Seneca: Lettere a Lucilio - libro19

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Testo

LIBRO DICIANNOVESIMO


110
1 Ti mando un saluto dalla mia villa di Nomento e ti esorto a mantenere un'anima onesta, ossia ad avere propizi tutti gli dèi: essi sono benigni con chi è in pace con se stesso e lo favoriscono. Metti da parte per ora ciò che credono alcuni: che ciascuno di noi abbia un dio come guida, non uno dei maggiori; ma una divinità di grado inferiore, tra quelle che Ovidio definisce "divinità plebee". Metti da parte queste credenze, ma ricorda che i nostri antenati che le seguivano erano Stoici; essi attribuivano ad ogni uomo un Genio e una Giunone. 2 Vedremo in seguito se gli dèi hanno il tempo di occuparsi dei nostri affari privati; intanto sappi questo: sia che siamo assegnati a una divinità, sia che siamo abbandonati a noi stessi e dati in balia della sorte, non puoi mandare a nessuno una maledizione più grave che quella di non essere in pace con se stesso. Ma, se per te uno merita una punizione, non c'è motivo di desiderare che abbia nemici gli dèi: li ha nemici, io dico, anche se apparentemente è accompagnato dal loro favore. 3 Fai attenzione e guarda alla realtà delle nostre cose, non al loro nome; ti renderai conto che i mali, in gran parte, arrivano a proposito, e non ci càpitano per caso. Quante volte quella che consideravamo una disgrazia è stata causa e principio di prosperità! Quante volte un avvenimento accolto con grande gioia è stato il primo passo verso la rovina e ha innalzato ancòra di più uno che già stava in alto, quasi che la sua posizione gli consentisse ancora di salvarsi da una caduta. 4 Ma anche una caduta in se stessa non è un male se guardi al termine ultimo oltre il quale la natura non ha mai abbattuto nessuno. È vicina la fine di tutto; è vicina, ti dico, sia la fine di quella prosperità da cui viene cacciato chi è felice, sia di quelle disgrazie da cui è liberato l'infelice: noi le prolunghiamo entrambe e le protraiamo con la speranza o con il timore. Ma, se sei saggio, misura tutto in base alla condizione umana; abbrevia le tue gioie e i tuoi timori. Vale la pena non godere a lungo di niente per non temere niente a lungo.
5 Ma perché voglio ridurre questo male? Non c'è cosa che tu debba giudicare terribile: sono vane le paure che ci turbano, che ci lasciano attoniti. Nessuno di noi ha controllato che cosa ci fosse di vero, ma la paura l'uno l'ha trasmessa all'altro; nessuno ha osato accostarsi a ciò che lo turbava per conoscere la natura del suo timore e quel che c'è in esso di bene. Perciò una visione falsa e vana trova credito perché non ne è stata dimostrata l'infondatezza. 6 Val la pena aguzzare la vista: vedremo sùbito come siano brevi, incerte e senza pericolo le cose che temiamo. La confusione del nostro animo è proprio quale la giudicò Lucrezio:
Come i fanciulli trepidano e tutto temono nell'oscurità delle tenebre, così noi temiamo in piena luce.
E allora? Non siamo più insensati di un fanciullo, noi che abbiamo paura in piena luce? 7 Ma non è così, Lucrezio mio, non abbiamo paura in piena luce: ci siamo circondati di tenebre. Non vediamo niente, né utilità, né danno, per tutta la vita urtiamo contro degli ostacoli, ma non per questo ci fermiamo o avanziamo con più circospezione. Ti rendi conto che è da pazzi correre nelle tenebre! Ma, perbacco, in questo modo dobbiamo poi essere richiamati da più lontano e, pur ignorando dove siamo diretti, continuiamo a tutta velocità nella direzione intrapresa. 8 Eppure, se volessimo, potrebbe risplendere la luce. E c'è un'unica maniera: avere conoscenza delle cose umane e divine, ma deve essere una conoscenza profonda, non superficiale: per quanto si sappiano, le cose bisogna riesaminarle e riferirle a se stessi di frequente, bisogna chiedersi che cosa sia il bene, quale cosa sia il male, al di là delle false definizioni, indagare sull'onestà e l'abiezione, sulla provvidenza. 9 Ma la penetrante intelligenza umana non si ferma a questi problemi: vuole guardare anche al di là del mondo, comprendere la sua meta, la sua origine, e verso quale fine si diriga così velocemente l'universo. Abbiamo distolto l'animo dalla contemplazione del divino per trascinarlo a cose meschine e spregevoli al servizio della nostra avidità, perché, dimentico del mondo, dei suoi confini, dei signori che regolano ogni cosa, scavi la terra e cerchi di tirarne fuori altri mali, non contento di quelli che già ha davanti. 10 Tutto quanto poteva esserci utile, dio, nostro padre, ce lo ha messo vicino; non ha aspettato che noi lo cercassimo, ce lo ha dato spontaneamente: le cose nocive, invece, le ha nascoste nelle viscere della terra. Possiamo lagnarci solo di noi stessi: abbiamo portato alla luce le cause della nostra rovina, facendo violenza alla natura che ce le nascondeva. Abbiamo assoggettato l'anima al piacere, e indulgervi è l'inizio di tutti i mali; l'abbiamo consegnata all'ambizione, alla sete di gloria, e ad altre aspirazioni ugualmente vane e futili.
11 Che cosa ti consiglio allora? Niente di nuovo, non stiamo cercando rimedi per mali nuovi. Ma una cosa soprattutto ti consiglio: cerca di capire cos'è necessario e che cosa è superfluo. Il necessario ti si offrirà spontaneamente dappertutto, il superfluo dovrai cercarlo sempre con grandi sforzi. 12 Non devi compiacerti troppo per aver disprezzato letti d'oro e suppellettili ornate di pietre preziose; che virtù c'è a disprezzare il superfluo? Potrai avere ammirazione per te stesso solo quando disprezzerai il necessario. Non fai una gran cosa se puoi vivere senza una magnificenza regale, se non senti il bisogno di cinghiali enormi o di lingue di fenicottero e altre straordinarie trovate di un lusso che ha ormai a nausea gli animali interi e di ognuno sceglie determinate parti: avrai la mia ammirazione se disprezzerai anche il pane nero, se ti convincerai che l'erba, in caso di necessità, spunta non solo per le bestie, ma anche per l'uomo, se capirai che il nostro ventre possono saziarlo i germogli delle piante, e invece vi ammassiamo cibi pregiati come se potesse conservare quello che riceve. Va riempito senza fare gli schizzinosi: cosa importa che alimento riceve, se va tutto perso? 13 Ti piace vedere in tavola animali marini e terrestri: gli uni sono più graditi se arrivano freschi sulla tavola, gli altri se, nutriti a lungo e ingrassati a forza, grondano grasso e sembra quasi che scoppino; ti piace la loro squisitezza ottenuta ad arte. Ma perbacco, queste pietanze procurate con enorme fatica e preparate in tanti modi diversi, quando finiranno nello stomaco, diventeranno un unico ammasso ripugnante. Vuoi disprezzare il piacere del cibo? Guarda che fine fa.
14 Ricordo che Attalo diceva tra l'ammirazione generale: "Le ricchezze mi hanno ingannato a lungo. Rimanevo colpito quando le vedevo splendere qua e là: pensavo che la sostanza fosse simile all'apparenza. Ma in occasione di una solennità vidi tutti i tesori di Roma, oggetti cesellati in oro e argento e con pietre più preziose dell'oro e dell'argento, colori raffinati e vesti arrivate da terre al di là non solo dei nostri confini, ma anche dei confini dei nemici; da una parte uno stuolo di giovani schiavi di rara bellezza ed eleganza, dall'altra di schiave, e altri beni, che la fortuna dell'impero più potente del mondo aveva esposto passando in rassegna le sue ricchezze. 15 Cos'è questo," mi chiedo, "se non stimolare la cupidigia degli uomini già di per sé eccitata? Che fine ha questa parata di ricchezza? Siamo venuti qui per imparare l'avidità?" E invece, perbacco, me ne vado meno avido di quando sono venuto. Disprezzo la ricchezza non perché è superflua, ma perché è cosa di poco conto. 16 Hai visto? Quel corteo, sebbene procedesse lento e ordinato, è sfilato in poche ore. E allora dovrà occupare tutta la nostra vita una cosa che non ha potuto occupare un giorno intero? E per giunta queste ricchezze mi sono sembrate superflue per i possessori come lo sono state per gli spettatori. 17 Perciò ogni volta che qualcosa di simile mi abbaglia, ogni volta che mi trovo davanti a una casa sontuosa o a un elegante stuolo di schiavi o a una lettiga sostenuta da servi di bell'aspetto, dico a me stesso: "Perché guardi ammirato? Perché rimani sbalordito? È uno sfoggio. Queste ricchezze sono messe in mostra, non sono veramente possedute; piacciono e già passano." 18 Volgiti piuttosto alla vera ricchezza; impara ad essere contento di poco e grida con forza ed entusiasmo: abbiamo acqua, abbiamo polenta; gareggiamo in felicità con Giove stesso. Ma, ti prego, gareggiamo con lui anche se ci mancano entrambe; è vergognoso riporre la felicità nell'oro e nell'argento, ma è ugualmente vergognoso riporla nell'acqua e nella polenta. 19 "Che farò, dunque, se mi mancheranno anche questi cibi?" Chiedi qual è il rimedio all'indigenza? La fame mette fine alla fame: altrimenti che differenza c'è se a ridurti in schiavitù sono beni grandi o piccoli? Che importa quanto poco sia ciò che la sorte ti può negare? 20 Anche acqua e polenta dipendono dalla volontà altrui: è veramente libero non l'uomo contro cui la fortuna ha poco potere, bensì quello contro cui non può nulla. È così: non devi aver bisogno di niente se vuoi competere con Giove che non ha bisogno di niente."
Questo è quanto ci ha detto Attalo, questo quanto la natura ha detto a tutti gli uomini; e se vi rifletterai spesso, otterrai di essere felice, non di sembrarlo, e di sembrarlo a te stesso, non agli altri. Stammi bene.

111
1 Tu vuoi sapere come si chiamino in latino i sophismata. Si è spesso tentato di trovare un sostantivo adatto, ma nessuno ha attecchito; evidentemente, poiché non era da noi recepito il concetto e non era nell'uso comune, si è respinto anche il termine.
Tuttavia il sostantivo più adatto mi sembra quello usato da Cicerone: cavillationes. 2 Chi vi si dedica, tesse questioncelle davvero acute, che non servono, però a vivere: non diventa più forte o più temperante o più nobile. Se uno, invece, esercita la filosofia per migliorarsi, diventa magnanimo, pieno di fiducia, e appare insuperabile e superiore a chi gli si accosta. 3 Capita così con le alte montagne: a guardarle da lontano sembrano più basse, ma avvicinandosi si vede quanto siano elevate le loro cime. Così è, Lucilio mio, il vero filosofo: tale a fatti, non con raggiri. Sta in alto, degno di ammirazione, fiero, veramente grande; non si alza sulla pianta dei piedi, non cammina sulle punte come le persone che cercano di aumentare con l'inganno la loro statura e vogliono sembrare più alte di quanto non siano; è contento della sua altezza. 4 E perché non dovrebbe essere contento di essere cresciuto fino al punto in cui la fortuna non può raggiungerlo? È, dunque, al di sopra delle vicende umane, uguale a se stesso in ogni situazione, sia che il corso della vita proceda favorevole, sia che ondeggi e avanzi tra avversità e ostacoli: i cavilli, di cui si parlava poco prima, non possono darci questa fermezza. Con essi l'anima gioca, non progredisce, e trascina la filosofia giù dalla sua altezza in basso. 5 Non è che ti proibisca di dedicarti talvolta a questi cavilli, ma solo quando non vorrai fare nulla. Hanno, però questo di veramente dannoso: procurano un certo diletto, trattengono e fanno indugiare l'animo con la loro apparente sottigliezza, mentre lo aspetta una massa di problemi, e la vita intera non basta a imparare una sola cosa: il disprezzo della vita. "E per governarla?" chiedi. Questo lo imparerai in un secondo momento; la vita nessuno può governarla bene, se prima non la disprezza. Stammi bene.

112
1 Per dio, certamente vorrei che il tuo amico si potesse formare ed educare come vuoi tu, ma l'hai trovato già molto indurito, anzi, ed è più grave, proprio imbelle e infiacchito da cattive abitudini di vecchia data. 2 Voglio farti un esempio, preso dalla mia attività agricola. Non tutte le viti sopportano l'innesto: se la pianta è vecchia e corrosa, se è malata e fragile, o non riceverà la marza o non riuscirà a nutrirla, e non si verificherà l'unione e il passaggio di natura e di qualità. Perciò di solito si taglia la vite al livello del terreno, così che, se l'innesto non riesce, si possa tentare la sorte un'altra volta e ripetere l'operazione sotto terra. 3 La persona di cui scrivi e che raccomandi non ha forza: ha secondato troppo i vizi. È marcito e si è indurito nello stesso tempo; non può accogliere in sé la ragione, né può nutrirla. "Ma è lui stesso a desiderarlo." Non crederci. Non dico che voglia mentirti: è convinto di volerlo. La sua dissolutezza gli è venuta a nausea: ma presto vi si riconcilierà. 4 "Ma afferma di essere disgustato dalla sua vita." Non dico di no; e chi non ne proverebbe disgusto? Gli uomini amano e insieme odiano i loro vizi. Lo giudicheremo pertanto quando ci dimostrerà con certezza che detesta quella vita corrotta: al momento è solo in disaccordo. Stammi bene.

113
1 Vuoi che ti scriva il mio parere sulla questione di cui abbiamo discusso: se la giustizia, la fortezza, la prudenza e le altre virtù siano animali. Con queste sottigliezze, carissimo Lucilio, diamo l'impressione di esercitare la mente in questioni vane e di perdere tempo in discussioni inutili. Farò tuttavia, come vuoi e ti esporrò il parere dei filosofi stoici; ma ti confesso di avere un'opinione diversa: secondo me ci sono problemi più convenienti a chi veste con calzari bianchi e pallio. Ti esporrò dunque, le questioni che hanno interessato gli antichi filosofi o meglio, le questioni di cui essi si sono interessati.
2 Si sa che l'anima è animale, poiché ci rende esseri animati, e gli esseri animati hanno derivato da lei questo nome; la virtù non è niente altro che un certo stato dell'anima: quindi è animale. Inoltre, la virtù agisce; ma non si può mai agire senza slancio: se ha slancio, che è una prerogativa degli animali, è animale. 3 "Se la virtù è animale," si ribatte, "ha in sé la virtù." E perché non dovrebbe possedere se stessa? Il saggio agisce sempre attraverso la virtù, allo stesso modo la virtù agisce attraverso se stessa. "Quindi," continuano, "anche tutte le arti sono animali e tutti i nostri pensieri e tutto quello che abbracciamo con la mente. Ne consegue che nello spazio ristretto del nostro petto abitano molte migliaia di animali, e ciascuno di noi è formato da molti animali oppure abbiamo in noi molti animali." Vuoi sapere che cosa si può controbattere? Ciascuna di queste cose sarà un animale, ma non ci saranno molti animali. Perché? Te lo dirò se mi dedicherai tutta la tua attenzione e l'acume della tua intelligenza. 4 I singoli animali devono avere ciascuno una propria essenza; tutte queste cose, invece, hanno una sola anima; perciò possono esistere singolarmente, ma non possono essere molte. Io sono uomo e animale, e tuttavia non potresti dire che siamo in due. Perché? Perché devono essere due elementi distinti. Per essere due, ti dico, l'uno deve essere separato dall'altro. Tutto ciò che è molteplice in un unico essere, fa parte di un'unica natura; perciò è uno. 5 La mia anima è un animale, io sono un animale e tuttavia non siamo due esseri. Perché? Perché l'anima è parte di me stesso. Una cosa conta per se stessa, quando sussiste di per sé; fino a quando sarà parte di un altro essere, non potrà esserne distinta. Perché? Te lo spiego: perché un essere distinto deve appartenere totalmente a sé, avere caratteristiche proprie ed essere completo e compiuto in se stesso.
6 Ho già detto che la penso diversamente; infatti, se si accetta questa teoria, non saranno animali solo le virtù, ma anche i vizi a esse contrari, e le passioni, come l'ira, la paura, il cordoglio, il sospetto. Ma si può andare oltre: saranno animali tutte le idee, tutti i pensieri. Ma questo è assolutamente inaccettabile: non tutto ciò che è fatto dall'uomo è uomo. 7 "La giustizia cos'è?" si chiede. Una condizione dell'anima. "Perciò se l'anima è un animale, lo è anche la giustizia." Niente affatto; è un modo di essere dell'anima e una forza. L'anima stessa assume vari aspetti, ma non diventa un animale diverso tutte le volte che agisce in modo diverso; e neppure quello che viene fatto dall'anima è animale. 8 Se la giustizia è un animale, se lo sono la fortezza e le altre virtù, esse cessano di essere animali di volta in volta e ricominciano ad esserlo, oppure lo sono sempre? Le virtù non possono finire. Quindi, nell'anima si trovano molti, anzi innumerevoli animali. 9 "Non sono molti," si ribatte, "poiché sono legati a un unico essere e ne sono parti e membra." Ci immaginiamo, dunque, l'anima simile all'Idra dalle molte teste, di cui ognuna combatte e fa del male da sola. Eppure nessuna di quelle teste è animale, ma una testa di animale: l'Idra stessa è un solo animale. Nessuno ha mai detto che nella Chimera il leone o il drago fossero animali: entrambi ne erano parte e le parti non sono animali. 10 Come arrivi dunque alla conclusione che la giustizia è un animale? "Agisce," si risponde, "ed è utile; ciò che agisce ed è utile ha uno slancio; e ciò che ha uno slancio è un animale." Questo è vero, se ha un proprio slancio; ma lo slancio non è della giustizia, bensì dell'anima. 11 Ogni animale è lo stesso dalla nascita alla morte: l'uomo è uomo fino alla morte, il cavallo cavallo, il cane cane; non può diventare un altro. La giustizia, cioè l'anima che si trova in un determinato stato, è un animale. Ammettiamolo pure: allora è un animale anche la fortezza, cioè l'anima che si trova in un determinato stato. E quale anima? Quella che prima era giustizia? Ma è prigioniera nell'animale precedente e non può passare in un altro; deve continuare in quell'animale in cui ha cominciato a esistere. 12 Inoltre, una sola anima non può essere di due animali, e tanto meno di più animali. Se la giustizia, la fortezza, la temperanza e le altre virtù sono animali, come avranno un'unica anima? Ciascuno deve avere la sua, oppure non sono animali. 13 Un solo corpo non può essere di più animali. Questo lo ammettono anche loro stessi. Qual è il corpo della giustizia? "L'anima." E il corpo del coraggio? "La medesima anima." Ma un solo corpo non può appartenere a due animali. 14 "È la stessa anima," ribattono, "che prende l'aspetto della giustizia, della fortezza, della temperanza." Questo potrebbe verificarsi se, nel momento in cui l'anima è giustizia, non fosse coraggio, e, quando è fortezza, non fosse temperanza: in realtà tutte le virtù esistono contemporaneamente. Allora come potranno essere animali le singole virtù, se l'anima è una sola e non può formare più di un solo animale? 15 Infine, nessun animale è parte di un altro animale; la giustizia è parte dell'anima, dunque non è un animale.
Mi sembra di perdere tempo per una questione così evidente; questo argomento più che discussione merita sdegno. Nessun animale è uguale a un altro. Osservane i corpi: ciascuno ha un suo colore, un suo aspetto, una sua statura. 16 Secondo me l'ingegno del divino artefice fra l'altro va ammirato anche per questo: in tanta varietà di esseri non si è mai ripetuto. Anche quelli che sembrano simili, messi a confronto, sono diversi. Ha creato tanti tipi di foglie: ciascuna con caratteristiche proprie; tanti animali: nessuno è grande quanto un altro; c'è sempre qualche differenza. Ha preteso da sé che esseri diversi fossero dissimili e disuguali. Tutte le virtù, come dite, sono uguali; quindi non sono animali. 17 Ogni animale agisce da sé; la virtù non agisce da sé, ma con l'uomo. Tutti gli animali o sono razionali, come gli uomini e gli dèi, o irrazionali, come le fiere e le bestie domestiche; le virtù sono senz'altro razionali; ma non sono né uomini, né dèi; quindi non sono animali. 18 Ogni animale razionale non agisce se non sotto lo stimolo di un'immagine, poi prende lo slancio e quindi l'assenso conferma questo slancio. Ecco cos'è l'assenso. Devo camminare: camminerò solo quando lo avrò detto a me stesso e avrò approvato questa mia idea; devo sedermi: mi siederò solo alla fine di questa trafila. Questo assenso non c'è nella virtù. 19 Supponiamo che si tratti della prudenza: come darà il proprio consenso alla necessità di camminare? La natura non lo ammette. La prudenza guarda alla persona alla quale appartiene, non a se stessa; non può passeggiare, né sedere. Quindi, non ha l'assenso e, dal momento che non ha l'assenso, non è animale razionale. La virtù, se è un animale, è razionale; ma razionale non è, quindi non è un animale. 20 Se la virtù è un animale e la virtù è ogni bene, ogni bene è un animale. Questo è il pensiero dei nostri filosofi. È un bene salvare il padre, è un bene fare in senato discorsi saggi, è un bene giudicare con giustizia; quindi, salvare il padre è un animale e fare un discorso saggio è un animale. La questione arriverà a un punto in cui non ci si potrà più trattenere dal ridere: tacere al momento opportuno è un bene, cenare ‹frugalmente› è un bene; così tacere e cenare sono animali.
21 Perbacco, non smetterò di dilettarmi e di giocare con queste sciocche sottigliezze. La giustizia e la fortezza, se sono animali, sono senz'altro terrestri; tutti gli animali terrestri sentono il freddo, la fame, la sete; quindi la giustizia sente il freddo, la fortezza la fame, la clemenza la sete. 22 E poi? Non chiederò ai filosofi che aspetto hanno questi animali? Di uomo, di cavallo o di fiera? Se attribuiranno loro una forma rotonda come a dio, chiederò se l'avarizia, la dissolutezza, la follia sono parimenti rotonde; anch'esse, infatti, sono animali. Se anche a queste attribuiscono una forma rotonda, chiederò ancora se passeggiare compostamente sia un animale. Dovranno rispondere affermativamente e di conseguenza dire che passeggiare è un animale e per di più rotondo.
23 Non pensare ora che io sia il primo degli Stoici a non seguire le vecchie teorie e a esprimere un'opinione personale; Cleante e il suo discepolo Crisippo non sono d'accordo su che cosa sia il passeggiare. Cleante dice che è lo spirito vitale che passa dall'elemento principale ai piedi, Crisippo invece che è l'elemento principale stesso. Perché, dunque, ognuno sull'esempio di Crisippo non rivendica la propria libertà e non se la ride di tutti questi animali che l'universo intero non potrebbe contenere?
24 "Le virtù," si dice, "non sono molti animali, e tuttavia sono animali. Come uno può essere poeta e oratore, e tuttavia è un unico individuo, così queste virtù sono animali, ma non molti animali. L'anima e l'anima giusta e saggia e forte, che si trova in una certa disposizione di fronte alle singole virtù, è la stessa." 25 Eliminata ‹la controversia› siamo d'accordo. Anch'io ammetto intanto che l'anima è un animale, riservandomi di esaminare in sèguito il mio parere su questo argomento: nego, però che le sue azioni siano animali. Altrimenti saranno animali anche tutte le parole e tutti i versi. Difatti se un discorso saggio è un bene, e ogni bene è un animale, un discorso sarà un animale. Un verso saggio è un bene, ogni bene è un animale; dunque, un verso è un animale. Così
canto le armi e l'uomo
è un animale, ma non possono dire che è rotondo visto che ha sei piedi. 26 "L'argomento in questione è, per dio, proprio capzioso," affermi. Scoppio dal ridere quando mi immagino come animali solecismi, barbarismi, sillogismi e attribuisco loro una figura appropriata come fossi un pittore. Discutiamo di questo argomento con i sopraccigli corrugati e la fronte aggrottata? Non posso pronunciare a questo punto quel famoso verso di Celio: "Che squallide sciocchezze!" Sono addirittura ridicole.
Perché piuttosto non trattiamo qualche argomento salutare e a noi utile e non cerchiamo come si possa arrivare alla virtù e quale strada ci conduca a essa? 27 Insegnami non se la fortezza è un animale, ma che nessun animale è felice senza la fortezza, se non si è rafforzato contro i casi fortuiti e non è in grado di dominare ogni evento con la riflessione prima di essere colto di sorpresa. Cos'è la fortezza? La difesa inespugnabile della debolezza umana, e chi se ne circonda resiste senza timore all'assedio della vita; impiega armi e forze sue. 28 A questo punto voglio riferirti una massima del nostro Posidonio: "Non pensare mai di essere al sicuro grazie alle armi della fortuna: combatti con le tue. La fortuna non fornisce armi contro se stessa; perciò anche se abbiamo il necessario per combattere i nemici, siamo inermi di fronte a lei." 29 Alessandro metteva in fuga i Persiani, gli Ircani, gli Indi e tutti i popoli orientali fino all'oceano, e ne devastava i territori, ma egli stesso, ora per l'uccisione di un amico, ora per la perdita di un altro, giaceva nelle tenebre, afflitto dai suoi delitti o dal rimpianto; egli, vincitore di tanti re e di tanti popoli, soccombeva all'ira e all'afflizione; aveva cercato di tenere tutto in suo potere, ma non le passioni. 30 Quanto si ingannano quegli uomini che bramano di spingere il loro dominio al di là del mare e pensano di essere veramente felici se occupano militarmente molte regioni e alle vecchie ne aggiungono di nuove, e sono ignari di quale sia quello straordinario potere, pari al potere degli dèi: il dominio di se stessi è il più grande dominio. 31 Insegnami quanto è sacra la giustizia che guarda al bene altrui e a sé non chiede nulla, se non di essere praticata. Non abbia niente a che spartire con la fama e l'ambizione; piaccia solo a se stessa. Ognuno di noi deve innanzitutto convincersi di una cosa: bisogna essere giusti senza sperarne una ricompensa. Ma è poco. Dobbiamo anche essere persuasi che tutto va speso volontariamente per questa bellissima virtù; i nostri pensieri devono essere totalmente alieni da interessi privati. Non bisogna guardare quale sia il premio di una azione giusta: il premio maggiore consiste nella giustizia. 32 Mettiti bene in testa quello che dicevo poco fa: non importa in quanti conoscono la tua equità. Se uno vuole esibire la sua virtù, si dà pensiero non della virtù, ma della gloria. Non vuoi essere giusto senza averne gloria? Ma, perdio, dovrai spesso essere giusto a prezzo del disonore e allora, se sei saggio, ti compiacerai di una cattiva fama ben acquistata. Stammi bene.

114
1 Mi chiedi perché in certi periodi si sia sviluppato un genere corrotto di eloquenza e come mai uomini d'ingegno siano apparsi inclini a determinati difetti; così che talvolta è stato in auge un modo di esprimersi gonfio, talvolta spezzato e strascicato come una cantilena; perché si siano apprezzati ora concetti arditi e assurdi, ora frasi rotte ed enigmatiche, piene di sottintesi; perché in un periodo si sia fatto abuso della metafora. Il motivo è quello che senti dire da tutti e che presso i Greci è diventato un proverbio: il linguaggio degli uomini è uguale alla loro vita. 2 L'agire di ciascuno è simile ‹al suo modo› di parlare; così a volte, se un popolo manca di disciplina e si è dato ai piaceri, il modo di parlare si modella su i pubblici costumi. Un'eloquenza corrotta, se non si ritrova in uno o due individui, ma è accettata e recepita da tutti, è segno di una dissolutezza generale. 3 Non può la mente avere caratteristiche diverse dallo spirito. Se questo è sano, regolato, austero, temperante, anche la mente è sobria e assennata: se è corrotto, ne è anch'essa contagiata. Non vedi? Se lo spirito langue, si trascinano le membra e si cammina a fatica. Se è effeminato, la sua rilassatezza è evidente già nell'incedere. Se è fiero e animoso, il passo è concitato. Se è pazzo o in preda all'ira, passione simile alla pazzia, i movimenti del corpo sono alterati; non avanza, ma è come trascinato. Non pensi che questo si verifichi ancor più con la mente che è tutt'uno con lo spirito? Ne è plasmata, gli obbedisce e ne trae la sua legge.
4 Il modo di vivere di Mecenate è troppo noto perché sia ora necessario raccontare come passeggiasse, quanto fosse raffinato, come desiderasse mettersi in mostra e non volesse nascondere i suoi vizi. E allora? La sua eloquenza non fu trasandata come lo era lui? Le sue parole non sono particolari quanto la sua eleganza, il suo sèguito, la sua casa, la sua consorte? Sarebbe stato un uomo di grande ingegno, se lo avesse indirizzato su una via più retta, se non avesse ricercato l'oscurità, se non fosse stato rilassato anche nel linguaggio. Ti troverai di fronte all'eloquenza propria di un uomo ubriaco, involuta, degenerata, corrotta. 5 "Il fiume e la riva chiomata di selve." Che c'è di più brutto? Vedi come "arino con le barche il letto del fiume e, rivoltando le onde, si lascino dietro i giardini." E che dire? se uno "arriccia il viso ammiccando alla sua donna e fa il colombo con le labbra e comincia sospirando, come con la stanca cervice infuriano i tiranni del bosco." "Implacabile fazione, frugano nei banchetti, tentano le case con la bottiglia e passano la morte sperando." "Un Genio testimone a stento del suo giorno festivo." "I fili dell'esile candela e la focaccia crepitante." "La madre o la sposa adornano il focolare." 6 Appena leggerai queste parole ti verrà in mente che si tratta di quell'individuo che andava sempre girando per la città con la tunica sciolta; anche quando in assenza di Augusto ne faceva le veci, si faceva notare per la veste discinta; che in tribunale, sulle tribune, in ogni pubblica adunanza appariva col capo coperto dal mantello, da cui spuntavano solo le orecchie, come fanno nel mimo gli schiavi fuggitivi di un ricco; che mentre infuriavano con più violenza le guerre civili e nella città turbata tutti i cittadini erano in armi, si mostrava in pubblico scortato da due eunuchi, e tuttavia più virili di lui; che si sposò mille volte, pur avendo una sola moglie. 7 Queste parole disposte tanto male, gettate là con trascuratezza, collocate in maniera assolutamente inconsueta, dimostrano che anche le sue abitudini erano altrettanto insolite, corrotte e singolari. La sua qualità più lodevole è la mansuetudine: si astenne dall'usare la spada, dal versare sangue e il suo potere lo mostrò solo con la sua dissolutezza. Ma questo suo merito lo ha sciupato con le raffinatezze del suo linguaggio assolutamente fuori dall'ordinario; fu evidentemente un uomo debole, non un mite. 8 Questi componimenti contorti, queste trasposizioni di parole, questi concetti strani, spesso grandi, ma espressi senza nerbo, dimostrano chiaramente a tutti una cosa: l'eccessiva prosperità gli aveva dato alla testa. E questo difetto può caratterizzare un uomo o un intero periodo. 9 Quando la prosperità genera una diffusa dissolutezza, si manifesta dapprima una cura più ricercata del fisico; quindi ci si preoccupa per le suppellettili; poi si rivolge ogni attenzione alla casa: deve estendersi vasta come una campagna, le pareti devono risplendere di marmi importati d'oltre oceano, i soffitti essere screziati d'oro, lo splendore dei pavimenti corrispondere a quello dei soffitti; poi la sontuosità passa alla tavola e si cerca di renderla più pregevole con le stranezze e sovvertendo l'ordine abituale: si presentano come primi piatti quelli che di solito concludono il pranzo, e agli invitati che se ne vanno si servono quei cibi che si davano all'arrivo. 10 Quando l'anima arriva ad avere a nausea le consuetudini e a ritenerle spregevoli, cerca novità anche nel linguaggio; ora riprende e tira fuori parole vecchie e obsolete, ora ne conia persino di nuove e distorce i significati, ora, e questa è l'ultima moda, considera segno di eleganza audaci e frequenti metafore. 11 C'è chi tronca i concetti e spera di ottenere il favore degli ascoltatori lasciando in sospeso le frasi e suggerendone appena il senso; c'è chi si dilunga e dilata i pensieri; c'è chi non arriva fino a questi difetti - e deve fare così lo scrittore che si cimenta con grandi opere - e tuttavia li ama.
Pertanto dovunque vedrai compiacimento per un'eloquenza corrotta, ci sarà certamente anche una corruzione dei costumi. Banchetti e vestiti sfarzosi sono indice di una comunità malata, allo stesso modo la licenza del linguaggio, se è diffusa, mostra che anche gli animi da cui hanno origine le parole sono in decadenza. 12 Non stupirti che questo tipo di eloquenza corrotta sia accolta con favore non solo dalla cerchia degli spettatori più grossolani, ma anche dalla massa di quelli più colti; essi differiscono tra loro nelle vesti, non nei giudizi. Piuttosto puoi stupirti che siano lodate non solo le opere piene di difetti, ma i difetti stessi. È sempre stato così: nessun uomo d'ingegno è stato apprezzato senza che gli venisse perdonata qualche mancanza. Citami un uomo famoso, quello che vuoi: ti dirò che cosa i suoi contemporanei gli hanno perdonato, che cosa hanno consapevolmente finto di non vedere. Ti indicherò molti che non sono stati danneggiati dai loro difetti, e alcuni ai quali i difetti hanno addirittura giovato. Ti indicherò, ripeto, uomini famosissimi, fatti oggetto di ammirazione, che distruggeresti se volessi correggerli: i vizi sono così uniti alle virtù da trascinarle via con sé.
13 Il linguaggio, inoltre, non ha regole fisse: lo trasformano le consuetudini sociali in continua, rapida evoluzione. Molti prendono i termini da un altro periodo, parlano la lingua delle Dodici Tavole; per loro Gracco, Crasso, Curione sono troppo raffinati e moderni, tornano indietro fino ad Appio e Coruncanio. Altri, invece, cercano solo espressioni trite e consuete e cadono nel triviale. 14 Tutti e due gli stili sono corrotti, sia pure in modo diverso, come, perbacco, quando si vogliono usare solo vocaboli splendidi, altisonanti e poetici, ed evitare quelli indispensabili e usuali. A mio parere sbagliano sia gli uni che gli altri: i primi per troppa cura, i secondi per troppa trascuratezza, quelli si depilano anche le gambe, questi neppure le ascelle.
15 Passiamo ora alla disposizione delle parole. Quanti tipi di errori ti posso indicare? Ad alcuni piacciono le frasi spezzate e ineguali; le scompigliano di proposito se hanno un andamento troppo scorrevole; non vogliono concatenazioni senza scabrosità: per loro sono virili e forti quelle che colpiscono l'orecchio con la loro disuguaglianza. Altri più che costruire le frasi, le modulano; tanto sono carezzevoli e scorrono dolcemente. 16 Che dire poi del periodo in cui le parole sono rinviate, si fanno attendere a lungo e compaiono a stento alla fine? Che dire del periodo come quello di Cicerone che si avvia lento scorrevole e che indugia mollemente e segue l'andamento e il ritmo abituali?
Ma i difetti non si trovano solo * * * nel tipo dei concetti, se sono gretti e puerili o malvagi e spudorati, se sono fioriti e troppo sdolcinati, se cadono nel vuoto e non hanno altro effetto che il loro suono.
17 Questi difetti li introduce uno che in quel momento detta legge nel campo dell'eloquenza; gli altri li imitano e se li trasmettono l'un l'altro. Così quando era in auge Sallustio venivano considerati eleganti i pensieri tronchi, le parole che arrivano inaspettate, le locuzioni stringate e oscure. L. Arrunzio, uomo di eccezionale sobrietà, che scrisse una storia della guerra punica, fu un sallustiano e si distinse in quel genere di prosa. Si trova in Sallustio: "Fece l'esercito col denaro", cioè lo allestì col denaro. Ad Arrunzio piacque questa espressione e la inserì in ogni pagina. Dice in un passo: "Fecero la fuga ai nostri", e in un altro: "Gerone, re di Siracusa, fece la guerra", e ancora: "Questa notizia fece che i Palermitani si consegnassero ai Romani." 18 Ti ho voluto dare un assaggio: ma tutto il libro è intessuto di simili espressioni. Rare in Sallustio, in lui sono frequenti e quasi continue, e c'è un motivo: per Sallustio erano occasionali, mentre Arrunzio le ricercava di proposito. Vedi, dunque, quali sono le conseguenze quando un difetto è preso a esempio. 19 Scrive Sallustio: "acque invernali." Arrunzio, nel primo libro della guerra punica, dice: "D'improvviso il tempo divenne invernale", e in un altro punto, volendo dire che quell'anno era stato freddo, scrive: "Tutto l'anno fu invernale", e in un altro: "Di lì inviò sessanta navi da carico leggere oltre ai soldati e ai marinai necessari sotto un aquilone invernale", e questo termine lo ha ficcato continuamente dappertutto. Sallustio dice in un passo: "Mentre durante le guerre civili aspirava alle reputazioni di uomo giusto e onesto." Arrunzio non seppe trattenersi dallo scrivere sùbito nel primo libro che grandi erano "le reputazioni" di Regolo. 20 Questo e altri difetti simili, che si acquistano per imitazione, non sono segno di dissolutezza né di un animo corrotto; devono essere personali e nati da quello stesso individuo per giudicare in base a essi i sentimenti di un uomo: un linguaggio iracondo è proprio di una persona iraconda, uno troppo concitato di una persona appassionata, uno voluttuoso e fiacco di un uomo effeminato. 21 Se fai caso, questo modo di esprimersi lo seguono quelli che si tagliano la barba o se la sfoltiscono, che si radono accuratamente i baffi o li tagliano via, ma conservano e fanno crescere i peli nelle altre parti, che indossano mantelli di colori stravaganti, vesti trasparenti e non vogliono fare niente che passi inosservato agli occhi degli altri: suscitano il loro interesse e lo attirano su di sé, accettano persino il biasimo pur di farsi notare. Tale è l'eloquenza di Mecenate e di tutti gli altri che non commettono errori di stile per caso, ma consapevolmente e di proposito. 22 All'origine c'è un profondo malessere spirituale: quando uno beve, la lingua si inceppa solo se la mente soccombe al peso del vino e vacilla o si abbandona, così questa forma di ubriachezza del linguaggio non è dannosa finché l'anima rimane salda. Curiamo perciò l'anima: da essa scaturiscono i pensieri, le parole, da essa deriva il nostro comportamento, l'espressione del volto, l'incedere. Se l'anima è sana e vigorosa, anche il linguaggio è energico, forte, virile: se l'anima soccombe, anche il resto la segue nella caduta.

23 Finché il re è incolume tutti sono concordi: quando scompare, è violata ogni promessa.
Il nostro re è l'anima; finché è incolume, le altre parti adempiono al proprio dovere, obbediscono e sono sottomesse; quando essa vacilla un po', tutto nello stesso momento diventa incerto. Quando cede al piacere, anche le sue capacità, le sue azioni si indeboliscono e tutti gli impulsi sono fiacchi e senza nerbo.
24 Poiché ho usato questo esempio continuerò così. La nostra anima ora è un re, ora un tiranno: re quando guarda alla virtù, ha cura della salute del corpo affidatole e non gli comanda niente di abietto o di meschino; ma quando è sfrenata, avida, voluttuosa, assume un nome detestabile e funesto e si trasforma in un tiranno. Allora diventa preda e vittima di sfrenate passioni; all'inizio ne gode, come fa il popolo che quando c'è un'elargizione si riempie inutilmente a suo danno e arraffa quello che non può trangugiare; 25 quando poi il male ha consumato via via le forze e la lussuria è penetrata nelle midolla e nei nervi, l'anima si compiace alla vista di quelle dissolutezze di cui si è resa incapace per l'eccessiva avidità, e considera come suoi piaceri lo spettacolo di quelli altrui, complice e testimone di dissolutezze, del cui godimento si è privata approfittandone. E il piacere di avere in abbondanza queste delizie non è pari all'angustia di non poter far passare attraverso la gola e il ventre tutto quello che è stato imbandito, di non potersi avvoltolare con tutta quella massa di amasi e femmine, e si affligge perché gran parte della sua felicità è impedita e viene meno per le sue carenze fisiche. 26 Questa pazzia, caro Lucilio, non consiste forse nel fatto che nessuno di noi pensa di essere debole e mortale? Anzi, che nessuno di noi pensa di essere uno solo? Guarda le nostre cucine e i cuochi che corrono tra tanti fornelli: ti sembra che con un simile trambusto si prepari cibo per un ventre solo? Guarda le nostre provviste di vino vecchio e le cantine piene delle vendemmie di molte generazioni: ti sembra che vini di tanti anni e di tante regioni si conservino per un ventre solo? Guarda in quanti luoghi si vanga la terra, quante migliaia di contadini arano, zappano: ti sembra che per un solo ventre si semini in Sicilia e in Africa? 27 Saremo sani e avremo desideri moderati se ciascuno conterà se stesso, e contemporaneamente misurerà il proprio corpo e comprenderà che non può contenere molto, né per lungo tempo. Niente, però ti servirà tanto per essere temperante in tutto quanto il pensare di frequente che la vita è breve e incerta: qualunque cosa tu faccia, guarda alla morte. Stammi bene.

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1 Non voglio, Lucilio mio, che tu ti dia eccessivo pensiero delle parole e della loro disposizione: ho questioni più importanti di cui tu debba curarti. Preòccupati del contenuto, non della forma; e non tanto di scrivere, ma di sentire ciò che scrivi, in modo da rivolgere a te e quasi di imprimerti nell'animo ciò che senti. 2 Quando vedi uno esprimersi con un linguaggio ricercato ed elegante, sappi che anche la sua anima è ugualmente presa dalle meschinità. Una persona magnanima parla in maniera più pacata e quieta. Tutte le sue parole rivelano più sicurezza che cura formale. Conosci certi bellimbusti con la barba e i capelli tirati a lucido, tutti agghindati: non puoi aspettarti da loro niente di forte, di solido. Il linguaggio è ornamento dell'anima: se è ricercato, artificioso ed elaborato, dimostra che anche l'anima non è sana e ha delle debolezze. La ricercatezza non è ornamento virile. 3 Se noi potessimo guardare dentro l'anima di un uomo onesto, che straordinaria bellezza, che sacralità, che fulgore di magnificenza e di serenità vedremmo; vi splenderebbero la giustizia, la fortezza, la temperanza e la saggezza! E oltre a queste, la frugalità, la moderazione, la pazienza, la generosità, l'affabilità e il senso di umanità, bene raro - chi lo crederebbe? - in un uomo, diffonderebbero su di essa la loro luce. Poi la prudenza insieme alla correttezza e alla magnanimità, la più insigne tra queste virtù, quanta bellezza, buon dio, quanta gravità e peso le aggiungerebbero, quanta autorità e quanto credito! Tutti la definirebbero meritevole di amore e insieme di venerazione. 4 Se qualcuno vedesse questa bellezza più vivida e splendente di quanto si è soliti vedere tra le cose umane, non si fermerebbe attonito come se si trovasse di fronte a una divinità e pregherebbe in silenzio: "Sia lecita questa visione"; poi invitato dall'espressione benevola del volto, non la adorerebbe supplicandola e, dopo averla a lungo contemplata così eminente e alta più della statura delle cose che siamo abituati a vedere, con gli occhi pieni di dolcezza e tuttavia ardenti di un vivido fuoco, preso da sacro rispetto e sbalordito non pronuncerebbe, infine, quel verso del nostro Virgilio:

5 Come debbo chiamarti, o vergine? Non hai aspetto mortale e la tua voce non è umana... sii propizia, chiunque tu sia, e allevia i nostri affanni.
Ci assisterà e ci aiuterà se vorremo venerarla. Ma non la si venera sacrificando pingui tori, e nemmeno con doni votivi d'oro e d'argento o con offerte versate al tesoro del tempio, ma con pii e onesti propositi. 6 Tutti, dico, arderemmo d'amore per lei se ci toccasse di vederla; per ora molti sono gli ostacoli che accecano i nostri occhi con l'eccessivo splendore o li impediscono con le tenebre. Ma come con certi medicamenti noi rendiamo più acute e limpide le nostre capacità visive, così se vorremo liberare la vista dell'anima da ogni impedimento, potremo scorgere la virtù anche sotto il peso del corpo, anche se la povertà le fa da schermo, anche attraverso l'umile condizione e il disonore; 7 vedremo, insomma, la sua bellezza anche coperta di cenci. E d'altra parte la malvagità e il torpore di un'anima travagliata li vedremo ugualmente, anche se il vivo splendore irradiato dalla ricchezza fa da ostacolo, e la falsa luce degli onori e dei grandi poteri colpisce chi guarda. 8 Ci renderemo conto allora che ammiriamo beni spregevoli, come i bambini che tengono in gran conto ogni gioco e ai genitori e ai fratelli preferiscono monili di poco prezzo. L'unica differenza tra noi e loro, come dice Aristone, è che noi facciamo follie per quadri e statue pagando a più caro prezzo la nostra scempiaggine. Quelli si divertono con i sassolini variegati e lisci che trovano sulla spiaggia, noi con grandi colonne variopinte, importate dalle sabbie dell'Egitto e dai deserti africani, che sostengono un portico o una sala da pranzo capace di contenere una grande folla. 9 Ammiriamo le pareti ricoperte da marmi sottili, eppure sappiamo che cosa c'è sotto. Inganniamo i nostri occhi e quando ricopriamo d'oro i soffitti, ci compiaciamo di un inganno: sappiamo che quell'oro nasconde delle brutte travi. Ma ricoperti da sottile ornamento non sono solo le pareti e il soffitto: anche la felicità di tutti costoro che vedi camminare a testa alta è unicamente esteriore. Guarda bene e vedrai quanto male si annidi sotto questa sottile patina di dignità. 10 Da quando si è cominciato a onorare il denaro, che incatena tanti magistrati e tanti giudici, che crea magistrati e giudici, le cose hanno perduto il loro vero valore, e noi, diventati ora mercanti, ora merce in vendita, non consideriamo la qualità, ma il prezzo; per interesse siamo onesti, per interesse disonesti, e la virtù la pratichiamo finché c'è una speranza di guadagno, pronti a un voltafaccia se la scelleratezza promette di più. 11 È colpa dei nostri genitori se noi ammiriamo l'oro e l'argento, e la cupidigia, che ci è stata inculcata fin da piccoli, ha messo profonde radici ed è cresciuta insieme a noi. Il popolo intero, discorde su altre questioni, è concorde su questo punto: ammirano l'oro, lo desiderano per i loro cari, lo consacrano agli dèi come il più grande dei beni umani, quando vogliono dimostrare la loro gratitudine. Infine l'immoralità è tale che la povertà è maledetta ed è considerata infamante, disprezzata dai ricchi, invisa ai poveri. 12 Si aggiungono inoltre le opere dei poeti, che infiammano le nostre passioni e che lodano la ricchezza come unico lustro e ornamento della vita. Per costoro gli dèi immortali non possono concedere o possedere niente di meglio.

13 La reggia del sole si ergeva su alte colonne, splendida d'oro scintillante.
E guarda il carro del sole:
D'oro era l'asse, il timone d'oro, d'oro il cerchio delle ruote, d'argento la serie dei raggi.
Infine chiamano aurea l'età che vogliono indicare come la migliore. 14 Neppure nei tragici greci mancano personaggi che barattano per interesse l'onestà, la salute spirituale, la reputazione.
Mi stimino pure il peggiore degli uomini, purché mi stimino ricco.
Tutti chiediamo se uno è ricco, nessuno chiede se è onesto.
Vogliono sapere solo che cosa uno possegga, non perché e come lo possegga.
Dappertutto ogni uomo è stimato tanto quanto possiede.
Chiedi quale possesso è vergognoso per noi? Non averne.
Se ricco, voglio vivere, se povero, morire.
Muore bene chi muore mentre guadagna.
Denaro, grande bene del genere umano, cui non può essere pari l'amore della madre o dei dolci figli, non il genitore venerando per i suoi meriti; se qualcosa nel volto di Venere brilla con tanta dolcezza, a ragione la dea fa innamorare dèi e uomini."

15 Quando furono recitati questi ultimi versi della tragedia euripidea la folla si alzò d'impeto tutta insieme per cacciare l'autore e interrompere lo spettacolo, finché Euripide stesso si precipitò fuori chiedendo che aspettassero di vedere che fine avrebbe fatto quell'ammiratore dell'oro. In quella tragedia Bellerofonte pagava il fio che ognuno paga nella propria esistenza. 16 L'avidità si accompagna sempre alla punizione, sebbene essa sia già di per sé una pena sufficiente. Quante lacrime, quanti affanni esige! Quanto è infelice per ciò che brama, quanto è infelice per ciò che si è procurata! E poi ci sono le preoccupazioni quotidiane che affliggono ognuno in rapporto ai propri averi. Possedere denaro dà più tormento che acquistarlo. E come ci si lagna per le perdite che, se pure sono considerevoli, sembrano ancòra più grandi. Infine, anche se la sorte non sottrae niente, si considera una perdita tutto ciò che non si riesce ad avere. 17 "Ma gli uomini lo chiamano fortunato e ricco e desiderano ottenere quanto lui possiede." Sì, è vero, e allora? Pensi che ci sia una persona in condizioni peggiori di chi è povero e invidioso? Oh, se quando uno desidera la ricchezza interrogasse i ricchi; e quando uno aspira alle cariche politiche interrogasse gli ambiziosi e quelli che hanno raggiunto i più alti livelli del potere! Certo i suoi desideri cambierebbero, vedendo che costoro concepiscono nuovi desideri e rinnegano quelli precedenti. Non c'è nessuno che è soddisfatto della propria prosperità, anche se è arrivata rapidamente; ci si lamenta e delle decisioni prese e dei successi ottenuti, e si preferisce sempre quanto si è lasciato. 18 La filosofia ti garantirà questo bene, il più grande che ci sia, io ritengo: non ti pentirai mai delle tue azioni. A questa felicità così solida, che nessuna tempesta può scuotere, non ti condurranno frasi ben costruite o un linguaggio dolcemente scorrevole: le parole fluiscano pure liberamente, purché l'anima mantenga il suo ordine, purché sia grande, noncurante dei pregiudizi e approvi se stessa per quelle azioni che gli altri non approvano, e giudichi i suoi progressi in base alla sua vita, e ritenga di essere saggia solo in quanto non ha desideri né timori. Stammi bene.

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1 Si è spesso discusso se è meglio nutrire passioni moderate o non averne affatto. Gli Stoici le eliminano, i Peripatetici le moderano. Io non vedo come una malattia, sia pure leggera, possa essere salutare o utile. Non temere: non ti tolgo niente di quello che tu non vuoi ti sia negato. Mi mostrerò benevolo e indulgente verso le cose cui aspiri e che ritieni necessarie alla vita, oppure utili o piacevoli: ti strapperò solo il vizio. Ti proibirò infatti, di nutrire desideri sfrenati, ma non di volere: così farai le stesse cose senza timore e con maggiore risolutezza e godrai più intensamente anche dei piaceri; perché non dovresti sentirli maggiormente se sarai tu a dominarli, invece che esserne schiavo? 2 "Ma è naturale," ribatti, "che io mi tormenti per la scomparsa di un amico: considera legittime queste lacrime così giuste. È naturale tener conto del giudizio altrui e rattristarsi se è sfavorevole: perché non vuoi concedermi questo onesto timore di avere una cattiva reputazione?" Ogni vizio ha una sua giustificazione; da principio sono tutti moderati e domabili, poi però si diffondono. Se permetti che nascano, non riuscirai a stroncarli. 3 All'inizio ogni passione è debole, poi si infiamma e, strada facendo, acquista forza: tenerle lontane è più facile che estirparle. Tutte le passioni scaturiscono da un'origine, per così dire, naturale, chi lo nega? La natura ci ha affidato la cura di noi stessi, ma quando vi indulgiamo troppo, nasce il vizio. La natura ha mescolato il piacere alle necessità della vita, non perché lo ricercassimo, ma perché questo complemento ci rendesse più gradite le cose indispensabili alla nostra esistenza: se, però, il piacere detta legge, nasce la dissolutezza. Impediamo, quindi, che le passioni penetrino in noi, perché, come ho detto, non accoglierle è più facile che scacciarle. 4 "Concedimi almeno un certo grado di dolore, di paura." Ma questo "un certo grado" si dilata e non finisce dove vuoi tu. Il saggio è al sicuro senza doversi sorvegliare attentamente, e le sue lacrime, i suoi piaceri li arresta quando vuole: per noi, visto che non è facile tornare indietro, la cosa migliore è non avanzare affatto. 5 Panezio, secondo me, diede una bella risposta a quell'adolescente che gli chiedeva se il saggio possa amare. "Del saggio," disse, "parleremo in sèguito; io e te, che siamo ancora molto lontani dalla saggezza, non dobbiamo rischiare di cadere in un sentimento impetuoso e incontrollabile, che ci rende schiavi di altri e spregevoli a noi stessi. Se chi amiamo ci corrisponde, la sua dolcezza ci infiamma; se invece ci disprezza, ci eccita la sua superbia. Fortuna e sfortuna in amore sono ugualmente nocive: dell'una siamo preda, contro l'altra lottiamo. Perciò consci della nostra debolezza, stiamocene quieti; la nostra anima è debole: non affidiamola al vino o alla bellezza, all'adulazione o agli allettamenti." 6 La risposta di Panezio al ragazzo che lo interrogava sull'amore, io la estendo a tutte le passioni: allontaniamoci il più possibile dai terreni melmosi; anche su quelli asciutti stiamo in piedi a fatica.
7 A questo punto replicherai con quella obiezione che generalmente si rivolge agli Stoici: "Fate promesse troppo grandi, date precetti troppo severi. Noi siamo creature deboli; non possiamo negarci tutto. Ci dorremo, ma poco; avremo desideri, ma moderati; ci adireremo, ma poi ci calmeremo." 8 Sai perché non possiamo agire così? Perché non crediamo di farcela. Anzi, perbacco, il motivo in realtà è un altro: difendiamo i nostri vizi perché li amiamo e preferiamo scusarli piuttosto che eliminarli. La natura ha dato all'uomo forza sufficiente perché ne facciamo uso, a patto che chiamiamo a raccolta le nostre forze e le muoviamo tutte in nostro favore, non contro di noi. Il vero motivo è la mancanza di volontà, l'impossibilità è un pretesto. Stammi bene.

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1 Mi metti in grave imbarazzo e, senza saperlo, mi impegni in una grossa e fastidiosa disputa con le questioncelle che mi proponi: io non posso dissentire dagli Stoici conservando il loro favore, e nemmeno essere d'accordo con loro senza fare torto alla mia coscienza. Gli Stoici affermano che la saggezza è un bene, e l'essere saggi non lo è, e tu chiedi se è vero. Prima ti esporrò la teoria stoica, e solo dopo oserò dire il mio parere.
2 Per gli Stoici il bene è corpo, poiché ciò che è bene agisce e tutto ciò che agisce è corpo. Ciò che è bene giova; ma, per giovare, deve agire; e se agisce è corpo. Dicono che la saggezza è un bene; ne consegue necessariamente che anch'essa deve essere definita corporea. 3 Secondo loro, però l'essere saggi non è la stessa cosa. È una cosa incorporea e accessoria dell'altra, cioè della saggezza; pertanto non agisce e non giova. "E come?" si ribatte. "Non diciamo: essere saggi è un bene?" Lo diciamo riferendoci a quello da cui l'essere saggi dipende, cioè alla saggezza.
4 Senti ora che cosa controbattono gli altri, prima che io abbandoni questo argomento, per soffermarmi su un altro. "In questo modo," dicono, "neppure vivere felici è un bene. Volenti o nolenti bisogna rispondere che una vita felice è un bene, ma non è un bene vivere felici." 5 E ancòra si obietta: "Voi volete essere saggi; quindi l'essere saggi è cosa desiderabile; e se è desiderabile, è buona." Gli Stoici sono costretti a stravolgere i termini e a inserire in expetere una sillaba, mentre la nostra lingua non lo permetterebbe. Se permetti, io l'aggiungo. "Expetendum - dicono - è ciò che è bene, expetibile è ciò che ci tocca quando abbiamo conseguito un bene. Esso non si ricerca come un bene, ma si aggiunge al bene che si ricerca."
6 Io non la penso così e ritengo che gli Stoici arrivano a questa affermazione perché sono vincolati all'esordio e non possono cambiare formula. Noi di solito attribuiamo una grande importanza alle opinioni generali e il fatto che un'opinione sia condivisa da tutti è per noi indizio di verità; l'esistenza degli dèi, ad esempio, l'argomentiamo tra l'altro anche da questo: in tutti è insito il concetto della divinità e non c'è popolo così al di fuori delle leggi e dei costumi civili che non creda in un qualche dio. Quando discutiamo dell'immortalità dell'anima, ha per noi un peso determinante il fatto che tutti gli uomini o temono o onorano gli inferi. Mi rifaccio all'opinione generale: non troverai nessuno che non giudichi un bene sia la saggezza, sia l'essere saggi.
7 Non farò come fanno di solito i vinti: non mi appellerò al popolo; comincerò a combattere con le mie armi. Ciò che accade a una cosa è fuori o dentro alla cosa alla quale accade? Se è dentro alla cosa alla quale accade, è corpo come la cosa alla quale accade. Niente, infatti, può accadere senza contatto e quello che crea contatto è corpo: niente può accadere senza un'azione e quello che agisce è corpo. Se è al di fuori, se ne stacca, dopo essere accaduto; ciò che si stacca ha un movimento e ciò che ha movimento è corpo. 8 Tu ti aspetti che io dica che la corsa e il correre non sono cose diverse come il calore e l'essere caldo, lo splendore e il risplendere: ammetto che siano cose diverse, ma non di diversa specie. Se la salute è indifferente, anche lo star bene è indifferente; se la bellezza è indifferente, lo è anche l'essere belli. Se la giustizia è un bene, lo è anche l'essere giusti; se la bruttezza è un male, anche essere brutti è un male, come, perbacco, se la cisposità è un male, anche l'essere cisposi è un male. Sappi, dunque, che l'una cosa non può esistere senza l'altra: chi possiede la saggezza è saggio; chi è saggio possiede la saggezza. È talmente impossibile mettere in dubbio che siano cose uguali, che ad alcuni sembrano addirittura identificarsi. 9 Mi piacerebbe, però chiedere, poiché ogni cosa o è male o è bene o è indifferente, l'essere saggi in che categoria rientra? Dicono che non sia un bene; eppure non è un male; ne consegue che sia una via di mezzo. Noi definiamo via di mezzo o indifferente, ciò che può capitare sia al malvagio che al buono, come il denaro, la bellezza, la nobiltà. La saggezza, può capitare solo all'uomo buono, quindi non è indifferente. Ma non è neppure un male, perché non può capitare al malvagio, quindi è un bene. Ciò che possiede solo l'uomo buono è bene; l'essere saggi è un possesso del buono, quindi è un bene. 10 "È," dicono, "una circostanza accidentale della saggezza." Dunque, quello che chiami essere saggi, crea la saggezza o la subisce? Sia che la crei, sia che la subisca, in entrambi i casi è corpo, poiché sia ciò che è creato, sia ciò che crea è corpo. Se è corpo, è un bene; una sola cosa gli impediva, infatti, di essere un bene, l'incorporeità.
11 I Peripatetici sostengono che non c'è differenza tra la saggezza e l'essere saggi, poiché in ognuna delle due cose c'è anche l'altra. Perché, tu non pensi che sia saggio solo chi ha la saggezza? E che abbia la saggezza solo chi è saggio? 12 Gli antichi Dialettici fanno una distinzione che è arrivata fino agli Stoici. Ecco di che cosa si tratta. Altro è un campo, altro è possedere un campo, e perché no? Possedere un campo riguarda il possessore, non il campo. Così, altro è la saggezza, altro è l'essere saggi. Ammetterai, ritengo, che si tratta di due cose distinte, la cosa posseduta e il possessore; la saggezza è posseduta, chi è saggio possiede. La saggezza è lo spirito perfetto o arrivato al culmine di ogni bene; è l'arte della vita. Cos'è l'essere saggi? Non posso definirlo "spirito perfetto", ma ciò che tocca a chi ha uno spirito perfetto; così altro è uno spirito onesto, altro è avere uno spirito onesto.
13 "C'è," si dice, "diversità nella natura dei corpi, questo è uomo, quest'altro cavallo; gli impulsi dell'anima sono enunciativi dei corpi e si uniformano alla loro natura. Gli impulsi hanno qualcosa di proprio, diverso dal corpo; vedo passeggiare Catone: è ciò che mi mostrano i sensi, l'animo vi crede. È il corpo che vedo e ad esso sono rivolti occhi e spirito. Poi dico: Catone passeggia. Ora non parlo del corpo," si continua, "ma di qualcosa che è enunciativo del corpo: alcuni lo chiamano 'enunciato', altri 'proposizione', altri 'sentenza'. Così, quando diciamo 'saggezza', intendiamo qualcosa di corporeo; quando diciamo 'è saggio' parliamo del corpo. Ma c'è una grande differenza se indichi una cosa o ne parli."
14 Ammettiamo per il momento che siano due cose distinte (non esprimo ancora il mio pensiero): che cosa impedisce che siano diverse, ma entrambe beni? Dicevo poco prima che una cosa è un campo, un'altra possedere un campo. Perché no? Il possessore ha una natura, la cosa posseduta ne ha un'altra: questa è terra, quello uomo. Ma nel caso in questione entrambe hanno la stessa natura, sia la saggezza, sia chi la possiede. 15 Inoltre, nel primo esempio altro è la cosa posseduta, altro il possessore: in questo la cosa posseduta e il possessore si identificano. Il campo si possiede per legge, la saggezza per natura; quello può essere ceduto e trasmesso ad altri, questa non si distacca da chi la possiede. Non si possono dunque paragonare cose tra loro diverse.
Avevo cominciato col dire che queste possono essere due cose distinte e tuttavia essere entrambe beni, come la saggezza e l'essere saggio sono due cose distinte e tuttavia ammetti che entrambe sono beni. Nulla impedisce, dunque, che sia la saggezza sia chi la possiede siano beni; così nulla impedisce che tanto la saggezza quanto il possederla, cioè l'essere saggi, siano beni. 16 Io voglio essere saggio per avere la saggezza. E allora? Non è questo un bene senza il quale neppure l'altro è un bene? Voi sostenete che la saggezza, se non si potesse farne uso, non varrebbe la pena di conquistarla. Ma qual è l'uso della saggezza? L'essere saggi: è questa la sua caratteristica più preziosa, se la eliminiamo, la saggezza diventa superflua. Se la tortura è un male, l'essere torturati è un male, ma non sarebbero mali qualora se ne potessero eliminare le conseguenze. La saggezza è lo stato dello spirito perfetto, l'essere saggi è l'uso dello spirito perfetto: e come può non essere un bene l'uso della saggezza che, se non è usata, non è un bene? 17 Ti chiedo se bisogna aspirare alla saggezza: rispondi di sì. Ti chiedo se bisogna aspirare all'uso della saggezza: rispondi ancora di sì. E dici che non la vorresti, se non potessi usarla. Ma ciò cui bisogna aspirare è un bene. Essere saggi è l'uso della saggezza, come parlare è l'uso del linguaggio, come vedere è l'uso degli occhi. Quindi, essere saggi è l'uso della saggezza e all'uso della saggezza bisogna aspirare; bisogna, quindi aspirare ad essere saggi; e se bisogna aspirarvi, è un bene.
18 Già da un pezzo mi condanno da me: imito chi accuso e spendo parole per una questione evidente. Chi può mettere in dubbio che se il caldo è un male, anche aver caldo è un male? E se il freddo è un male, è un male anche aver freddo? E se la vita è un bene, anche vivere è un bene? Tutto ciò riguarda la saggezza, ma non la sostanza della saggezza; ed è su di essa che noi dobbiamo soffermarci. 19 Anche se vogliamo spaziare un po', la saggezza ci offre ampi e vasti orizzonti: possiamo investigare sulla natura degli dèi, su ciò che dà vita agli astri, sulle svariate orbite dei corpi celesti; indagare se l'evoluzione delle vicende umane dipende dal loro influsso, se il corpo e l'anima di tutti gli uomini ricevano impulso da qui, se anche gli eventi cosiddetti fortuiti obbediscano a leggi precise e niente in questo mondo accada inaspettatamente o senza seguire un ordine. Questi temi esulano dalla questione morale, ma sollevano lo spirito e lo innalzano al livello degli argomenti trattati; i problemi di cui parlavo poco fa, invece, lo sminuiscono e lo abbassano e non lo rendono più acuto, come dite voi, ma più debole. 20 Ma via, dobbiamo proprio dedicare a questioni, non so se false, ma certo inutili, la nostra attenzione che invece sarebbe necessario rivolgere a problemi più importanti e profondi? A che mi servirà sapere se la saggezza e l'essere saggi sono due cose diverse? A che mi servirà sapere se quella è un bene e questo non lo è? Voglio essere temerario ed espormi al rischio di questo augurio: tocchi a te la saggezza, a me l'essere saggio. Saremo pari. 21 Cerca piuttosto di indicarmi la via che mi porti a questa meta. Dimmi che cosa devo evitare, a che cosa aspirare, con quali occupazioni possa rafforzare il mio spirito vacillante, come allontanare da me i mali che all'improvviso mi colpiscono e mi incalzano, come possa fronteggiare tante sventure, come respingere queste disgrazie che mi si sono riversate addosso e quelle che mi sono procurate io stesso. Insegnami come sopportare le tribolazioni senza un lamento, e la felicità senza provocare i lamenti altrui, come non aspettare quell'ora estrema e inevitabile, ma rinunciare io stesso alla vita, quando mi sembrerà opportuno. 22 Per me la cosa più vergognosa è desiderare la morte. Se vuoi vivere, perché desideri morire? Se non vuoi, perché chiedi agli dèi una cosa che ti hanno dato al momento della nascita? È stabilito che un giorno o l'altro tu muoia, anche se non vuoi, e d'altra parte tu hai la facoltà di morire quando vuoi; la prima è una necessità, la seconda una possibilità. 23 Ho letto in questi giorni un esordio davvero vergognoso di uno scrittore che pure è eloquente: "Possa io morire al più presto." Che insensato, tu desideri una cosa tua. "Possa io morire al più presto." Forse sei diventato vecchio a furia di dire queste parole; altrimenti che cosa ti fa indugiare? Nessuno ti trattiene: fuggi per la strada che credi; scegli un qualunque elemento naturale e fatti offrire una via di uscita. Gli elementi su cui si regge il mondo sono questi: acqua, terra, aria e sono tutti sia fondamento di vita, sia mezzi di morte. 24 "Possa io morire al più presto": questo "al più presto" che cosa significa per te? Quale giorno gli destini? Può accadere più presto di quanto tu desideri. Sono le parole di uno spirito debole che con questa imprecazione vuole suscitare pietà. Chi si augura di morire, non vuole morire. Chiedi agli dèi vita e salute: se hai deciso di morire, il primo vantaggio della morte è non avere più desideri.
25 Occupiamoci di questi problemi, Lucilio mio, educhiamo con essi lo spirito. Questa è la saggezza, questo l'essere saggi, e non l'esercitare una sterilissima sottigliezza intellettuale con vane discussioncelle. La sorte ti ha messo di fronte a tanti problemi, non li hai ancora risolti: e stai lì a cavillare? È da sciocchi, ricevuto il segnale di combattimento, dare colpi a vuoto. Metti da parte queste armi-giocattolo: ci vogliono armi vere. Dimmi come posso evitare che la tristezza e la paura turbino l'anima mia, come scaricare il peso delle mie segrete passioni. Bisogna fare qualcosa! 26 "La saggezza è un bene, l'essere saggi non è un bene": si finisce così per affermare che non siamo saggi e che tutto questo impegno viene deriso poiché è dedicato ad attività inutili.
E che diresti sapendo che si pone pure la questione se è un bene la saggezza futura? Ma via, si può forse dubitare che i granai sono inconsapevoli del grano che conterranno, e che il fanciullo, indipendentemente dalle sue forze e dalla sua robustezza, non si rende conto di quale sarà la sua adolescenza? Al malato, finché è tale, non giova affatto la salute futura, come un riposo che verrà dopo molti mesi non può al momento ridare forza al corridore o al lottatore. 27 Tutti sanno che non è un bene ciò che dovrà venire, proprio perché dovrà venire. Un bene giova senz'altro; e può giovare solo ciò che è presente. Se non giova, non è un bene; se giova, lo è già. Diventerò saggio; questo sarà un bene quando lo diventerò: intanto non è un bene. Prima bisogna che una cosa esista, poi che abbia una qualità. 28 Su via, come può essere un bene una cosa ancòra inesistente? E come vuoi che ti provi che una cosa non esiste, più che dicendoti "sarà"? È chiaro che ciò che verrà non è ancòra venuto. Verrà la primavera: so che ora è inverno. Verrà l'estate: so che non è estate. La prova più evidente che una cosa non esiste ancòra è che esisterà. 29 Sarò saggio; lo spero, ma intanto non lo sono; se possedessi quel bene, sarei immune da questo male. Sarò saggio: da questo puoi arguire che ancòra non lo sono. Non posso avere al tempo stesso questo bene e questo male; il bene e il male non coesistono e non possono trovarsi insieme nella medesima persona.
30 Lasciamo da parte queste futili sofisticherie e rivolgiamoci a quegli argomenti che possono esserci di una qualche utilità. Se uno pieno d'ansia corre a chiamare l'ostetrica per la figlia che sta per partorire, non si ferma a leggere l'avviso e l'ordinanza dei giochi; chi si precipita verso la sua casa in fiamme, non studia sulla scacchiera la mossa per liberare una pedina chiusa. 31 Ma, per dio, da ogni parte ti vengono annunciate tutte queste disgrazie: la casa in fiamme, i figli in pericolo, la patria assediata, i beni saccheggiati; e poi, naufragi, terremoti e tutti gli altri possibili motivi di apprensione: turbato da tanti pensieri, hai il tempo di dedicarti a questi passatempi? Cerchi la differenza tra la saggezza e l'essere saggi? Intrecci e sciogli nodi quando ti sovrasta un simile macigno? 32 La natura non ci ha concesso con generosità un'abbondanza tale di tempo che ce ne rimanga un po' da perdere. Vedi quanto ne sciupano anche le persone più attente: un po' ce lo tolgono le malattie nostre, un po' quelle dei familiari; una parte gli affari privati, una parte quelli pubblici; il sonno poi ci sottrae metà della vita. A che serve spendere in sciocchezze la maggior parte di questo tempo così esiguo e veloce, che trascina via anche noi? 33 L'animo, inoltre, prende l'abitudine di svagarsi, invece che curarsi, e di fare della filosofia un divertimento, mentre è un rimedio. Non so che differenza ci sia tra la saggezza e l'essere saggi: so che a me non importa saperlo o non saperlo. Dimmi: quando avrò imparato che differenza c'è fra la saggezza e l'essere saggi, sarò saggio? Perché mi fai indugiare più sui termini della saggezza che sulle sue opere? Rendimi più forte, rendimi più tranquillo, rendimi pari, anzi superiore, alla sorte. E posso esserne superiore, se indirizzerò a questo scopo ogni mia conoscenza. Stammi bene.

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