Somnum Scipionis di Cicerone

Materie:Traduzione
Categoria:Latino
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Testo

Autore: Cicerone
Titolo: Somnium Scipionis
Parte: 9 - 10
9-
Breve commento.
Il Somnium si apre con due capitoli narrativi in cui Scipione Emiliano racconta come, recatosi in Africa col grado di tribuno militare, sia andato a trovare il vecchio re Massinissa, alleato e caro amico del nonno adottivo, suo antenato, Scipione Africano.
Scipio: Cum in Africam venissem M. Manilio consuli ad quartam legionem tribunus, ut scitis, militum, nihil mihi fuit potius, quam ut Masinissam convenirem regem, familiae nostrae iustis de causis amicissimum. Ad quem ut veni, complexus me senex collacrimavit aliquantoque post suspexit ad caelum et: Grates, inquit,tibi ago, summe Sol, vobisque, reliqui Caelites, quod, antequam ex hac vita migro, conspicio in meo regno et his tectis P Cornelium Scipionem, cuius ego nomine ipso recreor; ita numquam ex animo meo discedit illius optimi atque invictissimi viri memoria. Deinde ego illum de suo regno, ille me de nostra re publica percontatus est, multisque verbis ultro citroque habitis ille nobis est consumptus dies.
Scipione: Quando giunsi in Africa in qualità di tribuno militare, come sapete, presentandomi agli ordini del console M. Manilio alla quarta legione,nulla mi fu più gradito che incontrare Massinissa, un re molto amico della nostra famiglia, per fondati motivi. Non appena mi trovai al suo cospetto, il vecchio, abbracciandomi, scoppiò in lacrime; poi, dopo qualche attimo, levò gli occhi al cielo e disse: Sono grato a te, Sole eccelso, e a voi, altri dèi celesti (abitatori del cielo), perché, prima di migrare da questa vita, vedo nel mio regno e sotto il mio tetto Publio Cornelio Scipione, al cui nome mi sento rinascere; a tal punto non è mai svanito dal mio cuore il ricordo di quell''uomo eccezionale e davvero invitto. Quindi io gli chiesi notizie del suo regno, egli mi domandò della nostra repubblica: così, tra le tante parole spese da parte mia e sua, trascorse per noi quella giornata.
10-
Breve commento.
Nella notte che segue all’incontro con Massinissa, all’Emiliano appare in sogno Scipione Africano.
Post autem apparatu regio accepti sermonem in multam noctem produximus, cum senex nihil nisi de Africano loqueretur omniaque eius non facta solum, sed etiam dicta meminisset. Deinde, ut cubitum discessimus, me et de via fessum, et qui ad multam noctem vigilassem, artior, quam solebat, somnus complexus est. Hic mihi (credo equidem ex hoc, quod eramus locuti; fit enim fere, ut cogitationes sermonesque nostri pariant aliquid in somno tale, quale de Homero scribit Ennius, de quo videlicet saepissime vigilans solebat cogitare et loqui) Africanus se ostendit ea forma, quae mihi ex imagine eius quam ex ipso erat notior; quem ubi agnovi, equidem cohorrui, sed ille: «Ades, inquit, animo et omitte timorem, Scipio, et quae dicam memoriae trade ».
Poi, dopo essere stati ricevuti con un banchetto regale, prolungammo la nostra conversazione fino a tarda notte, mentre il vecchio non parlava di nient’altro che dell''Africano e ricordava non solo tutte le sue imprese, ma anche i suoi detti. In séguito, quando ci congedammo per andare a dormire, un sonno più profondo del solito s’impadronì di me, stanco sia per il viaggio sia per la veglia fino a notte fonda. Allora (credo, a dire il vero, che dipendesse dall''argomento della nostra discussione: accade infatti generalmente che i nostri pensieri e le conversazioni producano durante il sonno un qualcosa di simile a ciò che Ennio dice a proposito di Omero, al quale, è evidente, di solito pensava da sveglio e del quale discuteva) mi apparve in sogno l’Africano, nell''aspetto che mi era noto più dal suo ritratto che dalle sue fattezze reali; non appena lo riconobbi, provai davvero un brivido; ma quello disse: Sta sereno, deponi il tuo timore, Scipione, e tramanda alla memoria (tieni alla mente) le parole che ti dirò.
Parte:13 - 14 - 15
Breve commento.
Continua a parlare l’anima di Scipione Africano: il nipote sia solerte a difendere la patria, perché ai benemeriti nei confronti dello Stato è riservata beatitudine eterna in cielo.
Scipione Emiliano vuole sapere se il padre e il nonno vivano ancora. L’Africano risponde ribaltando i termini delle convinzioni umane: la vera vita è quella celeste, non quella che si trascorre sulla terra. Improvvisamente compare lo spirito del padre, Lucio Emilio Paolo.
L’Emiliano vorrebbe però rompere gli indugi e raggiungere al più presto i suoi familiari, ma interviene il padre a distoglierlo da ogni idea di suicidio: le anime, infatti, non possono abbandonare i corpi contro il volere del dio; gli uomini anzitutto hanno il dovere di occuparsi della Terra.
Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto, omnibus, qui patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo, qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur. Hic ego, etsi eram perterritus non tam mortis metu quam insidiarum a meis, quaesivi tamen, viveretne ipse et Paulus pater et alii, quos nos exstinctos arbitraremur. Immo vero, inquit, hi vivunt, qui e corporum vinculis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero, quae dicitur, vita mors est. Quin tu aspicis ad te venientem Paulum patrem? Quem ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, ille autem me complexus atque osculans flere prohibebat. Atque ut ego primum fletu represso loqui posse coepi: Quaeso, inquam, pater sanctissime atque optime, quoniam haec est vita, ut Africanum audio dicere, quid moror in terris? Quin huc ad vos venire propero? Non est ita, inquit ille. Nisi enim deus is, cuius hoc templum est omne, quod conspicis, istis te corporis custodiis liberaverit, huc tibi aditus patere non potest. Homines enim sunt hac lege generati, qui tuerentur illum globum, quem in hoc templo medium vides, quae terra dicitur, iisque animus datus est ex illis sempiternis ignibus, quae sidera et stellas vocatis, quae globosae et rotundae, divinis animatae mentibus, circulos suos orbesque conficiunt celeritate mirabili. Quare et tibi, Publi, et piis omnibus retinendus animus est in custodia corporis nec iniussu eius, a quo ille est vobis datus, ex hominum vita migrandum est, ne munus humanum assignatum a deo defugisse videamini.

Ma perché tu, Africano, sia più sollecito nel difendere lo Stato, tieni ben presente quanto segue: per tutti gli uomini che abbiano conservato gli ordinamenti della patria, si siano adoperati per essa, l’abbiano resa potente, è assicurato in cielo un luogo ben definito, dove da beati fruiscono di una vita sempiterna; quel sommo dio che regge tutto l’universo, nulla di ciò che accade in terra è infatti più caro delle unioni e aggregazioni di uomini, associate sulla base del diritto, che vanno sotto il nome di città: coloro che le reggono e ne custodiscono gli ordinamenti partono da questa zona del cielo e poi vi ritornano. A questo punto io, anche se ero rimasto atterrito non tanto dal timore della morte, quanto dall''idea del tradimento dei miei, gli chiesi tuttavia se fosse ancora in vita egli stesso e mio padre Paolo e gli altri che noi riteniamo estinti. Al contrario, disse, sono costoro i vivi, costoro che sono volati via dalle catene del corpo come da una prigione, mentre la vostra, che ha nome vita, è in realtà una morte. Non scorgi tuo padre Paolo, che ti viene incontro? Non appena lo vidi, versai davvero un fiume di lacrime, mentre egli, abbracciandomi e baciandomi, cercava di frenare il mio pianto. E io, non appena riuscii a trattenere le lacrime e potei riprendere a parlare: “Ti prego, dissi, padre mio santissimo e ottimo: se questa è la vera vita, a quanto sento dire dall''Africano, come mai indugio sulla terra? Perché non mi affretto a raggiungervi qui?” “No”, rispose lui. “Se non ti avrà liberato dal carcere del corpo quel dio cui appartiene tutto lo spazio celeste che vedi, non può accadere che per te sia praticabile l’accesso a questo luogo. Gli uomini sono stati infatti generati col seguente impegno, di custodire quella sfera là, chiamata terra, che tu scorgi al centro di questo spazio celeste; a loro viene fornita l''anima dai fuochi sempiterni cui voi date nome di costellazioni e stelle, quei globi sferici che, animati da menti divine, compiono le loro circonvoluzioni e orbite con velocità sorprendente. Anche tu, dunque, Publio, come tutti gli uomini pii, devi tenere l''anima sotto la sorveglianza del corpo, né sei tenuto a migrare dalla vita degli uomini senza il consenso del dio da cui l’avete ricevuta, perché non sembri che intendiate esimervi dal compito umano assegnato dalla divinità”.

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