Appunti di letteratura italiana

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Testo

ANALISI DEL TESTO.
1. Il rifiuto del giustificazionismo storico: per Manzoni non è lecito scusare certi comportamenti attribuendone la responsabilità all’ignoranza dei tempi e alla barbarie dei costumi, considerandoli come effetti fatali e inevitabili. Manzoni crede nel libero arbitrio dell’uomo, e quindi nella sua responsabilità. I giudici che condannarono a morte i presunti untori potevano rendersi conto dell’ingiustizia che commettevano, anche in base ai princìpi allora vigenti. E se non seppero farlo, fu perché non vollero. Furono quindi pienamente responsabili di quelle atrocità.
2. Da questa fiducia nella responsabilità umana scaturisce anche uno spiraglio di fiducia nella possibilità di intervenire per migliorare le condizioni della società umana. Vedere certe reali atrocità come effetto inevitabile dei meccanismi della società genera fatalismo e scoraggiamento, come sottolinea Manzoni stesso. Se invece quelle atrocità sono effetto di responsabilità umane, si ha la speranza di porvi rimedio, intervenendo su chi ne è responsabile.
In Manzoni vi è un pessimismo profondo riguardo alla realtà storica scaturita dalla caduta. Però egli non crede che il male sia immodificabile. E’ vero che il male è radicato nell’uomo con il peccato originale, e non può mai essere del tutto eliminato nella società umana; perciò una vera alternativa alle ingiustizie della storia si può avere solo nella dimensione dell’eterno. Ma le inclinazioni perverse dell’uomo possono essere rese “meno potenti e meno funeste”. Il male insito nella società non sarà eliminato, ma può almeno essere attenuato. Il brano conferma che in Manzoni al pessimismo metafisico si accompagna una relativa fiducia nelle possibilità di progresso nella società umana.

D'Annunzio, Gabriele
(Pescara 1863 - Gardone Riviera, Brescia 1938)
Narratore, poeta e drammaturgo italiano. Frequentò a Prato il prestigioso Collegio Cicognani; giovanissimo, esordì con la raccolta di poesie Primo vere (1879), ben accolta dalla critica: finito il liceo giunse perciò a Roma preceduto da una certa notorietà negli ambienti culturali.
Grazie a Edoardo Scarfoglio frequentò il mondo del giornalismo e fece vita di società, collaborando a varie testate (dal "Fanfulla della Domenica" alla "Cronaca bizantina", alla "Tribuna"). Come cronista mondano fu molto apprezzato dal pubblico, e la sua popolarità crebbe ulteriormente quando venne pubblicato il secondo libro di poesie, Canto novo (1882), che arricchiva il linguaggio carducciano, già utilizzato per la raccolta d'esordio, di una solare e corporea vitalità, sempre sorretta da un registro alto. Nel 1883 apparve Intermezzo di rime (rivisto, ampliato e rititolato semplicemente Intermezzo nel 1894), attorno al quale si accese una polemica giornalistica per i temi trattati, giudicati scandalosi. Un sensualismo e un erotismo di chiara impronta decadente, che accosta figure squisite a immagini deformi e corrotte, pervade anche la raccolta Isaotta Guttadauro e altre poesie (1886; divisa nel 1890 in L'isotteo e La Chimera), mentre con le Elegie romane (1892) D'Annunzio si riaccostò ai modelli classicisti di Carducci. Del 1893 è il Poema paradisiaco, che mostra toni ulteriormente smorzati e, con una più decisa apertura alle moderne esperienze europee, accoglie le suggestioni del simbolismo.
Intanto D'Annunzio aveva dato avvio alla produzione in prosa. I racconti di questo periodo vennero pubblicati in seguito con il titolo Novelle della Pescara (1902), un libro in cui il verismo è sapientemente mescolato a una sensibilità decadente. Nel 1889 fu pubblicato il romanzo Il piacere: protagonista ne è Andrea Sperelli, un giovane aristocratico che ama l'eleganza e l'arte; il suo estetismo lo porta a trascurare la vita pratica a favore di un'egoistica e distruttiva idealizzazione dell'amore e della vita sotto il segno del bello, e così travolge non solo le sue amanti ma anche se stesso.
D'Annunzio cercò di trasferire il suo gusto estetizzante anche nella vita, coltivando l'eleganza e indulgendo al gesto clamoroso. Si sposò molto giovane, dopo una fuga d'amore, ed ebbe una vita sentimentale intensissima, costellata di numerose amanti. Adorava circondarsi di raffinate opere d'arte e conduceva una vita dispendiosa che lo portò a indebitarsi. Proprio per sfuggire ai debiti si trasferì nel 1891 a Napoli, dove rimase fino al 1894 mantenendosi soprattutto grazie alla collaborazione con il quotidiano della città, "Il Mattino".
Con i due romanzi Giovanni Episcopo (1891) e L'Innocente (1892; da quest'opera il regista Luchino Visconti trasse un film nel 1976) D'Annunzio diede di nuovo prova di saper assorbire e rielaborare con straordinaria rapidità i più vari modelli espressivi. Qui è evidente l'influenza di Tolstoj e di Dostoevskij, mentre nelle Vergini delle rocce (1895) il riferimento ideologico è al filosofo Friedrich Nietzsche, anche se in D'Annunzio la figura del superuomo mantenne una forte componente estetizzante.
Le raccolte poetiche maggiori sono del 1903: con i primi tre libri (Maia, Elettra, Alcione) delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi si sarebbero misurati i poeti italiani delle successive generazioni. Soprattutto nel primo libro D'Annunzio, recuperando il mito greco, si autocelebra "poeta vate", eroe superomistico della rinascita dell'umanità, mentre con Alcione (la grafia del titolo venne poi modificata in Alcyone), al quale appartengono le famosissime liriche La sera fiesolana e La pioggia nel pineto, viene ripreso il tema, già preannunciato nel Canto novo, dell'immedesimazione panica del poeta con la natura.
Dal 1898 visse a Settignano (Firenze) nella villa La Capponcina, vicina alla residenza di un'ennesima donna amata, la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe un'intensa relazione rispecchiata senza molto pudore nel romanzo Il Fuoco (1900). La vicinanza della Duse fece sì che D'Annunzio intensificasse l'attività teatrale: durante la loro relazione scrisse nel 1899 La città morta e La Gioconda, ma il meglio del suo teatro è costituito dalle tragedie Francesca da Rimini (1902), La figlia di Jorio (1904) e La fiaccola sotto il moggio (1905).
I creditori riuscirono a sequestrargli la villa e gli arredi, e per questo nel 1910 D'Annunzio emigrò in volontario esilio in Francia, dove continuò a scrivere. Visse a Parigi quattro anni. Sin dalla fine dell'Ottocento cominciò a registrare appunti e ricordi, costituendo così la base per le prose raccolte nelle Faville del maglio (1924-25), la prima delle quali fu stampata sul "Corriere della Sera" nel 1911. In esse si esprime una vena memorialistica che culminerà nel Notturno (ultimato nel 1921), opera di uno scrittore non più "magnifico" ma ripiegato su se stesso, alla quale sarebbero seguite, nel 1935, le Cento e cento pagine del libro segreto.
Tornato in Italia nel 1915, tenne altisonanti e violenti discorsi a favore dell'intervento in guerra (raccolti in Per la più grande Italia, 1915) e si impegnò personalmente in ardite azioni belliche. Dal 1921 alla morte visse sul lago di Garda, a villa Cargnacco, trasformata progressivamente nel Vittoriale, una sorta di monumento a se stesso e a futura memoria: il luogo più elevato del parco ospita infatti il mausoleo che lo scrittore fece edificare per farvi riporre le proprie spoglie. In Italia venne realizzata un'imponente edizione nazionale delle sue opere (42 volumi) e nel 1937 D'Annunzio, già famoso anche all'estero, fu nominato presidente dell'Accademia d'Italia.
Nell'opera di D'Annunzio la vita dell'autore e la letteratura non solo si rispecchiano, ma l'esistenza privata diventa spettacolo per il pubblico, attirando sul poeta un interesse mai raggiunto da nessun autore italiano precedente e contemporaneo. In questo modo si spiega l'apparente paradosso per cui lo scrittore più popolare del tempo fu un artista aristocratico ed esclusivista. Un artista "inimitabile" anche grazie a gesta clamorose e avventurose come la Beffa di Buccari (incursione di MAS nella baia di Buccari, nel corso della quale D'Annunzio lanciò bottiglie che contenevano messaggi di scherno) e l'impresa di Fiume. Del resto, la modernità della sua sensibilità è provata da altri fatti: non solo D'Annunzio fu tra i primi a interessarsi di cinema, ma molti si rivolsero a lui per battezzare prodotti commerciali (la penna Aurora o il liquore Aurum), grandi magazzini (la Rinascente) o per trovare un efficace pseudonimo alla scrittrice Liala, fatti che denotano una precoce sensibilità "pubblicitaria".

Il romanzo dell' 800.
La vicenda del romanzo dell'Ottocento si intreccia con quella del Romanticismo(che nasce in Germania alla fine del 700 e poi si sviluppa in tutta Europa; in Italia si fa risalire la nascita orientativamente al 1816 ). Alla forma del romanzo vengono affidati i principali messaggi che il sistema culturale ottocentesco elabora; attraverso il romanzo si potrebbe cogliere pressoché l'intero sviluppo della cultura contemporanea, nei suoi più disparati riflessi. Il romanzo diviene il principale specchio del proprio tempo. Le opere narrative più significative si distanziano dal filone di narrativa realistico-borghese del Settecento.
I principali generi sono:
a. romanzo storico, il cui massimo esponente fu Walter Scott;
b. romanzo fantastico, da noi poco attestato;
c. narrativa eminentemente lirica, che privilegia l'effusione sentimentale, la confessione diretta, la narrazione soggettiva e l'autografia. In questo genere non c'è realtà sociale contemporanea e il realismo borghese settecentesco. Mira a cogliere le vicende umane, i drammi interiori senza coglierne o cogliendone debolmente i nessi con un preciso ambiente storico-sociale.
E' una narrativa di carattere introspettivo che delinea un rifiuto della realtà, sfociando nel conflitto tipicamente romantico tra reale e ideale.
Caratteri principali.
1. Esotismo e primitivismo
2. Inclinazione all'idillio
3. Disgusto del sociale e fuga nella natura
4. Casi d'amore disperati(che si concludono con il suicidio)
5. Analisi di anime in preda all'angoscia esistenziale
6. Tipi umani melanconici
Ricordiamo Goethe, Le confessioni di Rousseau, Atala e René di Chateaubriand, l'Oberman di Pivert, Le confessioni di un mangiatore di oppio di Thomas de Quincey.
L'eroe romantico.
Egli ha un'acuta sensibilità, una vera e propria malattia. Sono malinconici per un'insoddisfazione legata alla loro ansia religiosa. L'eroe romantico sente di essere stato perfetto ed è sofferente per la perduta perfezione. Ha bisogno di assoluto e perfezione e li ricerca attraverso la musica, la natura, l'arte. Il loro amore è formato da un binomio di amore-morte: la morte serve a sublimizzare l'amore ed è l'unico modo per superare gli ostacoli

1. Esotismo: facendosi sentire l'influsso della cultura pre-romantica e romantica, notiamo una maggior inclinazione all'evasione nella fantasia, nel sogno e nell'ideale. Ciò è ricercabile nella delusione storica conseguente alla rivoluzione francese . Si può definire come un vagheggiamento nello spazio e nel tempo che provoca suggestione. Si ha un'evasione dal presente verso epoche, specialmente il Medioevo, "mitizzate" dal Romanticismo e presentate come momenti ideali della storia umana. Si ricercano a ritroso i fatti e i momenti esemplari per fornire soluzioni ideali a problemi del presente. Proprio nel Medioevo, per esempio, si vanno affermando gli ideali di libertà e lì nascono le nazioni.
2. Egotismo: l' io e al centro delle opere; esso si considera qualcosa di irripetibile ed è la sensibilità che ci rende unici, diversi e irripetibili.
3. Primitivismo: vengono ripresi a modello Omero, Dante e Shakespeare per la loro lingua selvaggia e genuina, frutto unicamente di ispirazione. Anche se è proprio in questi autori che maggiormente si nota l'accurata elaborazione formale.

Una vita di Italo Svevo.
Questo romanzo è diverso rispetto al terzo, La coscienza di Zeno: vi è infatti un’ottica piccola-borghese, nel terzo invece grande-borghese. Il protagonista, Alfonso Nitti, è un impiegato, Zeno invece è un industriale.
Influenza del naturalismo e del Realismo (Balzac, Flaubert, Zola). Del Naturalismo e Realismo assimila la descrizione della realtà, ma Svevo vede la società massificata di fine Ottocento-inizio Novecento, con gli impiegati, lòe fabbriche, gli operai.
Alfonso Nitti vive in una grigia banca e trascorre grigie giornate, finendo per arrivare all’alienazione1 e alla reificazione2.
Caratteristiche.
Tema dell’ “inettitudine”: il protagonista sogna il riscatto dalle giornate grigie con l’amore per la letteratura.

1 L’uomo diventa estraneo a se stesso.
2 Si riduce a cosa.
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GIOVANNI VERGA (1840 - 1922)
COME SCRIVE VERGA.
Per riprodurre la societа nel modo piщ "vero", Verga la osserva scrupolosamente, studiando l'ambiente fisico ed il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni; inoltre usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi - come dice lui stesso - «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Cosм sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sй, e chi legge ha l'impressione di essere messo a diretto confronto con la realtа di cui si parla.
Per ottenere l'impersonalitа Verga adotta il punto di vista della gente, di chi fa parte dell'ambiente che sta descrivendo, evita cioи di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora piщ vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: и la lingua nazionale (non usa il dialetto siciliano perchй vuole che le sue opere siano lette in tutta l'Italia) arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire e proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo.
I MALAVOGLIA
E' il primo romanzo del "Ciclo dei vinti" rimasto incompiuto, in cui lo scrittore manifesta la sua visione amara della vita. Il romanzo narra le disavventure di una famiglia umile di pescatori di Acitrezza (Catania) che cerca di migliorare le sue condizioni economiche. «I Malavoglia» raccontano la storia amara di una sconfitta nella quale si esprime il pessimismo radicale di Verga. Non c’и speranza di cambiamento per gli oppressi, soggetti ad una legge di natura, quella della vittoria del piщ forte e della selezione naturale, che essi non possono controllare. E questa condizione degli umili diventa emblematica di quella dell’intera umanitа. L’unico valore positivo che si afferma nel mondo verghiano и quello della dignitа umile ed eroica con cui l’uomo sopporta il proprio destino, rinunciando a inutili ribellioni.
Il centro di tutto и una barca da pesca: la tartana dei Malavoglia chiamata "Provvidenza". La "Provvidenza" и la barca piщ vecchia del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Era anche essa una persona nella famiglia esemplare dei Malavoglia, la piщ onesta e compatta del paese.
Intorno al gran tronco, il nonno Padron 'Ntoni, testa della casa, si stringono altre sette persone appartenenti a tre generazioni. Padron 'Ntoni e la Provvidenza sono i due poli di quel mondo domestico. Quando il maggiore dei nipoti, 'Ntoni, и tolto al lavoro per la leva di mare, il nonno tenta un affare, compra a credito una grossa partita di lupini, li carica sulla barca e li affida al figlio Bastianazzo perchй li vada a vendere a Riposto. La barca di notte naufraga, Bastianazzo annega, i lupini sono perduti. La "Provvidenza" и gettata inutile sulla spiaggia. A Padron 'Ntoni rimane il debito dei lupini.
Dopo quella triplice sciagura, tutto sembra accanirsi contro i Toscano-Malavoglia: Luca, il secondo dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa; Maruzza, la nuora, muore nel colera del '67. Il debito dei lupini si mangia la casa, la cara «casa del nespolo» che era l'orgoglio, la ragione di vita del vecchio; e giа il debito aveva impedito le nozze della nipote, la Mena, creatura di silenzio e sacrificio. Non и finita: un nuovo naufragio della "Provvidenza" rattoppata lascia Padron 'Ntoni inabile al lavoro. Il primogenito 'Ntoni, che da quando ha fatto servizio militare in continente non si rassegna alla miseria dei pescatori, si dа al contrabbando e finisce in galera dopo aver ferito un doganiere. Lia, la sorella minore, abbandona il paese e non torna piщ. Mena dovrа rinunciare a sposarsi con compare Alfio e rimarrа in casa ad accudire i figli di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore, ricostruirа la famiglia e potrа ricomprare la «casa del nespolo» che era stata venduta.
Quando 'Ntoni, uscito di prigione, torna al paese, si rende conto di non poter restare perchй si sente indegno del focolare domestico di cui ha profanato le leggi e la sacralitа.
Gli Elementi e i Temi:
• La presenza di un folla di personaggi tra i quali non emerge un protagonista singolo, a sottolineare un tipo di organizzazione sociale semplice ancora basato sulla famiglia patriarcale;
• Il desiderio di star meglio che spinge padron 'Ntoni a tentare l’affare dei lupini e il giovane 'Ntoni a cercare fortuna lontano: tentativi entrambi falliti di uscire dalla condizione assegnata dal destino;
• La brutalitа della lotta per la sopravvivenza, dominata da un’ineluttabile legge economica;
• La religione della famiglia, l’attaccamento al focolare e agli affetti, unica difesa possibile contro l’aviditа del mondo, a patto che si accontenti di quello che si ha;
• L’impossibilitа di staccarsi dal proprio ambiente e dalla propria condizione, pena la rovina.
IL QUADRO STORICO
L'Italia era appena costituita in unitа e i problemi esistenti diventavano piщ acuti e pressanti perchй il nuovo stato era prima diviso in tanti staterelli diversissimi tra loro per condizioni politiche, economiche e culturali.
In Italia la questione sociale dei rapporti fra patronato e masse lavoratrici era complicata:
a. dalle differenze sociali ed economiche fra Nord e Sud (la "questione meridionale");
b. dalla scarsa partecipazione della plebe rurale al Risorgimento che aveva sentito come un fatto borghese, estraneo ai suoi interessi;
c. dalla riluttanza delle masse contadine alla nuova struttura politico–sociale (il "brigantaggio" dell'Italia meridionale);
d. dalle difficoltа di bilancio;
e. dalla tendenza delle classi egemoni e dei gruppi industriali a costituire, a spese delle masse meridionali e contadine, l'accumulazione del capitale per fondare l'industria italiana.
DEFINIZIONE
• E' un movimento letterario e artistico italiano che ispirandosi al Naturalismo francese e al Positivismo teorizza una rigorosa fedeltа alla realtа effettiva (al «vero») delle situazioni, dei fatti, degli ambienti, dei personaggi e una corrispondenza con il sentire e il parlare dei soggetti che vengono rappresentati.
• Richiamandosi al naturalismo francese delle opere di Emile Zola, ma anche ad Alessandro Manzoni e alla scapigliatura, il movimento tende a descrivere la vita della gente umile, dei reietti dalla societа che si affannano nella lotta per la sopravvivenza, contro la fatalitа del destino.
DOVE e QUANDO
• Si sviluppa negli anni successivi all'Unitа e prosegue fino al primo decennio del Novecento, raggiungendo la piena maturitа nell'ultimo trentennio dell'Ottocento.
• Fu elaborato nell'ambito del vivace ambiente milanese dove erano assai forti gli influssi della cultura europea ma si allargт a tutta l'Italia diffondendosi in alcune regioni piщ che in altre:
Sicilia (de Roberto; Capuana; Verga)
Campania (Serao; Di Giacomo);
Sardegna (Deledda)
Calabria (Misasi)
Toscana (Fucini; Pratesi; Lorenzini)
Piemonte (Cagna; Giacosa; De Marchi; De Amicis)
Friuli e Veneto (Dall'Ongaro, Caterina Percoto)
• La diversa diffusione del verismo dipende dalla posizione delle regioni in Italia, in quanto la scoperta della realtа dei veristi riguarda le due situazioni socio-geografiche estreme presenti sul piano nazionale: da un lato Firenze, capitale provvisoria fino al 1871 e centro politico italiano, dall'altro la Sicilia arretrata, semifeudale e a un livello ancora rurale. Successivamente a Firenze, dove sono nate le prime pagine dei tanti romanzi veristi, si affianca Milano, che и la cittа piщ importante dell'economia imprenditoriale nazionale.
• E' assai caratteristico che i maggiori veristi siano siciliani (Verga e Capuana) e, nel contempo, la loro formazione avvenga in ambiente settentrionale, soprattutto a Milano: nel centro culturale piщ attivo della penisola vengono a contatto con le proposte del naturalismo francese e prendono coscienza della loro autentica vocazione di scrittori.
LE CARATTERISTICHE
• Accettazione delle leggi scientifiche che regolano la vita associata e i comportamenti: lo scrittore cerca di scoprire le leggi che regolano la societа umana, muovendo dalle forme sociali piщ basse verso quelle piщ alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno.
• attenzione alla realtа nella dimensione del quotidiano: lo scrittore predilige una narrazione realistica e scientifica degli ambienti e dei soggetti della narrazione;
• piuttosto che raccontare emozioni, lo scrittore presenta la situazione quotidiana come una indagine scientifica, ricercando le cause del suo evolversi, che sono sempre naturali e determinate (determinismo o darwinismo sociale); anche la vita interiore dell'uomo, spiegabile in termini psico–fisiologici, puт essere oggetto di uno studio scientifico o sociale:
... l'oggetto sono i "documenti umani", cioи fatti veri, storici; e l'analisi di tali documenti dev'essere condotta con "scrupolo scientifico" ... (G. Verga)
• l'artista deve ispirarsi unicamente al vero cioи desumere la materia della propria opera da avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente ovvero rispecchiando la realtа in tutti i suoi aspetti e a tutti i livelli sociali.
• necessitа di una riproduzione obbiettiva ed integrale della realtа, secondo quel canone dell'impressionalitа che и l'applicazione in letteratura del principio scientifico della non interferenza dell'osservatore sugli oggetti osservati (deriva dal Positivismo);
• a causa delle diversitа regionali rappresentate dagli scrittori anche il modo di scrivere cambia nel verismo dando spazio ai dialetti, eliminando tutte le forme di raffinatezza retorica e accademica e introducendo la mimesi linguistica.
LE REGOLE
• L'artista deve ispirarsi unicamente al vero, cioи deve desumere la materia della propria opera da avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente rispecchiando la realtа in tutti i suoi aspetti e a tutti i livelli sociali; и la teoria verghiana dell'impersonalitа: il narratore entra pienamente nei suoi personaggi per raccontare documenti umani.
• Il narratore и colui che raccoglie il fremito delle passioni, delle sofferenze e lo rivela, impassibile, senza biasimi o esaltazioni, mettendosi in parte per lasciar parlare l'evidenza dei fatti, la logica delle cose: teoria verghiana dell'impersonalitа.
• L'autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro parole. In tal modo la sua mano «rimarrа assolutamente invisibile» nell'opera. Il lettore avrа cosм l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi.
• Il narratore, nel far parlare i suoi personaggi, usa il loro linguaggio: uno stile stringato, una sintassi semplice e disadorna, una lingua paesana e viva, continuamente intercalata da espressioni popolaresche e proverbiali che mettono in luce l'oggettivitа della narrazione (senza intrusioni autobiografiche).
• La lingua e lo stile devono essere aderenti ai personaggi, agli ambienti, attingendo possibilmente alle risorse dei dialetti regionali. Il linguaggio и liberato da ogni raffinatezza teorica e accademica.
• Al riguardo si parla di mimesi linguistica dell'autore (mimetizzazione = nascondersi nell'ambiente circostante in modo da risultare non–visibile).
• Capuana respinge la subordinazione della letteratura a scopi estrinsechi quale la dimostrazione "sperimentale" di tesi scientifiche e l'impegno politico e sociale. La "scientificitа" non deve consistere nel trasformare la narrazione in esperimento per dimostrare le tesi scientifiche, ma nella tecnica con cui lo scrittore rappresenta, che и simile al metodo dell'osservazione scientifica. La scientificitа insomma si manifesta solo nella forma artistica, nella maniera con cui l'artista crea le sue figure e organizza i suoi materiali espressivi.
• Secondo Verga, la rappresentazione artistica deve possedere "l'efficacia dell'esser stato", deve conferire al racconto l'impronta di cosa realmente avvenuta; per far questo deve riportare "documenti umani". Neppure basta che ciт che viene raccontato sia reale e documentato, deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso la "lente dello scrittore". Per questo lo scrittore deve "eclissarsi", cioи non deve comparire nel narrato con le sue reazioni soggettive e con le sue riflessioni.
I TEMI E I SOGGETTI
Lo scrittorre verista:
• si occupa di situazioni quotidiane reali, vissute cioи nella scottante realtа nazionale: le plebi meridionali, il lavoro minorile, l'emigrazione;
• cerca il vero attraverso l'analisi delle classi subalterne, perт la veritа non porta al progresso ma svela una condanna a morte;
• predilige gli ambienti delle plebi rurali perchй non ancora contaminate dai pregiudizi della convenzione sociale;
• predilige gli ambienti regionali e gli strati sociali piccolo–borghesi;
• gli ambienti sociali sono in maggioranza cittadine di provincia, di campagna, miniere o ambienti di piccola e media borghesia e di aristocratici decaduti.
• Il verismo italiano ebbe una forte caratterizzazione regionale e, poichй le realtа regionali italiane erano profondamente diversicate, diversi furono pure i temi e gli ambienti rappresentati dai veristi.
• Al nord, la maggiore articolazione della compagine sociale, con l'affermarsi, accanto ai ceti elitari, di una media e piccola borghesia costituita da professionisti e da ceti impiegatizi legati all'apparato industriale, porta all'ampliamento della "base sociale" della letteratura, cioи al numero degli autori e dei lettori, parallelamente a nuove a varietа letterarie, dal romanzo di consumo al romanzo di appendice. La nuova cultura positivista, i nuovi usi e modelli di comportamento legati alla rivoluzione tecnologica, spostano l'attenzione su nuovi tipi umani e su nuovi problemi: protagonista dei romanzi e del teatro, accanto al contadino e al pescatore, и l'impiegato (De Marchi). Nuovi eroi, come и stato osservato, sono l'industriale, lo scienziato, il medico e il maestro (De Amicis). I nuovi temi sono quelli della famiglia, fondamentale cellula della societа e quelli dell'adulterio e della prostituzione.
• Al sud, il verismo, non essendovi un proletariato urbano o i bassifondi di una capitale tentacolare da "studiare", si interessт all'umile vita dei contadini e dei pastori con le loro passioni elementari. Ad un mondo «pressochи vergine e ignoto, il mondo del meridione e delle isole, delle plebi contadine e artigiane, chiuse nella loro opaca renitenza alle forme e agli statuti della civiltа moderna, affioranti per cosм dire dal buio di una civiltа arcaica, stranamente sopravvissuta dietro le barriere di una secolare solitudine». Questa fu infine la vocazione del verismo italiano, e nel ritrarre la vita dei contadini e delle plebi il verismo ottenne i suoi migliori risultati. Non a caso gli scrittori piщ rappresentativi della corrente, da Verga a Capuana, da De Roberto alla Deledda, furono meridionali o isolani.
Decadentismo.
Il 26 Maggio 1883 sul periodico parigino “Le Chat Noir” (“Il gatto nero”) Paul Verlaine pubblicava un sonetto dal titolo Languer (Languore), in cui affermava di identificarsi con l’atmosfera di stanchezza e di estenuazione spirituale dell’Impero romano alla fine della decadenza, ormai incapace di forti passioni e di azioni energiche. Il sonetto interpretava uno stato d’animo diffuso nella cultura del tempo, il senso di disfacimento e di fine di tutta una civiltà, per cui si avvertiva un’affinità con il periodo del tardo Impero romano e si esaltava la suprema raffinatezza ed eleganza di simili momenti in cui una civiltà può esprimersi in forme squisite.
Il movimento trovò il suo portavoce nel 1886 in un periodico, “Le Décadent” diretto da Anatole Baju. La “Bibbia” del Decadentismo e il suo manifesto è sicuramente il romanzo A rebours (Controcorrente) di Joris-Karl Huysmans (1884). Il romanzo segue le sorti del fragile Des Essaints, che cerca invano la redenzione in esperienze estetiche esasperate ed è disgustato dalla società del tempo. Il protagonista è un’esteta, cioè assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, ma solo il bello, ed esclusivamente in base ad esso agisce e giudica la realtà. Il romanzo esercitò forti suggestioni anche in scrittori di altri paesi, come D’annunzio, che vi si ispirò nel Piacere (1889), e Wilde nel Ritratto di Dorian Gray (1891).
Il termine “decadentismo”, quindi, originariamente indicava un determinato movimento letterario, sorto in un dato ambiente, quello parigino durante gli anni Ottanta, con un preciso programma culturale, espresso esplicitamente da manifesti, organi di stampa e altre pubblicazioni..
Caratteristiche.
1. Rifiuto del metodo scientifico e razionale e predisposizione ad atteggiamenti irrazionalistici (misticismo).
2. Soggettivismo ed individualismo. L’arte deve esprimere le sensazioni del soggetto. (I sensi sono importantissimi).
3. L’artista si presenta come soggetto isolato. Eccezionale scoperta dell’inconscio. Tale scoperta è il dato fondamentale della cultura decadente, il suo nucleo più autentico. L’inconscio riesce a penetrare e comprendere l’unione profonda tra soggetto e oggetto, il mistero, l’essenza segreta della realtà attraverso mezzi quali gli stati abnormi irrazionali dell’esistere: la malattia, la follia, il delirio, il sogno, l’incubo. Questi stati di alterazione possono anche essere procurati anche attraverso l’uso dell’alcool, dell’assenzio o delle droghe. La “cultura della droga” ha le sue radici in area romantico-decadente.
4. Ricorso al Simbolismo (poetica del Decadentismo).
5. Ha un ruolo predominante la sinestesia. E’ una fusione di sensazioni, cioè impressioni che colpiscono un senso evocano altre impressioni relative ai sensi diversi: ad esempio una sensazione visiva, come un colore, suscita sensazioni uditive, o tattili, o olfattive.
6. Religione dell’arte ed estetismo: e’ una tendenza letteraria, di gusto e di vita, presente nell’arte europea della seconda metà dell’Ottocento. Sua caratteristica è il culto estremo della bellezza e dell’arte e come suo motto può valere la formula “l’arte per l’arte”, cioè l’esaltazione dell’arte fine a se stessa, separata da ogni contesto e condizionamento morale e sociale. L’estetismo esalta l’arte come forma superiore di esistenza e sviluppa l’equivalenza e lo scambio tra arte e vita che deve essere costruita come un’opera d’arte, fondata sull’eleganza, sull’artificio. Biograficamente estetismo significa dandysmo (eccentrica eleganza nell’abbigliamento e negli atteggiamenti), snobismo, individualismo raffinato e aristocratico).
7. Concezione del poeta come artefice supremo o come profeta e vate. Gli artisti non sono solo abili artefici, ma dei sacerdoti di un vero e proprio culto, dei “veggenti”, capaci di spingere lo sguardo là dove l’uomo comune non vede nulla, di attingere a nuove dimensioni dell’essere, di rivelare l’assoluto.
Decadentismo e Romanticismo.
Il Decadentismo può a buon diritto essere ritenuto una seconda fase del Romanticismo, anche se il primo ha una sua fisionomia specifica, che rimanda ad un clima culturale e storico particolare, ma per massima parte i suoi aspetti più salienti si individuano rispetto al Romanticismo più come sconvolgimenti, accentuazioni, esasperazioni, che come novità assolute.
Gli aspetti che più propriamente caratterizzano il nuovo clima decadente di fine secolo, rispetto al Romanticismo, potrebbero così schematizzarsi:

==> Romanticismo: l’età romantica, sulla base di un comune irrazionalismo, del rifiuto della realtà e della fuga verso un “altrove” ideale e fantastico, si segnalava per il suo slancio energico, per l’anelito all’infinita espansione dell’io, per le forme di ribellione eroica e titanica, che rivelano energia spirituale. Esaltava la forza creatrice immediata del genio, poneva come valore supremo la “natura”, tutto ciò che è spontaneo e immediato.
==> Decadentismo: è invece contrassegnato da un senso di stanchezza, estenuazione, languore, smarrimento, da un presentimento di fine e di sfacelo, che inibisce ogni slancio energico e induce a ripiegarsi nell’analisi inerte della propria “malattia” e debolezza. Il decadente tende così ad esaltare l’artificio, la complicazione, ciò che è prodotto di un lavoro squisito.
La crisi della coscienza, il rifiuto della realtà, le tematiche negative sono tutti i fattori che accomunano Romanticismo e Decadentismo. Ma gli aspetti più specifici del clima decadente, il senso di esaurimento e di sconfitta, il fascino della malattia, la crisi della nozione dell’individuo capace di dominare il reale, con la conseguente frammentazione dell’io e le sue complicazioni perverse, il soggettivismo esasperato e la chiusura alla realtà esterna, la fuga totale nell’irrazionalismo e nel misticismo, possono essere messi in relazione con gli sviluppi che caratterizzano particolarmente la situazione europea di fine secolo: la grande industria, con l’impiego massiccio delle macchine, la produzione su vasta scala, la razionalizzazione del processo produttivo. Quest’ultimo si fa sempre più impersonale: l’individuo energico e creatore esaltato nel momento eroico e pionieristico del capitalismo non conta più nulla. Ci sono ormai le società di massa in cui gli individui si riducono a rotelle di un ingranaggio sempre più perfezionato che ne condiziona comportamenti, idee, scelte. La crisi dell’individuo che caratterizza la cultura decadente ha la sua origine in questi processi.
Il motivo è particolarmente sentito dagli intellettuali perché le trasformazioni sociali investono direttamente e violentemente. Nell’apparato industriale e finanziario monopolistico l’intellettuale umanista tradizionale non trova più posto, è spinto ai margini, si sente inutile e frustrato.

I PROMESSI SPOSI.
Il 24 Aprile del 1821 ha origine la progettazione dell’opera più impegnativa del Manzoni. Le origini del romanzo sono da collegare alle esperienze francesi e la frequentazione degli amici Fauriel e Thierry. Fu proprio Fauriel ad attirare l’attenzione del Manzoni sull’opera di Walter Scott, l’Ivanhoe, e in genere sul genere romanzo. Sulla formazione manzoniana esercitò la sua influenza anche la lezione culturale e civile del “Conciliatore” e la sua visione della letteratura in senso moderno, impegnato, antiretorico, sprovincializzato e democratico.
La prima stesura venne iniziata nel 1821 e in quel periodo, sicuramente, l’Adelchi cui l’autore lavorava, avrà dovuto lasciare il posto alla nuova opera. Comunque subito si presentarono i primi problemi, sia di ordine storiografico, sia, e soprattutto, di ordine linguistico e espressivo, poiché la tradizione letteraria italiana era priva di precedenti analoghi cui riallacciarsi. Rispetto a Scott, Manzoni attua una maggiore adesione dei personaggi alla vicenda storica. Si ispira anche all’Historia patriae di Ripamonti e ad Economia e statistica di Melchiorre Gioia.
.Problemi linguistici: la lingua italiana, quella scritta, espressa dalla tradizione e sostenuta dai puristi, era al tempo del Manzoni molto povera e inadatta, quindi, a rivolgersi al pubblico. A differenza della situazione francese, sempre presente agli occhi del Manzoni, in Italia non esiste alcuna corrispondenza fra lingua scritta e parlata, e gli scrittori non hanno a disposizione una lingua ricca e viva. Inoltre Manzoni non è neppure toscano e non conosce la lingua usata dai grandi poeti della tradizione. Manzoni è anche insoddisfatto dal provincialismo e dall’arretratezza della cultura italiana rispetto, per esempio, a quella francese.
In un certo senso apprezza i puristi per il “bisogno di una certa fissità, di una lingua convenuta tra quelli che scrivono e quelli che leggono”. Ma li critica nel loro affidarsi alla Crusca e agli scrittori classici.
La prima stesura, col nome di Fermo e Lucia, si articola in quattro parti divise in 37 capitoli. Nei Promessi sposi Manzoni ottenne una maggiore funzionalità con il procedere il più possibile parallelo delle vicende dei personaggi. Ha un rilievo molto consistente l’uso delle digressioni la cui sovrabbondanza nel tessuto narrativo le rende meno coerenti al racconto, tanto che a volte costituiscono addirittura degli episodi a se stanti (per esempio quella della monaca di Monza o dell’Innominato). Vi sono anche momenti e luoghi in cui Manzoni commenta alcune situazioni dal punto di vista etico e religioso.
• Prima stesura (1821): utilizza la lingua che l’Illuminismo aveva creato con le sue riviste; una lingua europeizzante (o meglio, francesizzante) ricavata della conversazione dei dotti, fondata sull’analogia. L’articolazione sociale dei diversi personaggi viene affidata ad una sintassi più o meno semplificata e all’impiego di parole o frasi idiomatiche ricavate dal dialetto milanese. Risulta in ogni caso una lingua fortemente soggettiva con un forte margine di arbitrarietà.
• Seconda stesura (1827): nella Seconda introduzione, il lavoro finora svolto viene giudicato dal Manzoni del tutto fallimentare. Inizia così un periodo di crisi che porterà Manzoni ad un’ampia meditazione e revisione linguistica dell’opera. La “seconda minuta” verrà portata compimento nel 1827 e sarà chiamata per questo l’edizione Ventisettana. In essa abbiamo una riduzione delle frequenti digressioni del Fermo e Lucia o la puntualizzazioni di molte circostanze storiche. Per quanto riguarda le varianti linguistiche Manzoni utilizzò una lingua storicamente fondata, ricavabile dalla lettura e dallo studio della tradizione letteraria toscana e dell’uso di dizionari relativi a quel modello. Furono utilizzati a questo scopo il Vocabolario della Crusca e il Vocabolario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini, che dava per ogni voce lombarda l’equivalente in toscano letterario.
• Terza stesura (1840-42): nella terza e definitiva fase dell’elaborazione dei Promessi sposi, vengono messi in atto gli insegnamenti derivati dal poeta in seguito al viaggio intrapreso in Toscana, dove ebbe modo di sperimentare la lingua toscana permeata di realtà espressiva viva e vera. Fu grazie al viaggio in Toscana che Manzoni fece la “risciaquatura in Arno”. L’edizione definitiva uscì tra il 1840-42 (edizione Quarantana). In questa edizione definitiva, Manzoni era riuscito ad approdare ad una lingua viva e parlata.
Il romanticismo.
La cultura e la genesi del Romanticismo si collocano nell'ambito della cultura tedesca e anglosassone, chiamato in Germania " Sturm und Drang". Il termine inglese romantic indicava narrazioni di contenuto particolarmente fantasioso, affine a quello dei romanzi cavallereschi medievali; ma anche paesaggi naturali inconsueti e pittoreschi tali da colpire le emozioni e i sentimenti dello spettatore. Romance era il romanzo epico cavalleresco, di natura tipicamente medievale. L'animo romantico fu collocato in un Medioevo romanzo e cristiano reinventato. Il Medioevo tornò, infatti, ad essere una delle fonti di ispirazione poetica e letteraria dopo secoli di oblio. La genuina poesia delle origini fu ritrovata in Omero, Dante e Shakespeare, anche se proprio loro anzi curarono tantissimo la lingua.
Romantik in tedesco identificò un movimento culturale che si appellava alla straordinaria sensibilità dell'artista, in contrapposizione alla misura illuminista.
Il sentimento della natura.
Secondo la concezione illuministica la natura era regolata da un complesso di leggi e fenomeni che l'uomo poteva comprendere grazie all'uso della ragione. Per i romantici, invece, la natura è il luogo in cui l'anima può dare sfogo alla propria malinconia e i fenomeni più interessanti sono proprio quelli che esulano dalla norma, mettendo l'individuo in contatto con una dimensione superiore, che non può essere percepita con l'aiuto della ragione ma solo abbandonandosi ai sensi e alla fantasia. Il "bello" coincide allora col "sublime", sia esso un paesaggio sconvolto dalla furia degli elementi (si pensi alla situazione descritta da Leopardi nell'Ultimo canto di Saffo) o l'uomo perseguitato da una sorte ineluttabile (come nel caso di Ulisse "bello di fama e di sventura" nel sonetto A Zacinto di Foscolo).
Il fascino dell'esotico.
La ricerca di nuove esperienze interiori si tradusse spesso in un'apertura verso nuovi orizzonti spaziali e temporali. Ci si rivolgeva con grande interesse a culture ancora sconosciute, o si rileggevano in una nuova ottica testimonianze ed espressioni di civiltà ormai scomparse. La nostalgia per il Medioevo si fuse con la malinconica consapevolezza dell'impossibilità di recuperare un passato ormai perduto per sempre; fra gli scenari preferiti dai narratori romantici ci furono allora castelli in rovina e abbazie diroccate, sfondi ideali per ambientare storie dense di elementi misteriosi e soprannaturali.
Il romanzo.

Il romanzo moderno si sviluppa nel 700. I romanzieri del 700 pensano ad un genere nuovo: esso parla dei costumi e degli usi contemporanei. Sorge da fattori socioculturali. La storia è narrata in prima persona. Ha fortuna perché ci sono gli utenti ideali: la borghesia e anche le donne.
E' presente un canone estetico che sarà proprio del Romanticismo:
• l'originalità: le trame non devono essere tradizionali e devono un po’ essere basate sugli avvenimenti contemporanei;
• il realismo: i protagonisti sono presi dalle classi medie e basse. Essi hanno un'identità anagrafica, si dà notizia sulle loro attività. Precisa configurazione sociale e storica dei personaggi.
Il linguaggio si adegua alla cultura e all'estrazione sociale dei personaggi. Le tematiche si imborghesizzano: per es. l'amore, che non è un tema nuovo, non è idealizzato, ma deve fare i conti con i soldi, la passione, con i bisogni sociali.
INGHILTERRA.
Quello inglese, composto da moltissime donne, era un pubblico colto che sapeva leggera. La lingua, i temi, la trama, tutto si adatta all'esigenza del marcato. I maggiori autori furono: Daniel Defoe(iniziatore di questo genere), Richardson, Swift.
Ricordiamo Robinson Crusoe(1719), Moll Flanders (1722), Lady Roxana, Gulliver's Travels(1726), Pamela(1749).
FRANCIA.
Qui si sviluppano i racconti filosofici, o racconti saggi, che sono brevi romanzi, con Voltaire, Diderot, Rosseau.
Voltaire: Candide ou l'optimisme (Candido, o l'ottimismo).
Choderlos de Laclos: Les liaisons dangereuses (Relazioni pericolose).
GERMANIA.: Goethe: Werther

Il Romanticismo di Manzoni
Anche Alessandro Manzoni vi aderisce con entusiasmo, ma non si pronuncia per iscritto. Conosciamo le sue idee sul questo movimento dalla lettera Sul Romanticismo, inviata al marchese Cesare D'azeglio nel 1823 e pubblicata senza il suo consenso nel 1846. Egli ritiene assurdo l'uso della mitologia, massicciamente presente nella poesia neoclassica, perché crea una letteratura d'evasione, elaborata secondo l'imitazione acritica, pedissequa e anacronistica dei classici. Invece l'opera d'arte deve essere educativa, ciò deve aiutare l'uomo a conoscere meglio se stesso e il mondo in cui vive. In questo testo Manzoni elabora una formula che mette a fuoco la sua concezione poetica: l'opera letteraria ha l'utile per iscopo, il vero per oggetto e l'interessante per mezzo .questa un'affermazione non nuova nella forma, ma certamente nuova nella sostanza. L'utile coincide con la moralità in senso cristiano ed il fine stesso della poesia tesa alla formazione delle coscienze; l'interessante viene a coincidere con la scelta stessa dell'argomento da trattare, che deve restare nell'ambito della meditazione sull'uomo, sulla sua vita e sul suo rapporto con la Divina Provvidenza; mentre il vero coincide con la ricerca del vero storico. In pratica considera il Romanticismo come un rinnovamento dei moduli espressivi e dei temi propri della letteratura, poiché si indirizza a un pubblico vasto. In modo particolare sottolinea le peculiarità del Romanticismo lombardo‚ che, erede dell'Illuminismo, non lo sconfessa ma ne approfondisce e sviluppa le tematiche. Aperta all'Europa, Milano, ex capitale della napoleonica Repubblica Cisalpina, ospita intellettuali e periodici che non intendono sconfessare la Ragione, ma, semmai, vogliono affiancarle il sentimento, per rendere pi completa la visione dell'uomo. In nome della Ragione si cerca di svecchiare la letteratura, liberandola da regole assurde, come le tre unità aristoteliche, che hanno condizionato la produzione teatrale italiana sino al Settecento. I classici sono letti con ammirazione e costante interesse, ma non pi imitati, perché l'opera d'arte nasce strettamente congiunta con lo spirito di un'epoca, che irripetibile. Infine anche la Religione vissuta in sintonia con il vaglio della Ragione. L'esempio più evidente delle strette interrelazioni tra i due movimenti culturali, in Lombardia, proprio Manzoni, un grande romantico, nipote di un grande illuminista, Cesare Beccaria. Ma c’è di più : il Romanticismo lombardo porta avanti, senza nasconderlo, un preciso intendimento patriottico-risorgimentale che emerge dalle pagine del periodico Il Conciliatore.
un foglio azzurro che viene pubblicato due volte la settimana a Milano, dal 3 settembre 1818 al 17 ottobre 1819: viene sostenuto economicamente dal conte Luigi Porro Lambertenghi (1780-1860) e dal conte Federico Confalonieri (1785-1846), che collaborano anche con interventi redazionali. Lo dirige il piemontese Silvio Pellico e scrivono articoli Giovanni Berchet, Ludovico Di Breme, Pietro Borsieri, Ermes Visconti. Collaboratori occasionali sono grandi nomi dell'economia, come Melchiorre Gioia, Gian Domenico Romagnosi (1761-1835) e Giuseppe Pecchio (1785-1835), storici come il ginevrino Sismonde de Sismondi (1773-1842), scienziati come il medico-letterato Giovanni Rasori (1766-1837).
Manzoni ne rimane estraneo, troppo assorbito dalla sua attività creativa, che in quegli anni davvero intensa. Segue, per , con attenzione e partecipazione, condividendone il programma. Il titolo del periodico, Conciliatore, non casuale: nasce dall'intenzione di mettere in comune gli sforzi dei circoli intellettuali milanesi per dare alla letteratura forza ed efficacia, per elaborare un valido progetto culturale, sociale e politico: inevitabile, quindi, proprio alla luce dell'evidente intento patriottico, che intervenga l'occhio vigile della censura austriaca, la quale lascia ben poca vita al giornale. L'impegno sociale del Conciliatore, che mira alla pubblica utilità , istruendo i Milanesi sulle innovazioni che in Europa segnano il progresso in tutte le branche del sapere (dalla pedagogia all'agricoltura, dalle istituzioni alla medicina, dalle scienze naturali alle loro applicazioni tecniche), lo pongono sulla linea del Caff , del quale, peraltro, i "conciliatori" si considerano eredi e prosecutori.
Naturalmente il giornale si presenta come espressione di una cultura italiana. Per esempio, il problema della coltivazione della vite in Toscana non risulta meno interessante di quello dei bachi da seta in Lombardia. C’è quanto basta per indurre l'Austria a sopprimere il giornale e costringere al silenzio i collaboratori con l'intimidazione o la deportazione: tra questi ricordiamo Silvio Pellico, il quale riporta le memorie della sua prigionia nel carcere asburgico dello Spielberg nel libretto Mie prigioni (1832), che fece grande scalpore e rappresentò per l'Austria una notevole sconfitta.
• il vero storico ossia rispetto per i fatti e riproduzione fedele delle caratteristiche dei personaggi, così come ci sono state tramandate dalla storia e puntualizzate in seguito a una severa ricostruzione preliminare.
Fermo e Lucia
La prima stesura dei Promessi Sposi molto diversa dall'edizione definitiva, che vedrà la luce quasi vent'anni dopo, nel 1840. L'autore, nell'arco di due anni scrive il romanzo in quattro tomi, intitolandolo provvisoriamente Fermo e Lucia, dal nome dei protagonisti.
La composizione inizia nel 1821 e termina nel 1823, con alcune interruzioni.Le sue fonti sono quelle gi citate: oltre ai romanzi che circolano in quegli anni e che vengono pubblicati intorno al 1820, come quello di Walter Scott, il Manzoni attinge alle cronache e alle opere di storiografia del Seicento: ricordiamo: De peste Mediolani quae fuit anno MDCXXX (La peste che scoppi a Milano nel 1630), e Historiae Patriae (Le storie della patria, in 23 libri) di Giuseppe Ripamonti (1573-1643), il Raguaglio di Alessandro Tadino (1580-1661), medico milanese che diagnosticò la peste e le sue cause, nonché le gi citate opere dell'economista Melchiorre Gioia, contemporaneo del Manzoni. La novità che balza subito all'occhio il fatto che sono protagonisti personaggi di origine umile e l'ambientazione di tipo rurale. Niente cavalieri n damigelle, tornei, imboscate e duelli all'ultimo sangue, ma solo situazioni che, trasposte in epoche diverse, potrebbero vedere coinvolto chiunque. Certo non mancano vicende eccezionali, come la peste, la guerra, il rapimento della protagonista, una clamorosa conversione: tuttavia Manzoni le presenta con estrema verosimiglianza. Infatti crede nella necessità di rifondere, nel romanzo, il vero storico e l'invenzione poetica: lo scrittore pensa che la letteratura, per avere carattere educativo, non può rinunciare a proporsi come momento di conoscenza e stimolo alla riflessione. Perciò deve prospettare personaggi, vicende, situazioni, considerazioni, scene, dialoghi e soliloqui in cui il lettore si possa riconoscere. Come mai la scelta degli umili come protagonisti?E perché proprio un romanzo storico? Sicuramente non estranea la concezione cristiana del Manzoni e la sua opinione che la storia sia fatta dalla gente comune, dalla massa popolare, piuttosto che dall' elites al potere. Naturalmente si tratta di una narrazione, nella quale una vicenda d'amore inserita in un contesto illustrato con precisione e sul quale l'autore si documenta con cura puntigliosa. A questo punto torniamo ancora una volta al felice binomio di verità e fantasia che d al romanzo realismo e universalità .
Spieghiamoci meglio: l'ambientazione rigorosamente studiata e i tipi umani scelti dall'autore rimandano alla realtà . I protagonisti non sono creature eccezionali, ma gente semplice come se ne trova ovunque e in ogni epoca. I personaggi "storici", ossia quelli ricavati dalle cronache, sono riprodotti senza che mai siano falsate (o "romanzate") le fonti storiche, ma proprio questi personaggi acquistano una suggestione straordinaria quando l'autore cerca di illuminare la loro psicologia e immagina ci che le cronache non possono dire, ossia il loro dramma interiore, il fastello di irrequietezze, di paure, di contraddizioni, le riflessioni, i compromessi che li portano a scelte e decisioni sofferte. L'autore li ricostruisce dall'interno, inventa il processo spirituale che li ha resi quelli che tramandano gli storici. Per questa operazione letteraria deve fare appello alla sua arte poetica, alla sua sensibilità , e, perché no?, anche alla sua esperienza personale: chi potrebbe negare che, per ricostruire la faticosa conversione dell'innominato, Manzoni non abbia ripensato alla "sua" conversione?
Un'altra domanda: perché proprio il Seicento? Si può rispondere, ricordando il patriottismo profondo del Manzoni. Nel secolo della dominazione spagnola sul Milanese, egli ravvisa molte analogie con il suo tempo, in cui la Lombardia sottomessa agli Austriaci e ancora compaiono prevaricazioni e violenze.Come a quei tempi gli umili erano in balia a delle forze politiche, così ora i diritti dei cittadini sono violati e le loro giuste esigenze di libertà sono soffocate. La vicenda ambientata nel territorio del Ducato di Milano e dura per due anni, dal 1628 al 1630. Protagonisti sono due giovani borghigiani che non possono sposarsi perché il signorotto della zona si incapricciato della promessa sposa. Dopo lunghe peripezie (i fidanzati devono separarsi ma si ritrovano, poi, in circostanze drammatiche) le nozze vengono celebrate.
Differenze
Che cosa cambiato dal Fermo e Lucia ai Promessi Sposi? Qualcosa di molto sostanziale. Non solo, infatti, i personaggi modificano il loro nome (Fermo Spolino diventa Renzo Tramaglino, filatore di seta, come ricorda il cognome; Lucia Zarella si chiama Lucia Mondella; fra Galdino, il cappuccino che protegge i fidanzati, assume il nome di padre Cristoforo; il Conte del Sagrato riceve la misteriosa denominazione dell'innominato, Marianna De Leyva diventa l 'anonima monaca di Monza), ma sono introdotti tagli decisi alla narrazione. Le vicende dei due personaggi storici per eccellenza (perch sono il frutto di una pignola consultazione delle cronache del tempo), ossia l'innominato e la monaca di Monza, sono sfumate e ridotte. Di queste figure il lettore non conosce tutti gli antefatti, ma soltanto le notizie fondamentali: in compenso approfondito lo scandaglio psicologico, a tutto vantaggio della poeticit e suggestione della loro personalit . Infatti la storia della fanciulla monacata per forza nel Fermo e Lucia così vasta da costituire davvero "un romanzo nel romanzo", che spiazza il lettore e gli fa dimenticare il filo centrale della narrazione. Inoltre, subito dopo l'interminabile odissea della monaca, ecco apparire il tenebroso Conte del Sagrato, anche lui con una lunghissima biografia alle spalle, vero excursus in cui il lettore si immerge nel mondo violento dei sicari secenteschi. Per ne deriva un grosso inconveniente: quando, dopo pagine e pagine, ricompare il povero Fermo, che poi il protagonista, sembra quasi un intruso piovuto non si sa da dove. A ci si aggiunge, come osservano gli amici di Manzoni, che emerge un eccessivo compiacimento per gli aspetti truculenti, torbidi, violenti dei personaggi. Per esempio l'autore illustra con esagerato realismo l'agguato del Conte a un nemico sul sagrato della chiesa, oppure si dilunga nel descrivere l'assassinio di cui la monaca si rende complice tra le mura del convento.
Tacendo i torbidi retroscena della monaca e lasciando intuire solamente il passato dell'innominato, il romanzo acquista maggiore eleganza e omogeneit stilistica, mentre i personaggi risultano pi misteriosi, interiormente ricchi, sfaccettati, verosimili e forti di una incredibile capacit di ricreare la suspense.
Solo don Rodrigo rimane immutato, anzi, risulta peggiore. Sembra che Manzoni voglia davvero fare di lui l'incarnazione del male di tutto un secolo. Nel Fermo e Lucia, infatti, egli scosso da una vera passione per la ragazza e vive una tremenda crisi di gelosia nei confronti di Fermo. La sua persecuzione, in fondo, nasce da un sentimento che potrebbe, se non giustificarla, renderla umanamente comprensibile. Nella redazione successiva, invece, gli ostacoli che frappone alle nozze nascono da una futile scommessa stipulata con il cugino Attilio, superficiale e prepotente come lui.
Alcune scene ad effetto, come la morte di don Rodrigo, che impazzisce per il contagio della peste e si getta in una furibonda cavalcata nel lazzaretto, vengono riequilibrate, smorzate nella suspense, a tutto vantaggio dell'armonia della narrazione.
Anche dal punto di vista strutturale I Promessi Sposi risultano in parte modificati, con lo spostamento di alcuni blocchi narrativi: i due episodi della monaca di Monza e dell'innominato vengono distanziati con l'inserimento delle avventure di Renzo nei tumulti di Milano.
Nell'edizione del Ventisette il Manzoni attua anche tagli decisi nelle parti pi specificatamente metodologiche e storiografiche: abolisce la dissertazione sul problema della lingua del romanzo e toglie tutta la documentazione dei processi agli untori (presunti responsabili della diffusione della peste a Milano) che ha rinvenuto negli atti riportati dalle cronache milanesi. Questa documentazione, peraltro di grande interesse, verr enucleata e rielaborata nella Storia della colonna infame, pubblicata nel 1842 in appendice all'ultima e definitiva edizione del romanzo.
Non mancano, infine, le aggiunte: poche, ma utili per infondere al romanzo quel tono di realismo, arricchito da un umorismo sottile che tempera la drammaticit di alcuni episodi. Per esempio l'autore inventa il soliloquio di Renzo che, in fuga verso Bergamo, sta cercando un facile guado dell'Adda. un capolavoro di introspezione psicologica: chi non ha mai parlato da solo, in maniera concitata e aggressiva, quando ha rimuginato fra s un torto subito?
Uno dei primi entusiasti recensori del romanzo Wolfgang Goethe, ma seguono rapidamente giudizi molto positivi di scrittori francesi come Stendhal (1783-1842), Alphonse de Lamartine e di autori che languiscono nelle carceri austriache, come Silvio Pellico ( quanto consola il vedere in Manzoni il cristiano senza pusillanimit , senza servilit , senza transazioni co' pregiudizi dell'ignoranza , scrive dallo Spielberg nel 1829).
Gli anni compresi tra il 1827 e il 1840 sono dedicati a una attenta revisione linguistica dell'opera. L'autore da tempo interessato alla questione della lingua , che in Italia dibattuta sin dal XIII secolo: se ne occupa Dante Alighieri (1265-1321) nel De vulgari eloquentia, se ne occupano importanti trattatisti del Cinquecento. Infatti gli Italiani, divisi politicamente, si sentono uniti nella cultura e nell'Ottocento aspirano a una lingua letteraria che sia nazionale. La tradizione addita nel fiorentino l'idioma pi raffinato della penisola.
Perci il Manzoni, che vuole fare del suo romanzo un'opera italiana, e non lombarda, mobilita la famiglia, per trasferirsi a Firenze qualche tempo. Ha bisogno di "orecchiare" il toscano parlato dalle classi colte, per frequenti e determinanti correzioni al linguaggio della narrazione.
Le tematiche della visione religiosa della vita
Numerose sono le tematiche del romanzo: spicca, in primo piano, il tema del rapporto fra libertà e condizionamento, in cui si innestano i motivi dell'amore, della prevaricazione, della paura, che concorrono a sviluppare quello unificante del matrimonio mancato. La libertà il valore su cui si incardina la morale cristiana, ma viene cancellata da disvalori, primo fra tutti il conformismo (come quello di don Abbondio e di Gertrude, per i quali si parla giustamente di "cadute senza riscatto", e soprattutto di donna Prassede, alla quale Manzoni riserva alla fine una stoccata cattiva: "Di donna Prassede, detto che morta, detto tutto").
Importante anche il tema del contrasto fra ideale e reale, ossia fra come dovrebbe essere la società e come, invece, di fatto. Ecco, allora, comparire i motivi del privilegio che tocca solo a una piccola categoria di persone, dell'ingiustizia che colpisce tutti coloro che patiscono l'oppressione dei privilegi altrui, della violenza nell'ambito sociale, politico e anche familiare, della mancanza di moralità che nasce dal mancato rispetto delle pi elementari norme evangeliche.
A questo punto il pessimismo di Manzoni, insieme a un certo senso latente e sommesso di condanna si allenta nel tono bonario dell'ironia, soprattutto nei punti in cui smaschera le piccole astuzie degli umili (che non sortiscono effetto, come il matrimonio a sorpresa) oppure si colora di amarezza quando denuncia le ipocrisie dei politici come il conte zio o Ferrer e diviene denuncia aspra quando constata come anche i valori pi sacri, quali la paternità , siano inquinati dall'orgoglio, che porta alla menzogna, alla coercizione (si pensi al padre di Gertrude), allo stravolgimento dei valori della famiglia e della società .
Il tema pi significativo, per , quello su cui poggia il messaggio manzoniano, si riferisce alla visione religiosa della vita, in cui domina il leitmotiv del romanzo, ossia l'opera della Provvidenza di Dio nella storia e nelle umane vicende.
Il pessimismo manzoniano emerge nella constatazione della presenza del male, dell’irrazionalità dell'agire umano, della forza dirompente degli egoismi in contrasto. Pure la Grazia di Dio non abbandona gli uomini che lo cercano e confidano in Lui. Per chi ha fede nella Provvidenza il succedersi dei fatti acquista un senso, una logica. Naturalmente Dio non colui che punisce i malvagi e premia i buoni, come un giustiziere. Il Suo giudizio e la Sua opera riescono per la maggior parte delle volte insondabili agli uomini che devono accettare i fatti con umiltà e fiducia.
Sbaglia don Abbondio quando, esultante, definisce la Provvidenza come una scopa (cap. XXXVIII) che finalmente ha fatto piazza pulita di don Rodrigo e dei suoi scagnozzi. Più corretta la riflessione di padre Cristoforo che, di fronte a don Rodrigo agonizzante e sofferente al lazzaretto, afferma: Può essere castigo, può essere misericordia (cap. XXXV). La peste, infatti, non deve essere semplicisticamente ridotta a una punizione dei malvagi e la morte di don Rodrigo, tra gli spasimi della malattia, può essere intesa come l'ultima possibilità offerta a lui dalla Misericordia divina perché si ravveda e salvi la sua anima.
In questo senso, anche se termina con la celebrazione delle nozze, il romanzo di Manzoni non presenta l'idilliaco "lieto fine" dei romanzi storici tradizionali. Infatti, a ben vedere, la conclusione della storia si pone al capitolo XXXVI, quando padre Cristoforo scioglie Lucia dal voto che ha fatto la notte trascorsa nel castello dell'innominato, secondo il quale rinuncia alle nozze. In tal modo la ragazza può seguire la voce del cuore e anche Renzo vede finalmente rimosso l'ultimo ostacolo. I due si congedano da padre Cristoforo, commossi dalle sue ultime parole, che suonano alle loro orecchie come un testamento spirituale e che invitano a perdonare sempre, sempre! tutto, tutto! .
Gli ultimi due capitoli, con i preparativi del matrimonio, la celebrazione e la sintetica narrazione degli anni di vita coniugale, sono un completamento della storia: il momento essenziale, invece, rappresentato dal ritrovarsi dei due giovani con sentimenti immutati e una capacità rafforzata di accettare la volontà di Dio nella loro vita.
Il "lieto fine" dei Promessi Sposi, semmai, non consiste nel rito delle nozze, ma in quella sorta del "decalogo" con cui Renzo, ormai marito, padre e imprenditore di successo (ha impiantato, come abbiamo detto, un redditizio filatoio a Bergamo) attua un bilancio di quei due anni travagliati e avventurosi. Constata che si fatto una dura esperienza di vita che lo mette in grado di dare buoni consigli ai figli, quando cresceranno. Invece Lucia osserva che, per quanto la riguarda, non si mai messa nei guai, ma sono loro che sono venuti a cercare me .
Allora, insieme, gli sposi giungono alla conclusione che, di fronte alle tribolazioni, bisogna confidare in Dio e sperare che le sofferenze migliorino la vita. un finale senza idillio, come osservano i critici, ma coerente con la tensione religiosa che percorre tutta la narrazione.
Il tema religioso, insieme con la scelta di porre gli umili ( genti meccaniche e di piccolo affare , li definisce l'Anonimo) a protagonisti della storia, rappresenta sicuramente l'elemento di grande novità del romanzo. Non solo balzano alla ribalta due contadini, ma anche le figure importanti (un arcivescovo, un potente feudatario, politici ed esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, un avvocato, un podestà , un nobilotto con parenti importanti) sono valutati sulla base della posizione che assumono nei confronti di quelli. Infine flagelli e pubbliche calamità (come peste, rivolte, guerra e carestia), assumono rilievo perché creano il contesto in cui si pongono le avventure dei protagonisti. una scelta rivoluzionaria e un coraggioso rovesciamento di valori letterari, che il Manzoni attua, convinto e sorretto dal messaggio evangelico. Questo, d'altra parte, appare diluito tra le pagine come il tessuto connettivo della narrazione; affiora spesso ma con discrezione e a volte si incarna in personaggi "minori" di notevole interesse. Valga, tra tutti, quella modesta ma splendida figura che il servitore di don Rodrigo: compare nel V capitolo ad accogliere padre Cristoforo in visita al palazzotto di don Rodrigo. L'aiuto che egli d al frate fondamentale anche per lo svolgimento della storia, perché lo informa del progetto di rapire Lucia, in seguito al quale il cappuccino organizza la fuga dei giovani dal paese e innesca il meccanismo che d luogo alle vicende della seconda sezione. Non a caso padre Cristoforo lo definisce un filo della Provvidenza.
La storia della costruzione dell'unico romanzo di Manzoni occupa più di un ventennio. Una prima redazione, sconosciuta fino al 1915, che prese il nome di Fermo e Lucia, occupò il periodo tra il 24 aprile 1821 e il 17 settembre 1823. Subito dopo l'autore passò a una ristrutturazione del materiale (con eliminazione delle parti attinenti alla riflessione sul romanzo e sul lavoro letterario) e, attraverso il titolo provvisorio di Sposi promessi, arrivò al titolo definitivo, I promessi sposi, e alla prima edizione a stampa (in tre tomi) realizzata tra il 1825 e il 1827 a Milano. Subito dopo progettò una revisione sostanzialmente linguistica del romanzo, per eliminare i troppi lombardismi o francesismi (Manzoni parlava milanese o francese) e per dare un orizzonte nazionale al suo testo, orientandosi sulla lingua "viva", cioè parlata dai ceti colti della Toscana contemporanea. Per questo si recò a Firenze nel 1827 allo scopo di "risciacquare i panni in Arno".
Ragioni familiari e di salute ritardarono fino al 1840-1842 la seconda edizione, quella definitiva; uscita a dispense, recava un nuovo sottotitolo, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta. In appendice alla seconda edizione venne pubblicata, in edizione ampliata rispetto all'originaria Appendice, la Storia della colonna infame, che, prendendo spunto dalle vicende della peste del 1630 narrate nel romanzo, ricostruisce documentaristicamente gli eventi e in particolare il processo agli untori, per concludere, diversamente da come aveva fatto Pietro Verri in un suo precedente riesame del processo, con la condanna dei giudici.
Il romanzo, ambientato nei dintorni di Lecco, a Milano e nel Bergamasco, negli anni tra il 1628 e il 1630, presenta la struttura tradizionale dell'amore contrastato di due giovani che, dopo una serie di peripezie, riescono a sposarsi. Mancano gli elementi erotici e l'avventura è essenzializzata; in compenso il romanzo si colloca entro un sistema di valori etici e religiosi molto forti e dentro una realtà sociale e storica carica di elementi negativi (la storia come luogo del male e della "prova"), ma anche capace di rivelare nuove figure sociali (l'operaio-contadino intraprendente e capace di costruirsi un nuovo avvenire: Renzo padrone della filanda) che hanno a che fare con gli orizzonti sociali dell'Ottocento e, indirettamente, col Risorgimento. È il romanzo dei rapporti di forza nella storia, il romanzo del male e della sofferenza collettiva e individuale nella storia, ma è anche il romanzo del riscatto dell'individuo e della natura decaduta (ne è emblema la vigna di Renzo) che si salva. Insomma un grande esempio, materiato di storia, di come Dio agisce e conferisce senso al dolore. Ma la grandezza dell'opera sta soprattutto sul piano linguistico: con I promessi sposi Manzoni dette all'Italia l'istituto di una lingua nazionale, svolgendo un ruolo analogo, sul piano culturale, a quello che altri svolsero sul piano politico attraverso il compimento dell'unità d'Italia. Resta il fatto che la lingua di questo romanzo è diventata la lingua dei dizionari e delle grammatiche, oltre che un modello per gli scrittori successivi (col fenomeno del manzonismo), e ancora nel Novecento (con Riccardo Bacchelli). E siccome Manzoni, nel raccontare la sua storia, si fece per così dire occhio di Dio, visse con particolare scrupolo il problema della verità storica fino al punto, prima, di rinnegare sul piano teorico l'esistenza del romanzo storico (Del romanzo e in genere de' componimenti misti di storia e di invenzione, 1845) e poi di cercare una soluzione psicologicamente rassicurante nel dialogo filosofico Dell'invenzione (1850), in cui giunse a negare il concetto stesso di "invenzione".

CAP. XX
Inquadramento del personaggio dell'Innominato
La descrizione del castello: una svolta nel mondo narrativo del Manzoni
L'Innominato e Getrude
La dissolvenza
A)Inquadramento del personaggio dell'Innominato
L'Innominato il secondo grande personaggio storico del romanzo, dopo Gertrude. Nel suo caso, il Manzoni applica la poetica dichiarata nella Lettere Monsieur Chauvet, di integrare cioè i dati offerti dalla storia con la poesia, qui in veste di approfondimento psicologico e di storia d'anima, ossia quella vicenda interiore che la storia non può registrare e che compito dell'artista di riprodurre. Il personaggio storico e psicologico insieme avrebbe dovuto poi servire a rappresentare tutta una condizione della società , e questo era precisamente la funzione del romanzo storico come genere letterario. Ecco perché le pagine di approfondimento psicologico sull'Innominato sono tra le pi grandi, accanto a quelle dedicate a Gertrude, del romanzo. Si gioca in modo mirabile tutto l'impianto della poetica manzoniana.
Il personaggio colto nel momento del passaggio da una vita malvagia e scellerata a una vita di bene, e potrebbe pertanto prestare il fianco ad una lettura miracolistica, giansenista, esterna del fenomeno della conversione. Abbiamo gi detto a proposito della conversione di Lodovico-Cristoforo che nel Manzoni non vi nulla di tutto questo. La Grazia non opera mai dall'esterno, con l'estasi o la forza di un possesso che travolge, ma dall'interno, come forza che germina dalla linfa stessa dell'anima di chi vive una rinascita, o una reincarnazione; anche l'Innominato pertanto colto nel momento in cui le peculiarità della sua natura (volontà fortissima, tenacia di carattere, coraggio, volizione) lo hanno reso apparentemente signore della realtà , e hanno soddisfatto quell'anelito ad una libertà assoluta che erano i presupposti del suo Io smisurato. Il piacere del comando e del potere hanno acquietato finora il suo senso della vita, appagato la sua natura: ma ora egli vuole qualcosa di meno esterno e di pi vero: vuole il dominio anche sullo spirito. Ma per poterlo fare, occorre avere dominio non solo sul proprio passato ma anche sul proprio futuro. E qui le sicurezze dell'Innominato s'inceppano. Come sarebbe stato il futuro, visto che oramai la morte si appressava? Sarebbe stato il nulla eterno? Oppure sarebbe stato la vita del cosmo, governata da una legge che egli aveva sempre voluto ignorare o disprezzare, la legge di Dio? Se la morte fosse stata confluenza in Dio, e non nulla eterno, allora tutta la sua vita fino ad ora non avrebbe pi senso, perché sarebbe solo una disarmonia nell'armonia, un controsenso. E' proprio l'istinto che rende insoddisfatto l'Innominato: accanto a queste meditazioni sulla morte, egli sente, arrivato al culmine della maturità , ma ancora al di qua del declino, tutta la spaventosa solitudine in cui la sua situazione di eccezionalità e superiorità l'hanno relegato. Questo stato interiore "nuovo", inoltre, gli si affaccia alla mente con grande evidenza reale, non in uno stato di allucinatoria vaghezza, come sarebbe normale per uno spirito medio: ecco allora le voci potenti, i "no imperiosi" da cui egli viene dolorosamente trafitto: il senso irrevocabile di un essere supremo che gli grida "io sono per ", il blocco di fronte alla consuetudine delle azioni scellerate, che finirà col rendergli intollerabile questa ultima, di consegnare Lucia nelle mani del suo persecutore. Anche a conversione avvenuta, la religiosità dell'Innominato sarà tutta fatta di questi moti istintivi dello spirito, sorretti da un'eccezionale forza ed impeto, che saranno trasfigurati dal popolino come la sua "santità ".
Come si vede da quanto detto, il punto centrale nel configurarsi della vicenda interiore del personaggio sta proprio nel problema del tempo, del dominio del futuro. La domanda centrale il celebre "Invecchiare, morire, e poi?", con cui l'ansia del controllo del futuro si pone allo spirito del personaggio. Ora va detto che quest'ansia anche quella dello spirito romantico: ansia d'infinito, volontà di dominio non solo dello spazio, ma, appunto, anche del tempo, attraverso la fantasia creatrice, e salto oltre il tempo attraverso la totalità dello spirito. Questi contenuti per non furono tipici del romanticismo lombardo, di cui come sappiamo il Manzoni fu uno dei pi alti esponenti, ma del romanticismo d'oltralpe, che qui compare sicuramente per la prima volta come uno dei moduli culturali del romanzo.
B) La descrizione del castello: una svolta nel mondo narrativo del Manzoni
Il Manzoni si avvicina dunque al grande filone del romanticismo spiritualistico, uno dei pi comuni alla cultura europea dell'800.Come possiamo affermare ci sul testo? Non tanto affermando che nella descrizione del castello il paesaggio sia un paesaggio stato d'animo, come nella fuga di Renzo verso l'Adda, quanto rilevando come molti fra i dettagli siano porti dal Manzoni in modo da giovare al romanzesco e al fantastico: si pensi alla valle angusta e uggiosa, all'aspra giogaia di monti, al nido insanguinato dell'aquila: tutti elementi volti a suggerire l'atmosfera di un castello fiabesco, immerso nella suggestione di una paura tetra. Un castello alla maniera dei romantici, di un Walter Scott, qui sussunto a vero modello, in modo assai scoperto. Il personaggio stesso ci presentato all'insegna dell’eccezionalità , secondo questo romanticismo sinora estraneo al Manzoni, che si rifà anche a modelli quali il byronismo, il bisogno di andare oltre, di superarsi al di l del bene e del male. Se il Manzoni aveva detestato e beffeggiato i superbi e i violenti, ora ammira la grandezza di uno spirito coerente nella superbia e per i risultati della sua violenza. Siamo indubbiamente di fronte ad una svolta importante. Il narratore alla ricerca di qualcosa di nuovo, dopo aver assunto e dominato il suo consueto realismo.
Non che esso venga meno, per : semplicemente sottomesso alla necessità di porre al centro l’eccezionalità del selvaggio signore: ed proprio all'opera, per contro, quando tale eccezionalità pare al Manzoni essere stata un po' troppo esagerata. Così inquadriamo i bravi della Malanotte e soprattutto la vecchia custode di Lucia, su cui ritorneremo meglio nel commento al cap. XXI .
C)L'Innominato e Gertrude
Anche gli altri personaggi, cioè Don Rodrigo e Gertrude, sono nell'economia del capitolo funzionali al rafforzamento dell’eccezionalità dell'Innominato. Per Don Rodrigo facile: ricorre ai mezzucci che la sua mediocrità gli ispira per convincerlo a prendere su di s l'impresa, non avendo il minimo sentore della vicenda d'anima che agita il suo ospite, il quale accetterà solo perché la tentazione di rinunciarvi gli pare come un'incredibile atto di debolezza (ancora).
Gertrude stata vista qui in antitesi all'Innominato, soprattutto grazie al confronto fra i due "no": quello imperioso che si affaccia alla mente dell'Innominato sotto forma di un potente istinto, e quello che ella non sa dire di fronte all'ennesima scelleratezza in cui Egidio la coinvolge. Per allo stesso tempo Gertrude non rimasta immune dal contatto con Lucia, e, proprio mentre commette un peccato ancora pi odioso della complicità nei delitti, il tradimento di chi le si affidato, nasce anche il tema della sua futura salvezza: infatti Lucia le pare un mezzo di espiazione, e dunque ha gi in questo senso in s i presupposti per tornare un'anima religiosa.
Lucia in tutto il capitolo appare occasione, pi che strumento di Grazia, ed interessante notare come questo legame, a noi gi noto, di Lucia con la Grazia, appaia manifesto in quell'affermazione "si rivolse a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini e può , quando voglia, intenerire i pi duri", che una forte scopertura del narratore, perché si rivela a metà fra un atteggiamento messianico ed uno mistico.
D) La dissolvenza
Con questo termine tecnico si vuole indicare una tecnica narrativa particolarmente felice messa in atto dal Manzoni. Accanto ai procedimenti narrativi pi consueti, come il parallelismo, l'opposizione o la prosecuzione, si trova anche la dissolvenza, quel procedimento che chiude una scena e ne apre un'altra, senza stacco, ma con un'insensibile mutazione.
E' ci che avviene, per esempio, all'inizio stesso del capitolo: la valle angusta e uggiosa. Angusta si riferisce allo spazio, uggiosa significa senza sole. Ma in realtà , per un effetto di dissolvenza, noi abbiamo che questi due aggettivi così pregnanti preparano il passaggio dalla descrizione del paesaggio a quello dell'anima dell'Innominato. L'angustia in realtà gi quella della miseria del mondo terreno su cui il selvaggio signore sente il bisogno di elevarsi, mentre l’uggiosità rimanda a quel senso di angosciosa solitudine che l'Innominato avverte come un'intollerabile morsa del suo vivere. In questo modo il trapasso fra parte descrittiva e parte psicologica avviene quasi insensibilmente, e per effetto di una mirabile scelta lessicale operata dal narratore.
Romanzo storico: origine e sviluppo.
Alle origini del romanzo storico in Italia stanno le opere dello scrittore scozzese Walter Scott, che lanciò la moda di questo genere letterario in Europa. Esso si diffuse in età romantica soprattutto per la nuova attenzione riservata alla storia delle nazioni e per una curiosità specifica verso il Medioevo. E' una forma di romanzo centrata sulla rappresentazione di vicende e personaggi che appartengono ad epoche storiche precise e ricostruite con cura. Sul modello di Scott si fa usa del pittoresco medievale di gusto romantico, gli sfondi storici e di maniera (castelli, prigioni, trabocchetti..), un gusto didascalico incentrato sulla divulgazione storica, il continuo movimento narrativo fondato sulla suspence, sui colpi di scena.
Nasce il senso della storia e della nazione. Viene operata un’attualizzazione del passato, di momenti ed episodi della storia patria, in funzione nazionalistica e patriottistica. La ricerca a ritroso di fatti e momenti esemplari serve per fornire soluzioni ideali a problemi del presente. A volte vicende e personaggi sono storicamente reali, ma le prime si sviluppano lungo direzioni romanzesche e dei secondi viene messa al centro la dimensione passionale. Altre volte si tratta di vicende inventate ma inserite in un contesto storico reale, ricostruito non senza passione antiquaria. Una delle intenzioni del romanzo storico è, infatti, quella di ricostruire la fisionomia di un'epoca storica con documentazioni attendibili. In Italia il romanzo storico si affermò verso la fine degli anni Venti; ricordiamo i Promessi sposi di Manzoni, la Sibilla Odaleta di Carlo Varese, La battaglia di Benevento di Francesco Domenico Guerrazzi, Il castello di Trezzo di Giovanni Battista Bazzoni, il Marco Visconti di Tommaso Grossi, Margherita Pusterla di Cesare Cantù, i romanzi storico-patriottici di Massimo d'Azeglio (Ettore Fieramosca, 1833, e Niccolò de' Lapi, 1841) e Le confessioni d'un italiano di Ippolito Nievo.
Il successo di questo tipo di narrazione deve molto all'impatto provocato dai Promessi sposi, benché il controllo linguistico e morale esercitato da Manzoni abbia fatto – tranne che per i moduli narrativi – ben poca scuola: i romanzi storici, schematici e poco sofisticati sul piano narrativo, puntavano soprattutto sulle emozioni forti, da lui dedicato a Manzoni.

Esempio



  


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