Voltaire

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Categoria:Letteratura

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Testo

Voltaire
Vita e opere:
Educato dai gesuiti, François-Marie Arouet - che nel 1718 assume il cognome di Voltaire, compone la sua prima tragedia a dodici anni. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza su pressione del padre, ma i suoi veri interessi sono di tipo letterario. Nel 1717 viene imprigionato alla Bastiglia per undici mesi a causa di una satira contro il reggente, della quale però probabilmente non è nemmeno l’autore. L’anno dopo ottiene un grande successo con la sua tragedia Oedipe, messa in scena dalla Comédie Française.
La pubblicazione dell’Henriade, poema epico ispirato alla figura di Enrico IV, consolida la sua notorietà.
In questo periodo Voltaire frequenta i salotti parigini e l’ambiente teatrale, intrecciando varie relazioni amorose con nobildonne e attrici. Il suo spirito ribelle, combinato a una vena satirica graffiante, gli costa una celebre bastonatura infertagli dai servitori del cavaliere di Rohan (con il quale ha avuto un diverbio particolarmente acceso), nonché un secondo breve soggiorno alla Bastiglia seguito da un esilio volontario da Parigi.
La meta prescelta da Voltaire è l’Inghilterra, dove egli risiede per più di due anni, subendo l’influenza della filosofia di Bacon, Locke e Newton, perfezionando il suo inglese e frequentando personaggi quali Pope, Swift e Robert Walpole. Tornato a Parigi, pubblica le sue Lettres anglaises (o Lettres philosophiques), in cui elogia diversi aspetti della vita inglese e propone alcune riforme nella società francese.
La reazione delle autorità giudiziarie non tarda a farsi sentire: il parlamento ordina la messa al rogo delle Lettres. Voltaire è costretto a rifugiarsi a Cirey nel castello di Madame de Châtelet (sua amante), nel quale allestisce un gabinetto di ricerca chimica e fisica.
I dieci anni passati a Cirey sono intramezzati da diversi viaggi, in particolare nei Paesi Bassi e in Prussia. Sul fronte scientifico, Voltaire lavora sugli Eléments de la philosophie de Newton, tramite i quali diffonde il pensiero newtoniano in Francia, guadagnandosi la nomina alla Royal Society britannica. Sotto la protezione di Madame de Pompadour, nel 1745 Voltaire è designato storiografo del re e pubblica la prima parte del suo Essai sur les moeurs (completato nove anni dopo), uno studio sul progresso umano in cui Voltaire esprime il suo deismo e attacca il potere del clero.
Dopo la morte di Madame de Châtelet, Voltaire accetta l’invito di Federico II, re di Prussia, di recarsi a Potsdam in veste di ciambellano. Per un certo periodo Voltaire pensa di scorgere in Federico II il suo ideale di dispotismo illuminato. Tuttavia, la relazione con il re prussiano si guasta (anche in seguito a una disputa con l’accademico Maupertuis) e dopo tre anni Voltaire lascia Potsdam alla volta di Ginevra senza avere realizzato il suo obiettivo di alleanza tra la monarchia e la comunità dei philosophes.
La notizia del terribile terremoto di Lisbona lo induce a polemizzare con il concetto leibniziano del "migliore dei mondi possibili".
Il principale esito letterario della riflessione di Voltaire sull’infondatezza dell’ottimismo cosmico è Candide, che insieme a Zadig ou La Destinée è il suo racconto filosofico più noto. Nel rifiutare la tesi di Leibniz, Voltaire si distanzia anche dal pessimismo metafisico di Pascal: le due posizioni opposte hanno in comune la rinuncia a considerare l’uomo come artefice del proprio progresso.
L’ultimo ventennio di vita di Voltaire vede un’intensificazione del suo impegno politico contro l’arbitrarietà della giustizia francese. La sua dimora di Ferney, situata ai confini con la Svizzera per facilitare una sua eventuale fuga, diventa un asilo per diverse vittime di persecuzioni giuridiche, per lo più motivate da questioni religiose. Voltaire partecipa alla querelle ginevrina sui teatri, allineandosi con la posizione sostenuta da D’Alembert nel suo articolo su Ginevra e auspicando la formazione di un "partito filosofico" in combutta col potere monarchico. In questo periodo, Voltaire pubblica alcuni dei suoi saggi più significativi, tra cui l’imponente Dictionnaire philosophique, in cui balza in primo piano l’ideale tipicamente illuminista della tolleranza. La collaborazione con i fratelli Cramer, i suoi editori ginevrini, gli garantisce una certa libertà d’espressione, sebbene Voltaire sia spesso costretto a negare la paternità delle sue opere. D’altra parte, l’agiatezza a cui è pervenuto grazie a una serie di investimenti accorti gli consente di vivere senza assilli economici.
All’età di 83 anni, Voltaire viene ricevuto con grandi onori a Parigi, dove viene rappresentata la sua ultima tragedia, l’Irène. Due mesi dopo muore, rifiutando i conforti religiosi.
L’antidogmatismo di Voltaire:
Fin dalle sue prime opere letterarie, Voltaire dimostra una profonda insofferenza nei confronti di ogni forma di prevaricazione intellettuale o sociale. Uno dei bersagli principali delle invettive di Voltaire è il fanatismo religioso, foriero di inutili spargimenti di sangue e nemico della libertà di pensiero.
Nell’Henriade, Voltaire sostiene che i delitti più atroci sono sempre stati commessi in nome della fede religiosa: questo tema sarà una costante di gran parte dei suoi lavori successivi.
L’avversione dimostrata da Voltaire nei confronti del fanatismo religioso (al quale contrappone una religione naturale basata sulla ragione) riflette il suo più generale atteggiamento antidogmatico. Tale atteggiamento viene accentuato in occasione del suo esilio in Inghilterra, durante il quale Voltaire viene a contatto con l’empirismo inglese grazie alla lettura delle opere di Newton e di Locke, per i quali nutre una grande ammirazione.
Ciò che lo colpisce di questi autori è l’accento che essi pongono sul metodo sperimentale e sul predominio dei sensi rispetto a qualsiasi costruzione intellettuale astratta. Secondo Voltaire, la libertà di ricerca è ciò che garantisce il progresso dell’intelletto umano e, di conseguenza, il raggiungimento per l’uomo di migliori condizioni sulla terra.
Qualunque metafisica che, con i suoi assiomi, intralci tale progresso è perciò vista come un pregiudizio da debellare con l’esercizio della critica. "Ecrasons l’infâme" è il motto ricorrente con cui Voltaire annuncia la sua offensiva contro i nemici della ragione e della libertà di pensiero.
La fiducia nel metodo sperimentale (che emerge soprattutto negli Eléments de la philosophie de Newton) si accompagna al rifiuto del razionalismo cartesiano, e in particolare della tesi dell’innatismo, la quale non si concilia con la nozione dell’origine sensoriale delle idee e ostacola la laicizzazione della cultura. Anche il concetto di Dio ha il suo fondamento nell’azione combinata di percezione e ragione: di fronte alla constatazione della complessità del mondo, quale ci giunge ai sensi, è ragionevole credere all’esistenza di un artefice supremo.
In ciò risiede, secondo Voltaire, la base universalmente condivisa di una religione naturale libera da ogni superstizione locale.
Religione naturale e religioni positive:
Sebbene in alcune occasioni si dichiari cristiano - probabilmente per schivare le accuse di empietà che gli vengono rivolte dagli ambienti ecclesiastici Voltaire non aderisce ai dogmi della religione positiva. La sua conoscenza di tradizioni religiose diverse dalla propria gli impedisce infatti di assolutizzare le costrizioni imposte dalle religioni confessionali. Queste ultime gli appaiono basate su superstizioni locali, generatrici di dispute metafisiche, di sterili sofismi e di persecuzioni violente.
Le affermazioni antigiudaiche di Voltaire, che risultano fastidiose a un lettore contemporaneo, vanno inquadrate nel contesto di tale rifiuto delle religioni rivelate.
Perfino le Sacre Scritture non sono esenti da critiche: Voltaire si diverte a leggere la Bibbia e i Vangeli alla luce della fisica newtoniana e del senso comune, per individuarne le assurdità e le contraddizioni.
Le sciocchezze riscontrate nel corpus di credenze proprio di qualsiasi religione positiva urtano contro l’uso della ragione.
Voltaire arriva a negare il valore della metafisica, sostenendo che l’ignoranza umana circa la volontà divina rende inutile ogni dibattito teologico. Tanto più che simili dibattiti finiscono per dividere gli uomini, anziché unirli verso l’obiettivo comune della convivenza pacifica e del rispetto reciproco.
Nel suo Traité de métaphysique (pubblicato postumo), Voltaire contrappone le religioni positive a una religione universale, indotta contemporaneamente dall’istinto e dalla ragione. La religione naturale ha il merito di insegnare "il massimo di morale e il minimo di dogmi". Il deismo di Voltaire emerge ripetutamente nei suoi scritti e si traduce nella credenza in un "Dio remuneratore e vendicatore" che non chiede altro ai suoi sudditi se non il rispetto di una morale naturale. Quest’ultima costituisce il nucleo etico comune che ciascuna religione avvolge in una moltitudine di prescrizioni particolari.
La fede in Dio esercita un importante ruolo di controllo sociale, in quanto il timore della punizione divina funge da freno morale contro i delitti segreti che sfuggono alla giustizia degli uomini: "se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo". E’ per questo motivo che Voltaire rifugge dalle tentazioni dell’ateismo, distanziandosi con ciò dal meccanicismo biologico. Certo, rispetto all’ateismo il fanatismo è un male peggiore: "l’ateismo non serve da freno ai delitti, ma il fanatismo spinge a commetterli" (Dictionnaire philosophique). Tuttavia, in una società ben ordinata è auspicabile la diffusione di un profondo senso religioso quale si trova, ad esempio, presso alcune civiltà orientali (che Voltaire spesso idealizza).
Opportunismo politico e impegno civile:
Anche in materia di fede religiosa, Voltaire non perde d’occhio la questione dell’utilità sociale delle istituzioni. Lungi dall’abbracciare le visioni utopistiche proposte da alcuni suoi contemporanei come Rousseau o Montesquieu, Voltaire è un pragmatico e un opportunista. I suoi sforzi per il miglioramento della condizione umana tengono conto della concreta situazione sociale nella quale egli si trova ad agire. Moderato e conservatore, Voltaire non combatte per un ribaltamento dell’assetto politico, ma lavora incessantemente per ottenere delle riforme locali e per correggere gli abusi più evidenti cui gli capita di assistere.
Il suo impegno civile emerge in alcune occasioni specifiche, quando Voltaire si espone in prima persona in difesa di personaggi immeritatamente perseguitati. Tra questi, spicca il caso di Jean Calas, il protestante di Tolosa che nel 1762 viene ingiustamente accusato di avere ucciso il figlio, e perciò torturato e ucciso dalle autorità giudiziarie.
Di fronte a tale evidente sopruso, Voltaire combatte per la riabilitazione di Jean Calas e per la liberazione della sua famiglia, ottenendo una revisione della sentenza. Sulla scia di questo episodio, Voltaire pubblica il suo Traité sur la tolérance, in cui accusa gli "assassini in toga nera" di fanatismo e individua le radici dell’intolleranza nelle religioni monoteistiche della società occidentale.
Altre battaglie civili intraprese da Voltaire riguardano la separazione del potere giudiziario da quello politico, l’introduzione del divorzio, l’abolizione della tortura (Voltaire pubblica un Commentaire sur le livre des délits et des peines, ispirato all’opera di Beccaria), il diritto al segreto della corrispondenza, il liberismo economico, la redistribuzione delle tasse, la riforma degli ospedali e, naturalmente, la libertà di fede e di espressione.
Per Voltaire, libertà non significa eguaglianza, bensì "potere di agire". In un idilliaco stato naturale quale l’Eldorado rappresentato nelle pagine del Candide, può forse vigere la perfetta democrazia. Ma l’ineguaglianza sociale è costitutiva della condizione umana, almeno fino a quando vi sarà carenza di risorse e necessità di asservimento del povero al ricco.
Voltaire è inoltre consapevole del fatto che ciò che funziona all’interno di un contesto sociale non è necessariamente applicabile a contesti diversi. Così, una vaga approssimazione di eguaglianza democratica può essere raggiunta nei piccoli stati come Ginevra o San Marino, ma non in Francia. Pur elogiando il regime politico britannico nelle sue Lettres philosophiques, Voltaire si guarda bene dal proporre di sostituire il costituzionalismo all’inglese al modello monarchico francese. C’è da supporre che la sua cautela sia in parte attribuibile a questioni di opportunismo politico (Voltaire è maestro nell’arte di ingraziarsi i potenti), ma la riluttanza ad abbandonare il sistema assolutistico riflette altresì la sua fiducia nel potere consensuale generato da un’autorità centrale illuminata. A quest’ultima Voltaire chiede di farsi carico delle riforme sociali per le quali combatte, prima fra tutte il ridimensionamento del potere dei parlamenti. Va aggiunto che, nella Francia settecentesca, questi corpi intermedi svolgono una funzione prevalentemente giudiziaria e, lungi dal garantire l’equità legislativa, esprimono l’ideologia conservatrice dell’aristocrazia e del clero.
Voltaire drammaturgo:
Anche a teatro Voltaire si premura di educare il pubblico ai principî cari all’illuminismo: in Alzire è centrale il tema della tolleranza, Mérope tocca il problema della corruzione dei sacerdoti, mentre l’attacco al fanatismo viene ripreso in Mahomet.
Tuttavia, se nell’ambito di altri generi letterari egli esibisce uno stile sottilmente dissacratore, nelle sue opere teatrali Voltaire non si discosta troppo dai precetti del classicismo.
Riguardoso verso le aspettative del suo pubblico, Voltaire è autore di qualche commedia (tra cui l’Enfant prodigue e l’Ecossaise), ma soprattutto di diverse tragedie dallo stile altisonante che conquistano un grande consenso presso i suoi contemporanei. Il suo interesse per il teatro lo induce a seguire con cura l’allestimento delle sue opere, scegliendo per esse i migliori attori che il teatro francese può offrire.
Voltaire prende attivamente parte al dibattito sulla presunta immoralità del teatro difendendo questa istituzione in alcuni suoi scritti. Nel 1730 compone un poema in cui esprime la sua indignazione per la mancata sepoltura in terra consacrata della grande attrice Adriana Lecouvreur. Quasi trent’anni dopo, Voltaire entra in aperto conflitto con Rousseau a proposito del dibattito sul teatro a Ginevra: amante dichiarato del lusso (come emerge dal poemetto Mondain), oltre che propugnatore del principio della tolleranza, Voltaire non può certo condividere il moralismo dei detrattori del teatro. La polemica con Rousseau sfocia nella stesura delle Idées républicaines e dei Sentiments des citoyens.
Voltaire storico:
Voltaire è considerato un precursore dell’odierna storiografia. Sebbene lo studio della storia sia sempre al servizio delle tesi politiche che egli vuole dimostrare, Voltaire introduce alcune regole storiografiche riconoscibilmente moderne. In particolare, egli propone una storia filosofica che non si occupi esclusivamente delle gesta dei grandi personaggi, ma rievochi il contesto più generale in cui inquadrare gli eventi riportati.
Così, accanto alla tradizionale storia delle guerre, bisogna affrontare la storia del commercio, delle istituzioni religiose, delle arti e delle riforme civili. Grazie allo studio delle società passate, di cui vengono messi a nudo pregi e difetti, diventa possibile correggere le debolezze della situazione attuale. Questi principî vengono messi in pratica nella principale opera storiografica di Voltaire, Le siècle de Louis XIV, in cui la grandezza del re Sole viene attribuita più al suo contributo al progresso umano che non ai suoi successi militari.
In polemica con Bossuet, Voltaire ritiene inoltre che lo studio della storia debba estendersi a civiltà diverse da quella europea.
I racconti filosofici:
Con l’eccezione di due racconti giovanili, Voltaire si dedica al genere narrativo in una fase avanzata della sua esistenza.
L’etichetta di "racconti filosofici" viene assegnata all’insieme delle sue opere narrative nel 1771, onde sottolinearne il carattere contemporaneamente fantasioso ed educativo. Le storie di Voltaire fungono infatti da spunto per la riflessione filosofica e rasentano spesso l’allegoria. Va peraltro notato che anche nelle opere più propriamente teoriche di Voltaire, quale il Dictionnaire philosophique, si trovano vari nuclei narrativi e abbozzi di dialogo impiegati a fini didattici. Risulta dunque difficile delimitare chiaramente i diversi generi di cui Voltaire si avvale per diffondere il suo pensiero.
L’ambientazione dei racconti è spesso esotica, se non fiabesca.
Le vicende di Zadig, di Candide e degli altri personaggi voltairiani si snodano tra la Babilonia, il Paraguay e l’Eldorado, attraverso una moltitudine di luoghi descritti in modo iperbolico.
Addirittura, in Micromégas i protagonisti (extraterrestri) intraprendono una spedizione intergalattica per giungere sul "mucchietto di fango" che è la terra.
Tuttavia, l’inverosimiglianza delle storie non deve trarre in inganno: Voltaire intende parlare della realtà che lo circonda, sfruttando l’espediente romanzesco del viaggio per introdurre i suoi commenti ironici sugli aspetti più insensati della cultura e della società a cui appartiene.
I personaggi dei racconti filosofici si trovano spesso a discettare futilmente sul ruolo dell’uomo nell’ordine cosmico. Nel prendersi gioco della sterilità di gran parte dei dibattiti filosofici in voga, Voltaire riafferma l’ignoranza umana in materia metafisica. L’insondabilità del nostro destino è tale che non ci resta che "coltivare il nostro giardino", secondo la celebre frase conclusiva del Candide.

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