Letteratura italiana generale

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

Voto:

2.5 (2)
Download:1569
Data:22.06.2001
Numero di pagine:80
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
letteratura-italiana-generale_1.zip (Dimensione: 159.42 Kb)
trucheck.it_letteratura-italiana-generale.rtf     44.1 Kb
trucheck.it_letteratura-italiana-generale.DOC     82.5 Kb
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_letteratura-italiana-generale.htm     7.95 Kb


Testo

Il superamento della filosofia materialistica in
Foscolo, Manzoni e Leopardi
La filosofia del Materialismo, che nega l’esistenza di sostanze spirituali, afferma che la materia è all’origine di tutte le cose, che vengono generate secondo un rapporto deterministico di causa-effetto, senza nessun finalismo e che inoltre anche la vita spirituale dell’uomo deriva dalla materia che forma il corpo. Attorno alla metà del Settecento, tale dottrina viene ripresa, diventando materialismo meccanicistico, da un gruppo di filosofi dell’Illuminismo. Il Materialismo meccanicistico in Italia fu fatto proprio dal Foscolo e dal Leopardi che scrisse una serie di appunti su di esso anche nello Zibaldone. Lo stesso Manzoni, nella sua concezione della storia, parte da una concezione illuministica meccanicistica, vedendo nella storia stessa, sangue ed ingiustizie senza nessuna speranza di redenzione o di felicità in terra. Così come Foscolo, che inizialmente vede nel mondo tirannide, oppressione e nessuna speranza di salvezza o di fiducia; anche Leopardi, precisamente nello Zibaldone, afferma che .
Ma, in un secondo momento, i tre autori, ognuno in modo diverso, riescono a superare la filosofia materialistica, da cui erano partiti. Foscolo, dopo la delusione del trattato di Campoformio, con cui Venezia viene da Napoleone ceduta all’Austria, cade in un profondo pessimismo e la sua filosofia materialistica è così forte che il protagonista de "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" si suicida senza nessun’altra speranza. Ma, con "I Sepolcri" il Foscolo, dopo aver iniziato il Carme con una concezione materialistica. " A che servono le tombe, se tutto nasce e finisce nella materia?" supera tale concezione materialistica, perché il suo cuore si ribella alla ragione, la quale freddamente conclude che la vita è materia, è un ciclo continuo di vita e di morte. A questo punto, il poeta si affida alle Illusioni, ideali che, respinti dal filosofo, vengono accettati dal sentimento dell’uomo, incapace di credere che tutto verrà dimenticato dopo la morte, anche le gesta di grandi e valorosi uomini .
Foscolo con la ragione si rende conto che le Illusioni, come la Tomba, l’Amore, la Bellezza, la Poesia, l’Amicizia, non esistono realmente, ma con il cuore sente che l’uomo non può fare a meno per vivere e per superare le tragedie, le miserie e le ingiustizie della vita, di affidarsi alla fede in queste Illusioni.
Per il poeta, la più importante delle illusioni è la Poesia, pura e libera dal servilismo politico; grazie ai poeti come Omero che, traendo ispirazione dal sepolcro di Troia, dove erano seppelliti i grandi eroi, cantò gli stessi eroi e le loro imprese, i fatti e gli uomini grandi della Storia diventano eterni, combattendo e superando la concezione materialistica che vuole che tutto finisca con la fine stessa della Materia. Così, nei "Sepolcri", Foscolo supera il pessimismo e l’arida filosofia materialistica con la fede nelle Illusioni, che alimentano il cuore dei giovani eroi per grandi imprese; egli stesso, lasciando ai posteri un’opera come "I Sepolcri" che stimola alla libertà e a grandi gesta, sa che diventerà immortale ed eterno, anche dopo la sua morte, perché immortale sarà la sua opera.
Anche nell’Ode "All’amica risanata" la visione della malattia della donna (cioè della triste e peritura realtà) è superata dalla fede nell’Illusione della bellezza che, ispirando il poeta, rende divina quindi eterna la stessa donna mortale. Illusione delle illusioni è quindi la Poesia, eternatrice dei miseri ed aridi fatti umani, che si nutre a sua volta di Illusioni quali la Bellezza, l’Amore, la Patria. Nelle "Grazie", le idee pongono un velo di civiltà, armonia, divinità, al misero mondo umano, che viene così alla fine trasfigurato in un’aura di sogno e di simboli che fanno diventare la storia, Metastoria. E’ proprio con i Miti del mondo classico che Foscolo riesce a superare l’iniziale concezione materialistica: Omero, Venere, Aiace, personaggi reali che, divenuti grazie alla Poesia, eterni, sono ormai Ideali supremi che hanno trasfigurato e superato la triste realtà e che quindi incarnano dei valori assoluti e necessari, che permettono al sentimento degli uomini e alla loro stessa civiltà di sopravvivere alla breve esistenza terrena.
Anche il Manzoni, prima della conversione aveva una concezione meccanicistica del mondo, governato da una forza operosa che affatica le cose di moto in moto come il Foscolo e come più tardi il Leopardi. Ma mentre il Foscolo affida la sua immortalità alle opere poetiche, il Manzoni riesce a superare la sua concezione materialistica con la fede in Dio e nella Provvidenza che illumina e spiega, secondo un imperscrutabile giudizio divino, le tragiche e misteriose vicende della vita. I Promessi Sposi narrano la storia di due umili filatori di seta, Renzo e Lucia, il cui matrimonio viene impedito da Don Rodrigo, un signorotto prepotente che, invaghitosi di Lucia, ideò un rapimento, servendosi di un signore malvagio, l’Innominato. Da questo rapimento, deriva tutta una serie di peripezie a cui vanno incontro sia Renzo sia Lucia, fino alla conclusione quando i due Promessi Sposi possono finalmente sposarsi.
Dietro la vicenda di questi due umili personaggi, appare lo sfondo del ‘600, con la Peste, la presenza di personaggi storici e soprattutto con la Provvidenza che illumina tutto e tutti, perché anche la storia è, il Manzoni, rivelazione di Dio in terra così come per Dante la storia, la politica si fonde con la Teologia.
Tale opera infatti, rappresenta la fede degli umili sventurati, che nonostante le angherie dei potenti, non smettono mai di credere in Dio, il quale "non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande…". E’ questa grande fede in una vita ultraterrena, che sostiene e dà forza agli umili, per i quali ci sarà vera giustizia, felicità e uguaglianza nel regno dei cieli. Ne "I Promessi Sposi" si ha un vero superamento della concezione tragica, arida, materialistica della vita: infatti bisogna accettare la vita e le sue ingiustizie come fiduciosa attesa di Dio, come lotta contro le ingiustizie (Lucia, padre Cristoforo) perché i guai di questo mondo quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore. Perciò questo romanzo si può veramente considerare il poema del Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, come direbbe Dante. All’ideale-giustizia di Adelchi, qui subentra quello del Dio-Provvidenza, di Padre Cristoforo: anche il dolore, qui è accettato come un dono di Dio. A differenza dell’Adelchi, dove da una parte c’era l’ingiustizia degli uomini, dall’altra la giusta giustizia di Dio, ne I Promessi sposi il male e il bene si trovano nelle mani di Dio e gli uomini sono solo strumenti, "Baiuli" (come dice Dante nel canto VI del Paradiso) della Sua volontà.
E’ quindi la profonda carità che eleva e supera le tragedie e tutti i personaggi, in una visione ultraterrena, di eternità, dentro cui e per cui si muove la storia, in una unità intrinseca tra umano e divino, proprio come nel Poema dantesco. Nell’Inno sacro, la Pentecoste, Manzoni, rivolgendosi alla schiava che invidia la donna libera, le ricorda che anche per lei ci sarà libertà ed uguaglianza dopo la vita terrena e che il Regno dei Cieli è degli infelici. In questo modo, il poeta trova una spiegazione alla Sventura della storia, facendola diventare Provvida Sventura: tutte le sventure e le tragedie che si abbattono sul mondo e sulle persone, avendo fede in Dio, sono "provvidenziali" cioè volute dalla Provvidenza divina per condurci, alla fine, alla salvezza e felicità eterna. Ricordiamo l’ode "Il cinque maggio": Napoleone, dopo una vita di gloria, alla fine viene relegato in una piccola isola, solo e dimenticato da tutti; ma una Mano gli viene incontro per condurlo, in questo momento di Provvida Sventura, nel regno della gloria eterna. Lo stesso succede ad Ermengarda, (Adelchi), rifiutata dal marito Carlo Magno e accolta nel regno dei cieli, nel momento di massima solitudine e di infelicità. E’ chiaro, quindi come il Manzoni, partito da una concezione tragica e materialistica, riesca a superarla nella Fede nell’attesa fiduciosa della Grazia di Dio che scende dovunque come "aura consolatrice".
Anche Leopardi, pur non essendo filosofo nel senso comune della parola, parte da una cultura filosofica materialistica: ricordiamo l’operetta morale "Dialogo della natura e di un islandese": "La vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e di distruzione…:a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tute le cose che lo compongono?" La concezione materialistica presenta, però, pure il senso della nullità dell’uomo e della vita affettiva, riflettendo il poeta sul rapporto tra il fine della natura cosmica e il fine della natura umana, che non coincidono. Infatti nello Zibaldone s’afferma che il fine della natura umana è la felicità… mentre il fine dell’esistenza generale non è la felicità degli uomini.
Il poeta supera quindi la concezione filosofica-materialistica del Settecento, scoprendo questa disarmonia tra la vita dell’uomo e quella dell’universo, che alla fine è la scoperta della spiritualità dell’uomo contro la realtà materialistica della natura. Il fine dell’uomo è quindi diverso da quello della natura: gl’ideali umani forse sono illusioni, espressioni del cuore, proiettate e cantate nel futuro o nel ricordo vago e idillico del passato. Ricordiamo "A Silvia": "Silvia… rimembri ancor". In questo idillio viene svolto il motivo della speranza delusa e stroncata prematuramente: il canto, muovendo da un ricordo personale (Silvia sarebbe Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta a ventun anni nel 1818), oltrepassa quella lontana realtà: la memoria della giovinetta, come dice il critico Flora è: "non più soltanto evocativa e pietosa, ma poetica… è cioè assunta in un significato lirico, ad esprimere non un fatto particolare ma il divino e l’eterno che è in un episodio terrestre". Quindi Teresa è qui diventata Silvia, una fanciulla che si affaccia al limitare della giovinezza "quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi?". (A Silvia vv. 3-6).
In questo Idillio, Silvia lavora e canta, perché simboleggia anche la Speranza sua (e del poeta) in un dolce futuro. Alla fine Silvia muore prima di giungere al fiore dei sui anni, così come -muore– la Speranza del poeta, prima che egli possa vivere la piena giovinezza. L’essenza dolorosa del canto (potremmo dire materialistica nella constatazione della cruda realtà), è però superata dal Mito, dall’Incanto, "dolce e ameno inganno" della Giovinezza e quel senso di gioiosa attesa, presente negli occhi "ridenti e fuggitivi" di Silvia. Anche ne "Il Sabato del villaggio" il poeta ricorda con dolcezza il sabato del suo villaggio, le ragazze e i ragazzi in festa nell’attesa dell’Amore… Il Leopardi non ha la fede religiosa del Manzoni e perciò, quando osserva il rapporto tra le finalità della natura, sempre in un perpetuo circolo di vita e di morte, e le finalità dell’uomo, che cerca disperatamente la felicità, non credendo nell’immortalità dell’anima, supera la materia e trova l’infinità dello spirito, come supremo ideale. Più che superamento o risoluzione del materialismo, il suo atteggiamento si può meglio definire come idealismo naturalistico: egli crea, come poeta e non come filosofo, le infinite Illusioni della sua anima, i miti della Giovinezza, della Felicità, della Gloria.
Anche se in un secondo momento, Leopardi affiderà alla Ragione, il compito di affrontare le tristezze della vita, strappando il velo delle illusioni per guardare in faccia virilmente e titanicamente il vero, il suo sentimento è e rimarrà fondamentalmente un sentimento di commozione, di turbamento verso quegli anni lontani, verso quel mondo ideale di fremiti e di speranze, mondo proiettato nel futuro e nel passato. Così l’iniziale materialismo illuministico, rischiarato dalla voce del sentimento, è già diventato titanismo morale, forza spirituale, "infinito" che supera il finito. Oggi, più che mai, in un mondo proiettato verso un progresso senza limiti, l’uomo accoglie la voce leopardiana che parla ai nostri cuori, ricordandoci i nostro "infiniti" limiti e le nostre tragiche infelicità ma anche, e soprattutto, la nostra innata sete di "Infinito" che ci fa smaniare: "…e un fastidio m’ingombra / la mente, ed uno spron quasi mi punge / sì che, sedendo, più che mai son lunge / da trovar pace o loco". (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv.117-121)
BUBE
Nel libro si parla di due ragazzi vissuti nel secondo dopoguerra di
nome Mara e Bube. Mara viveva in un paesino vicino a Colle Val
d'Elsa (Siena) e le sue giornate trascorrevano in pettegolezzi, ridendo e
scherzando con i soliti amici. Ella aveva 16 anni e trascorreva
una vita tranquilla e serena con la sua famiglia un po' eccentrica: la
madre, fredda e addolorata per la morte del figlio maggiore, Sante, il
padre, sempre ubriaco e ozioso, di idee partigiane, un fratello
Vinicio, capriccioso ed incapace di capirla. . Un giorno, un ragazzo di nome Bube si presento' come un amico del defunto fratello
di Mara, Sante, dicendo che erano stati partigiani insieme. I genitori di
Mara erano gia' a conoscenza della grande amicizia che legava il nuovo
ospite al loro figlio. Bube era un ragazzo chiuso, dal carattere piuttosto
scontroso, vestito con giacca e pantaloni pieni di toppe; con il passare
del tempo pero' si scopri' la sua grande generosita'. Dopo qualche
tempo con la sola approvazione del padre (la madre era contraria),
Mara e Bube si misero insieme. Nel romanzo
compaiono anche i sentimenti che provano i due, i loro problemi, le
loro paure, il loro amore e le loro discussioni. In seguito, Bube porto' la fidanzata a
conoscere la sua famiglia. Tuttavia Mara non la trovo' per niente piacevole a
causa della scarsa bellezza dei componenti. Proprio nel suo paese
Bube racconto' a Mara la sua storia e il motivo per cui non aveva un
alloggio stabile. Infatti giunto con alcuni amici in un paese, San Donato,
aveva tentato di entrare in una chiesa. Prima il parroco poi il
maresciallo impedirono loro di entrare perche' erano partigiani
comunisti. Dopo un lungo litigio, il maresciallo sparo' ad un amico di
Bube, procurandone la morte. Bube, per vendicare il suo compagno,
sparo' a sua volta al figlio del maresciallo e lo uccise. Bube, da allora è
costretto a continuare a fuggire dalla polizia e, anche se ama Mara,
deve abbandonarla per non essere arrestato. Mara lo accetta come un'errore e
ripaga il suo ragazzo con la fedelta'.
Bube e' ricercato, e' costretto a fuggire in Francia; Mara inizia a
lavorare presso una famiglia come domestica.
Mara viene descritta come una ragazza
laboriosa: infatti l'autore scrive piu'volte che ella deve "rigovernare",
ma oltre ad essere una persona responsabile, ha anche un carattere
ribelle: infatti non riesce piu'a vivere nel suo piccolo paese e per un
certo periodo si trasferisce a Poggibonsi, per cambiare aria
In quel paese conosce Stefano, un ragazzo molto sensibile.
S'invaghisce di lui e lui di lei.
Insieme passano meravigliosi momenti, Mara forse lo ama, solamente
per dimenticare Bube, ma si rende conto che sta sbagliando: e' Bube
il ragazzo della sua vita.
Passano gli anni, Bube viene arrestato e condannato a 14 anni di
carcere. Dopo
aver saputo che Bube rimarra' in carcere sette anni, e' presa per un
momento da uno stato di smarrimento e di angoscia, ma subito ritrova
il pieno possesso del suo spirito e quel coraggio che l'avevano
sostenuta in tutte le circostanze dolorose della vita.
Mara passera' quei 14 anni ad aspettarlo, consumando la sua
adolescenza e la sua giovinezza per un ragazzo, forse l'unico che le
ha insegnato ad amare.
PROGRAMMA DI ITALIANO
• Anno scolastico 1999/2000
Autori trattati: Libri Letti:
1. Giacomo Leopardi
2. Alessandro Manzoni
3. Vincenzo Monti
4. Ugo Foscolo
5. Giovanni Pascoli
6. Giovanni Verga
7. Gabriele D’Annunzio
8. Luigi Pirandello
9. Italo Svevo
10. Carlo Levi
11. Carlo Cassola
12. Alberto Moravia
13. Cesare Pavese
14. Elio Vittorini
Giacomo Leopardi
GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798 da una famiglia nobile, che però stava andando in rovina per colpa del padre; perciò prese il comando della casa la madre, una donna molto dura e severa. Leopardi nei primi anni si trovò bene con i fratelli e lesse tutti i libri della biblioteca paterna. La sua vita fu solitaria piena di speranze, delusioni e ansie. Poichè non sopportava la piccola Recanati viaggiò molto ma non trovava in nessun posto pace.
Il Leopardi nel 1816 scrive una lettera contro Madame De Steal in cui difende il classicismo e la poesia degli antichi. Mentre il Foscolo con il classicismo tentò di far ritornare la bellezza dell'Ellade, Leopardi cercò nell'antichità un rifugio dal presente. Nel Leopardi si è soliti vedere tre tipi di conversione:
1) Conversione letteraria (1816); in cui passa dalla fredda
cultura al bello, incomincia a conoscere i grandi scrittori
classici e moderni;
2) conversione politica (1818); mentre prima Leopardi era
conservatore, ora afferma la sua italianità;
3) conversione filosofica (1819); in cui passa dal bello al
vero, alla filosofia, alla poesia sentimentale e aumenta
il suo pessimismo.
La filosofia, per Leopardi, deve aiutarci a scoprire la verità. Il Leopardi è classico per l'eleganza e l'armonia dei suoi scritti, ed è pure romantico per la sua ansia intima. La sua poesia nasce dalle delusioni della sua vita e dal fatto che ancora giovanissimo si era tutto chiuso in uno studio profondo, isolandosi dal mondo. Difatti nella sua poesia vi è molta autobiografia. Leopardi considera la natura, prima, come colei che dà felicità e vita e la ragione come qualcosa che dà infelicità; poi però è proprio ragionando che Leopardi si accorge che la natura è nemica e matrigna di tutti (per esempio: il dialogo della natura e di un Islandese).
A proposito di questi concetti si può parlare di tre momenti del pessimismo del Leopardi: 1° pessimismo personale, quando Leopardi crede di essere lui solo l'infelice;
2° pessimismo oggettivo storico, quando si accorge che tutti gli uomini del suo periodo storico sono infelici, perchè si sono allontanati dalla vita naturale;
3° pessimismo cosmico o universale, quando si accorge che tutte le creature viventi e non solo gli uomini sono infelici da quando sono nati. Leopardi sente ancora l'educazione dell'illuminismo che è presente accanto agli aspetti romantici, infatti l'illuminismo diede al Leopardi il bisogno della verità e di chiarire i suoi problemi.
Nella polemica intorno al romanticismo egli partecipò con una lettera e con il discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in cui diceva di essere contro il lugubre ma nello stesso tempo molte idee sono romantiche come la libertà della poesia. I più importanti motivi romantici di Leopardi sono la solitudine, il dolore, la morte, la noia, il titanismo, uso delle parole poco precise, sognanti. Un sentimento presente, importante nel Leopardi è la noia che secondo il poeta è il più nobile dei sentimenti umani, perchè solo gli uomini grandi che desiderano grandi cose irraggiungibili possono provare. Difatti la noia è una specie di insoddisfazione, di ansia. Il pessimismo di Leopardi non è una vera filosofia, perchè i vari momenti del pessimismo non hanno una divisione precisa e a volte Leopardi segue pure le illusioni che per lui sono i dolci inganni, che la natura dà agli uomini per vivere; le illusioni più importanti sono: la giovinezza e l'amore. Non possiamo dire che il pessimismo del Leopardi sia totale ed assoluto, infatti quando lui sembra odiare la vita, ne parla con tanta forza e tanta insistenza e ci accorgiamo che dietro questo pessimismo si nasconde un grande amore per la vita; a questo proposito ricordiamo De Sanctis il quale dice che Leopardi non crede alla giovinezza ma la fa amare e lo chiama "cantore della giovinezza e della vita".
Lo Zibaldone
E' un insieme di appunti, pensieri sulla vita, sul mondo, sull'uomo e sulla filosofia. Anzi a volte Leopardi viene definito filosofo, appunto per le sue idee filosofiche, ma lui fu filosofo nel senso illuminista, cioè filosofo come uomo di cultura, che cerca la spiegazione di ogni cosa. Appunto, nello Zibaldone Leopardi sistemò le sue idee e quest'opera è importante per conoscere le opere future. Infatti, nello Zibaldone si parla della noia, parola che lui ha preso dal sensismo precedente e che significava insoddisfazione; per uscire dalla noia, la quale non è provata solo dal Leopardi, ma da tutti gli uomini grandi, bisogna risolvere i problemi sociali, cioè storici. Il poeta è sicuro che il suo pessimismo non derivi dalla sua vita ma dal periodo storico. Per Leopardi i motivi storici dell'infelicità umana nascono dal contrasto di cui ha parlato anche Rousseau, fra natura e ragione o civiltà o anche società: la natura ci crea felici perchè ci dà una grande forza di vivere, però il progresso e la civiltà hanno frenato la gioia di vivere, i nostri impulsi più buoni, hanno ucciso le illusioni. Perciò a questo punto per salvarci, secondo il poeta, abbiamo bisogno della ragione, perchè non possiamo ritornare più come eravamo prima, allo stato di "natura", il quale esiste solamente nelle foreste più nascoste; quindi solo la ragione ci può salvare facendoci capire chiaramente la nostra vera situazione, aiutandoci a risolverla. Appunto per la sua grande fede nella ragione, Leopardi, amò molto l'illuminismo e ammirò pure la rivoluzione francese che aveva fatto nascere tante speranze e illusioni negli uomini ma la rivoluzione era fallita e l'uomo invidiava gli animali, perchè non pensano o si ribellano contro il presente e sognano il passato. Questi sono gli argomenti principali dello Zibaldone.
Operette Morali
Sono prose satiriche, fantastiche, filosofiche in cui Leopardi parla con ironia dell'infelicità e della tragedia degli uomini. Per esempio nel "Dialogo della natura e di un Islandese", parla di un uomo, islandese, che nel cuore dell'Africa incontra la Natura (sfinge) e le chiede il motivo del dolore dell'uomo ma la Natura non si preoccupa nè della felicità nè dell'infelicità dell'uomo, perchè lei non ha creato il mondo per l'uomo e dice ancora che la vita dell'universo è un ciclo di nascita e di morte; alla fine l'islandese muore, non si capisce se sbranato da un leone o coperto da una tempesta di sabbia.
Questo pessimismo nasce nel Leopardi proprio dall'ottimismo dell'illuminismo nel credere in una società futura migliore; però per il fallimento della rivoluzione francese e quindi dell'illuminismo e della sua fede nella ragione o ci si abbandonava alla fede come il Manzoni o si accusava la natura matrigna come il Leopardi; questo ci fa capire la grande differenza fra Rousseau e Leopardi, cioè fra tutti i preromantici ed i veri romantici: infatti, mentre Rousseau ebbe sempre fede nella natura benigna ed era sicuro che l'uomo avrebbe raggiunto la felicità, Leopardi e tutti gli altri romantici per il momento storico (fallimento della rivoluzione francese) considerarono la natura sempre matrigna come nel dialogo dell'Islandese; allora l'uomo deve guardare in faccia, deciso, la realtà e non vivere di illusioni, deve ancora ammettere la propria condizione infelice e vivere in modo chiaro, lucido e forte (titanismo).
Appunto per questo, dal momento che tutti soffrono, Leopardi si sente fratello con tutti (La Ginestra) ma, il poeta, con l'ironia cerca di strappare il velo dell'ignoranza dagli occhi degli uomini, i quali non avendo il coraggio di guardare in faccia la realtà vivono di illusioni e di menzogne. Tutti questi motivi sono presenti nelle Operette morali. Un'altra operetta è "Il venditore di almanacchi e di un passeggero", in cui si parla degli uomini che credono sempre alla felicità futura, sperando che il domani sia migliore di oggi, ma non riescono mai a raggiungere questa felicità. Leopardi per queste opere pensò a uno scrittore greco, Luciano, che nei suoi dialoghi servendosi di gioiose invenzioni, faceva dell'ironia, ma Leopardi pensò pure ad alcune opere del '700 francese, di Diderot e di Voltaire, i quali volevano insegnare e anche divertire. Il modo di scrivere in queste opere è diverso da quello del Manzoni, perchè la prosa di Leopardi è più letteraria, più lavorata, meno vicina al parlato, basti pensare al -Dialogo di un Islandese- in cui gli aggettivi sono scarsi, per cui la prosa è asciutta e coincisa e se ci sono servono all'ironia. Invece sono presenti i nomi e i verbi, cioè le parti principali del periodo, le sue espressioni sono curate ma scorrevoli e chiare. Anche nella prosa si vede la sua educazione illuminista, cioè razionale e sentimentale, che deve spiegare ma anche commuovere.
Soltanto i critici di oggi come il Russo, il Binni, giudicano queste operette "opere di poesia", mentre i critici precedenti, fra cui il De Sanctis, dicevano che in queste opere c'era troppo freddo ragionamento.
I Canti e Idilli
Le opere principali di Leopardi sono i Canti che sono stati pure chiamati "Grandi Idilli" che sono: "A Silvia, Il Sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto di un pastore errante dell'Asia, Le ricordanze". Mentre i primi Idilli (l'Infinito, alla Luna, La sera del dì di festa), sono poesie più impulsive; nei grandi Idilli vi è maggiore riflessione;
infatti i cosiddetti piccoli Idilli sono soprattutto tristi confessioni dell'animo di Leopardi. Tutti gli Idilli nascono dalla riflessione e dalla contemplazione di paesaggi naturali o della vita di Leopardi. Negli Idilli sono importanti soprattutto i concetti dell'infinito e del ricordo. Per spiegare la parola "idillio" bisogna pensare a quello che ha detto il critico Russo: Idillio, in Leopardi, vuole dire contemplazione dolorosa dell'infinito, dell'infelicità del mondo, idillio è quindi uno stato d'animo, e rappresentano un momento di pausa, di riflessione prima del "Grandi Idilli".
Mentre gli idilli degli scrittori greci Teocrito e Mosco sono poesie rusticali, nelle canzoni (canzoni; all'Italia, Ultimo canto di Saffo) di Leopardi la lingua è classica e si hanno argomenti presi dal mondo classico; negli idilli la lingua è più familiare anche se c'è sempre una certa eleganza e usa pure arcaismi per rendere più elegante la lingua.
Molti aspetti degli Idilli prendono lo spunto da Recanati, il luogo d'origine, come il Passero solitario, l'Infinito, La sera del dì di festa, Il sabato del villaggio.
A proposito di ciò, bisogna dire che nel Leopardi è molto importante il concetto della memoria o della ricordanza. Difatti il ricordo del passato (cioè dei sogni e dei luoghi dell'adolescenza è molto importante), Leopardi stesso nello Zibaldone ci parla di questo e ci dice che un oggetto qualunque, un luogo anche se bello, se non fa nascere in noi nessun ricordo non è poetico, mentre se un luogo ci ricorda qualcosa diventa dolce e poetico. Altri aspetti cari al Leopardi e anche a tutta la poesia romantica sono la luna ed il paesaggio lunare: la luna è per il Leopardi o come una confidente o come quella che guarda impassibile la vita degli uomini. (Alla luna, La sera del dì di festa).
I vari personaggi delle opere di Leopardi, come Silvia, non sono vere e proprie persone ma servono ad esprimere soprattutto sentimenti del poeta. Il Leopardi non è solo poeta del sentimento ma anche della ragione, perchè in lui c'è pure l'educazione illuministica che gli fa amare la chiarezza. La poesia del Leopardi ha una grande forza morale perchè lui non si abbandona al lamento e cerca sempre di reagire.
Il Passero Solitario
In questo Idillio vi è il motivo della solitudine, perchè Leopardi anche se vede gli altri giovani felici, non riesce a partecipare e si isola, anche se questo uccellino è reale e simbolo, quindi nel solitario uccellino si nasconde la solitudine del Leopardi. In questo Idillio anche se ci sono immagini familiari c'è sempre qualcosa di impreciso che va al di là del paesaggio stesso, difatti in Leopardi vi sono due aspetti: quello della chiarezza e semplicità dei paesaggi e quello di mondi lontani, misteriosi.
L'Infinito
Questo Idillio nasce dalla vista di una siepe che non facendo vedere ciò che c'è al di là spinge il Leopardi ad immaginare un mondo lontano, infinito e le piante che si muovono col vento gli fanno pensare al mondo passato e a come passa il tempo. Il Leopardi si può considerare romantico per l'amore dell'infinito, dei grandi spazi ma tutto ciò espresso senza sentimentalismi, in modo chiaro ed equilibrato, perciò qui non abbiamo nè filosofia nè sentimentalismo. E' presente il Titanismo quando il poeta pur riconoscendo la sua limitatezza di uomo si stupisce di poter sentire dentro di se sentimenti così estesi e superiori all'uomo stesso (sentimenti di grandezza).
La sera al dì di festa
I motivi principali di questo Idillio sono: il paesaggio lunare iniziale, reale e anche lontano, il canto solitario dell'artigiano che ricorda al poeta che tutto nella vita finisce, come pure il ricordo della fanciullezza.
A Silvia
Questo Idillio nasce da un ricordo personale, vero; infatti Silvia è la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovane. Ma il canto poi si allontana da questa realtà e Silvia oltre ad essere la figura di una giovinetta che muore giovane, è pure simbolo delle speranze e delle delusioni di Leopardi. Questo canto non è una poesia d'amore, perchè in Silvia Leopardi vede la sua vita di speranze e delusioni. Il paesaggio, più che descrizione, serve ad esprimere gli stati d'animo, i sentimenti.
La quiete dopo la tempesta
Qui abbiamo il motivo del piacere, figlio d'affanno di cui già Leopardi aveva parlato nello Zibaldone, cioè il piacere negli uomini non è veramente piacere, è soprattutto una privazione, una diminuzione del dolore. In questo Idillio abbiamo due parte: la prima è gioiosa, descrittiva; la seconda è triste e riflessiva. Nella prima abbiamo la festa e nella seconda il piacere figlio d'affanno. Le due parti non sono separate, perchè già nella prima, dove il poeta sente le gioie e pensa subito che durano poco, la tempesta e la quiete rappresentano il dolore e la gioia umana. Anche se vi è scritta la realtà quotidiana come gli uccelli che cantano, l'artigiano che lavora, non si può solo parlare di realismo perchè c'è sempre qualcosa che va al di là della realtà.
Il Sabato del villaggio
Canto delle illusioni, questo Idillio parla di come si trascorre un sabato di un paese, Recanati, ma è anche simbolo dell'attesa della festa e della felicità nella vita. Infatti il motivo principale è la gioiosa attesa (della festa), anche se vi è sempre un velo di malinconia, perchè Leopardi sa che tutto nella vita dura poco. Concludendo, Leopardi vuole dire che la vera gioia è nell'attesa, nel sabato, perchè la festa ci lascia delusi in quanto pensiamo già al giorno dopo in cui dobbiamo lavorare: tutto ciò è simbolo della felicità che non esiste, ma esiste solo l'attesa della felicità, però Leopardi dice questo in modo sereno.
Canto notturno di un pastore errante dell'Asia
In questo canto, a differenza di tutti gli altri, Leopardi, non parla lui ma si serve della figura di un pastore; di diverso c'è pure che il paesaggio non è quello di Recanati. Questo canto gli fu suggerito dalla lettura di un libro di un barone, che parlava di un viaggio nell'Asia Centrale. Nel pastore si nasconde Leopardi, ma il pastore rappresenta pure un personaggio semplice, primitivo, che chiede il perchè della vita in modo semplice. Si parla della vita umana che è infelice e forse anche quella di tutte le creature viventi, non solo, ma tutta la vita appare inutile e misteriosa, però nel canto si nasconde una lontana speranza di avere una risposta certa a tutte le domande del pastore. Per questo canto Leopardi pensò al De Rerum Natura di Lucrezio e all'antico testamento in cui si parla dell'inutilità delle cose terrene. Molti versi sono uguali a quelli del Petrarca, ma mentre Petrarca parla del suo amore, il Leopardi parla del mistero della vita. In conclusione, questo canto parla del dolore universale.
La ginestra o fiore del deserto
E' stata giudicata un'opera povera di poesia ma anche un canto nuovo, come dice il Binni, l'ultima grande opera in cui si rivela l'eroismo ed il titanismo leopardiano. Gli aspetti principali sono: il paesaggio deserto del Vesuvio, la Ginestra, fiore gentile che col suo profumo consola il deserto, pronta a morire rassegnata senza viltà; si parla pure della stupida superbia degli uomini che hanno paura di conoscere la loro vera situazione mentre vi sono gli uomini forti che come il Leopardi accettano la triste realtà e condannano il secolo ottocento che crede nelle illusioni; la natura matrigna e l'eruzione del Vesuvio, la fratellanza degli uomini che, essendo tutti infelici, dovrebbero unirsi contro la natura. La critica moderna ha parlato soprattutto del motivo più importante, quello della fratellanza degli uomini che è un motivo sociale: questo canto è romantico perchè parla di una poesia impegnata che discute i problemi concreti. In questo canto il linguaggio è forte. L'espressione "contenta dei deserti" vuole dire che la Ginestra accetta, rassegnata, di vivere nei luoghi deserti dove nasce ed è il simbolo; come dice il Binni dell'uomo illuminato e che ha le idee chiare sulla propria triste realtà nel deserto della vita (cioè una vita priva di felicità).
ROSSO MALPELO

La Novella, parla di un ragazzo ritenuto cattivo e scorbutico, che aveva i capelli rossi sporchi di sabbia proveniente dalla cava in cui lavorava e per questo veniva chiamato Rosso Malpelo.
Lui aveva una sorella e la madre, il padre era morto nella cava per la caduta di una trave rimanendo sepolto a lungo sotto la sabbia. Suo padre, Mastro Misciu, veniva soprannominato "Bestia", e Veniva maltrattato da tutti i lavoratori. Finche' Rosso Malpelo lavorava con il padre era compreso e trattato con affetto, ma quando il padre mori', era maltrattato ed emarginato da tutti. Questo ragazzino di 12-13 anni circa, vedeva sua madre solo al sabato sera per consegnarle i soldi della paga. La madre e la sorella si vergognavano del ragazzo. Veniva picchiato pure dai compagni e non versava nemmeno una lacrima senza mai ribellarsi. Per sfogarsi picchiava i muli, e le persone più' deboli. Un giorno i lavoratori trovarono il cadavere di Mastro Misciu, ma non vollero comunicarlo a Rosso Malpelo per paura che reagisse male; i lavoratori gli consegnarono i suoi vestiti dicendogli che li avevano trovati in galleria e da quel giorno il ragazzo si rifiuto' di lavorare in quel luogo . I calzoni e le scarpe del padre se le mise subito, portandoli fieramente. Rosso Malpelo aveva un amico di nome Ranocchio, che era zoppo. Lui presto pero' si ammalo', anche perché' era debole, e mori'. Rosso
Malpelo era completamente solo senza amici. Un giorno Malpelo si attrezzò e decise di addentrarsi fin Dentro alla cava alla scopo di velocizzare i lavori di scavatura. Nessuno aveva il Coraggio di farlo, per la paura di smarrirsi. Cosicché, di Malpelo non si seppe più nulla e alla cava nessuno lavoratore nominò più il suo nome.

ALESSANDRO MANZONI
La vita del Manzoni non si può considerare proprio romantica come quella del Foscolo perchè non ebbe grandi avvenimenti esterni. Nasce a Milano nel 1785 e nel 1810 si ha la cosiddetta conversione del Manzoni al cattolicesimo, anche se non fu un vero e proprio cambiamento della sua fede, perchè già lui credeva nei valori morali della fratellanza, dell'uguaglianza spirituale. Dopo il 1810 cominciò a cercare la "verità nella storia". Sposò Enrichetta Blondel che ebbe molta importanza per la sua fede religiosa, perchè Enrichetta essendo calvinista voleva avvicinarsi alla religione cattolica del marito, infatti voleva conoscere meglio il cattolicesimo. Ebbe continue discussioni con l'abate Degola a cui assisteva anche il Manzoni che così trovava in Dio lo scopo della vita.
L'ideologia principale del Manzoni è Il Cristianesimo. Nella sua vita fu molto importante la presenza di Carlo Imbonati, con cui viveva la madre dopo essersi separata dal marito, perchè seguendo la madre a Parigi conobbe l'ambiente francese. Manzoni ebbe grandi lutti familiari perchè gli morì sia la prima moglie che la seconda ed anche sei figli degli otto avuti.
Religiosità e ideologie
In tutte le opere del Manzoni è presente una profonda religiosità, perchè vede dovunque la presenza della Provvidenza divina e considera la vita come una missione perchè ognuno di noi dovrebbe pensare a fare del bene. Ancora, la sua religiosità si dimostra con l'amore verso gli umili, i deboli e gli infelici. Il Manzoni, ed in questo è romantico, vede la vita come dolore, però mentre il Foscolo crede nelle illusioni il Manzoni crede in DIO, e quindi, il Manzoni, vede nel dolore la necessità che serve all'uomo per diventare migliore. (Il cristianesimo del Manzoni è stato detto "Cristianesimo democratico", perchè grazie al fatto che ognuno di noi è figlio di Dio, tutti siamo uguali nello spirito.[provvida sventura , dolore - provvidenziale - necessario) Il Manzoni si può considerare romantico sia perchè lui stesso scrive a favore del romanticismo e sia per la sua religiosità. Però abbiamo anche altri aspetti come quello classico e illuminista che si vedono nella chiarezza della lingua ed anche nelle idee sulla rivoluzione francese che lo rieducarono allo spirito di fratellanza e all'amore verso gli umili. Oltre alla religiosità, abbiamo in lui una grande moralità, cioè l'amore verso una letteratura che, utile, serve ad educare.
Gli scritti che ci fanno vedere la sua poetica romantica sono: La lettera a Chauvet sulle unità della tragedia in cui il Manzoni condanna le tre unità e ama il vero, la verità storica, la storia, che è tutto ciò che succede, mentre la poesia ci aiuta a capire i motivi, i sentimenti più profondi dell'uomo. (Per Manzoni un'opera letteraria deve avere come scopo l'utile; come mezzo l'interessante e come contenuto il vero).
Lettera sul Romanticismo
In cui si dice che il romanticismo non vuole la mitologia ma vuole, invece, la verità. Però Manzoni non accetta il sentimento lugubre del romanticismo. Le opere prima della conversione ci fanno soprattutto vedere la sua bravura nello scrivere e i primi interessi dello scrittore ci fanno capire la sua moralità e il suo amore verso la verità. Ricordiamo In morte di Carlo Imbonati in cui il Manzoni vede già la letteratura come qualche cosa che deve educare al vero, ai sentimenti onesti e liberi.
Le sue opere principali sono: Gli inni Sacri (liriche, poesie), Le tragedie, Il Conte di Carmagnola, L'Adelchi, Le Odi : Marzo 1821, il 5 Maggio, e il romanzo "I Promessi sposi". La lirica del Manzoni non è come quella del Petrarca, dialogo intimo con se stessi, ma parla con una realtà oggettiva che riguarda tutta l'umanità, quindi non è una lirica autobiografica. Di conseguenza la lingua è molto concreta.
Inni Sacri
Sono la Resurrezione, Il Nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. In questi inni il motivo più importante è la discesa di Dio in mezzo agli uomini. L'inno sacro più importante è "La pentecoste", perchè riesce a rappresentare in modo completo l'unione dell'aspetto religioso e di quello umano, appunto per la profonda umanità che c'è; quest'inno è più poetico. Pentecoste significa cinquantesimo giorno dopo la Pasqua quando lo Spirito Santo discende sugli Apostoli, i quali da quel giorno iniziarono la predicazione delle dottrine di Cristo. Manzoni nello scrivere questa lirica pensò al Nuovo testamento. Nella Pentecoste il poeta chiede alla Chiesa dove lei si trovava dopo la crocifissione di Cristo, infatti la Chiesa allora era perseguitata e dimenticata fino a quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli che fanno conoscere la verità cristiana, per cui tutti gli uomini conoscono una nuova vita, fatta non di potenza, d'invidia, ma di amore e libertà spirituale. Alla fine dell'inno, Manzoni prega lo Spirito Santo affinchè scenda su tutti gli uomini. In quest'inno è presente il cristianesimo democratico, perchè di fronte a Dio siamo tutti uguali anche se in terra non c'è uguaglianza, quindi quella che dice il Manzoni non è un'uguaglianza sociale, rivoluzionaria, ma soprattutto spirituale.
Il 5 Maggio
In quest'ode è importante l'aspetto religioso perchè tutto ciò che succede in terra viene sentito come voluto dalla provvidenza. Quest'ode è rivolta alla vita di Napoleone Bonaparte, che passò dalla gloria alle sconfitte e ora dopo la morte di Napoleone, Manzoni, si chiede se la gloria di Napoleone fu vera, questo lo diranno i posteri. Il Manzoni dice che nelle azioni di Napoleone vede il segno di grandezza divina e che Dio, nel momento della morte quando tutti lo abbandonarono, fu con lui. In quest'opera il Manzoni loda soprattutto la grandezza e la misericordia divina.
Marzo 1821
In quest'ode il poeta parla dei piemontesi e delle loro speranze di vedere l'Italia unita. Ma è soltanto una speranza, perchè i movimenti del "1821" falliscono. Questa è un'ode patriottica.
Tragedie
Nelle tragedie il Manzoni segue la verità e rifiuta le unità aristoteliche e un'altra novità delle tragedie è che Manzoni vuole mostrare soprattutto la verità più profonda, morale che la storia non racconta e cioè i pensieri, l'ansia dei grandi uomini. (Questa è la differenza fra poesia e storia). I cori delle tragedie servono al Manzoni per parlare delle sue idee.
Il Conte di Carmagnola fuggito da Milano a Venezia perchè perseguitato, deve ora combattere contro Milano prima da lui difesa; vince Venezia e poichè il Conte permette ai nemici di prendersi i prigionieri viene considerato traditore e condannato a morte. In questa tragedia vi è il sentimento della Patria e dell'unità del popolo italiano ed anche il sentimento religioso perchè per il Manzoni è un delitto che italiani uccidano altri italiani, perchè tutti gli uomini sono fratelli, perchè figli di Dio. Il Manzoni vuole dimostrare l'innocenza del Conte.
L'Adelchi: Carlo Magno Re dei Franchi rifiuta la sposa Ermengarda dopo una lite con il padre di questa, Desiderio, Re dei Longobardi che non vuole dare al Papa un territorio occupato. Adelchi, figlio di Desiderio anche se capisce che il padre ha torto, combatte lo stesso la guerra che finisce con la sconfitta dei Longobardi; Desiderio è fatto prigioniero e Adelchi muore. Ermengarda, addolorata perchè ripudiata dal marito muore in un monastero. Adelchi ed Ermengarda sono i personaggi che meglio ci fanno capire il pessimismo di Manzoni e sono anche personaggi romantici; essi sono puri nel cuore e pur essendo degli infelici sulla terra, credono in un mondo migliore oltre la terra. Adelchi è un eroe romantico perchè è pieno di ansia fra il desiderio di ubbidire al padre e l'odio verso la guerra.
Il concetto della provvida sventura lo vediamo nel coro di Ermengarda morente. Questa tragedia è superiore a quella del Conte di Carmagnola, perchè mentre il Conte parla della tragedia di tutta una gente, l'Adelchi parla di un'anima che è lui stesso. La critica a volte ha visto alcuni punti negativi nelle tragedie perchè vi è troppa rassegnazione.
I Promessi Sposi
Il Manzoni nell'introduzione del romanzo racconta di aver trovato un manoscritto anonimo; questi dice che mentre i grandi storici parlano solamente delle imprese di grandi uomini lui vuole parlare delle imprese di persone del popolo. Il Manzoni dice che la storia raccontata dall'anonimo gli piacque per cui vuole rifarla in una lingua più nuova. Manzoni fa finta che i Promessi Sposi raccontino una vicenda vera, raccontata da un anonimo e da lui tradotta in una lingua moderna. Il Manzoni dice tutte queste cose perchè vuole far vedere al lettore che la sua storia è vera e non è una semplice invenzione. Già nell'introduzione, dietro il pensiero dell'anonimo si nota la concezione della storia per il Manzoni, cioè la storia non è fatta solo dai grandi personaggi ma anche dal popolo. La storia secondo Manzoni è fatta di bene e di male, del peccato e della salvezza. A proposito di ciò, è molto importante l'idea cristiana:
cioè la storia, per Manzoni, è importante perchè nella storia e nella vita di tutti gli uomini, egli vede sempre la provvidenza di Dio, quindi è una visione religiosa, provvidenziale, perchè Manzoni nel romanzo vuole parlare soprattutto del bene e del male. Anche se molte pagine storiche del romanzo (per esempio la peste, i fatti di San Martino, ecc.) sono state considerate poco esatte, bisogna ricordare che i Promessi Sposi non è un trattato di storia ma un'opera d'arte, perciò anche le pagine storiche sono ricche della moralità e poesia del Manzoni e queste pagine sono utili perchè danno ai vari personaggi una realtà concreta.
Il Manzoni conobbe lo scrittore Walter Scott, scrittore di romanzi storici; ma mentre Scott pensava soprattutto a rallegrare gli spettatori, Manzoni parla dell'umanità in modo serio e morale.
Abbiamo tre stesure. Il romanzo, la prima volta si chiamò "Fermo e Lucia" e presenta un maggiore pessimismo; poi con il titolo "Promessi Sposi" (II e III) il romanzo diventa più sereno ed equilibrato. Il carattere principale del romanzo è che le persone buone vengono sempre perseguitate ma alla fine il bene vincerà. I Promessi Sposi sono un romanzo romantico per l'amore della verità storica, per la grande religiosità e per l'amore di Manzoni verso gli umili. Il romanzo è un misto di storia e di invenzione in cui il Manzoni racconta un fatto privato e fatti più generali; questa unione fra la gente e la piccola storia rappresenta una novità.
Si parla di un filatore di seta, Renzo, e di una popolana, Lucia, che non si può sposare perchè un signorotto prepotente, Don Rodrigo, si è invaghito di lei; ma alla fine i due si sposano dopo molte vicende dolorose. Oltre a questo fatto privato si parla pure della Lombardia dominata dagli spagnoli, della Spagna e di altre regioni: si parla pure della carestia a Milano e della peste. Ha una grande importanza nei Promessi Sposi la folla che viene considerata la vera protagonista del romanzo; ma protagonista viene pure considerata la provvidenza: appunto per questo la differenza fra i Promessi Sposi e tutte le altre opere è che il Manzoni nei Promessi Sposi vede sempre la provvidenza nella storia e negli uomini.
I personaggi dove meglio vediamo la religione cristiana sono: Fra Cristoforo Borromeo; dobbiamo ancora ricordare la famosa conversione dell'Innominato, in cui vediamo la presenza di Dio nel cuore di un uomo; dobbiamo ancora ricordare Don Rodrigo soprattutto nelle pagine finali quando s'ammala di peste e grazie alla sofferenza si salva l'anima. (provvida sventura). Dobbiamo anche ricordare la famosa Monaca di Monza Gertrude, poichè il Manzoni con dolore segue la sua sventurata vicenda. Nella pagina finale del romanzo, Renzo e Lucia, i quali cercano di capire il vero significato di tutto ciò che è successo a loro, capiscono che anche se nella vita si soffre, basta aver fiducia in Dio e così anche la sofferenza ci aiuta a diventare migliori (provvida sventura).
Questo concetto è il "sugo di tutta la storia", cioè lo scopo. Per capire questa idea si pensi all'addio ai monti del capitolo VIII, in cui si dice che Dio non toglie mai una gioia se non per dare agli uomini una gioia più grande. Nei Promessi Sposi è pure presente il motivo della giustizia presente sia in terra che in cielo. Lucia, prima, era giudicata negativamente come un personaggio senza forza (De Sanctis) mentre Russo vede in Lucia una figura con una forza delicata che lotta con dolcezza. Riguardo alla politica del romanzo Manzoni fa capire che condanna la politica, perchè vede in essa la forza e l'astuzia e quando la condanna lo fa in modo ironico. Nel romanzo si hanno vari tipi di cultura, quella di Don Abbondio che non ha nessun amore verso la povera gente come Renzo e Lucia.
(Renzo: la figura di Renzo si ricorda perchè è impulsivo e spesso focoso ma sempre in lui c'è un sentimento fresco e sincero). Poi abbiamo Fra Cristoforo in cui vi è una cultura religiosa; il Dottor Azzeccagarbugli, che si serve della cultura per fare i propri comodi; il Cardinale Federico Borromeo, la sua cultura profonda gli serve per far conoscere la verità cristiana: è proprio questo tipo di cultura che il Manzoni ama, infatti la cultura deve servire a migliorare gli uomini e a far conoscere la verità. Si ricordi pure Don Ferrante che rappresenta la cultura del '600, piena di scienze inutili. Il periodo storico di cui i Promessi Sposi parlano è il '600: il Manzoni sceglie questo secolo perchè è un periodo in cui si ha soprattutto il contrasto fra la ricchezza e la miseria, tra la schiavitù e la libertà, tra il bene ed il male; infatti come nel '600 gli italiani erano oppressi dagli spagnoli, così nell'800 (periodo del Manzoni) gli italiani sono oppressi dagli austriaci.
Una grande importanza del romanzo è l'umorismo, che serve al Manzoni per dare un carattere medio giusto al suo racconto; cioè quando un fatto sta per diventare troppo tragico, il Manzoni con l'ironia e l'umorismo lo riporta a una certa normalità, facendo perdere a quel fatto l'eccessiva tragicità; per esempio: quando nel castello dell'Innominato abbiamo la figura di Lucia sofferente c'è anche la figura un po' comica della vecchia, la quale serve a rendere meno drammatica tutta la scena. Si ricordi il suo scritto "Della lingua italiana". Manzoni, mentre si preparava a scrivere, cercava una lingua popolare e nello stesso tempo letteraria; decide di usare la lingua fiorentina parlata dalle persone colte, poichè in Italia solo Firenze, dice Manzoni, ha una lingua nazionale, perchè vi sono poche parole straniere ed è già stata usata dai grandi trecentisti ( Dante, Petrarca, Boccaccio).
Il romanzo, quindi, è romantico anche per la lingua che è popolare pure se in modo moderato. A proposito della lingua, non ci sono espressioni parlate come ci saranno, invece, nel Verga. Un'altra differenza dal Verga e dai "veristi" è questa: tutti i personaggi parlano allo stesso modo di come parlerebbe il Manzoni, cioè il Manzoni non fa parlare i personaggi come parlerebbero veramente nella realtà, non si abbassa lui ai personaggi come farà Verga ed i veristi, ma li innalza a lui; per esempio, nell'addio ai monti le espressioni non sono certo quelle di due popolani. Bisogna anche dire che c'è ancora nel Manzoni un certo paternalismo, cioè lui tratta gli uomini come un padre tratta i figli, poichè crede che non sanno decidere da soli e hanno sempre bisogno di qualcuno, mentre nel Verga i personaggi sono più liberi.
Anche se prima veniva criticata la presenza eccessiva dell'aspetto religioso, ormai i Promessi Sposi vengono giudicati opera di grande poesia e anche, soprattutto, per gli aspetti religioso, morale e sociale.
Il mondo contadino: umanitarismo, patetismo, idillio. ( da Nedda )
Tutti in paese criticavano e sparlavano di Nedda. Così avvenne il giorno dopo la morte di sua madre, perché lei non aveva indossato un abito scuro ed era andata ugualmente a lavorare. Il rimprovero del curato, la domenica successiva, la costrinse a lavorare gratuitamente la sua terra. Inoltre, all’uscita della Chiesa, tutti i giovani ridevano della ragazza, della sua povertà, ma lei, stringendosi nelle spalle affrettava il passo per tornare nella sua misera casa. Solo un giovane di nome Jenu s’interessa a lei, ed al suo ritorno da Catania, le regalò un bel fazzoletto nuovo, che felice Nedda, indossò per andare in chiesa, così tutte l’avrebbero vista. Un giorno tornando da un lavoro nei campi, Nedda si concesse a Janu e subito tutti in paese capirono cosa era successo. Derisa ne approfittarono i datori di lavoro per diminuire la paga alla povera ragazza. La nuova partenza di Janu per Catania, fece sperare a Nedda, che al suo ritorno, avrebbero avuto soldi sufficienti per sposarsi, ma il giovane si ammalò nuovamente di malaria e perse il posto di lavoro. Nonostante fosse indebolito dalla febbre, Janu andò a lavorare alla raccolta delle olive, ma cadde dall’albero su cui era salito e le ferite alla testa ne causarono la morte. Da quel momento, Nedda, fu ancora più sola. Nessuno le dava lavoro, essendo ormai prossima, la nascita della bambina. Si chiuse nella casupola, finendo i pochi soldi che aveva. Di lei si ricordava solo lo zio Giovanni, che le dava quel poco che poteva.
La nascita della piccola peggiorò la situazione di Nedda. Non avendo niente da mangiare per se, le mancava il latte per la bambina e una sera, mentre fuori nevicava, morì tra le sue braccia. Nella disperazione, Nedda, rivolgendosi al cielo, gridò che preferiva la bambina morta, piuttosto che vederla vivere negli stenti e nella miseria come lei.

GIOVANNI PASCOLI – Appunti (chiama Patrizia)
BIOGRAFIA
Nato a San Mauro di Romagna, ha avuto una vita molto travagliata; il padre fu ucciso quando egli stava ancora frequentando il Ginnasio; ed alla sua morte seguirà quella di un fratello e della madre . Egli si trovò così nell’impossibilità di poter terminare gli studi, ed a salvarlo fu una borsa di studio ottenuta in un esame in cui fu giudicato dal Carducci. Appena laureato il Pascoli si mise a lavorare come professore, sempre alle prese con problemi finanziari, anche per colpa di un fratello ( Raffaele che ne combinava di tutti i colori.). La famiglia si ricompose per lui, allorché si mise a vivere con le sorelle Ida e Kariù. E questo spiega il perché del tono, addirittura feroce, che egli usa nei confronti della sorella Ida quando ella si sposa. Per lui l’allontanamento della sorella significava infrangere di nuovo un’unità familiare così difficilmente ricostruita. Non vi sono episodi rilevanti nella vita del Pascoli se non quelli relativi ai moti socialisti, a cui partecipa dal 1878, finendo in prigione. Il socialismo del Pascoli comunque è molto personale, per lui aderire all’ideologia socialista voleva dire soddisfare l’ansia di giustizia che era rimasta nel cuore dal momento dell’uccisione del Padre. Infatti egli dirà che il socialismo rappresenta un’ideologia che tuttavia è poco religiosa e poco umana. La matrice marxista del socialismo, evidentemente _________. Comunque, ciò non giustifica il Pascoli che scrive:
Molto belle le liriche in latini ____ in cui il Pascoli ha saputo trovare una lingua meravigliosamente viva, che senza portare innovazioni radicali, risale al significato originale della parola, riscoprendola e valorizzandola La prima raccolta è intitolata “Myricae”: il titolo è tratto dalla I° egloga di Virgilio (“a me piacciono i filari di alberi e le basse tamerici”) e significa che le sue poesie si ispirano ai soggetti modesti o _____ come le “myricae” cioè i bassi cespugli delle tamerici. Il Pascoli dice un critico, “qui respinge da se il mondo carducciano delle rissa una ___, dell’alta oratoria, dei grandi temi storici nazionali, per chiudersi
FORTUNA
La prima impostazione del problema critico della poesia pascoliana si deve a _____ che, partendo dall’impressione insieme d’attrazione e di repulsione ricavata dalla poesia del Pascoli, lo chiama “piccolo, grande poeta “ e gli nega il valore del Poeta in assoluto in quanto ____ di facoltà logico-sintetiche e perciò eccessivamente caratterizzato dal “frammentismo” . ____ invece, già intravede l’originalissima struttura del verso pascoliano mentre ______ addita per primo nel “senso del mistero” il carattere proprio della migliore poesia pascoliana. Dunque con Cecchi siamo arrivati ad una impostazione diversa da quella “idillica” e “paesana” del Croce. _______, ricollegano la personalità del Pascoli all’estremo romanticismo europeo di carattere simbolistico, mette in evidenza la “religiosità” del mistero che dà alla poesia pascoliana una dimensione magica e simbolistica. Il discorso del Galletti aveva chiaramente collocato il Pascoli nell’ambito del romanticismo decadente ma rimaneva piuttosto generico. Una maggiore incisività fu portata dal _______ che definisce decadente la “primitività” pascoliana (semplicità quasi voluta (costante)), da cui scaturiscono sia gli effetti positivi che quelli negativi della produzione del Romagnolo: giacché tale “primitività” decadente origina da una parte una lirica nuova, dominata dall’ansia e dal mistero, dall’altra una forma particolare di retorica, difficile da cogliere, che si può definire “declamazione sottovoce”. Anche secondo il _____ c’è una “letterarietà” nella produzione pascoliana, una tendenza scoperta ad una letteratura decorativa: vedi l’amore per la parola rara, lo spezzettamento dell’endecasillabo, le similitudini ornamentali. Approfondimenti ulteriori sulla natura “decadentistica” del Pascoli vengono dal ____ che tuttavia rileva come l’autore delle “Myricae”, pur attribuendo al poeta la funzione di scopritore della poetica insita nelle cose, non arriva mai; (come fanno i decadenti puri) “a far della poesia l’unico metodo di conoscenza del reale, per cui “l’inconoscibile” rimane un’aspirazione non una conquista ______ una scelta nella produzione pascoliana: e dall’impressionismo delle prime raccolte balza subito ai “Poemi conviviali” dove, a suo avviso, emerge fortissimo un sentimento di “religiosità del mistero”, oltre ad una “venerazione per la natura, per la bellezza e la bontà della vita” da cui scaturisce un particolare eroismo fatto di rinunzia e di sconforto. L’indagine critica più recente è rivolta, più che all’analisi dei contenuti ed alla coerenza con cui vengono espressi nella produzione pascoliana, ad evidenziare il tono, il sapore, il calore, i riflessi del linguaggio pascoliano di cui si mettono in evidenza la novità ed il valore di premessa delle espressioni poetiche più recenti.
Cesare Pavese
Il carattere dell’autore si presenta timido, introverso ed educato; figlio di madre, energica e severa, rimase presto orfano di padre. Fin dalla sua infanzia, Pavese, matura in sé una fragilità psicologica, con cui dovrà sempre venire a patti, fino al momento della morte per suicidio, avvenuta il 27 agosto del 1950. Appassionato estimatore della cultura americana, insieme a Vittorini, alimenterà un vero e proprio mito dell’America, come terra dell’individualismo e della libertà, traducendo autori importanti come Dickens, Joyce, Melville (>).
L’iscrizione al Partito Comunista (1945), contribuisce, insieme alle illusioni sentimentali, ad aumentare il suo disagio (infatti, già nel maggio del 1950, parla di suicidio).
Il primo lavoro importante, “lavorare stanca”, è in poesia: qui si evidenzia uno sperimentalismo tecnico e metrico che porta lo scrittore, di contro al gusto imperante di tipo ermetico, a costruire una specie di poesia-racconto, tesa a stabilire un ampio rapporto di comunicazione con i lettori. I temi ed i motivi della raccolta sono già quelli delle importanti opere future, sia in prosa che in poesia: coppie opposizionali, quali la campagna e città, ozio e lavoro, infanzia e maturità, uomo e donna, etc. A lavorare stanca, che è un insuccesso, seguono Paesi Tuoi del 1941, che evidenzia subito il carattere fortemente innovativo, La casa in collina del 1948, Ferie d’Agosto del 1946, La Luna e i falò del 1950.
La vita dello scrittore è rispecchiata in molte di queste opere: infatti la sua esperienza al confine, in un paesino della Calabria, dove viene inviato perché trovato in possesso di lettere compromettenti (vedi il racconto il Carcere), la mancata partecipazione alla guerra partigiana dopo l’8 settembre (infatti si rifugia da una sorella), le riflessioni sul mito e sulla religione, daranno alimento continuo alla sua produzione. Certamente originale è l’impianto delle sue opere liriche che, in contrasto con la tendenza dell’ermetismo dominante, sono viste da lui come poesie-racconto che, rifiutando ogni chiusura all’interno dell’io, devono aprirsi all’esterno, stabilendo un più ampio rapporto di comunicazione coi lettori: a ciò contribuisce il “verso lungo”, superiore all’endecasillabo, che si richiama alle forme epiche della letteratura.
Il mito ha un’importanza centrale nella poetica di Pavese, ognuno di noi, dà un significato assoluto a un luogo e ad ognuno di noi tornano alla memoria i luoghi dell’infanzia, ebbene durante l’infanzia il mito viene vissuto spontaneamente ed inconsapevolmente, non solo, ma il mondo infantile è decisivo per lo sviluppo dell’individuo, perché ne determina il destino. Ecco perché Le Langhe e la collina, che per lui è il luogo mitico, in quanto lì ha trascorso l’infanzia ed ecco perché ad esse ritorna ossessivamente trascrivendo attraverso simboli, le vicende che vi colloca. Accanto ed all’interno di tale mito, ci sono quelli della terra e della donna. Tali miti, rappresentano l’elemento preesistente, comune e universale, ma oscuro e misterioso a cui la poesia deve dare chiarezza, forma e ordine. Allo scrittore non interessa presentare un’immagine naturalistica della realtà, ma trascriverla attraverso simboli, dunque non rappresentare la realtà esterna delle cose, ma la “realtà segreta che affiora” al di sotto ed al di là delle apparenze esteriori.
Analisi di “Paesi Tuoi”
Berto, il protagonista, è insieme narratore e spettatore-attore delle vicende che descrive: egli rappresenta il modo di pensare dell’autore. Il tema della tragedia, latente in tutta la narrazione, trova il suo acme (=punto culminante), nella morte di Gisella, da cui si sprigionano le forze di un’umanità selvaggia e ferina, (vedi Talino → fratello) circondata da simboli che ci fanno pensare ad una realtà ancestrale (=antica, vecchia) – (l’acqua del secchio ed il sangue che la zampilla dal collo).
Si tratta di significati metaforici, che culminano nella “mammella” scoperta dalla ragazza moribonda: esse sono il simbolo del sesso, della maternità e della vita e sono costantemente associate all’immagine delle colline . Pavese trasferisce nella natura, i tabù dell’incesto e del sangue: infatti il sesso diventa una violenza che dapprima repressa, si scatena in un’istinto di morte proprio nel momento (la raccolta del grano) in cui la terra è più generosa e vitale.
Il mito classico d’altronde ha parlato delle sacerdotesse di Bacco, che invasate, fanno a pezzi il corpo di Penteo nella tragedia “Le Baccanti” di Euripide.
Il sangue di Gisella, giovane e forte, si trasforma quasi in un tributo alla terra di cui alimenta il vitalismo. E, se Berto, cittadino, guarda alla morte della giovane con raccapriccio e senza comprenderla, per il padre di lei, Viverra, la morte non altera il ritmo della vita, per cui egli ordina di riprendere i lavori giacchè la fa rientrare nel ciclo vitale regolato da leggi eterne ed immutabili che accanto alla vita contemplano la morte.
“La Casa in collina”
In questo romanzo, si ritrova molto di Pavese, dove il protagonista, Corrado, insegnante di scuola media, si rifugia sulla collina torinese presso due donne (madre e figlia) per sfuggire ai bombardamenti: in un’osteria, dove si incontrano gli abitanti del luogo a discutere di politica e di opposizione al fascismo, ritrova Cate, ed il figlio di lei, Dino, di cui sospetta di essere il padre.
L’incontro lo pone di fronte a due tipi di responsabilità: morale e politica, giacchè egli la evitato l’impegno politico ed anche quello morale, avendo abbandonato Cate, per rifugiarsi in un’egoistico isolamento. Cate sarà catturata dai tedeschi; Corrado si allontanerà per essere raggiunto da Dino, che andrà a combattere coi partigiani, mentre il protagonista, Corrado, tornato nelle natali Lanche, continuerà a sentire la precarietà dell’esistenza, aumentata dalle immagini di dolore ancora negli occhi.
La vicenda permette all’autore l’occasione di abbandonarsi ad una meditazione riguardante il significato della guerra e della vita. Corrado, infatti, ritornato nel grembo rassicurante delle sue colline, non vi trova la sicurezza cercata, giacché è costretto a condividere la sorte degli altri uomini: in particolare gli sfugge il senso della guerra e dell’orrore che provoca, e inoltre le motivazioni politiche non bastano a giustificare, anzi egli sente il bisogno di andare al di là di esse per riflettere sulla solidarietà e sulla pietà umana. La realtà della guerra è data dai morti che non hanno colore: per questo “ogni guerra è una guerra civile, ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione”; i sopravvissuti non hanno colpe, ma la fine di quegli uomini, è comunque assurda e va ripensata e superata, attraverso una riflessione alta, solenne, e non partigiana.

Il CREPUSCOLARISMO
Il Crepuscolarismo fu soprattutto contro il D'Annunzianesimo. Il nome vuole dire che quel periodo era come il crepuscolo, il tramonto, e la fine della grande poesia del Foscolo, del Leopardi e del Manzoni; mentre adesso i crepuscolari amano parlare di cose semplici, di ogni giorno, di ambienti provinciali e tristi, come, per esempio, -Una domenica trascorsa in una piccola città senza grandi avvenimenti; Un triste ospedale-. Quindi viene continuato al massimo quell'amore del semplice che già abbiamo visto nel Pascoli (Myricae). Questi poeti, non riuscendo a trovare poesia nel mondo moderno industrializzato, si rifugiano, delusi, nel ricordo malinconico dell'infanzia e nelle piccole cose di ogni giorno che non sono certo artistiche e grandiose, ma almeno sono semplici. I crepuscolari presero alcune loro idee dagli Scapigliati, da Pascoli, ma furono soprattutto decadenti perchè erano contro la letteratura tradizionale e per la loro angoscia. La loro lingua fu vicina alla prosa senza eleganza e vicina a quella parlata. Il maggiore rappresentante fu Gozzano.
-Futurismo- Questo è un movimento più difficile del primo e più rumoroso. Il caposcuola fu Marinetti con il suo manifesto, nel quale diceva di amare la corsa, la lotta, il pericolo, la violenza e la guerra considerata la sola igiene del mondo, cioè, che serve a pulire il mondo dagli uomini inutili. La scuola -Futurismo- vuole dire che si rifiutava non solo la poesia, ma anche il modo di pensare e di vivere il passato, pensando solamente al futuro, fatto di città rumorose, di macchine, di civiltà moderna. Questo movimento lo vediamo anche nelle arti figurative, nella musica, nella politica. Il Futurismo partì da un certo positivismo del secondo '800 e molti futuristi erano stati anarchici e socialisti, per questo, spesso, gli operai lo vedevano di buon occhio e la borghesia no; ma mentre il futurismo degli altri paesi, come per esempio in Russia con lo scrittore Mojie Kovsky vi fu una grande forza sociale, in Italia non fu così, soprattutto fu un movimento nazionalistico che doveva appoggiare il fascismo, infatti Marinetti fu fascista. L'importanza del futurismo non è in ciò che ci ha dato ma soprattutto nel fatto di aver distrutto buona parte della tradizione precisa della realtà; invece il futurismo ci ha fatto vedere le cose in modo moderno e ci ha parlato di contenutismo come il lavoro rumoroso delle officine e la vita delle città moderne. Per quanto riguarda la lingua abbiamo i versi liberi, la sintassi non viene seguita ma i nomi vengono usati così come vengono prima, senza razionalità; non si cura la punteggiatura nè si usa l'aggettivo e si vuole cantare il brutto. Anche se il Crepuscolarismo e il futurismo non ci hanno lasciato grandi opere poetiche il primo movimento con la malinconia ed il secondo con la ribellione, permisero un rinnovamento della nostra poesia e così nacque l'Ermetismo che fu novità.
-Le riviste fiorentine del '900 sono molto importanti per farci conoscere lo sviluppo della cultura in quel periodo; quelle più importanti furono: Il Leonardo, La voce, L'Acerba, La Ronda. Nel Leonardo si ha soprattutto l'aspetto filosofico e politico. Nella -Voce- si cura soprattutto la cultura e gli ideali. L'Acerba e la Ronda hanno programmi soprattutto letterari e il loro programma fu contro il Positivismo e cercò di rinnovare la tradizione ammirando la poesia filosofica dei primi romantici tedeschi; in politica fu a favore del nazionalismo.
-La Voce- fu molto importante perchè ad essa collaborarono famosi letterari, politici e artistici come Croce e Mussolini. Il suo programma era quello di far conoscere la letteratura straniera agli italiani cercando di rinnovare la cultura e la società italiana e poichè amava una profonda cultura sia filosofica e politica ebbe il pregio di approfondire la cultura degli italiani e di responsabilizzarli ad un maggior impegno.
-Lacerba- fu più violenta ed amò la ribellione avendo soltanto di mira la libertà dell'arte: quindi ebbe soprattutto un'importanza di critica del passato.
-La Ronda- amò una lingua e uno stile che pur essendo classico sembra moderno e facile da capire per tutti. Questa rivista ebbe una grande importanza per il periodo e per dare all'arte un equilibrio e un'armonia, in un momento di confusione ma poichè era contraria alle novità non fece niente di nuovo. La Ronda, per il suo amore in un'arte curata fece nascere la cosiddetta Prosa d'arte, cioè più elegante. Ancora, ha il pregio di aver fatto approfondire gli studi su Leopardi visto come modello di stile e di lingua e ancora di avere fatto conoscere in modo profondo la cultura europea.
Coscienza della Crisi
Negli scrittori precedenti già si sono visti i segni della grande crisi sociale e culturale di questo periodo, sia nel rifiuto del passato e sia nella ricerca di novità. Ma gli scrittori che abbiamo fatto sino ad ora hanno soprattutto sofferto questa crisi senza cercarne in modo serio le cause. Invece vi furono scrittori che riuscirono a prendere coscienza di questa crisi in modo profondo, cercando, parlando apertamente e in un certo modo (profondo), di risolverlo; ed è per questo che si possono considerare gli scrittori più grandi, poichè videro la crisi del novecento come una cosa seria e tragica che riguardava non solo il periodo storico, ma soprattutto la crisi stessa; l'esistenza dell'uomo, appunto per questo, la definirono: crisi esistenziale, perchè riguardava l'infelicità della vita umana (Leopardi).
Italo Svevo
Svevo scrisse racconti, ma soprattutto ricordiamo i suoi tre romanzi: Una vita, Senilità, La coscienza di Zeno. Svevo studiò in Germania ma visse a Trieste, una città aperta a molte culture. In principio le sue opere non ebbero fortuna ma dopo vari anni grazie all'amicizia con Joyce, che allora stava a Trieste, fu fatto conoscere in Italia e anche grazie a Montale, Svevo, già nel primo romanzo, -Una vita-, che sembra un'opera realista positivista in cui parla di un fallimento umano finito in suicidio, ci dà una nuova visione della vita, parlando di piccoli fatti che sembrano senza importanza ma che egli analizza in modo profondo e inquieto.
-Senilità- Ancora più nuovo è il secondo romanzo, -Senilità-, in cui si parla di un altro fallimento, quello del protagonista e di sua sorella, sconfitti nell'amore e nel desiderio della gloria. Sono anch'essi dei vinti come quelli del Verga, però non vittime della loro condizione sociale o di fatti esteriori ma di una loro malattia interna che Svevo chiama Senilità, cioè un desiderio impossibile di amare e la delusione di non poterne godere per il proprio carattere debole. Così si ha soltanto una tremenda solitudine e il romanzo analizza e parla quindi di una crisi esistenziale di vita.
-La coscienza di Zeno- Del tutto nuovo e più importante è il terzo romanzo -La coscienza di Zeno-, in cui il protagonista Zeno, ormai vecchio, ricorda la vita passata. Quindi il romanzo parla della sua vita non come è stata veramente, ma come Zeno la vede e a mano a mano la ricorda, unendo passato e presente. In questo libro l'uomo va, quindi, alla ricerca del tempo passato e perduto come nei romanzi di Proust, in cui si cerca una spiegazione alla vita presente ricordando il passato. Quindi Zeno non esiste veramente per quello che è ma come la coscienza di Zeno, perchè egli vede la sua vita come una ricerca continua di motivi in una unione di presente e passato. Da ciò si ha una mancanza di fede nella razionalità dell'uomo e del mondo e si ha un senso di solitudine e di alienazione (sentirsi estraneo al mondo e alla vita che si vive) che sono la caratteristica della letteratura del '900. Poichè la crisi di Zeno è esistenziale, cioè crisi dell'uomo, in questo romanzo sembra che tutti gli uomini prima o poi saranno abbattuti da una tragedia cosmica universale. A proposito di ciò, di questa specie di malattia che rovina il mondo (Montale), nel romanzo si sente pure il desiderio di salvarsi ma anche la mancanza disperata di fede nella salvezza. Per questo tipo di romanzo psicologico Svevo usa il monologo interiore, perchè non canta più il racconto ordinato ma i fatti sono esposti in modo vario e privo di razionalità, in cui presente e passato si alternano e si insiste molto su fatti che sembrano poco importanti ma che servono a far capire la psicologia e la vita del personaggio; per esempio, il poeta insiste molto nel farci vedere gli sforzi di Zeno per smettere di fumare, ma inutilmente.
LUIGI PIRANDELLO
Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867 e muore a Roma nel 1936. E' Uno degli scrittori più importanti del nostro secolo, perchè rappresenta le ansie e le angosce degli uomini contemporanei. Dopo essersi laureato a Bonn (Germania) ritorna in Italia dove fu giornalista fino a quando una grave crisi economica lo costringe ad insegnare. Nella sua vita ci fu pure la tragedia di una grave malattia della moglie che fu chiusa in una casa di salute, ma che lo tormentò per molti anni con la sua gelosia. Lasciò l'insegnamento e creò una compagnia drammatica con cui viaggiò in Europa e in America. Ha avuto il premio nobel per la letteratura. Pirandello fu poeta, narratore e drammaturgo. La sua poesia iniziale ci fa ricordare il verismo del Verga; Pirandello conobbe una grande fama soprattutto con il dramma che lo fece dominare anche nel teatro italiano ed europeo dopo la prima guerra mondiale. Scrisse sette romanzi e più di duecento novelle, riunite sotto il titolo -Novelle per un anno-. Sono più importanti le novelle in cui Pirandello va al di là del verismo, che ormai ai suoi tempi era diventato un'arida e fredda rappresentazione, mentre lui analizza i nuovi personaggi in modo umoristico per mezzo del quale i fatti umani si trasformano in ansiosi casi umani. I romanzi si possono considerare come novelle più lunghe in cui Pirandello parte da un fatto per riflettere con la ragione su quel fatto stesso e a volte in quest'analisi cerebrale, razionale è stata vista la mancanza di poesie. Fra i romanzi ricordiamo -L'esclusa, Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani (politico)-.
-Il fu Mattia Pascal- Questo romanzo si può considerare il più famoso. Parla di un uomo che, creduto morto, vorrebbe dimenticare la sua vita passata e ricominciare una vita nuova lontano dal suo paese; però, essendo creduto da tutti morto non era considerato un cittadino e quindi non riesce a vivere, perchè non può neanche sposarsi con la donna che ama. Quando, alla fine, ritorna al paese e vorrebbe dire a tutti che è vivo, trova sua moglie sposata e lui continua ad essere il Fu Mattia Pascal, perchè tutta la società lo rifiuta. A questo punto anche lui va a mettere un fiore sulla sua tomba. In questo romanzo Pirandello vuole farci capire che se uno vuole vivere non può sperare in una vita diversa e deve accettare quella che vive.
-Uno, nessuno, centomila- è un altro romanzo importante. Parla di un uomo che pensa di essere una sola persona ma cambia col cambiare delle situazioni, cioè, in famiglia si comporta in un modo, con gli amici si comporta in un altro modo, nel lavoro in un altro ancora, perciò è sempre diverso, ovvero è centomila persone. Allora, questo vuole dire che non è nessuno e che la sua vita è triste, mascherata e buffonata. Nelle Novelle già cominciamo a conoscere il suo pensiero, il tragico pessimismo. In queste novelle Pirandello analizza l'animo umano e tutti i sentimenti più nascosti ed in questo è decadente. L'aspetto principale del suo pensiero è la pena di vivere ed i suoi personaggi fanno parte della piccola borghesia dell'Italia meridionale, Pirandello parla della loro vita monotona e della loro insoddisfazione segreta e lo fa con umorismo amaro, vedendo sempre un aspetto eccessivo delle cose. A proposito del suo umorismo, egli stesso parla in uno scritto intitolato -L'Umorismo-, in cui dice che mentre l'umorismo ci fa vedere tutti i contrasti del mondo e ci fa vedere pure l'aspetto tragico e non solamente per ridere come fa il comico ma sia per ridere che per aver pietà, quindi, l'umorismo ci fa riflettere, anzi, egli stesso paragona il suo umorismo e sorriso amaro alla -lumaca- che gettata nel fuoco fa un movimento e un rumore che sembra una risata e invece sta morendo.
Questi concetti ci ricordano un po' Leopardi, quando parlava del contrasto tra la natura, che ci dà l'istinto e l'impulso gioioso della vita, e la ragione o civiltà che frena questi impulsi, rendendoci infelici. Ma mentre Leopardi, alla fine esorta gli uomini ad affratellarsi in nome del dolore, il pessimismo di Pirandello è maggiore perchè è radicale, nasce cioè dalle radici della vita dell'uomo che resta sempre solo senza la possibilità di comunicare con gli altri uomini. I suoi personaggi sono sempre solitari e parlano con se stessi, come dice il Russo, e non sono mai come ci appaiono esternamente.
La tragedia di Pirandello, che fa vedere nelle sue opere, è nel -vedersi vivere-, cioè i personaggi sono come se uscissero da se stessi per vedersi dal di fuori come se fossero altri e per vedere il contrasto tra la vera realtà, tra la vera vita e la maschera (falsità) che ci mettiamo per vivere in società. Quindi, secondo lui, il mondo è basato su di un contrasto tra -la vita-, che è un continuo movimento e cambiamento, e la -forma- che è una specie di sistema sociale, di legge esterna, in cui l'uomo cerca di fermare e di fissare la vita; per questo l'uomo è prigioniero di queste forme, di questi schemi sociali in cui si rinchiude o da se stesso o per opera della società. A volte può succedere che qualcuno voglia abbattere queste forme e cercare la vera vita e accorgendosi di non poter cominciare a comunicare con gli altri si sente solo e così secondo Pirandello, l'uomo, quando si accorge di questi contrasti non ha altra via di uscita che il delitto o il suicidio, oppure fingersi pazzo ed esprimere liberamente le sue idee o ancora accettare tutto rassegnato. Quindi i personaggi desiderano raggiungere la libertà anche se è difficile riuscirci. In questi concetti vediamo il problema dell'alienazione dell'uomo moderno; quindi le opere di Pirandello sono come una denunzia e una ribellione contro tutto il sistema sociale che frena la libertà dell'uomo. I suoi personaggi sono sempre tragici e sono definiti -maschere nude- perchè prive di una vera realtà, che nascosta dentro di loro, tranne quella che appare fuori all'esterno agli altri (falsa, maschera) e ci fanno capire che la vera realtà dello spirito, se c'è, non si può conoscere mai (pessimismo assoluto).
La poetica di Pirandello l'abbiamo vista nelle sue idee sull'umorismo quando dice che il poeta deve anche essere critico e anche quando si abbandona al sentimento c'è sempre in lui come un demonietto maligno che analizza continuamente tutto: quindi il poeta, così inteso, è il solo che può studiare a fondo l'uomo e la vita sociale, la quale è un insieme complicato di verità e di menzogna, per cui quando si dice che la vita è chiara, razionale e semplice è una menzogna. Allora per salvare l'individuo bisogna portare la verità nella società. Nella sua poetica c'è un concetto di arte diversa da quella tradizionale, che ci ha dato una rappresenta zione chiara e ordinata della vita. Invece l'arte nuova deve parlare dell'uomo con tutte le sue contraddizioni, che prova sentimenti sempre diversi da un momento all'altro e deve cercare, quindi, di rappresentare -la vita nuda- (priva di menzogne), così come è nella più profonda realtà e farci capire che l'animo umano è pieno di pensieri strani, spesso folli, che a volte non abbiamo neanche il coraggio di confessare a noi stessi. L'opera d'arte deve rappresentare la vita reale così come è, folle senza ordine, irrazionale, piena di casi particolari; Infatti all'inizio la sua opera sembrò verista, appunto perchè si ferma a descrivere in modo preciso gli aspetti della vita dell'uomo. Però il suo verismo è sempre grottesco e non vuole rappresentare la realtà in modo oggettivo come i veristi, come i naturalisti e neppure con la partecipazione morale del verismo del Verga, ma vuole abbattere e scoprire tutte le falsità della realtà. La tragedia dei personaggi di Pirandello è dovuta alla mancanza di fede in un mondo pieno di interessi. Nei suoi drammi teatrali sviluppa questi concetti: ricordiamo il dramma "Enrico IV" e "Sei personaggi in cerca di autore".
-Enrico IV- In "Enrico IV" il protagonista durante una cavalcata batte il capo cadendo, impazzisce e vive vari anni nella maschera di Enrico IV imperatore di Germania. Appena guarisce e si accorge che la sua donna l'ha tradito, uccide il rivale che lo fece cadere, uscendo per un attimo dalla sua maschera di Enrico IV, infatti subito dopo il delitto si finge di nuovo pazzo, così non verrà punito. Ricorda un po' il personaggio del Fu Mattia Pascal, il quale una volta uscito dalla sua realtà non potè più ritornavi e per vivere deve fingere per sempre.
-Sei personaggi in cerca di autore- In -Sei personaggi in cerca di autore-, questi personaggi cercano un autore, che rappresenti la loro tragedia.
Il teatro di Pirandello fu conosciuto in tutto il mondo solo dopo la prima guerra mondiale; è un teatro attuale ora che la guerra è appena finita e che nel mondo vi è la crisi sociale e gli uomini sono senza speranze. Mentre il teatro naturalista dell'ottocento era oggettivo, quello di Pirandello è anche differente dal teatro di D'Annunzio, pieno di mitologia e di falsità; quello di Pirandello è stato chiamato -Teatro di idee-, perchè parla dell'uomo moderno della sua tragedia e suscita negli spettatori idee, riflessioni sulla condizione disperata dell'uomo. Anche se gli schemi di questo teatro sembrano naturalistici, cioè parlavano di problemi giornalieri e di famiglie borghesi, c'è sempre qualcosa di nuovo, perchè basta che un personaggio entri nella scena per sconvolgere le forme e i sistemi razionali di tutti gli altri personaggi.
Per esempio, nella commedia "Il berretto a sonagli", il personaggio pirandelliano, che è uno scrivano, consiglia alla moglie del padrone, la quale per gelosia aveva parlato del tradimento della moglie dello stesso scrivano con suo marito (il padrone), a fingersi pazza per evitare le conseguenze di quello che aveva detto. Già in queste prime opere si nota il cosiddetto -cerebralismo- (analisi razionale, logica, del cervello, dell'intelletto, di tutti gli aspetti della vita umana) o -intellettualismo- di cui fu spesso accusato Pirandello e che invece, come dice lo stesso autore, è l'aspetto fondamentale della sua arte: infatti il personaggio pirandelliano poichè vede le cose con il cosiddetto sentimento del contrario (che si ha quando il poeta oltre a vedere un fatto con sentimento lo critica pure con la ragione, con il cervello con l'analisi razionale che poi è il contrario del sentimento e abbatte tutto ciò che il sentimento aveva presentato) deve per forza far vedere con la ragione arricchita dalla passione tutte le apparenze, le falsità del mondo; quindi è normale che il mondo, che Pirandello ci rappresenta, sia pieno di contrasti; può sembrare assurdo e cerebrale a tutti quelli che vivono nel mondo delle -forme-, delle apparenze.
Come Pirandello, in Germania abbiamo Brecht che rinnovò il teatro tradizionale mettendo al posto del carattere il personaggio fuori dal reale anche se il suo desiderio era quello di vivere come in "Sei personaggi in cerca di autore". Verso la fine scrisse drammi come "I giganti della montagna" in cui i personaggi sono simboli, miti dell'infelicità umana. Quindi questo teatro costringe lo spettatore a riflettere sui problemi rappresentati. Alcuni critici hanno visto in Pirandello una certa monotonia e una certa difficoltà alla comprensione e hanno detto che il suo umorismo amaro abbatte tutti i valori umani ma non educa e non serve a migliorare. Di positivo vi è l'importanza del suo teatro sia in Italia che in Europa per il tormento che rappresenta e per la novità dello stile, infatti Pirandello ebbe il premio Nobel per la letteratura, per il suo coraggio nel rinnovare il teatro.
Scrisse anche opere storiografiche e nei suoi concetti artistici ricorda Vico, nell'arte intesa come fatto fantastico, istintivo e irrazionale. (Croce)
POSITIVISMO
E' la filosofia della scienza, del reale, di quel periodo mentre prima c'era l'dealismo. Tutto ciò che è sicuro, che si può vedere, toccare.
IL REALISMO E IL VERISMO
Il verismo è, in Italia, il realismo più preciso (con regole come in una scuola) che si ha soprattutto nelle novelle e nei romanzi. Il verismo italiano prese molti spunti dal naturalismo francese con gli scrittori Flaubert, Maupassant, e soprattutto Emil Zola. Il naturalismo rappresenta la realtà naturale in modo scientifico, quasi fotografico, quindi in modo impersonale, oggettivo e studia soprattutto la vita delle classi più umili, il loro ambiente i caratteri fisici ereditari. Lo scrittore usa molto il dialetto, però il verismo italiano non deriva solo da quello francese, perchè riprende già alcuni aspetti oggettivi del romanticismo (realistici, Manzoni) e poi in Italia, a differenza della Francia, vi è la questione sociale e quella meridionale e l'importanza delle regioni italiane; infatti il nostro verismo viene pure chiamato - provincialismo - appunto perchè parla delle varie province come quelle siciliane, per esempio. Ancora, a differenza del naturalismo francese, il nostro verismo è più umano, molto più morale e non rappresenta così spesso i casi di varie malattie ereditarie come quello francese.
In questo periodo il romanzo verista viene chiamato -sperimentale- appunto perchè era scritto in modo documentato e scientifico. Il verismo si rivolge maggiormente alle classi più umili come aveva fatto il Manzoni, ma mentre i suoi personaggi erano guidati dalla fede, nel verismo per la nuova mentalità materialistica, nata con la filosofia del positivismo che si ha in questo periodo, l'attenzione degli scrittori si rivolge agli ambienti popolari più disperati credendo che in questi ambienti ci fosse maggiore verità. Il famoso concetto di impersonalità del verismo nasce contro il soggettivismo (introduzione dell'autore, che parlava di sè) della letteratura romantica, perchè la narrazione di un fatto non deve essere falsato dai giudizi dello scrittore; i personaggi dei romanzi per essere più reali e più veri devono parlare la loro lingua anche se rozza e dialettale.
Certamente questa impersonalità non può essere assoluta perchè lo scrittore è sempre presente nella scelta dei fatti e nel modo come parla approfondisce la storia di un personaggio. L'amore del vero e dell'utile e di una lingua viva, modellata sul dialetto fiorentino, era già sentita dal Manzoni. In Italia i principi del naturalismo francese furono fatti conoscere dallo scrittore siciliano Capuana, che fu anche teorico del verismo.
Capuana diceva che gli scritti devono essere come un documento umano, puro. A differenza del naturalismo francese non dava molta importanza all'ereditarietà (malati, alcolizzati) ma diede molta importanza ai problemi italiani del tempo: il problema economico (miseria), sociale (nord e sud) e i problemi regionali, ma in Italia non ci fu mai un'aperta polemica (denuncia) sociale come in Francia, perchè da noi lo scrittore non era il rappresentante di una determinata classe sociale ma parlava in modo staccato e lontano da situazioni esistenti da tanti anni. I maggiori scrittori veristi furono: Matilde Serao (Napoli), Grazia Deledda (Sardegna). Il più grande scrittore verista italiano fu Giovanni Verga
LA ROBA
Mazzarò era un uomo intelligente e ricco. Egli era proprietario di terreni, fattorie e palazzi, e aveva molti contadini che lavoravano la sua terra. Ma a causa della sua avidità, per risparmiare, mangiava solo pane e cipolla, pur essendo grasso. Mazzarò non beveva, non fumava, non aveva il vizio del gioco né delle donne. Il contadino era riuscito da semplice bracciante, ad accumulare tutta quella “roba”, che in precedenza apparteneva ad un barone. Il quale, ogni volta che lo incontrava, lo prendeva a calci, ma fu costretto a smettere, quando lui divenne il padrone. Il suo scopo era quello di comprare tante terre quante ne ha il re e cercare di superarlo. Tuttavia, Mazzarò, si accorse che ormai cominciava a farsi vecchio e che doveva lasciare a qualcuno tutti i suoi averi ottenuti con tanta fatica. Così, seduto davanti alle sue vigne, continuava a non accettare questa situazione. Un giorno, quando gli dissero che doveva lasciare tutti i suoi averi, Mazzarò cominciò a rincorrere col bastone anitre e tacchini, gridando di volerseli portare via con sé.
CULTURA E LETTERATURA DELL'ETA' NAPOLEONICA
---CRISI DELL'ILLUMINISMO---
Non si può fare una divisione fra l'Illuminismo e le idee del preromanticismo perchè come dice il Fubini, spesso si trovano idee preromantiche in alcuni scrittori illuministi (Alfieri o Cesarotti). Questo si ha perchè l'illuminismo, che fu detto dei "lumi" della ragione, alla fine volle quasi fuggire dalla stessa ragione e forse ancora prima di Rousseau, amò parlare di sentimento e di passione, sognando la natura contro la ragione, prima lodata. Certo, alla fine del '700 queste idee venivano sentite ancora in modo superficiale, ma l'illuminismo finisce proprio con questo contrasto fra natura e ragione. Questa crisi dell'illuminismo che va dalla fine del '700 all'inizio dell'800, grazie al rinnovamento dell'illuminismo e al Classicismo, si arricchisce di una seria moralità, umanità, socialità e di un serio aspetto sentimentale, dando origine alle idee preromantiche ed anche al Neoclassicismo.
La tragedia storica di questo periodo sta proprio in questa crisi, quando si passa dalla ragione al sentimento, dal liberalismo nazionale al cosmopolitismo e si vide l'età dei lumi finire nel sangue e nelle stragi, e il sogno di libertà nella tirannide e nelle continue guerre di Napoleone. Questa crisi si ha non solo in letteratura ma anche nella società, nella politica, nelle arti, e Napoleone diventò simbolo rappresentante di questa crisi, perchè rappresentando l'il luminismo e la Rivoluzione borghese egli visse, senza riuscire a risolverla, la tragedia storica dei due periodi: il '700 e l'800, (5 Maggio, Manzoni), tra i quali fu come un arbitro. Egli portò in tutta Europa le idee di libertà e di progresso e la letteratura volle pure parlare di queste nuove idee di libertà sociale (cultura impegnata e reale, Parini e Alfieri). L'aspetto più importante di questa crisi è la letteratura malinconica, sepolcrale, perchè si è ormai stanchi di razionalismo e di ottimismo (nell'illuminismo), in quanto si è vista la loro falsità ed è per questo che gli scrittori sognarono cose opposte come la malinconia e i toni lugubri della notte. (Ossian, antico poeta che parlava di poesia lugubre).
NEOCLASSICISMO
Il Neoclassicismo è un movimento che si ispira alla bellezza classica antica e si ha nelle arti figurative, nell'architettura e anche nella moda. Neoclassicismo vuole dire Nuovo Classicismo, cioè un contenuto nuovo in una forma antica. In Europa si ha in età napoleonica, fra il '700, l'800. Questo amore per l'antichità fu rafforzato soprattutto da Winckleman, studioso austriaco che scrisse -La storia dell'arte dell'antichità- ed anche degli scavi di Pompei ed Ercolano. Questo studioso affermava che la bellezza perfetta era quella greca; (il miglior modello è l'Apollo di Fidia, artista greco), e diceva anche che per avere l'ideale di bellezza artistica bisogna prendere le parti più belle della natura e metterle insieme. I neoclassici, quindi, consideravano la bellezza come qualche cosa di puro, armonioso, e sereno (mito della Grecia, o Ellade). In Italia, i maggiori rappresentanti del Neoclassicismo furono i poeti Monti e Foscolo e lo scultore Canova, autore delle "Tre Grazie".
Il Neoclassicismo vero e proprio ( fine '700) non è in contrasto con il Romanticismo ('800), perchè come il Romanticismo sogna una lontana felicità e serenità, anche il Classicismo sogna un mondo di armonia di bellezza e di serenità; ancora, perchè il Romanticismo vuole dare una forma, una un'espressione serena ai sentimenti passionali ed inquieti ed in questo è tutt'uno con gl'ideali del Classicismo. Infatti molti grandi poeti romantici sono anche neoclassici, come il Foscolo (poeta neoclassico romantico), e Goethe. Il Neoclassicismo italiano parte dalla realtà attuale, però, poi la trasforma, la trasfigura in miti e figure ideali. (Per esempio la malattia di una donna che guarita diventa una dea immortale).

PREROMANTICISMO
Il preromanticismo è un insieme di sentimenti che sembrano annunciare il vero romanticismo, per esempio, l'importanza del sentimento, la malinconia, il pessimismo, il sentimento della morte, i paesaggi lugubri, l'amore per il primitivo, (sentimenti spontanei privi di razionalità). Non si deve però staccare l'illuminismo dal preromanticismo, perchè vi sono aspetti illuministici anche in poeti preromantici come l'Alfieri (illuminista), che è il più grande poeta preromantico italiano, piena di passione impetuosa, di malinconia, di solitudine: autore di "Saul".
In Francia abbiamo uno scrittore illuminista in cui ritroviamo anche molti sentimenti preromantici: Rousseau, il quale diceva che solo con il ritorno alla natura l'uomo poteva essere felice; però Rousseau crede che l'uomo possa ritornare alla felicità naturale perchè egli è un illuminista (cioè ottimista) e crede che con una giusta cultura l'uomo possa ritornare alla naturalezza dei suoi sentimenti, mentre i romantici, pur amando la natura, non credono che l'uomo possa raggiungere la felicità perchè c'è stata la delusione storica della Rivoluzione Francese.
Il più importante movimento preromantico in Germania fu lo Sturm und Drang (traduzione di "Tempesta e Assalto") che si ribellava alla ragione dell'illuminista, esaltando il sentimento e la natura. A questo movimento partecipò il poeta Goethe che scrisse -I dolori del giovane Werther-, un romanzo epistolare conosciuto anche da Foscolo. I sentimenti preromantici furono anche conosciuti per mezzo della cosiddetta poesia sepolcrale degli inglesi Young (Pensieri Notturni) e di Gray (Elegie sopra un cimitero di campagna) soprattutto per i poemi di Ossian che sono delle opere pubblicate da MacPherson e che si possono considerare dei canti popolari forse scritti da un certo Ossian, un antico guerriero e poeta scozzese, che in Italia furono tradotti da Cesarotti. Questi poemi parlavano della morte, della notte, del piacere al dolore, di paesaggi tristi e di tombe. Come dice il critico moderno Binni, l'Ossian di Cesarotti fu molto importante per i poeti italiani, perchè gli fece conoscere temi nuovi.
ROMANTICISMO EUROPEO
Il Romanticismo è un importante e complesso movimento letterario che si ha in tutta Europa ma soprattutto in Germania tra la fine del '700 e la seconda metà dell'800. La parola Romanticismo ha vari significati: in Inghilterra "Romantic" viene da romanzo che vuole dire qualche cosa di fantastico, avventuroso; in Francia "Romantique" vuole dire passione, sentimento; in Italia "Romantico" quasi sempre si oppone al classico. Il Romanticismo comincia con la Rivoluzione Francese. Il concetto più importante di questo movimento è quello della vita come continuo divenire, mutamento. Mentre per il classico la vita deve seguire regole fisse, per il romantico l'artista deve essere libero. Il Romanticismo è un movimento complesso in cui si possono notare due importanti direzioni:
1. il realismo oggettivo, in cui si parla di problemi reali, umani, della vita di ogni giorno reale (Manzoni);
2. il soggettivismo in cui la poesia è molto intima e fantastica. (Leopardi). Come dice il critico Bosco questi due aspetti si svilupperanno più tardi e precisamente il primo nel Verismo, il secondo nel Decadentismo, ('900).
Una delle caratteristiche importanti del Romanticismo è il dolore, in cui si vede il male o la malattia del secolo. Questo dolore è dovuto al fatto che l'uomo sogna una realtà felice ma non trova una società che frena i suoi grandi sogni: conflitto individuo-società. Proprio per questo motivo un'altra importante caratteristica del Romanticismo è il desiderio di evadere, fuggire dalla triste realtà, o ritornando al passato o sognando paesi lontani, primitivi. (esotismo). Questo conflitto individuo-società è uno dei più importanti motivi sia del preromanticismo (Rousseau) sia del romanticismo e a questo proposito bisogna ricordare il vittimismo per cui l'uomo si sente vittima della società e si lamenta; il titanismo (i titani erano giganti che si ribellavano agli Dei) per cui l'uomo sfida la società e anche se perde non si lamenta. Tutte le discussioni attorno al Romanticismo iniziano in una famosa rivista tedesca "Athenaeum" a cui collaborarono i fratelli Scleghel. In Europa molte idee del Romanticismo tedesco vengono fatte conoscere dalla scrittrice francese madame De Steal. Quindi le più importanti caratteristiche del Romanticismo sono: il concetto di storia come divenire continuo mutamento, l'amore verso il medioevo, come origine della Nazione moderna e come periodo ricco di leggenda e di religiosità, mito della poesia primitiva, e amore, quindi, per Omero, Dante e l'inglese Shakespeare, il concetto dell'arte popolare e della funzione patriottica della letteratura, l'amore per la lingua vicina a quella parlata, e poi l'eroismo.

ROMANTICISMO ITALIANO
In Italia le discussioni cominciarono nel 1816 quando appare su di un giornale, intitolato "La biblioteca italiana", un articolo di Madame De Steal che parlava delle traduzioni. Infatti la scrittrice esortava gli italiani a conoscere le letterature straniere. Il primo manifesto del romanticismo italiano si può considerare "La lettera semiseria di Grisostomo", di Berchet, in cui si condannano le regole classiche e si esalta una poesia popolare, viva, attuale, educativa e cristiana. Un giornale milanese che affermò le idee romantiche fu il Conciliatore, (a proposito della lettera semiseria, si chiama così perchè Grisostomo, che scrive al figlio, dopo aver parlato delle idee romantiche, finisce col dire che aveva scherzato), quindi il Conciliatore concilia l'antico con il moderno, in cui si parlava di letteratura italiana, straniera, ma anche di idee politiche liberali e patriottiche, perciò la polizia austriaca lo censurò. A questo giornale collaborarono scrittori patrioti come Silvio Pellico, Confalonieri.
Il Conciliatore affermava il concetto di utilità e di italianità. Le caratteristiche principali del romanticismo italiano sono: rifiuto delle regole classiche (unità di luogo, di tempo, di azione nella tragedia) letteratura popolare, patriottica, morale e religiosa, importante soprattutto fu l'amore per la realtà concreta (realismo); amore per un linguaggio concreto. Infatti in Italia interessarono poco o temi fantastici, o dell'orrido, perchè grazie alla tradizione classica in Italia si amava l'armonia e la serenità. Il Romanticismo italiano non si può dire che derivi del tutto dal romanticismo tedesco perchè trova i suoi precedenti nella letteratura italiana del secondo '800 (preromanticismo). Caratteristica fondamentale del romanticismo italiano è quella di essere equilibrata perchè è sempre presente la tradizione classica: infatti accanto al sentimento c'è sempre la religione.
LA ROMANA
E’ la storia di Adriana, una ragazza del popolo, mite, remissiva, disponibile ad accettare l’esistenza in qualsiasi forma , che, tradita da un fidanzato disonesto, finisce per diventare una prostituta, ma conserva tuttavia la sua naturale innocenza nonostante venga a contatto del male nelle sue forme estreme: la corruzione e la violenza omicida.
Adriana, “la romana”, è protagonista della sua storia e nello stesso tempo narratrice. Il racconto si apre con la descrizione della sua bellezza e perfezione fisica . La madre , che dal lavoro di camiciaia ricava un misero guadagno , pensa che la bellezza di Adriana può dare ad entrambe un tenore di vita migliore e fa su di lei immensi progetti. Perciò accompagna la giovane nello studio di un pittore per proporla come modella. Così, tutte le mattine Adriana è alla fermata dell’autobus da dove si reca nei vari studi per posare. Una mattina, mentre è in attesa dell’autobus, un giovane che lei aveva già notato, la invitò a salire sulla sua auto. Ben presto Gino conquistò il cuore di Adriana. La ragazza credeva di aver trovato l’amore e non capiva la madre che con i suoi discorsi e con il suo atteggiamento verso Gino, dimostrava la sua avversione al fidanzamento della figlia. Ma Adriana non faceva caso alla madre e continuava felicemente a sognare il suo futuro con Gino. Il giovane lavorava come autista presso dei ricchi signori ed un giorno in cui i padroni erano assenti, propose ad Adriana di visitare la villa. Il suo vero scopo era quello di creare la situazione favorevole per spingere la ragazza tra le sue braccia e, facendole vedere la sua camera, vi riuscì. Ma tornata a casa a notte inoltrata, la giovane si sentì afferare nel buio della stanza violentemente per i capelli dalla madre che aveva intuito ciò che era successo. Alle affermazioni d’innocenza di Adriana, reagì trascinandola in farmacia e costringendola a farsi visitare dal medico. La ragazza si sentì profondamente umiliata e nello stesso tempo continuava a non capire la madre che ormai sicura di quello che era accaduto tra Adriana e Gino, si dimostrò con la figlia sorridente, quasi affettuosa.
PROGRAMMA DI STORIA
• Anno scolastico 1999/2000
Argomenti trattati
1. 1848: La prima guerra risorgimentale italiana
2. I tentativi democratici e la ripresa della guerra
3. L’unificazione italiana e i problemi post-risorgimentali
4. La depressione economica e la rivoluzione industriale del XIX
5. Il quadro politico europeo
6. Lo scenario italiano: l’avvento al governo della Sinistra e i tentativi autoritari di fine Secolo
7. I partiti della Prima Repubblica (Italia)
8. L’Età Giolittiana
9. I° Guerra Mondiale
10. I e II Rivoluzione Russa
11. Primo Dopoguerra
12. II° Guerra Mondiale
Italiano
Decadentismo
1. Ambientazione e periodo storico
2. Diversità e inettitudine
Italo Svevo
1. La vita
2. Motivi letterari e ideologia
3. La poetica
4. Le opere
• Una vita
• Senilità
• La Coscienza di Zeno
5. La concezione patologica dell'esistenza
6. La novità de "La coscienza di Zeno"
7. Pirandello e Svevo
8. Svevo ed il suo tempo
9. Svevo e la psicanalisi
DECADENTISMO
1. Ambientazione e periodo storico
È un termine che si riferisce ad un breve periodo della letteratura francese di fine 800 tra il 1880 e 1890, quando esce la rivista "Les Décadents" attorno al poeta P. Verlaine.
• In Inghilterra non si usa il termine Decadentismo, ma estetismo, in riferimento ad un gruppo di autori, artisti in generale, che vanno da Pater a Wilde (dandismo).
• In Germania si parla di tardo-romanticismo, ma non di decadentismo.
• In Italia è ormai invalso questo termine. La colpa o il merito di questa etichetta è attribuibile a B. Croce e all’idealismo. Croce e Gentile e tutta la cultura neoidealistica italiana del I° 900 hanno usato il termine decadentismo nell’accezione di decadenza. Decadenza del romanticismo o almeno di un certo romanticismo, tanto che Croce ha parlato addirittura di crisi della letteratura.
È noto che B. Croce ha definito i primi tre decadenti Italiani (Fogazzaro, D’Annunzio, Pascoli) malati di nervi, in contrapposizione a Carducci. In un certo senso tutta la letteratura del ‘900 è del negativo ed è caratteristico che neoidealismo e marxismo si accordino nella condanna della letteratura decadente e diano del "decadente" agli scrittori quando li vogliono bollare d’infamia. Croce e Loukaes che condannano il decadentismo e questo lo fa esistere, lo fanno perché non corrisponde alla loro ideologia che è sostanzialmente razionalista e risale a Hegel.
Per comprenderci bisogna tornare indietro alla definizione di romanticismo. Il decadentismo si configura come decadenza del romanticismo. Esiste infatti un romanticismo idealistico che è quello che culmina in Hegel, è il romanticismo in cui si raccolgono le corrispondenti fondamentalmente razionalistiche, di tipo immanentistico, quelle cioè che fanno capo ad un io protagonista come epiteto del romanticismo, che di fatto ha assorbito la trascendenza ed è diventato Dio esso stesso. In Hegel questo fenomeno è vistosissimo all’interno di una totale totalizzazione razionalistica. Il moto fondamentale di Hegel è : "tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale". In questo c’è l’eliminazione di ogni trascendenza. Siamo di fronte alla filosofia dell’identico che è l’io come pura ragione.
Questo tipo di idealismo è quello che ha vinto perché è quello adottato dalle classi al potere. È la filosofia della borghesia liberale, vincente, che dalla rivoluzione del 1848 ha avuto in mano il potere. Questo spiega il motivo della sua vasta risonanza e perché in Italia abbia trionfato l’idealismo.
Torna su
2. Diversità e inettitudine
Accanto a Baudelaire in cui questa malattia ha un nome, si chiama spleen, abbiamo un altro grande precedente: Dostoevskij. Egli inizia il suo libro, "L’uomo del sottosuolo" con le parole: "Sono malato, sono randagio". Questa categoria della malattia è il simbolo più evidente del sormontare di quelle ragioni inconsce di cui parlavamo prima. Si capisce che crede che la ragione possa risolvere tutto e che la storia sia un corridoio molto lungo che può essere percorso in tutta la sua lunghezza risolvendo tutti i problemi che si presentano per la strada, è un ottimista, quindi non è malato, non ha problemi di adattamento al reale, il reale gli va benissimo e se gli va male combatte per farlo andare come vuole lui.
Invece che sente di obbedire a delle ragioni che sono fuori dalle sue possibilità di conoscenza e volontà non può essere ottimista nelle sorti di se stesso e del mondo: tende a sentire se stesso come fuori campo, come diverso. Per questo la letteratura decadente è un letteratura della diversità e molti autori sono stati testimoni di questa diversità o perché ebrei, o perché donne o perché omosessuali o perché malati, per giungere a casi estremi di Kafka e Proust, come noi abbiamo casi eccellenti come Pirandello e Svevo.
Se pensate al personaggio sveviano, vedete che è, come Svevo stesso lo definisce, un "inetto", cioè colui che non è capace, che non è adatto a vivere, ad amare, ad avere dei rapporti efficaci nei confronti della realtà e quindi si sente diverso dagli altri. Non è che non abbia doti, anzi ne ha troppe, è più intelligente del necessario, ma questa intelligenza non è applicativa, non gli serve a modificare se stesso e il mondo: è quello che Dostoevskij ha chiamato ipertrofia della coscienza, è un’intelligenza che lo fa star male invece de renderlo più adatto alla società.
Nel I romanzo di Svevo, ad esempio, Alfonso Nitti che va a lavorare in banca, è un intellettuale, in qualche modo, in quanto passa il suo tempo libero nella biblioteca a studiare i filosofi, scrivere perché ha questa intelligenza in eccesso che cerca la via nella scrittura. Ma in banca no è capace di fare il semplice mestiere dell’impiegato: deve fare il copialettere, ma copiando, fa un sacco di errori e non perché è un ignorante, ma perché è troppo intelligente e invece per fare l’impiegato modello bisogna essere un po’ stupidi, bisogna sapersi adattare al reale. Se a quel tempo ci fossero stati computer, un impiegato come Alfonso Nitti avrebbe combinato un sacco di pasticci, proprio perché il computer è stupido e fa ciò che gli si dice di fare. Chi è troppo intelligente si illude di rendere intelligente anche il suo strumento e lo manda in tilt. È la stessa posizione che aveva Kafka di fronte alla sua macchina da scrivere: i suoi compagni impiegati la usavano tranquillamente come uno strumento da scrivere e lui invece restava in una specie di adorazione mistica di fronte alla macchina da scrivere, in una specie di impotenza adorante. In Svevo dunque il personaggio è questo inetto che non riesce ad avere questo rapporto soddisfacente con la realtà. Questo, in altri termini, si può dire, anche del personaggio, pirandelliano ad esempio "Il Fu Mattia Pascal", questo personaggio che è perseguitato, in un certo senso dalla divisione dell’io, che poi si sdoppia, diventando Adriano Meis, ma diventando proprio il Meis si illude di incominciare una nuova vita ma in realtà riesce solo a dimostrare di non essere capace di vivere e cerca di ritornare Mattia Pascal facendo il secondo suicidio e ritornando al suo paese come Mattia Pascal. Ma al suo paese non è più nemmeno Mattia Pascal e al termine della vicenda si ritrova "nessuno", l’unica consolazione è andare a trovare la propria tomba al cimitero dove c’è una lapide con scritto: "Qui giace Mattia Pascal". È questo l’inetto, il malato, il non-essere della grande narrativa decadente e questo vale per tutti i decadenti anche non italiani: Proust, Joyce, Mann. Queste storie di nichilismo, di annientamento dovute al cedimento di fronte a tutto ciò che sovrasta l’io come coscienza. Del resto vale la pena di citare la bella definizione che Freud dà del subconscio quando paragona l’inconscio alla parte immersa dell’iceberg e la coscienza alla parte emersa. La coscienza è quindi poca cosa di fronte a quella totalità dell’io rappresentata dalla parte immersa. La natura idealistica è quella che s’illude che l’io dell’uomo sia risolvibile tutto in termini di coscienza: ma questo è soltanto la parte minore della situazione, c’è sotto tutto il resto.
Il protagonista della letteratura decadente è un eroe che è consapevole di questo mistero che sta alle spalle della coscienza., che può essere anche un mistero religioso e che comunque lo trascende inesorabilmente facendolo inetto a vivere nella realtà.
Torna su
ITALO SVEVO
1. La vita
Il suo vero nome Aron Hector Schmitz, nasce a Trieste il 19 dicembre 1861, da un padre ebreo di origine tedesca (il nonno Astolfo era giunto a Trieste come funzionario dell’impero asburgico) e da madre italiana, porta in sé questo carattere di estraneità che è tipico anche in altri scrittori ebrei: Kafka, Musil, Proust, Rilke, Freud, la cosiddetta "famiglia ebraico-cristiana". Cresce cittadino austriaco fino al 1918, viene educato in un collegio tedesco (1874-78), vive in una città di confine come Trieste, marginale alla cultura italiana e a quella austriaca, ma, a causa dei traffici commerciali e della sua posizione geografica, profondamente immersa nella mentalità mitteleuropea (Vienna, Budapest, Praga) da partecipare di fatto, al di là delle differenze linguistiche e dei sentimenti irredescentistici. In questa città, "crocevia di più popoli" e "crogiulo europeo", Svevo si forma una cultura poco italiana e molto europea: legge francesi, tedeschi, russi…
Lo pseudonimo di Italo Svevo indica comunque la sua consapevolezza di appartenere a due tradizioni culturali, quella italiana e quella germanica. Rimane 18 anni impiegato alla Banca Union (1880-1898); sposa nel 1896 la ricca Livia Veneziani e lavora nel colorificio del suocero (vernici sottomarine). Nei primi anni del secolo (1907) conosce l’irlandese Joyce, esule a Trieste, che gli dà lezioni di inglese e con il quale stringe una feconda amicizia letteraria (Joyce ha scritto Ulisse, Dedalus, Gente di Dublino ed è un esperto del "flusso di coscienza" automatico e del racconto analitico). Negli anni 1910-12 scopre la psicanalisi attraverso le opere del viennese Sigmund Freud, anzi con un nipote medico traduce Il sogno. Subisce l’influsso del filosofo tedesco Schopenhauer. Nel 1925-26 esplode il "caso Svevo" in Francia e in Italia. Muore nel 1928 a Motta di Livenza per un incidente d’auto.
Torna su
2. Motivi letterari e ideologia
a. Preminente attenzione ai problemi dell’uomo, di cui scruta i meandri più riposti della coscienza, i famosi "autoinganni";
b. rappresentazione della società del suo tempo con opere di rottura, per svelarne le ombre, le finzioni, le angosce, per smitizzarla e demistificarla (diversamente dai vari Fogazzaro, Pascoli, D’Annunzio, che ne esaltano i difetti);
c. stile non elegante e antiletterario. Svevo ebbe sempre difficoltà con la lingua italiana (ad esempio usava l’ausiliare avere coi verbi riflessivi).
Secondo l’ideologia di Svevo la realtà è una buffa commedia, un indecifrabile caos, dove non c’è posto per la "felicità", né per la "salute", dove domina l’imprevedibile, il caso, il bizzarro, lo stato di malattia. Cade definitivamente il "mito positivo" romantico e borghese e si afferma il tema dell’inetto, dello "uomo senza qualità". Tale intuizione ha un’ascendenza schopenhaueriana, ma nasce anche da un "fraintendimento" della teoria della selezione naturale (che vede il più forte favorito sul più debole), sostenendo il primato dell’inetto sull’uomo di successo.
Gli inetti dello Svevo non si possono definire dei "vinti" alla maniera del Verga: questi ultimi sono rigettati indietro dopo aver tentato di superare il livello della loro classe; per gli inetti, invece, l’insuccesso è legato al "male di vivere" ed è una rinuncia di tipo filosofico ed esistenziale. Essi sono vinti ma senza grandezza perché la malattia della coscienza e l’inettitudine escludono la lotta. Sembra quasi che la malattia sia una condizione necessaria per conoscersi meglio, sia lo stato normale dell’uomo.
I motivi trattati nei romanzi sono pochi e ossessivi:
• amore
• senilità (non cronologica ma psicologica)
• malattia e inettitudine alla vita
• difficili rapporti con gli uomini
• lavoro
È evidente la crisi dei valori borghesi.
Torna su
3. La poetica
In Svevo è caduta ogni funzione sociale e ideologica della letteratura: essa è attività privata, un vizio (almeno rispetto al mondo degli affari). L’autore stesso la praticò in questo modo, senza illusioni e con molti disinganni, fino a pensare seriamente di abbandonare, dopo l’insuccesso del secondo romanzo. I protagonisti dei tre romanzi sono dei letterati falliti: Alfonso scrive un romanzo a quattro mani con Annetta e, alla fine, si suicida (Una vita); Emilio è ancora una volta un letterato annoiato e deluso (Senilità); Zeno Cosini entra in scena con un diario che è definito dal dottore un cumulo di "tante verità e bugie", creando così le premesse di una ambiguità che svuota le stesse possibilità di un racconto reale (La coscienza di Zeno).
Perché scrivere allora? La funzione si capovolge: non più estetica o sociale, ma conoscitiva e critica. L’intellettuale, identificato ormai con l’inetto, il diverso, il malato, il nevrotico, ricorre alla letteratura, estraniandosi dall’attività economica e dai modelli sociali, per recuperare la misura della sua esistenza, mediante l’autoanalisi, e dei rapporti sociali. È una conoscenza frammentaria e disorganizzata della realtà, ma lo scrittore, ponendosi sul piano dell’ironia, prende le distanze dal mondo dei "sani" recupera una sua parziale autonomia, può esercitare la tolleranza verso di sé e gli altri.
Torna su
4. Le opere (I tre romanzi)
• Una vita (1892)
Il romanzo è la storia di un giovane e romantico provinciale, Alfonso Nitti, da poco arrivato in città, il quale, impiegatosi al Banco Maller di Trieste, s’impiglia in una certa complicità libresca con una bella bas-bleu (signorina bene), Annetta Maller, figlia del ricco magister della Banca. A un primo sodalizio assai platonico succede l’avventura sensuale che turba e sconvolge il Nitti e lo trova dapprima mal preparato, quindi svogliato affatto di sfruttare la situazione abilmente, come gli consiglia la signorina Francesca, istitutrice di Annetta. Il Nitti torna in licenza al paese, e quando, vinta una strana indifferenza (inettitudine) direi quasi meccanica ad ogni propria decisione, rientra in città, ma Annetta è ormai fidanzata al cugino Macario, e Alfonso, che riassume il suo posto alla Banca, è trasferito ad un’occupazione assai minore.
Solo allora il Nitti comprende quello che ha perduto e vede il periodo da poco trascorso come una sosta luminosa nel suo cammino buio; sicché non trascorrono molti giorni che egli, rincasando, accende un braciere nella sua stanza, e con lucida freddezza si addormenta nella morte (suicidio).
Quest’opera all’inizio della stesura si intitolava Un inetto.
Torna su
• Senilità (1898)
È il racconto dell’avventura amorosa che il trentenne Emilio Brentani si concede cogliendola di proposito sulle vie di Trieste.
Emilio è un impiegatuccio che gode nei circoli cittadini di una piccola fama letteraria e si duole di aver sprecato (e di non aver goduto) tanta parte di vita. Vorrebbe vivere come fa lo scultore Balli, suo amico, che è indennizzato dell’insuccesso artistico, da un grande successo personale, con le donne specialmente. Finora ad Emilio era sembrato di non aver saputo imitare l’amico, per le grandi responsabilità che su lui incombevano, la sorte di sua sorella, Amalia che vive accanto a lui nella stessa inerzia, non più giovane e affatto bella. Subito la sorella è agitata vedendo che il fratello senza alcun ritegno si dedica al gioco pericoloso e proibito dell’amore ma presto si convince, in seguito all’esempio del fratello e alle teorie di Balli, che essa fu ingannata e che l’amore dovrebbe essere un diritto di tutti.
Per Emilio intanto l’avventura si fa importante proprio in sproporzione al valore morale di Angiolina. Anzi ogni scoperta di una sua bassezza o di un tradimento non ha altro effetto che legarlo meglio a lei. Non sapendo imitare Balli ne invoca l’aiuto.
L’intervento di Balli fra i due amanti e anche tra il fratello e sorella ha degli effetti disastrosi. Tutte e due le donne si innamorano di lui. Inutilmente Emilio tenta di allontanarlo da Angiolina, perché costei gli si attacca, ma con facilità lo allontana dalla sorella che segretamente si procura l’oblio con l’etere profumato. Un giorno Emilio trova la sorella nel delirio della polmonite. Richiama il Balli e i due uomini aiutati da una vicina assistono la moribonda. Ancora una volta per aver scoperto un nuovo tradimento di Angiolina, Emilio lascia sola la sorella, ma poi ritorna da lei e le resta accanto finché chiude gli occhi.
Il romanzo è stato definito anche "quadrangolare" per le quattro figure che vi compaiono: Emilio, Angiolina, Balli, Amalia.
Torna su
• La Coscienza di Zeno (1923)
Il libro è composto di lunghi episodi. Zeno è un malato immaginario, un abulico pieno di buon senso, un uomo che si lascia vivere ma in realtà imbocca sempre la via più giusta. Fumatore accanito accetta di entrare in una casa di cura per disintossicarsi, ma poi riesce ad evadere e riprende a fumare. Ricco e quasi disoccupato decide di sposarsi. Frequenta la famiglia Malfenti dove sono disponibili tre ragazze da marito.
È respinto dalla più giovane, ferma il suo interesse sulla più bella, Ada, e durante una seduta spiritica serale, mentre tutti sono intenti a far ballare un tavolino, si decide a fare la sua avance ad Ada toccandole il piede: ma il buio lo inganna e il piede toccato è quello della strabica Augusta.
E così in breve tempo si trova fidanzato con quell’Augusta che poi si rivelerà moglie impareggiabile. Ada si sposerà invece con un ridicolo violinista, certo Guido Speier, per il quale Zeno nutre la più spiccata antipatia. Una successiva sezione è dedicata alla relazione extraconiugale di Zeno. Complice un amico, malato anche lui, ma un po’ meno immaginario, tale Copler, Zeno si fa protettore e consigliere di Carla, una ragazza povera che studia canto e ha bisogno di un disinteressato mecenate. Questa deliziosa Carla, perfetta fusione di equivocità e di candore, diventa presto la sua amante clandestina, senza che in lui venga meno l’amore per la moglie, ormai necessario complemento della sua vita.
Carla è un’Angiolina più scaltra, recita meglio la parte dell’innocenza. Impossibile pensare a un matrimonio, Zeno è il più onesto dei mariti; e nemmeno Carla chiede tanto. La relazione si prolunga tra alti e bassi angosciosi perché il sedotto Zeno dubita di essere un seduttore; finché Carla avendo estorto molto denaro al suo protettore, è in grado di licenziare lui e il maestro di canto e di fidanzarsi con un uomo in grado di sposarla. Zeno torna così con uno sospiro di sollievo alla sua pace coniugale, senza che Augusta abbia mai sospettato nulla. Gli affari attendono ora Zeno; ha accettato di far parte di una società commerciale fondata dal cognato Speier, senza tuttavia impegnarvi il proprio patrimonio, sempre amministrato dal sagace Olivi. Ma presto gli affari dalla ditta commerciale Speier e socio volgeranno al peggio. Non solo di mese in mese aumenteranno le spese e diminuiranno gli utili, ma lo Speier si darà a rischiose operazioni di borsa che lo ridurranno al lastrico.
Onesto e pietoso, Zeno decide di alienare parte del suo avere per soccorrere il cognato e spera di poter indurre la cognata Ada, più ricca del marito, a fare altrettanto. Ma Ada sembra resistere. Per convincerla Speier finge il suicidio inghiottendo una dose mortale di sonnifero. Egli ha disposto le cose in modo che un intervento medico sia pronto e sicuro. Disgraziatamente, per una serie di disguidi, favoriti dal maltempo, il medico giunge troppo tardi e trova Speier morto. E cade qui il famoso lapsus di Zeno Cosini: il quale, credendo di seguire il funerale di Speier, segue invece il feretro di un altro defunto. È questo lapsus che svela il segreto rancore di Zeno per il cognato, per l’imbecille e discutibile personaggio che anni prima Ada Malfenti gli ha preferito come sposo. Sempre fortunato nelle sue disavventure Zeno eredita una passività da colmare perché nel frattempo la borsa si mete al rialzo e il suicidio di Speier si mostra come l’ultimo gesto inutile di un fallito, non nel gioco di borsa ma nella vita. Ma qui la narrazione si interrompe perché Zeno ha deciso di mandare al diavolo la cura del medico. E d’altra parte siamo giunti alla guerra e al dopoguerra, Zeno Cosini è diventato e sta diventando Italo Svevo e la memoria non può soccorrere più.
Torna su
5. La concezione patologica dell’esistenza
La concezione patologica dell’esistenza emerge in alcune celebri pagine dei tre romanzi
• La malattia della madre di Alfonso, allucinante partecipazione del protagonista all’angoscia della madre, ai transfer che intercorrono tra le due personalità;
• Il delirium tremens di Amalia in Senilità;
• La morte del padre nella Coscienza di Zeno.
Dal concetto di patologico come elemento dominante della vita umana, Svevo giunge alla accettazione del patologico come unico aspetto della realtà, come la condizione stessa del vivere.
Torna su
6. La novità de "La coscienza di Zeno"
Col suo terzo romanzo Svevo abbandona i moduli narrativi tradizionali e introduce le seguenti novità:
a. Racconta in prima persona, creando una voluta ambiguità tra il personaggio e l’autore. La "coscienza" è, al tempo stesso, soggetto e oggetto di conoscenza; l’io che narra è uno sdoppiamento dell’ "io" vissuto. Mentre finge di costruirsi, si smonta con le sue stesse parole (l’umorismo).
b. Viene meno la successione cronologica dei fatti e l’autore usa un tempo misto organizzato su tre livelli temporali: la Prefazione del medico, il primo manoscritto fittizio di Zeno (dal secondo al settimo capitolo); il secondo manoscritto (ottavo capitolo), composto dopo sei mesi di psicanalisi, allo scopo di deridere la diagnosi del medico e mettere termine alla cura.
c. La vicenda si svolge in otto capitoli e cinque episodi, che tolgono coerenza e unità al personaggio. Non c’è un nesso temporale, ma tematico.
d. Il racconto è un cumulo di verità e bugie dovuto sia alla deformazione del ricordo operato dalla memoria, sia al rapporto di odio-amore che si stabilisce tra paziente e medico.
e. Compare la tecnica del monologo interiore, che è una trascrizione immediata, non razionale-sintattica, di tutto ciò che si agita nella coscienza. Svevo, a differenza di Joyce, lo limita a una specie di discorso indiretto.
Per tutti questi motivi appare dissolto il personaggio ottocentesco e l’autore passa in secondo piano, nascosto dietro la coscienza del personaggio stesso.
Torna su
7. Pirandello e Svevo
Sono molto vicini, sono "compagni di strada", esprimono un uguale giudizio negativo sulla società del loro tempo e sulla crisi dell’uomo, ma mentre Pirandello ha una posizione relativistica, perviene a una conclusione tragica e desolata, studia di più il rapporto uomo-società e i meccanismi del grottesco, Svevo batte la strada del problematicismo, scruta con analisi implacabile la psicologia dell’uomo e conclude con un sorriso ironico. Conosce inoltre la psicanalisi e è più moderno come tecniche letterarie (monologo interiore).
Inoltre, se in Pirandello le uniche vie d’uscita sono il delirio, il suicidio e la pazzia, il Svevo il personaggio "inetto" è più aperto alla tolleranza verso gli altri e verso se stesso mediante il processo di autocoscienza e l’ironia. Sul piano sociale, poi, sfruttando il gioco imprevedibile degli eventi, può giungere al successo.
Torna su
8. Svevo e il suo tempo
Trieste fu la città in cui l’eco della crisi economica europea fu più sensibile, e più acuto il disagio dell’uomo di fronte ai nuovi problemi.
Solitudine del borghese, mancanza di una ragione di vita, di una solida fede di fronte al tramonto delle vecchie strutture politiche si riflettono nell’opera dell’ebreo Svevo con la stessa forza di Kafka, lo scrittore di Praga vissuto nello stesso periodo, di Musil, di Thomas Mann. Svevo è dunque l’unico narratore italiano che abbia effettivamente interpretato la grande crisi europea del primo ‘900. Nei tre romanzi descrive il problema dell’uomo che non sa e che non può inserirsi nella società a cui appartiene.
L’uomo, portato ad esaminare la propria funzione sociale, è distrutto dalla sua analisi, dalla propria inquietudine problematica che non è più individuale ma universale.
Torna su
9. Svevo e la psicanalisi
I molteplici rapporti di Svevo con la psicanalisi, evidenziati esplicitamente nel terzo romanzo, ma presenti anche nei due precedenti, sono stati oggetto della riflessione dell’autore nell’ultima parte de La coscienza di Zeno, in pagine di diario e nello scambio di lettere avuto negli anni 1927/28 con Valerio Jahier
Il David scrisse a proposito di Svevo: "Svevo a preso da Freud elementi di una fenomenologia psicologica e non la teoria essenziale delle nevrosi. Freud ha rafforzato in lui una visione dinamica della psicologia dei "sentimenti", che Svevo aveva già perfettamente intuita e rappresentata. Ma l’apporto più prezioso di Freud allo scrittore mi pare di vederlo in quel "calore", in quel sentimento di "novità", in quell’idillio breve ma intenso tra un autore deluso e silenzioso da tanti anni e una "filosofia" ch’egli sentì profondamente innovatrice".
Torna su
Torna all'indice
UGO FOSCOLO
Nacque nel 1778 a Zante, un'isoletta dello Jonio, che Lui chiamò affettuosamente Zacinto, all'epoca appartenente alla Grecia. Della sua vita dobbiamo ricordare i seguenti fatti: la nascita in un luogo greco gli fece amare il mondo classico; le sue partecipazioni alla vita militare ci fanno capire il suo attivismo. Quando muore il padre si trasferisce a Venezia con la madre. Ma quando con il Trattato di Campoformio Venezia venne ceduta all'Austria si allontana dalla città e a Firenze s'innamora di Isabella Roncioni, a Milano di Antonietta Fagnari Arese e in Francia, da una inglese, ha la figlia Floriana. Morì a Londra nel 1827, stanco, ammalato e povero. Ora le sue ceneri sono nella chiesa di Santa Croce a Firenze, che egli aveva cantato nei Sepolcri.
Quando scoppiò la Rivoluzione francese egli era pieno d'amore, di gloria e partecipò a quel sentimento di libertà con molto ardore. Quando ritornarono gli austriaci in Italia offrirono al Foscolo la direzione di un giornale letterario, La biblioteca italiana, ma Foscolo rifiutò e fuggì a Londra. Le opere maggiori del Foscolo sono: Le ultime lettere di jacopo ortis, Le Odi, I Sonetti, I Sepolcri e Le Grazie. Nel Foscolo la vita, molto impegnata in quegl'ultimi anni della Rivoluzione francese e dalla fine di Napoleone, e l'arte sono molto legate: basti pensare alle "Ultime lettere di Jacopo Ortis" in cui si nota tutta la sua delusione politica. Come dice il "Sapegno", il Foscolo si può considerare un esempio di romantico, perchè la sua vita fu appassionata, inquieta, ricca di amori e malinconica. Il Foscolo si può considerare un neoclassico-romantico per il pensiero della morte, per il suo amore patriottico, e perchè ama un'arte libera. Nel Foscolo si hanno anche motivi del preromanticismo europeo come la poesia sepolcrale e l'amore del lugubre. Il pessimismo del Foscolo deriva dal fatto che egli vede nella vita annullati gli ideali di libertà e di giustizia, e secondo la concezione materialistica crede che tutto sia materia. Ma questo pessimismo viene superato dalle "illusioni", che sono gl'ideali, i sentimenti come l'amore, la bellezza, la Patria, la tomba e la poesia. Il Foscolo le chiama illusioni perchè non esistono realmente ma sono necessarie per continuare a vivere.
A questo punto dobbiamo fare una differenza fra il Foscolo e l'Alfieri: mentre l'Alfieri è chiuso e non vive la realtà concreta, il Foscolo anche se, come l'Alfieri, s'accorge del conflitto fra reale e ideale, vive la realtà del suo tempo. C'è una differenza con il Monti: mentre il classicismo del Monti è fredda imitazione, in Foscolo è un modo per dare serenità ai suoi turbamenti; in sostanza si può dire che il Monti non partecipa alla vita del suo periodo mentre Foscolo vive tutti i problemi della sua età.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
Sono un romanzo epistolare che ha un carattere autobiografico, perchè il Foscolo nella figura di Jacopo esprime tutti i suoi sentimenti. Questo romanzo parla di un giovane, Jacopo Ortis (Foscolo), che avendo saputo del trattato di Campoformio, con cui Bonaparte dava Venezia all'Austria (1797), si rifugia sui Colli Eugani dove incontra Teresa, già promessa sposa ad Orlando. Jiacopo innamoratosi di Teresa preferisce allontanarsi e poi ritorna di nuovo sui Colli Eugani dove Teresa si è già sposata e Jiacopo, disperato per la delusione amorosa, ma anche per quella patriottica si uccide. Questo libro si può considerare il primo romanzo del romanticismo italiano, soprattutto per l'aspetto autobiografico, perchè il Foscolo mette nel libro le sue idee. Il Foscolo nello scrivere questo libro ricordò senz'altro opere precedenti del '700 (come l'Alfieri), I dolori del giovane Werther di Goethe, Il Gray, La Nuova Eloisa di Rousseau, Il poema di Ossian. Però, mentre, per esempio, nel romanzo di Goethe è importante soprattutto la delusione amorosa, nel Foscolo è molto importante la delusione politica. Questo romanzo fu molto amato dagli uomini risorgimentali, i quali videro in esso molto amore patriottico e lo spirito di libertà.
Le Odi
Sono due: A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata. Nella prima si parla soprattutto della bellezza, difatti in quest'opera la preoccupazione del poeta è quella di vedere ritornare l'antica bellezza nella donna ferita ed esorta le Grazie (divinità) a guarire la sua donna, la quale caduta da cavallo come la Dea Diana guarirà più bella di prima. Come si vede quest'opera si rifà al neoclassicismo per il linguaggio elegante che poi viene trasfigurato in un mito. Nella seconda Ode abbiamo il mito della bellezza più profonda che serve a consolare gli uomini, ed anche il mito della poesia eternatrice che poi vedremo nei Sepolcri e che vuole dire che la poesia serve a rendere eterne le azioni degli uomini. Quest'ode parla della sua donna che guarisce dopo una malattia e che con la sua bellezza rallegra i giovani; il poeta con il suo canto trasforma la bellezza mortale della donna in bellezza immortale, anche quest'ode si rifà al neoclassicismo e si considera più perfetta della prima.
I Sonetti
Sono dodici (12), I più famosi sono: In morte del fratello Giovanni, A Zacinto, Alla Sera. Il primo parla del suicidio del fratello e dell'importanza delle tombe. Il terzo parla della sera, che simile alla morte dà un senso di pace. Il secondo, "A Zacinto", parla della sua Patria lontana, poichè lui è in esilio e Foscolo ricorda l'eroe Ulisse, che rappresenta l'uomo esule lontano dalla Patria, figura dell'eroe romantico; in quest'ultimo sonetto si parla già dell'importanza del Sepolcro, della tomba illacrimata che se lontana dalla Patria non viene confortata dal pianto dei parenti.
I Sepolcri
Questo carme fu iniziato nel 1806, ma già, il Foscolo l'aveva cominciato nel 1804, prima, quindi, della pubblicazione in Italia dell'editto di Saint Cloud, legge con cui Napoleone poneva i cimiteri lontani dalle città e le scritte sulle tombe dovevano essere tutte uguali. Fu dedicato allo scrittore Pindemonte, come una lettera di risposta, perchè Pindemonte aveva parlato pure lui dei cimiteri. Il motivo occasionale, superficiale, del carme fu l'editto di Saint Cloud del 1804, ma conosciuto in Italia più tardi. Questo editto proibiva la differenza tra morti comuni e morti illustri.
Però, i veri motivi derivano dal sentimento foscoliano che già abbiamo visto nell'Ortis, nei Sonetti e nelle Odi, e soprattutto dall'amore del Foscolo verso i grandi valori spirituali dell'umanità, che vivono anche dopo la morte. Questo carme vuole dimostrare che le tombe inutili ai morti sono utili ai vivi, perchè fanno nascere in chi le visita sentimenti buoni, se queste tombe appartengono a persone oneste.
I motivi principali del carme sono: il sentimento romantico della morte e quello delle illusioni che ci permettono di sopravvivere. I Sepolcri, secondo il Foscolo, servono a rinforzare l'affetto familiare, a farci ricordare il passato glorioso della Patria e quindi spingere i giovani a grandi gesta, ed infine servono ad ispirare la poesia. Nel carme, la natura è vista come una forza che trasforma continuamente la materia e per questo, il Foscolo, s'avvicina al materialismo del settecento. In quest'opera la morte e la vita sono sempre presenti, perchè anche se si parla della morte, il carme si può considerare un incitamento alla vita eroica.
Nei Sepolcri sono ricordati grandi uomini come il Machiavelli, Dante, Petrarca, Alfieri; anzi, a proposito del "Principe", del Machiavelli, Foscolo dice che il Machiavelli con la sua opera voleva far vedere ai popoli tutte le colpe e i delitti del Principe, con la scusa di parlare ai principi stessi. Anche "I Sepolcri" si può considerare un'opera romantica e classica per la mitologia che presenta, per le espressioni armoniose e soprattutto per l'armonia che c'è nei Sepolcri fra la vita e la morte.
Spiegazione dei Sepolcri...verso per verso
Le Grazie
E' un carme che nacque quando il Foscolo vide lo scultore Canova lavorare intorno al gruppo delle Grazie. Si divide in tre inni: il primo a Venere, il secondo a Vasta e il terzo a Pallade. Con quest'opera il Foscolo canta gli aspetti più nobili della civiltà umana che sono state insegnati agli uomini dalle Grazie. (Amor di Patria, la danza, amore verso il prossimo). Le Grazie secondo il mito greco erano tre figlie di Giove. Oggi la critica vede nelle Grazie un importante esempio di romanticismo neoclassico, perchè cerca di portare serenità al dolore degli uomini.
GABRIELE D’ANNUNZIO
PROGRAMMA DI DIRITTO
• Anno scolastico 1999/2000
Argomenti trattati
1. Lo Stato
2. Forme di Stato e di Governo
3. L’ordinamento internazionale
4. L’Unione Europea
5. Le vicende costituzionali dello stato italiano
6. I diritti e i doveri dei cittadini
7. I partiti politici
8. Il parlamento
9. Il governo
10. Il presidente della Repubblica
11. La corte costituzionali
12. Le regioni e gli enti locali
13. La Pubblica Amministrazione in generale
14. L’attività amministrativa
15. La magistratura
16. La tutela internazionale dei diritti
FANTASTICHERIA
La novella si apre con il dialogo tra l’autore e una dama dell’alta società, sua amica, che dopo due giorni, trascorsi nel villaggio di Aci-Trezza, riparte dicendo di non capire come si possa vivere in quel posto noioso. In realtà non è difficile per chi non ha altro guadagno, se non quello ricavato dalla pesca, quando il mare consente di uscire con la barca. Quando non è possibile, tutti si ritrovano all’osteria a parlare ma senza spendere, e nella strada aumenta il numero dei bambini che giocano come se la miseria fosse un’incentivo all’aumento della popolazione. L’autore invita la dama a ricordare le persone che lei ha incontrato per le strette vie del villaggio.
Come padron ‘Ntoni, la Longa, Mena, Bastianazzo, che hanno avuto un destino drammatico. Infatti padron ‘Ntoni, avrebbe voluto morire nella sua casa del Nespolo, ma finì i suoi giorni in ospedale, e la Longa, alla quale la dama aveva fatto l’elemosina, aveva perso i figli Luca a Lissa, ‘Ntoni in prigione, Lia prostituta. Anche Bastianazzo non ebbe molta fortuna, perché morì in mare durante la tempesta. Questa povera gente, attaccata alla propria terra, rassegnata ad una vita di stenti, sono paragonabili all’ostrica che rimane saldamente attaccata allo scoglio.
Gli abitanti di Aci-Trezza, trovano in quelle vecchie casupole, quello che la dama cerca in una vita movimentata e sregolata.
PROGRAMMA DI FINANZA
• Anno scolastico 1999/2000
Argomenti trattati
1. L’economia finanziaria pubblica
2. I bisogni e l’attività pubblica
3. Lo sviluppo e le teorie dell’attività finanziaria pubblica
4. Le spese pubbliche
5. Le entrate pubbliche
6. Imposte e Tasse
7. Effetti economici dell’imposta
8. Il bilancio dello stato italiano
IL NEOREALISMO
In una clima post-bellico d’entusiasmo per la riconquista delle libertà civili e di fiducia in un rinnovamento profondo del Paese che diventare, in pochi anni, una grande potenza industriale da paese agricolo quale era, sì diffuse l’insofferenza per la letteratura del ventennio di cui vengono criticati
1. La concezione aristocratica dello ………
2. Il culto della forma
3. Il soggettivismo e il lirismo evasivo .
4. la chiusura in una torre d’avorio
5. la mancanza di contatto con la realtà sociale l’intellettuale e ora il compito di prendere contatto coi problemi reali del paese (devastazione morale e sociale, miseria, conflitti di classe, lotta operaia) e a contribuire a farli conoscere ed a cercarne la soluzione. Così la letteratura deve diventare uno strumento di lotta politica. Gli scrittori si avvicinarono ai partiti di sinistra e produssero opera di’impegno
Il neoclassicismo (vedi il cinema di Rosselllini, di Visconti , di De sica) non è un movimento organizzato , una scuola , ma un’atmosfera, uno stato d’animo diffuso in cui si trovano a convergere intellettuali diversi per estrazione, per gusto per soluzioni espressive. Si tratta di un recupero dei modelli realistici dell’800, abbandonarsi dal Decadentismo, e quindi nel romanzo rispetto alla lirica, dell’oggettività al posto della soggettività ermetica. Il ricordo va a verga e Zola ma anche a scrittori che già negli anni 30-40 avevano affrontato tematiche sociali (Moravia, Vittorini Pavese) .La “forma” di realtà incide sulla lingua e sullo stile : infatti , poiché la letteratura naturalista ha come obbiettivo una presa diretta sia sul reale , si respingono le raffigurazioni formali della produzione del ventennio e la lingua diventa antiletteraria vicina ai modelli del linguaggio parlato , addirittura ai dialetti.
Limiti del Neorealismo: L’idealizzazione del popolo come forza sana portatrice di tutti i valori morali positivi, la contrapposizione eccessiva tra bene (operai ,contadini partigiani) w male (padroni fascisti) , la riproduzione superficiale della realtà che non viene analizzata nella sua complessità; l’uso di tecniche narrative antiquate che non tengono conto delle nuove soluzioni offerte della letteratura americana.

Esempio