have enjoyed more is when David disconnects Hal, when the computer says its monologue, prays the man in a flat voice not to do it. Though the voice alone doesn’t give any emotion, doesn’t have any tone (it can’t in fact, because Hal is only a calculator even if it has humane mental faculties), one can feel the desperation in its words, feel the obscuring of its mind, hear the consciousness of death in its speech at first and then in the going out slowly of the singing. It’s because of this reason, because of this sadness that I have liked this scene, and even because of the fear and the regret of David when he was disconnecting Hal, because he was conscious he was killing someone.

I have decided to see “2001: A Space Odyssey” because it is taken from the homonymous novel by Arthur C. Clarke and because the same author collaborated to the script of the film. Clarke is an English writer and scientist, who wrote much about the space, about its conquest and about the possibility of man to inhabit it in space-stations. So Clarke is to be considered as one of the major pioneers of the space-adventure and it is because of this reason that I decided to talk about this film.
Bibliografia
per quanto riguarda la parte storica:
• Luigi Bonanate, “Il sistema dei rapporti internazionali” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993);
• Luigi Bonanate, “Le forme della guerra: dalle armi convenzionali all’equilibrio del terrore” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993);
• Ennio Di Nolfo, “La guerra fredda” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993);
• A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, “Profili Storici” vol.3, Editori Laterza;
per quanto riguarda la conquista dello spazio:
• Giovanni Caprara, “Abitare lo spazio”, Mondadori, 1998;
• Piero Bianucci, “La conquista della Luna”, (da “XX Secolo”, storia e dossier 140, Giunti);
• Gedea Astronomia, Enciclopedia “L’Universo”, Istituto Geografico de Agostini, 1998;
per quanto riguarda il film “2001: Odissea nello spazio”:
• Michel Ciment, “2001”, da Cineforum Trento anno sociale 2001-2002;
• M. Calanca e G. Montesanto, “2001: Odissea nello spazio”, da sito Internet www.geosophia.it/cinemavvenire/film, 2000;
per quanto riguarda Nietzsche:
• N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia;
per quanto riguarda ogni punto:
• Microsoft, Enciclopedia “Encarta ‘98”, Microsoft, 1997.
Indice
LA GUERRA FREDDA
- Introduzione
- L’inizio della crisi
- Motivi della divisione e cause del conflitto
- Tesi ortodossa e tesi revisionista
- La nascita dell’ONU
- La questione tedesca e la crisi di Berlino
- La dottrina Truman del containment
- Il piano Marshall
- Le democrazie popolari
- La guerra di Corea
- La politica del riarmo e l’equilibrio del terrore
- La conferenza di Bandung ed i paesi non allineati
- Kennedy e Kruscev
- La crisi dei missili di Cuba
- La guerra del Vietnam
- Trattati sulla riduzione degli armamenti
- Breznev
- Da Nixon a Bush
- Gorbaciov e le ultime fasi della guerra fredda
- Conclusione
LA CONQUISTA DELLO SPAZIO
- Introduzione
- Storia: i precedenti
- La propulsione a razzo
- Il rientro a terra
- In orbita attorno alla Terra
- Programmi spaziali senza equipaggio
- Primi satelliti artificiali
- Missioni lunari senza equipaggio
- Studio dei pianeti
- Programmi Vostok e Mercury
- Programmi Voskod e Gemini
- Programmi Soyuz e Apollo
- Apollo 11: l’uomo sbarca sulla Luna
- Apollo 12
- Apollo 13
- Apollo 14 e 15
- Apollo 16 e 17
- Stazioni americane
- Stazioni sovietiche
- Stazione spaziale internazionale
NIETZSCHE IN “2001: ODISSEA NELLO SPAZIO”
- Come dal cinema di fantascienza si passa alla filosofia
“2001: A SPACE ODYSSEY”
- Summary, comment and connections
BIBLIOGRAFIA
- Bibliografia
1 W. Churchill, La seconda guerra mondiale, vol. XI, L’onda della vittoria, in A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Profili storici, vol. III, Editori Laterza
2 Patto nazi-sovietico del 23 agosto 1939 che prevedeva la non aggressione tra i due Paesi e il riconoscimento all’URSS delle sue aspirazioni territoriali negli Stati baltici, in Romania e in Polonia.
3 A. Gambino, Le conseguenze della seconda guerra mondiale. L’Europa da Yalta a Praga, in A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Profili storici, vol. III, Editori Laterza
4 ibid.
5 Ennio Di Nolfo, “La guerra fredda” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993)
6 ibid.
7 documento in otto punti (che ricalcava in parte i 14 punti di Wilson) nel quale veniva ribadita la condanna ai regimi fascisti e si fissavano le linee di un nuovo ordine democratico postbellico.
8 espressione usata da Churchill in un discorso del marzo 1946 per denominare la linea invisibile che, partendo dal Baltico, arrivava fino all’Adriatico tagliando in due l’Europa secondo i due opposti schieramenti politico-ideologici.
9 ibid.
10 D. Yergin, La pace in frantumi, in E. Aga Rossi, Gli Stati Uniti e l’origine della guerra fredda, in A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Profili storici, vol. III, Editori Laterza
11 Ennio Di Nolfo, “La guerra fredda” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993)
12 I due principi fondamentali della dottrina negavano alle potenze del Vecchio Mondo il diritto di procedere oltre nella colonizzazione delle Americhe o di interferire nelle vicende interne delle nuove repubbliche latino-americane, sorte in seguito all'emancipazione delle ex colonie spagnole, specificando nel contempo il disinteresse americano ad avere parte nelle vicende europee. Implicitamente, si riservava ai soli Stati Uniti il diritto di popolare i territori nordamericani ancora inesplorati.
13 Luigi Bonanate, “Le forme della guerra: dalle armi convenzionali all’equilibrio del terrore” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993).
14 Luigi Bonanate, “Il sistema dei rapporti internazionali” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993).
15 Tentativo francese ed inglese di impossessarsi della zona del canale di Suez con l’aiuto di Israele, che aveva attaccato l’Egitto penetrando in profondità nel Sinai.
16 Efficace campagna giornalistica che accusò Nixon di aver coperto i comportamenti illegali di alcuni suoi collaboratori responsabili di un’operazione di spionaggio ai danni del partito democratico.
17 Luigi Bonanate, “Il sistema dei rapporti internazionali” (da “La Storia” vol.4, Garzanti, 1993).
18 K. E. Tsiolkovsky, Exploring Universal Expanses with Jet Instruments, in Giovanni Caprara, “Abitare lo spazio”, Mondadori, 1998;
19 Ingegnere statunitense di origine tedesca, noto per aver progettato il razzo a combustibile liquido. Si laureò in fisica all’università di Berlino nel 1934 e dal 1937 al 1945 diresse il centro di ricerche sui razzi di Peenemünde, sul mar Baltico, con l’incarico di mettere a punto il V-2, un razzo a lunga gittata e combustibile liquido. Nel 1945 si stabilì negli Stati Uniti dove partecipò, come consulente tecnico, al programma spaziale che si svolgeva a White Sands, nel Nuovo Messico. Nel 1950 si trasferì a Huntsville, in Alabama, dove diresse per dieci anni il programma missilistico Redstone. Ottenne la cittadinanza americana nel 1955 e nel 1960 divenne direttore delle operazioni di sviluppo del George C. Marshall Space Flight Center (NASA) di Huntsville. Fu responsabile della progettazione del missile Saturno V usato, insieme alla navicella spaziale Apollo, nel programma di sbarco dell’uomo sulla Luna.
20 Orbita in cui il satellite ruota intorno alla Terra nello stesso senso di rotazione di questa, compiendo un giro in 24 ore in sincronismo con la rotazione della Terra stessa;
21 Il meteoroide è un corpo solido, orbitante intorno al Sole, che può entrare nell'atmosfera di un pianeta dando luogo a fenomeni come le meteore o le stelle cadenti. La maggior parte dei meteoroidi ha le dimensioni di grani di polvere, ma i più grandi hanno massa di migliaia di tonnellate.
22 J. F. Kennedy nel discorso tenuto al Congresso il 25 maggio ’61.
23 M. Calanca e G. Montesanto, “2001: Odissea nello spazio”, da sito Internet www.geosophia.it/cinemavvenire/film, 2000;
24 F. Nietzsche, L’Anticristo, in N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia;
25 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia;
26 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia;
27 Nietzsche, Frammenti Postumi 1885-1887, in N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia;
28 M. Calanca e G. Montesanto, “2001: Odissea nello spazio”, da sito Internet www.geosophia.it/cinemavvenire/film, 2000;
29 “Che cos’è la scimmia per l’uomo? Una derisione o una vergogna dolorosa. Ed è ciò che l’uomo deve essere per il superuomo: una derisione o una vergogna dolorosa” (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Michel Ciment, “2001”, da Cineforum Trento anno sociale 2001-2002);
30 “Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. […] La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi! Staccagli il capo!…” il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva. Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!” (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia);
31 M. Calanca e G. Montesanto, “2001: Odissea nello spazio”, da sito Internet www.geosophia.it/cinemavvenire/film, 2000;
32 ibid.
33 “Non più pastore, non più uomo – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva”. (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in N. Abbagnano, G. Fornero, “Fare filosofia”, Paravia).
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  1. cristina

    guerra fredda collegamento con francese esame di terza media