Seneca: Lettere a Lucilio - libro17-18

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Testo

LIBRI DICIASSETTESIMO-DICIOTTESIMO


101
1 Ogni giorno, ogni ora ci mostra che siamo un nulla e con qualche nuovo argomento ricorda a noi dimentichi la nostra caducità, e mentre concepiamo progetti come se fossimo eterni ci costringe a guardare alla morte. Chiedi che cosa significhi questa premessa? Tu conosci Cornelio Senecione, cavaliere romano illustre e cortese: da un'umile origine era arrivato in alto, destinato a ulteriori e facili successi. L'inizio di una carriera è più difficile che il suo sviluppo. 2 Anche il denaro tarda molto ad arrivare, se uno è povero: alla povertà si rimane attaccati, finché non si riesce a tirarsene fuori. Senecione ormai mirava ad arricchirsi e a questo lo portavano due qualità validissime: la capacità di procurarsi il denaro e quella di conservarlo; sarebbe bastata una sola delle due a renderlo ricco. 3 Quest'uomo molto frugale, che aveva cura tanto del patrimonio quanto del suo corpo, mi aveva fatto visita al mattino, come d'abitudine, e aveva poi assistito per l'intera giornata, fino a notte, un amico gravemente malato che giaceva a letto senza speranza di guarigione; dopo aver cenato allegramente, colpito da un male fulminante, l'angina, a stento sopravvisse fino all'alba rantolando con le vie respiratorie bloccate. È morto, dunque, pochissime ore dopo aver svolto tutte le attività proprie di un individuo sano e in forze.
4 Quell'uomo, che faceva girare il denaro per terra e per mare, che aveva partecipato anche a pubblici appalti e non aveva tralasciato nessun tipo di guadagno, proprio quando le cose si mettevano bene, proprio quando il denaro arrivava in abbondanza, è scomparso.
Innesta ora i peri, Melibeo, disponi le viti in filari.
Come è insensato disporre della propria vita, se non siamo padroni neppure del domani! Come sono pazzi quelli che danno il via a progetti lontani nell'avvenire: comprerò, costruirò, darò denaro in prestito, ne riscuoterò, ricoprirò cariche, e alla fine passerò in ozio, stanco e soddisfatto, la vecchiaia. 5 Credimi: tutto è incerto, anche per gli uomini fortunati; nessuno deve ripromettersi niente per il futuro; anche quello che abbiamo fra le mani ci sfugge e il caso tronca l'ora stessa che stringiamo. Il tempo passa secondo una legge determinata, ma a noi sconosciuta: e che mi importa se per la natura è certo quello che per me è incerto? 6 Ci proponiamo lunghi viaggi per mare e un ritorno in patria lontano nel tempo, dopo aver vagato per lidi stranieri; imprese militari e tardive ricompense di fatiche guerresche, amministrazioni di province e avanzamenti di carriera, di carica in carica, mentre la morte ci sta accanto; e poiché non ci pensiamo mai, se non quando tocca agli altri, di tanto in tanto ci vengono messi davanti esempi della nostra mortalità, che, però, durano in noi solo quanto il nostro stupore. 7 Ma niente è più sciocco che stupirsi che accada un giorno quanto può accadere ogni giorno. Il termine della nostra vita sta dove l'ha fissato l'inesorabile ineluttabilità del destino; ma nessuno di noi sa quanto si trovi vicino alla fine; disponiamo, perciò la nostra anima come se fossimo arrivati al momento estremo. Non rinviamo niente; chiudiamo ogni giorno il bilancio con la vita. 8 Il difetto maggiore dell'esistenza è di essere sempre incompiuta e che sempre se ne rimanda una parte. Chi dà ogni giorno l'ultima mano alla sua vita, non ha bisogno di tempo; da questo bisogno nascono la paura e la brama del futuro che rode l'anima. Non c'è niente di più triste che chiedersi quale esito avranno gli eventi futuri; se uno si preoccupa di quanto gli resta da vivere o di come, è agitato da una paura inguaribile. 9 Come sfuggire a questa inquietudine? In un solo modo: la nostra vita non deve protendersi all'avvenire, deve raccogliersi in se stessa; chi non è in grado di vivere il presente, è in balia del futuro. Ma quando ho pagato il debito che avevo con me stesso, quando ho ben chiaro in testa che non c'è differenza tra un giorno e un secolo, posso guardare con distacco il susseguirsi dei giorni e degli eventi futuri e pensare sorridendo al succedersi degli anni. Se uno è saldo di fronte all'incerto, non può turbarlo la varietà e l'incostanza dei casi della vita. 10 Affrettati, perciò a vivere, Lucilio mio, e i singoli giorni siano per te una vita. Chi si forma così e ogni giorno vive compiutamente la sua vita, è tranquillo: se uno vive nella speranza, si sente sfuggire anche il tempo più vicino e subentra in lui l'avidità della vita e l'infelicissima paura della morte che rende altrettanto infelice ogni cosa. Nasce da qui quel vergognosissimo voto di Mecenate che non rifiuta malattie e deformità e in ultimo il supplizio del palo, pur di continuare a vivere anche tra queste sventure:

11 rendimi storpio di una mano, zoppo di una gamba, fammi crescere la gobba, fammi cadere i denti: purché continui a vivere, va bene; conservami la vita anche su un palo di tortura.

12 Egli si augura un destino che sarebbe molto infelice, se si realizzasse, e pur di vivere, chiede un supplizio continuo. Lo considererei già spregevolissimo se volesse vivere fino al momento di salire al patibolo: "Storpiami pure," dice, "purché lo spirito vitale rimanga in questo corpo senza forze e inservibile; sfigurami, purché, mostruoso e deforme, io possa vivere ancòra un po'; impalami, crocifiggimi": vale la pena comprimere la propria ferita e penzolare dalla forca con gli arti slogati, pur di rimandare la cosa più desiderabile quando si soffre: la fine dei tormenti? Val la pena di avere la vita per esalarla? 13 Che cosa potresti augurargli se non la benevolenza degli dèi? A che mirano questi versi turpemente effeminati? A che questo patto nato da una paura insensatissima? E questo mendicare così sconciamente la vita? Potresti pensare che Virgilio abbia mai recitato a Mecenate questo verso:
Morire è, dunque, così triste?
Egli si augura i mali più atroci e desidera prolungare e sopportare le sofferenze più terribili: che ci guadagna? Una vita più lunga naturalmente. Ma che vita è agonizzare a lungo? 14 C'è qualcuno che preferisce consumarsi tra i tormenti, morire membro a membro ed esalare l'anima ripetutamente in uno stillicidio, invece che morire in un sol colpo? C'è qualcuno che vuole prolungare una vita fonte di tante sofferenze, attaccato a quel maledetto palo, ormai storpio, deforme, con una gobba ripugnante sulla schiena e sul petto, quando avrebbe avuto molti motivi per morire anche senza arrivare alla croce? E dimmi ora che non è un grande beneficio della natura l'ineluttabilità della morte. 15 Molti sono pronti a fare patti ancòra più vergognosi: anche a tradire un amico per vivere più a lungo, e a consegnare di persona i figli allo stupro, pur di poter vedere la luce, testimone di tanti delitti. Scuotiamoci di dosso questa smania di vivere e impariamo che non importa quando subiremo quello che dobbiamo prima o poi subire; conta vivere bene, non vivere a lungo; ma spesso il vivere bene consiste proprio nel non vivere a lungo. Stammi bene.

102
1 Quando uno fa un bel sogno, trova fastidiosa la persona che lo sveglia, poiché gli toglie un piacere falso, sì, ma che ha effetti realistici. La tua lettera mi ha procurato un dispiacere analogo: mi ha distolto dalla meditazione conveniente in cui ero concentrato e che, potendo, non avrei interrotto. 2 Indagavo con piacere sull'immortalità dell'anima, anzi, perbacco, ci credevo; ero pronto ad accogliere l'opinione di grandi uomini che promettono, più che dimostrare, una realtà graditissima. Mi abbandonavo a una così straordinaria speranza, provavo ormai disgusto di me stesso, disprezzavo i resti di un'esistenza infranta, per passare all'eternità, nel possesso di ogni tempo, quando l'arrivo della tua lettera mi ha improvvisamente risvegliato e ho perduto un sogno tanto bello. Ma, quando ti avrò congedato, voglio riprenderlo e riconquistarlo.
3 Tu affermi all'inizio della lettera che non ho spiegato interamente la questione, quando ho tentato di dimostrare la tesi degli Stoici: la gloria che si ottiene dopo la morte è un bene. Non avrei, cioè, risposto all'obiezione che ci viene rivolta: "Non c'è bene dove c'è separazione; e, in questo caso, c'è separazione." 4 Quello che mi chiedi, Lucilio mio, rientra nella stessa questione, ma è un altro punto, perciò avevo rimandato questo e altri problemi riguardanti il medesimo argomento; infatti, come sai, certe parti della logica sono unite alla morale. E così, prima ho trattato quella parte che riguarda direttamente la morale: se non sia insensato e inutile spingere le proprie preoccupazioni oltre l'ultimo giorno, se i nostri beni finiscano con noi e non resti più niente della persona scomparsa, se di una cosa che, quando accadrà non la percepiremo, si possa cogliere qualche frutto o almeno cercare di coglierlo prima che essa si verifichi. 5 Tutti questi problemi riguardano la morale; perciò li ho messi al loro posto. Ma le argomentazioni dei dialettici contro questa tesi dovevano essere separate e perciò le ho disgiunte. Ora, poiché esigi una trattazione completa, esporrò tutte le loro obiezioni, poi le confuterò una per una.
6 Perché le mie confutazioni siano chiare, devo fare una premessa. Che premessa? Esistono dei corpi unitari, come l'uomo; altri composti, come una nave, una casa, insomma tutti quelli formati dall'unione di parti diverse; altri costituiti da elementi separati, le cui membra sono divise, come un esercito, un popolo, un'assemblea. Gli individui componenti questi organismi sono uniti per legge o per funzioni analoghe, ma distinti per natura e a se stanti. 7 Ancora una premessa: secondo noi non c'è bene formato da elementi separati tra loro; un bene deve essere racchiuso e retto da un solo principio, unica deve essere la sua essenza. Questo principio, se un giorno vorrai, si dimostra da sé; intanto ho dovuto premetterlo perché ci rivolgono contro le nostre stesse armi.
8 "Voi dite che non c'è bene formato da elementi separati tra loro; ma," ribattono, "la gloria di un uomo nasce dall'opinione favorevole di persone virtuose. Come la fama non è data dalle parole di un unico individuo e l'infamia dalla cattiva opinione di uno solo, così la gloria non la dà l'approvazione di una sola persona virtuosa, ma ci vuole il consenso di molti uomini insigni e ragguardevoli perché si formi. La gloria, però risulta dal parere di più persone, cioè di elementi distinti; quindi non è un bene.
9 "La gloria," continuano, è la lode tributata da uomini virtuosi a un uomo virtuoso; la lode è un'espressione, una frase che indica qualcosa; e una frase, anche se pronunciata da uomini virtuosi, non è un bene. Non tutto quello che fa un uomo virtuoso è un bene; egli applaude e fischia, ma, anche se ogni suo gesto è degno di ammirazione e di lode, un applauso o un fischio, come uno starnuto o un colpo di tosse, nessuno può definirli un bene. Quindi, la gloria non è un bene.
10 "Insomma, diteci se la gloria è un bene di chi loda o di chi è lodato: se dite che è un bene di chi è lodato, fate un'affermazione ridicola, come se diceste che è un bene mio la salute di un altro. Ma lodare chi ne è degno è un'azione virtuosa; perciò è un bene di chi loda, cioè di chi compie l'azione, non nostro, che siamo lodati: e questo è l'oggetto della nostra indagine."
11 Risponderò ora rapidamente a ciascun problema. Prima di tutto ci si chiede se un bene possa derivare da elementi separati e su questo punto i pareri sono discordi. Inoltre, la gloria ha bisogno del consenso di molti? È sufficiente anche il giudizio di una sola persona virtuosa: un uomo virtuoso può giudicare della nostra virtù. 12 "Ma come?" si ribatte, "la fama deriverà dalla stima e l'infamia dalla maldicenza di un solo individuo? Anche la gloria noi la intendiamo ampiamente diffusa," continuano, "poiché richiede il consenso di molti." Si tratta di due condizioni diverse. Perché? Perché se un uomo virtuoso mi giudica bene, per me è come se così mi giudicassero tutti gli uomini virtuosi; tutti, infatti, se mi conoscessero, mi giudicherebbero allo stesso modo. Il loro giudizio è uguale e identico, perché ha un'unica impronta: la verità. Non possono discordare; e dunque è come se tutti fossero del medesimo parere, poiché non possono pensarla diversamente. 13 Per la gloria, invece, o per la fama, non basta l'opinione di una sola persona. Nel caso di prima un solo parere vale quanto quello di tutti, perché, se si domandasse a tutti, uno per uno, unica sarebbe la risposta: nel secondo caso sono diversi i giudizi, poiché sono diverse le persone. Troverai difficilmente approvazione e sempre dubbi, leggerezza, sospetti. Credi che tutti possano esprimere un parere unico? Ma se nemmeno una sola persona ha un parere unico! Gli uomini virtuosi amano la verità e la verità ha una sola forza, una sola faccia: gli altri invece dànno il loro assenso a false opinioni. E il falso è incostante; varia e discorda.
14 "Ma la lode," dicono, "è solo una frase, e una frase non è un bene." Quando affermano che la gloria è una lode tributata a uomini virtuosi da uomini virtuosi, non si riferiscono alle parole, ma al giudizio espresso. Anche se un uomo virtuoso tace, ma giudica uno degno di lode, quest'uomo viene lodato. 15 Inoltre, una cosa è la lode, un'altra il lodare: quest'ultimo richiede anche la parola; perciò nessuno dice lode funebre, ma orazione funebre, poiché è un ufficio che si basa sulla parola. Quando definiamo qualcuno meritevole di lode, non gli promettiamo parole benevoli, ma giudizi benevoli. Dunque, è lode anche quella di chi tace, ma giudica positivamente e loda un uomo virtuoso dentro di sé. 16 E poi, come ho detto, la lode interessa l'animo, non le parole, che fanno da tramite e la rendono nota a più persone. Se uno ritiene dovuta una lode, già loda. Quando quel famoso poeta tragico latino dice che è splendido "essere lodato da un uomo lodato", intende dire da un uomo degno di lode. E quando quell'altro poeta altrettanto antico dice che "la lode alimenta le arti", non intende il lodare, che in realtà corrompe le arti; niente ha guastato tanto l'eloquenza e ogni altra arte rivolta alle orecchie quanto il consenso popolare. 17 La fama ha bisogno in ogni caso della voce; la gloria, invece, può formarsi anche indipendentemente dalla voce, basta un giudizio positivo; anzi non le tolgono nulla non solo il silenzio, ma persino le proteste. Ecco la differenza tra gloria e celebrità: la celebrità si fonda sul giudizio di molti, la gloria su quello delle persone virtuose.
18 "La gloria," chiedono, "cioè la lode tributata a un uomo virtuoso da uomini virtuosi, è un bene di chi è lodato o di chi loda?" Di entrambi. Mio, che vengo lodato; e poiché la natura mi ha generato incline ad amare tutti, godo di aver fatto del bene e mi rallegro di aver trovato grati interpreti delle virtù. Questo essere grati è un bene di molti, ma è anche mio; la mia disposizione d'animo è tale che giudico mio un bene di altri, soprattutto di coloro a cui sono causa di bene. 19 La gloria è un bene anche di chi loda: è un atto della virtù e ogni azione virtuosa è un bene. Ma questo bene non sarebbe toccato loro, se io non fossi quale sono. Perciò una lode meritata è un bene di entrambi, come esprimere un giusto giudizio è un bene di chi giudica e di colui a vantaggio del quale si è pronunciato il giudizio. Dubiti forse che la giustizia sia un bene e per chi la esercita e per colui al quale essa paga un debito? Lodare chi lo merita è una forma di giustizia; dunque, è un bene di entrambi.
20 A questi cavillatori abbiamo risposto abbondantemente. Ma il nostro proposito non deve essere di fare sottili discussioni e di abbassare la filosofia dalla sua altezza a questi ristretti limiti: quanto è meglio avanzare per una via aperta e diritta, invece che costruirsi da sé un tragitto tortuoso da ripercorrere con grave disagio! Queste dispute non sono altro che passatempi di persone che cercano abilmente di sorprendersi a vicenda. 21 Dimmi piuttosto come è conforme alla natura dispiegare la mente nell'immensità dell'universo. L'anima dell'uomo è una cosa grande e nobile; non sopporta che le siano posti altri limiti se non quelli comuni anche agli dèi. Prima di tutto non accetta un'umile patria, sia essa Efeso o Alessandria o qualunque altra terra anche più popolosa e più ricca di case: la sua patria è quella che cinge l'intero universo nel suo cerchio, è tutta la volta celeste entro cui giacciono mari e terre, entro cui l'atmosfera distingue e insieme congiunge l'umano e il divino, in cui sono distribuite tante divinità che attendono vigili all'adempimento delle proprie funzioni. 22 Inoltre l'anima non lascia che le venga assegnata un'esistenza angusta: "Tutti gli anni," afferma, "sono miei; nessun'epoca è preclusa ai grandi spiriti, ogni tempo è aperto al pensiero. Quando arriverà quel giorno che separa questo miscuglio di umano e di divino, lascerò il mio corpo qui dove l'ho trovato, e tornerò tra gli dèi. Non che ora ne sia completamente separata, ma mi trattiene il grave peso terreno." 23 Queste tappe della vita mortale sono una preparazione a quell'altra vita migliore e più lunga. L'utero materno ci ospita per nove mesi e ci prepara non per sé, ma per quel luogo in cui veniamo alla luce già capaci di respirare e di resistere all'aria aperta; allo stesso modo in questo periodo che dall'infanzia si estende alla vecchiaia maturiamo per un altro parto. Ci aspetta un'altra nascita, un altro stato di cose. 24 Noi non possiamo ancora sostenere la vista del cielo, se non a distanza. Perciò guarda intrepido a quell'ora decisiva: è l'ultima, ma per il corpo, non per l'anima. Guarda tutto ciò che ti sta intorno come le suppellettili di una residenza provvisoria: bisogna passare oltre. La natura spoglia chi se ne va, come chi entra. 25 Non possiamo portar via più di quanto avevamo nascendo, anzi bisogna lasciare gran parte anche di ciò che abbiamo portato per vivere: ti sarà tolto questo involucro esterno che ti avvolge, la pelle; ti sarà tolta la carne e il sangue che scorre per l'intero organismo; ti saranno tolte le ossa e i nervi, che sostengono gli elementi liquidi e molli. 26 Questo giorno che temi come ultimo è il primo dell'eternità. Deponi il peso della materia: perché resisti? Anche allora non sei venuto alla luce lasciando il corpo in cui eri celato? Ti aggrappi, opponi resistenza: anche allora tua madre ti ha espulso con un grande sforzo. Gemi, implori: anche questo pianto è proprio di un neonato, ma allora meritavi il perdono: eri venuto al mondo inesperto e ignaro. Uscito dal caldo e morbido rifugio delle viscere materne, ti ha toccato il soffio dell'aria libera, poi hai sentito il contatto di una rozza mano, e ancòra tenero e del tutto inconsapevole sei rimasto attonito di fronte a una realtà sconosciuta: 27 ora invece non è per te una cosa nuova essere separato da un corpo di cui prima facevi parte; abbandona serenamente queste membra ormai inutili e lascia questo corpo a lungo abitato. Sarà lacerato, sepolto, si consumerà: perché ti affliggi? È così: va sempre perduto l'involucro che avvolge chi nasce. Perché ami questo corpo come se fosse tuo? Ti ha solo ricoperto: verrà il giorno che ti staccherà e ti trarrà fuori dalla coabitazione con questo sconcio e fetido ventre. 28 Sottraitene già adesso per quanto ti è possibile, e sii indifferente ai piaceri tranne a quelli che * * * e sono connessi alle necessità della vita, medita fin d'ora su qualcosa di più profondo e nobile: un giorno ti si sveleranno i misteri della natura, si dissiperà codesta nebbia e da ogni parte ti colpirà una luce splendente. Immagina quanto è grande il fulgore di tanti astri che uniscono le loro luci. Nessun'ombra offuscherà il sereno; ogni parte del cielo splenderà ugualmente luminosa: giorno e notte si avvicendano solo nella nostra infima atmosfera. Dirai di essere vissuto nelle tenebre, quando con tutto te stesso vedrai la luce nel pieno del suo fulgore, quella luce che ora vedi confusamente attraverso la strettissima fessura degli occhi, e tuttavia, anche da lontano, la guardi con stupore; quale ti apparirà la luce divina quando la vedrai nella sua sede? 29 Questo pensiero scaccia dall'anima tutto ciò che è meschino, vile, crudele. Ci dice che gli dèi sono testimoni di tutto; comanda di renderci a loro graditi, di prepararci al futuro incontro e di guardare all'eternità. Chi concepisce questo pensiero non ha terrore di nessun esercito, non è spaventato dalla tromba di guerra, nessuna minaccia lo fa temere. 30 Se uno spera nella morte, non può avere paura. Anche chi ritiene che l'anima esista finché è trattenuta dal vincolo del corpo, e che una volta libera si disperda sùbito, opera in modo da poter essere utile anche dopo la morte. Benché venga sottratto alla vista del prossimo, tuttavia
sempre le assedia la mente la straordinaria virtù dell'eroe e la grande nobiltà della sua stirpe.
Pensa quanto ci giovano gli esempi di virtù: saprai che il ricordo dei grandi uomini ci giova quanto la loro presenza. Stammi bene.

103
1 Perché ti dài pensiero di cose che possono succederti, ma che possono anche non succederti? Intendo dire un incendio, un crollo e altri eventi che ci càpitano, ma non stanno lì in agguato: tieni d'occhio piuttosto, ed evitali, quei mali che ci spiano e cercano di coglierci di sorpresa. Fare naufragio, finire sotto una vettura sono casi rari, anche se gravi: mentre dall'uomo viene all'uomo un pericolo costante. Prepàrati ad affrontarlo, tienilo sempre attentamente d'occhio; non c'è male più frequente, più tenace, più insinuante. 2 Il cielo è minaccioso prima che si scateni la tempesta, gli edifici scricchiolano prima di crollare, un incendio lo preannuncia il fumo: il danno che proviene dall'uomo è improvviso e si mimetizza con più cura quanto più è vicino. Sbagli a credere al volto di quelli che ti vengono incontro: hanno l'aspetto di uomini, l'animo di belve; quelle, però sono pericolose al primo attacco; se passano oltre, non ti cercano più. Solo la necessità le spinge a nuocere; assalgono o per fame o per paura: all'uomo, invece, piace annientare l'uomo. 3 Ma il pensiero del pericolo che proviene dall'uomo ti faccia pensare al tuo dovere di uomo; da una parte bada a non subire torti, dall'altra a non farne. Gioisci del bene di tutti, commuoviti del male, e ricorda quello che devi fare e quello che devi evitare. 4 Vivendo così quale vantaggio ne avrai? Sfuggirai agli inganni, se non alle offese. Rifùgiati nella filosofia per quanto ti è possibile: ti proteggerà con le sue braccia, nel suo santuario sarai sicuro o, almeno, più sicuro. Cozzano fra loro solo quelli che camminano lungo la stessa strada. 5 Della filosofia, però, non dovrai vantarti; praticarla con insolenza e arroganza si è risolto per molti in un pericolo: serva a emendarti dai vizi, non a rinfacciarli agli altri. Non discordi dalla moralità comune e non faccia in modo che tu sembri condannare tutto quello che non fai. Si può essere saggi senza ostentazione, senza suscitare astio. Stammi bene.

104
1 Nella mia villa di Nomento ho cercato scampo, cosa credi? dalla città? No, da una febbre, e insidiosa, che si era già impadronita di me. Il medico, dai battiti del polso alterati e irregolari tanto da turbare le normali funzioni, diagnosticava l'inizio di una malattia. Ho dato, perciò ordine di preparare sùbito la carrozza; e, nonostante l'opposizione di Paolina, mi sono ostinato a partire. Avevo davanti agli occhi lo spettacolo del mio caro Gallione, che si era preso la febbre in Grecia e immediatamente si era imbarcato, proclamando che il male non era del suo fisico, ma di quel posto. 2 Questo l'ho detto alla mia Paolina che mi raccomanda sempre la salute. Sapendo che il suo spirito fa tutt'uno col mio, per un riguardo a lei, comincio a riguardarmi io stesso. E mentre la vecchiaia mi ha reso più forte per tanti versi, perdo questo beneficio dell'età; penso che in questo vecchio c'è anche una giovane cui si deve attenzione. E visto che io non ottengo da lei che mi ami con più forza, lei ottiene da me che io mi ami con più cura. 3 Bisogna assecondare gli affetti onesti; e qualche volta, anche se ci sono dei gravi motivi, anche a costo di sofferenze bisogna richiamare lo spirito vitale per rispetto dei propri cari, bisogna trattenerlo coi denti, visto che un uomo virtuoso deve vivere non fino a quando gli piace, ma fino a quando è necessario: chi non stima la moglie o un amico tanto da prolungare la propria esistenza, chi si ostina a voler morire, è uno smidollato. L'anima deve imporsi, quando lo esige il vantaggio delle persone care, di rimandare, non solo se ha deciso di morire, ma anche se ha cominciato a morire, e di compiacere i suoi. 4 È di un animo nobile tornare alla vita per gli altri e i grandi uomini l'hanno fatto spesso. Ma io, benché il massimo frutto di questa età sia una difesa meno preoccupata di se stessi e un'utilizzazione più coraggiosa della vita, ritengo segno di alta umanità anche curare con più attenzione la propria vecchiaia, se sai che ciò è caro, utile e augurabile per qualcuno dei tuoi. 5 E oltretutto una cosa così è di per sé non poco piacevole e gratificante: che cosa c'è di più gradito che essere tanto caro alla moglie da diventare per questo più caro a te stesso? E così la mia Paolina può imputarmi non solo i suoi timori, ma anche i miei.
6 Ti domandi, dunque, che risultato ha avuto la mia decisione di partire? Appena mi sono lasciato alle spalle l'aria pesante della città e quell'odore delle cucine fumanti che, una volta accese, diffondono con la polvere tutti i vapori pestiferi che hanno assorbito, sùbito mi sono accorto che il mio stato di salute era cambiato. E non sto a dirti come mi sia sentito più in forze, una volta giunto ai miei vigneti. Lasciato libero per il pascolo, mi sono buttato sul cibo. Sùbito mi sono ripreso, è scomparso quel torpore di un fisico malfermo e inerte. 7 Mi getto a capofitto nello studio. Non è tanto il luogo che conta per studiare, ma la concentrazione: se uno vuole, può crearsi un suo spazio anche in mezzo a tutte le occupazioni: ma chi si limita a scegliersi un posto e a cercare un po' di tranquillità, troverà dovunque motivi di distrazione. Si racconta che Socrate, a un tizio che si lagnava di non aver tratto nessun giovamento dai suoi continui viaggi, rispose: "È logico che ti sia successo questo; tu andavi in giro con te stesso." 8 Come si troverebbero bene certe persone se si staccassero da se stesse! E invece si opprimono, si affliggono, si guastano, si spaventano, tutto da soli. Traversare gli oceani, cambiare città, cosa serve? Se vuoi liberarti dai tuoi affanni non devi trasferirti altrove, ma diventare un altro. Fa' conto di essere andato ad Atene o a Rodi; scegli a tuo piacere la città: che importanza hanno gli usi e i costumi locali? Tu ci porti i tuoi. 9 Se giudichi un bene il denaro, ti angustierà una povertà - e questa è la cosa più triste - falsa. Per quanto tu possieda molto, se c'è uno più ricco di te, ti sentirai inferiore proprio di quanto lui ha in più. A tuo parere sono gran cosa le cariche: e allora ti tormenterà che Tizio sia stato nominato console, che Caio sia stato rieletto; proverai invidia ogni volta che leggerai ripetutamente il nome di qualcuno negli atti ufficiali. Il furore della tua ambizione sarà così violento che non ti parrà di avere nessuno dietro di te, se hai qualcuno davanti a te. 10 Giudicherai la morte il peggiore dei mali, mentre in realtà nella morte non c'è nulla di male, se non appunto ciò che la precede, il timore. Ti spaventeranno non i pericoli, ma piuttosto i sospetti; sarai sempre agitato da vani fantasmi. E allora che vantaggio ti avrà dato
essere riusciti a scampare a tante città argoliche, essere riusciti a fuggire in mezzo ai nemici?
La pace stessa scatenerà le tue paure; una volta che la mente è turbata, non ci si fida più neppure di ciò che è sicuro, e quando questi timori infondati diventano un'abitudine, non si è più in grado di tutelare se stessi: i pericoli non li evitiamo, li fuggiamo, e se uno gira le spalle, è più vulnerabile. 11 Perdere una persona cara lo giudicherai un male gravissimo, e, invece, questo atteggiamento è sciocco quanto piangere perché le belle piante che adornano la tua casa perdono le foglie. Guarda le cose che ti dànno gioia allo stesso modo in cui guarderesti quelle piante: godine, finché sono fiorenti. Il caso strappa alla vita un giorno uno, un giorno un altro; ma come la perdita delle foglie è facile sopportarla perché rinascono, così è facile sopportare anche la perdita di quelli che amavi e che consideravi la gioia della tua vita, perché, se pure non rinascono, puoi sostituirli. 12 "Ma non saranno gli stessi." Neppure tu sarai lo stesso. Ogni giorno, ogni ora che passa, ti cambia; ma negli altri questo saccheggio del tempo è più evidente, in noi passa inosservato, perché non è manifesto. Gli altri ci vengono strappati, ma noi siamo sottratti a noi stessi furtivamente. A questo non pensi e non cerchi di curare le ferite, ma ti crei da te motivi di preoccupazione ora con la speranza, ora con la disperazione? Se sei saggio, tempera l'una con l'altra: non sperare senza disperarti e non disperare senza qualche speranza.
13 Un viaggio, di per sé, che giovamento ha mai potuto dare? Non modera i piaceri, non frena le passioni, non reprime l'ira, non fiacca gli indomabili impulsi dell'amore, insomma non libera l'anima da nessun male. Non rende assennati, non dissipa l'errore, ma ci attrae temporaneamente con qualche novità come un bambino che ammiri cose sconosciute. 14 Rende, invece, lo spirito, già gravemente infermo, ancora più incostante, e questo agitarsi lo fa diventare più instabile e volubile. E così gli uomini abbandonano con più smania quei posti che avevano tanto smaniosamente cercato, li oltrepassano a volo e se ne vanno più velocemente di quanto erano venuti. 15 Viaggiare ti farà conoscere altre genti, ti mostrerà monti di forme mai viste, pianure di straordinaria grandezza e valli irrigate da corsi d'acqua perenni; attirerà la tua attenzione sulla natura particolare di qualche fiume, come il Nilo che d'estate è gonfio di acque, o come il Tigri che scompare alla vista e, dopo aver percorso un tratto sottoterra, ritorna in tutta la sua grandezza, o come il Meandro, piacevole palestra di tutti i poeti, che si avvolge su se stesso con un corso sempre tortuoso, e spesso, quando è vicino al suo alveo, devia, prima di affluire nelle proprie acque: ma non ti renderà migliore né più assennato. 16 Dobbiamo applicarci allo studio e avere familiarità coi maestri di saggezza per imparare i frutti delle loro ricerche e ricercare le verità non ancora scoperte. Così, sottraendo l'animo alla più misera schiavitù, si rivendica la propria libertà. Ma fino a quando ignorerai che cosa si deve fuggire, che cosa ricercare, che cosa è necessario o superfluo, giusto o ingiusto, questo non sarà viaggiare, ma vagabondare. 17 Correre qua e là non ti servirà a niente: tu vai in giro con le tue passioni, e i tuoi mali ti seguono. E almeno ti seguissero! Sarebbero abbastanza lontani: e invece, non li precedi, li porti con te. Perciò ti assillano dovunque e ti bruciano con la stessa intensità. 18 Il malato deve cercare la medicina adatta, non un nuovo paese. Uno si è rotto una gamba o si è provocato una distorsione: non sale su una carrozza o su una nave, ma chiama il medico, perché gli riduca la frattura o gli sistemi la lussazione. E allora? Secondo te, cambiando paese, puoi guarire un'anima che ha subìto tante fratture e distorsioni? Questo male è troppo grave per curarlo con una passeggiata in vettura. 19 Viaggiare non rende medici o oratori; non c'è scienza che si impari da un luogo: e dunque? La saggezza, la più importante di tutte le scienze, si può forse acquisire in viaggio? Non c'è via, credimi, che ti porti fuori dalle passioni, dall'ira, dalla paura; oppure, se ci fosse, l'umanità vi si dirigerebbe in massa. Questi mali ti incalzeranno e ti tormenteranno nei tuoi vagabondaggi per terra e per mare finché ne porterai con te le cause. 20 Ti stupisci che fuggire non ti serva? I mali che fuggi sono in te. Correggiti, dunque, lìberati dai pesi che porti, e contieni i tuoi desideri entro limiti convenienti; estirpa dall'anima ogni malvagità. Se vuoi fare dei viaggi piacevoli, guarisci chi ti accompagna. L'avarizia ti resterà attaccata addosso, finché vivrai insieme a un avaro taccagno; e così l'orgoglio, finché frequenterai un superbo; non ti libererai della tua crudeltà, se stai con un carnefice; l'amicizia degli adùlteri infiammerà la tua libidine. 21 Se vuoi spogliarti dei vizi, devi stare lontano da esempi di vizi. L'avaro, il corruttore, il crudele, il truffatore, che già nuocerebbero molto se fossero vicini a te, tu li hai dentro di te. Passa a compagni migliori: vivi con Catone, Lelio, Tuberone. E, se ti piace anche stare insieme ai Greci, intrattieniti con Socrate, Zenone: l'uno ti insegnerà a morire se sarà necessario, l'altro prima che sia necessario. 22 Vivi con Crisippo, con Posidonio: essi ti trasmetteranno la conoscenza dell'umano e del divino, ti inviteranno all'operosità e non solamente a parlare con eleganza e a ostentare belle parole per il piacere dell'uditorio, ma a rafforzare l'animo e a ergerlo contro tutte le minacce. In questa vita incerta e agitata c'è un solo porto: disprezzare il futuro, essere fermi e risoluti e pronti a ricevere i colpi della fortuna, in pieno petto, senza nascondersi o temporeggiare. 23 La natura ci ha generati magnanimi, e come a certi animali ha dato la ferocia, ad altri l'astuzia, ad altri la paura, a noi ha dato uno spirito desideroso di gloria e di grandezza, che cerca non dove possa vivere completamente tranquillo, ma dove possa vivere in modo assolutamente onesto, uno spirito molto simile a quell'universo che egli segue e imita per quanto è consentito alle forze umane; si fa avanti, crede di essere lodato e ammirato. 24 È signore di tutto, è superiore a tutto; non si sottometta, perciò a niente; non giudichi niente gravoso, niente capace di piegare un uomo.
Fantasmi terribili a vedersi, la Morte, la Sofferenza.
No assolutamente, se si è in grado di guardarle con sguardo fermo, vincendo le tenebre; molti fantasmi che di notte ci atterriscono, di giorno ci fanno sorridere.
Fantasmi terribili a vedersi, la Morte, la Sofferenza,
ha detto bene il nostro Virgilio: terribili a vedersi, non nella sostanza, cioè sembrano, non sono. 25 Che c'è in loro, ti chiedo, di tanto spaventoso quanto si va dicendo? ma via, per quale ragione, Lucilio mio, un uomo dovrebbe temere la sofferenza, la morte? Tante volte incontro persone che giudicano irrealizzabile tutto quello che loro non possono fare, e sostengono che noi parliamo di cose superiori a quelle che la natura umana può sostenere. 26 Ma io ho di loro una migliore opinione! Anch'essi sono in grado di fare queste cose, ma non vogliono. E poi, hanno mai deluso chi ha tentato? All'atto pratico non sono apparse più facili? Non perché siano difficili non osiamo: sono difficili perché non osiamo.
27 Se poi volete un esempio, prendete Socrate, vecchio paziente, travagliato da sventure di ogni tipo; non lo vinse la povertà, resa più grave dagli oneri familiari, e nemmeno i disagi, che sopportò anche in guerra. In casa, poi, fu messo a dura prova: ‹pensa› sia alla moglie, scorbutica di carattere e petulante, sia ai figli, ribelli e più simili alla madre che al padre. ‹Inoltre› visse o in guerra o sotto la tirannide o in una libertà più crudele della guerra e della tirannide. 28 La guerra durò ventisette anni; quando finì, la città si sottomise al funesto dominio dei trenta tiranni, di cui la maggior parte gli era ostile. In ultimo, fu condannato con accuse gravissime: lo incolpavano di vilipendio alla religione, di corruzione dei giovani, che, si disse, aveva istigato contro gli dèi, gli avi, la città. E poi ci furono il carcere e il veleno. Ma tutto ciò non turbava l'animo di Socrate e neppure il suo volto. Che merito straordinario e singolare! Fino al momento supremo nessuno vide Socrate più allegro o più triste; fu sempre uguale in mezzo a una fortuna tanto mutevole.
29 Vuoi un altro esempio? Prendi M. Catone, il giovane: contro di lui la sorte fu ancòra più ostile e accanita. Sebbene lo avesse sempre avversato, e da ultimo anche in punto di morte, tuttavia egli dimostrò che un uomo valoroso può vivere e morire a dispetto della fortuna. Passò tutta la vita o in mezzo alle guerre civili o in una pace che alimentava nel suo seno la guerra civile e si potrebbe dire che, come Socrate, si tirò fuori dalla schiavitù, a meno che non si pensi che Gneo Pompeo, Cesare e Crasso si allearono per la libertà. 30 Lo stato cambiò mille volte, ma nessuno vide mutamenti in Catone; si mostrò sempre lo stesso in ogni condizione, nella pretura, nella sconfitta elettorale, nei momenti dell'accusa, nel governo della provincia, nei discorsi, nell'esercito, nella morte. Infine, in quel turbamento generale dello stato, mentre da una parte Cesare era sostenuto da dieci bellicosissime legioni e da interi presidî di milizie straniere, e dall'altra c'era Gneo Pompeo, che bastava da solo contro tutti, mentre alcuni parteggiavano per Cesare, altri per Pompeo, unicamente Catone prese le parti della repubblica. 31 E a voler esaminare il quadro del tempo, si vedrà da un lato la plebe e tutto il popolino teso alle novità, dall'altro gli ottimati e i cavalieri, che rappresentavano la parte migliore e più onesta della città, e in mezzo, soli, la repubblica e Catone. Ti stupirai di sicuro vedendo:
l'Atride e Priamo e Achille a entrambi ostile;
egli disapprova entrambi e vorrebbe disarmare sia l'uno che l'altro. 32 Su loro pronuncia questo giudizio: se vincerà Cesare, morirà; se Pompeo, andrà in esilio. Che aveva da temere se egli stesso, vincitore o vinto, si era assegnato una pena quale potevano assegnargli i nemici più acerrimi? Morì, dunque, per sua decisione. 33 Vedi che gli uomini possono sopportare la fatica: egli condusse a piedi l'esercito attraverso i deserti dell'Africa. Vedi che è possibile sopportare la sete: su aride colline, senza salmerie, trascinandosi dietro i resti dell'esercito sconfitto, sopportò la mancanza d'acqua con la corazza addosso e, tutte le volte che trovavano da bere, bevve per ultimo. Vedi che si possono disprezzare onore e infamia: nel giorno stesso della sua sconfitta elettorale giocò a palla dove si tenevano i comizi. Vedi che si può non temere la potenza dei più forti: sfidò Pompeo e Cesare insieme, mentre nessuno osava offendere l'uno se non per accattivarsi la benevolenza dell'altro. Vedi che si possono disprezzare sia l'esilio che la morte: egli si impose sia l'esilio che la morte, e nel frattempo la guerra. 34 Possiamo, perciò contro queste sventure dimostrare un uguale coraggio, purché vogliamo liberare il collo dal giogo. Per prima cosa dobbiamo rifiutare i piaceri: snervano, rendono languidi, pretendono molto e questo molto va preteso dalla fortuna. Poi dobbiamo disdegnare le ricchezze: sono il compenso della schiavitù. Lasciamo da parte l'oro, l'argento e tutto ciò che riempie le case dei ricchi: la libertà non è gratuita. Se l'apprezzi molto, devi disprezzare tutto il resto. Stammi bene.

105
1 Ecco che regole devi osservare per vivere più tranquillo. Ritengo opportuno, però che tu ascolti questi insegnamenti come se io ti consigliassi la maniera di salvaguardare la tua salute nella zona di Ardea. Considera i motivi che spingono un uomo a fare del male a un altro uomo; troverai la speranza, l'invidia, l'antipatia, la paura, il disprezzo. 2 Di tutti questi il disprezzo è il meno grave, tanto che molti vi si rifugiano per mettersi al riparo. Se uno disprezza, calpesta, è vero, ma poi passa oltre; nessuno fa del male con tenacia, con accanimento a una persona che disprezza; anche in battaglia non si bada al caduto, si combatte contro chi sta in piedi.
3 La speranza dei malvagi potrai evitarla se non possiedi niente che susciti la maligna cupidigia degli altri, niente che si distingua; si desiderano, infatti, anche beni da poco, se sono insoliti o rari. All'invidia sfuggirai evitando di metterti in mostra, di ostentare i tuoi beni, e se saprai godere interiormente. L'odio, o nasce da un'offesa, e lo eviterai non provocando nessuno; o è gratuito, e allora te ne difenderà il buon senso. Molti, però hanno corso questo pericolo: sono stati odiati senza avere un nemico. 4 Perché la gente non debba aver paura di te, saranno sufficienti sia una modesta fortuna, sia un'indole mite: si sappia che ti si può offendere senza rischio di ritorsioni; sii pronto e risoluto nel riconciliarti. Essere temuti è dannoso sia in casa che fuori, sia dagli schiavi che dagli uomini liberi: tutti sono sufficientemente forti per fare del male. Inoltre, chi è temuto, teme: e se uno terrorizza gli altri, non può vivere tranquillo. 5 Rimane il disprezzo: se uno se lo impone da sé, se viene disprezzato per volontà sua e non perché sia giusto così, può regolarne la misura. Dal fastidio che ci provoca ci liberano e i sani princìpî e l'amicizia delle persone influenti presso un potente; con costoro sarà utile essere in relazione, ma non troppo stretta, perché il rimedio non sia peggiore del pericolo.
6 Non c'è niente, però che giovi quanto starsene tranquilli e parlare pochissimo con gli altri e il più possibile con se stessi. Le parole hanno una dolcezza che si insinua carezzevole e, come fanno l'ubriachezza o l'amore, tira fuori i segreti. Nessuno manterrà il silenzio su quello che ha udito, nessuno dirà solo quanto ha udito; chi riferisce un fatto, ne riferirà anche l'autore. Ognuno ha un amico cui confidare quanto è stato confidato a lui stesso; per quanto tenga a freno la sua loquacità e si contenti di raccontare la cosa a uno solo, a poco a poco il numero delle persone che sanno si ingigantirà; e così il segreto diventa di dominio pubblico.
7 Quanto alla sicurezza, gran parte di essa consiste nel comportarsi bene con tutti: i prepotenti vivono una vita turbata e inquieta, le loro paure sono proporzionali al male che fanno, e non stanno mai tranquilli. Le cattive azioni compiute li rendono trepidanti e incerti; la loro coscienza non li lascia occuparsi d'altro e li costringe a comparire davanti al suo tribunale. L'attesa del castigo è già una pena; e chi sa di meritarlo, lo attende. 8 Se uno ha sulla coscienza un delitto, può a volte rimanere impunito, ma non sarà mai sereno; anche se non viene scoperto, pensa di poterlo essere; fa sonni agitati e ogni volta che si parla del delitto di un altro, pensa al suo; non gli sembra sufficientemente dimenticato, sufficientemente coperto. Un malfattore può avere la fortuna di rimanere na-
scosto, ma non ne ha mai la certezza. Stammi bene.

106
1 Rispondo con un certo ritardo alle tue lettere, non perché sia preso dagli impegni. Guàrdati bene dal credere a una simile scusa: il tempo ce l'ho e ce l'hanno tutti, basta volerlo. Gli impegni non inseguono nessuno: sono gli uomini ad abbracciarli e a ritenerli un segno di felicità. Perché, allora, non ti ho risposto sùbito? L'argomento di cui domandavi rientrava nel piano della mia opera; 2 tu sai che voglio trattare la filosofia morale nel suo complesso ed esaminarne tutti i problemi connessi. Perciò ero in dubbio se rimandare la risposta finché non fossi arrivato al punto, oppure soddisfare la tua richiesta, senza seguire la successione degli argomenti: mi è sembrato più cortese non far aspettare chi viene da tanto lontano. 3 Estrapolerò dunque, questo tema dalla successione di quelli ad esso concatenati e se ce ne saranno altri simili, te li riferirò spontaneamente senza che tu lo chieda.
Vuoi sapere di che si tratta? Di problemi la cui conoscenza è più piacevole che utile, come l'oggetto della tua domanda: il bene ha un corpo? 4 Il bene agisce, perché è utile; e quello che agisce è un corpo. Il bene sprona l'anima e in un certo modo la forma e la disciplina, e queste sono attività di un corpo. I beni del corpo sono corpi, quindi lo sono anche i beni dell'animo, perché anche l'anima è un corpo. 5 Il bene dell'uomo è necessariamente un corpo, perché l'uomo è corporeo. Mentirei se affermassi che anche le sostanze che lo alimentano e che gli garantiscono la salute o gliela restituiscono non sono corpi, quindi, anche il suo bene è corpo. Non penso che tu dubiterai che i sentimenti, come l'ira, l'amore, la tristezza, sono corpi (e questo per aggiungere anche argomenti di cui non domandi), se non dubiti che ci fanno cambiare espressione, corrugare la fronte, distendere il volto, arrossire, impallidire. E allora? Non credi che solo un corpo possa provocare delle reazioni così chiaramente fisiche? 6 Se sono corpi i sentimenti, lo saranno anche i mali dell'anima, come l'avarizia, la crudeltà, i vizi incalliti e ormai incorreggibili; e quindi anche la malvagità e tutte le sue forme, ossia il malanimo, l'invidia, la superbia; 7 e di conseguenza, anche i beni, prima di tutto perché sono il loro contrario, poi perché si presentano con i medesimi segni. O forse non vedi che vigore dia allo sguardo la fortezza? Che intensità la prudenza? Che aria di modestia e di calma la verecondia? Che serenità la gioia? Che comportamento austero la gravità? Che senso di remissività la dolcezza? Quindi, sono corpi quei fattori che cambiano il colore e lo stato dei corpi e che esercitano su di essi il loro potere. Ora, tutte le virtù che ho elencato, e tutto quello che ne deriva, sono beni. 8 Non c'è dubbio poi che, se una cosa ha la capacità di toccare, sia corpo.
Niente può infatti, toccare o essere toccato, se non il corpo
dice Lucrezio. Ma tutte le cose sopraddette non potrebbero trasformare un corpo, se non lo toccassero; dunque, sono corpi. 9 Ora, anche quegli elementi che hanno tanta forza da spingere, costringere, trattenere, inibire sono corpi. Ebbene? Il timore non ci trattiene? L'audacia non ci spinge? La fortezza non ci incita e ci dà slancio? La moderazione non ci frena e ci richiama? La gioia non ci esalta? La tristezza non ci abbatte? 10 Infine, ogni nostra azione ce la comanda o la malvagità o la virtù: ciò che comanda il corpo, è corpo, ciò che fa violenza al corpo, è corpo. Il bene del corpo è corporeo, il bene dell'uomo è anche bene del corpo, perciò è corporeo.
11 Poiché ho obbedito al tuo desiderio, ora esprimerò io stesso quel giudizio che, penso, esprimerai tu: facciamo dei giochetti inutili e ci perdiamo in sottigliezze superflue: questi ragionamenti non ci rendono virtuosi, ma dotti. 12 Il sapere è una cosa più chiara, anzi più semplice: basta poco studio per arrivare alla saggezza; noi, invece, disperdiamo in speculazioni inutili anche la filosofia come tutto il resto. Pure negli studi soffriamo di intemperanza come in ogni altra attività: impariamo per la scuola, non per la vita. Stammi bene.

107
1 Dove è finita la tua prudenza? Dove il tuo acuto discernimento? E la tua grandezza d'animo? Una simile inezia ti turba? Le tue occupazioni hanno fornito ai tuoi schiavi l'opportunità di fuggire. Se ti ingannassero degli amici (designiamoli pure col nome che abbiamo dato loro a torto e chiamiamoli così per non usare termini troppo dispregiativi) * * * ma a tutto il tuo patrimonio mancano ora delle persone che disprezzavano la tua attività e ti giudicavano gravoso per il prossimo. 2 Non c'è niente di insolito, niente di inaspettato; urtarsi per fatti del genere è ridicolo come lagnarsi di essere spruzzati in un bagno pubblico o spinti in mezzo alla folla o imbrattati stando nel fango. Nella vita è lo stesso che al bagno pubblico o tra la folla o durante un viaggio: qualche torto ti viene fatto di proposito, qualche altro è fortuito. Vivere non è una delizia. Hai intrapreso un lungo cammino: scivolerai, cozzerai, cadrai, ti sentirai stanco, invocherai - mentendo - la morte. Qui lascerai un compagno, là ne seppellirai un altro, più avanti un altro ancora ti farà paura: devi affrontare simili avversità per percorrere questo aspro sentiero. 3 Vogliamo morire? Prepariamoci, invece, ad ogni evenienza, persuasi di essere arrivati dove scoppia il fulmine; dove:
hanno il loro covo il Pianto e gli Affanni vendicatori, dove abitano le pallide Malattie e la triste Vecchiaia.
Con questi compagni dobbiamo vivere. Non puoi sfuggirli, ma puoi disprezzarli; e li disprezzerai, se rifletterai spesso e saprai prevedere quelli che ti colpiranno. 4 Tutti affrontano con maggiore coraggio gli eventi cui si sono preparati a lungo, e resistono anche alle difficoltà, se le hanno previste: chi, invece, è impreparato teme anche le piccolezze. Facciamo in modo che niente ci giunga inaspettato: e poiché l'imprevisto aggrava ogni disgrazia, una riflessione continua ti porterà a non farti sorprendere da nessun male.
5 "Gli schiavi mi hanno abbandonato." Qualche altro lo hanno spogliato, accusato, ucciso, tradito, malmenato, hanno attentato alla sua vita col veleno e con false imputazioni: qualunque sventura nomini, è capitata e in sèguito ‹capiterà› a molti. Tanti e tanto vari sono i colpi diretti contro di noi. Alcuni ci hanno già feriti, altri balenano e stanno per arrivare, altri, che non erano diretti a noi, ci sfiorano. 6 Non stupiamoci di cose alle quali siamo destinati dalla nascita; nessuno se ne deve lagnare: sono uguali per tutti. Lo ripeto, uguali per tutti; anche se uno sfugge a quei colpi, avrebbe potuto subirli. Una legge è equa non perché serve a tutti, ma perché è promulgata per tutti. Imponiamoci pacatezza e paghiamo senza lamentarci il tributo della nostra mortalità. 7 L'inverno porta il freddo: avremo freddo. L'estate porta il caldo: avremo caldo. Il tempo variabile attenta alla nostra salute: rassegniamoci a star male. In qualche posto ci imbatteremo in una belva oppure in un uomo più pericoloso di tutte le belve. Qualcosa ce la toglierà l'acqua, qualcosa il fuoco. Questa situazione non la possiamo cambiare: possiamo, però formarci un animo grande e degno di un uomo virtuoso, per sopportare da forti gli imprevisti ed essere in armonia con la natura. 8 La natura governa coi cambiamenti il regno che tu vedi: alle nuvole succede il sereno; il mare è calmo e poi si agita; i venti soffiano ora in una direzione, ora nell'altra; il giorno segue la notte; una parte del cielo si leva, un'altra sprofonda: è la legge degli opposti a perpetuare l'universo. 9 A essa noi dobbiamo uniformare il nostro spirito; seguiamola, obbediamole; e ogni avvenimento stimiamolo necessario: non rimproveriamo la natura. L'atteggiamento migliore è sopportare quello che non si può correggere e seguire la volontà di dio senza lagnarsi: tutto proviene da lui; non è un buon soldato chi segue il comandante e si lamenta. 10 Accogliamo perciò gli ordini senza pigrizia, prontamente, e non abbandoniamo il corso di questa meravigliosa opera, intessuta anche di ogni nostra sofferenza; e a Giove, che governa e dirige l'universo, rivolgiamoci con quegli eloquentissimi versi con cui gli si è rivolto il nostro Cleante e che io, sull'esempio di Cicerone, uomo di grande eloquenza, mi permetto di tradurre nella nostra lingua. Se ti piacciono prendili per buoni; in caso contrario sai che ho seguìto in questo l'esempio di Cicerone.

11 Conducimi dove vuoi, Padre e Signore dell'alto cielo: non esiterò a ubbidirti; sono pronto. Se non volessi, dovrei seguirti piangendo e dovrei subire di malanimo ciò che potevo fare volentieri. Il fato guida chi è consenziente, trascina chi si oppone.

12 Sia questa la nostra vita, siano queste le nostre parole; il destino ci trovi pronti e attivi. È grande l'anima che si abbandona al destino: ma è meschina e vile se lotta contro di esso e disprezza l'ordine dell'universo e preferisce correggere gli dèi piuttosto che se stessa. Stammi bene.

108
1 L'argomento su cui mi interroghi è uno di quelli che importa sapere solo per il gusto di sapere. Ma poiché importa saperlo, hai fretta e non vuoi aspettare i libri che proprio ora sto preparando e che riguardano tutta quanta l'etica. Ti accontenterò sùbito; prima, però, voglio scriverti come va regolata, perché non sia di impedimento a se stessa, questa avidità di sapere, di cui, lo vedo, tu bruci. 2 Non bisogna attingere qua e là, e nemmeno gettarsi con avidità su tutto il sapere: attraverso le singole parti arriverai alla conoscenza del tutto. Bisogna adattare il peso alle forze: non dobbiamo accollarcene uno superiore alle nostre capacità. Attingi non quanto vuoi, ma quanto puoi contenere. Solo, mantieni l'animo onesto: capacità e volere si equivarranno. L'animo più riceve, più si dilata.
3 Attalo, ricordo, mi insegnava questo, quando frequentavo la sua scuola ed ero il primo a entrare e l'ultimo a uscire, e lo invitavo a qualche discussione anche mentre passeggiava; egli non era solo disponibile, ma veniva anche incontro ai suoi discepoli. "Maestro e allievo devono avere lo stesso proposito," diceva, "l'uno far progredire, l'altro voler progredire." 4 Chi frequenta un filosofo, ne tragga ogni giorno un qualche profitto: ritorni a casa o più sano o più sanabile. E ritornerà così: l'efficacia della filosofia è tale da giovare non solo a chi vi si applica con fervore, ma anche a chi si limita a un semplice contatto. Se uno sta al sole, si abbronza anche se non era questo il suo scopo; se uno si è fermato in una profumeria e vi si è trattenuto per un po', gli rimane addosso l'odore; anche chi frequenta un filosofo, sia pure distrattamente, ne trae per forza un qualche vantaggio. Attento, però alle mie parole: distrattamente, non opponendo resistenza.
5 "E come? Non conosciamo certe persone che hanno frequentato per anni un filosofo senza riportarne nemmeno un'infarinatura?" E come non conoscerli? Tenacissimi e assidui, per me sono inquilini, non allievi dei filosofi. 6 Certi vengono per ascoltare, non per imparare, come si va a teatro per il piacere di farsi accarezzare le orecchie da un bel discorso o una bella voce o un bel lavoro. Per gran parte dei frequentatori, lo vedrai, la scuola di un filosofo è un luogo dove passare il tempo libero. Non cercano di liberarsi di qualche vizio, di apprendere una legge di vita per regolare il proprio comportamento, ma di godere dei piaceri dell'udito. Certi portano anche un taccuino per segnarvi non concetti, ma parole che ripeteranno senza profitto per gli altri come le ascoltano senza profitto per sé. 7 Alcuni poi si infiammano nell'udire splendidi discorsi e con volto e animo commosso si immedesimano in chi parla e si eccitano come fanno gli eunuchi al suono del flauto frigio invasati da quel segnale. Li trascina e li stimola la bellezza dei concetti, non il vano suono delle parole. Se qualcuno parla con coraggio contro la morte, o con sprezzo contro la fortuna, vogliono sùbito mettere in pratica le parole ascoltate. Rimangono impressionati da quei discorsi e si comportano come è stato loro comandato, se rimangono nella medesima disposizione di spirito, se la folla che scoraggia sempre i sentimenti onesti, non infrange sùbito il loro nobile slancio: pochi riescono a ritornare a casa con i primitivi propositi. 8 È facile spingere chi ascolta a desiderare il bene: in ogni uomo la natura ha gettato le fondamenta e il seme delle virtù. Siamo nati tutti per compiere il bene: se c'è uno che ci stimola, quei nobili istinti come sopiti, si risvegliano. Non senti in teatro l'eco degli applausi quando risuonano quelle frasi che tutti riconosciamo, che all'unanimità proclamiamo vere?

9 Alla povertà manca molto, all'avarizia tutto.
L'avaro non è buono verso nessuno, pessimo con se stesso.
Anche l'avaraccio applaude questi versi e gode che i suoi vizi siano scherniti: secondo te questo non accade ancor più quando è un filosofo a parlare, quando ai precetti salutari si inframmezzano versi, che li faranno penetrare con più efficacia nell'animo degli ignoranti? 10 Diceva Cleante: "Il nostro fiato produce un suono più squillante quando passa attraverso lo stretto e lungo canale di una tromba e ne fuoriesce alla fine da un'apertura più grande, così i ristretti vincoli della poesia rendono più vivi i nostri pensieri." Gli stessi concetti si ascoltano più distrattamente e colpiscono meno se detti in prosa: quando si aggiunge il ritmo e versi ben determinati esprimono in forma concisa un pensiero significativo, quella stessa massima è come scagliata da un braccio più vigoroso. 11 Si parla molto del disprezzo del denaro e con lunghissimi discorsi si insegna agli uomini che la ricchezza sta nell'anima, non nei beni materiali, che è veramente ricco chi si adatta alla sua povertà e si fa ricco con poco; gli animi, però sono più colpiti da versi di questo tipo:
Ha pochissime necessità l'uomo che ha pochissimi desideri.
Se uno vuole quanto basta, ha ciò che vuole.

12 Quando ascoltiamo queste e altre massime del genere, siamo indotti a riconoscerne la veridicità; anche coloro che non sono mai sazi mostrano ammirazione, acclamano, dichiarano odio per il denaro. Quando vedrai questo loro stato d'animo, incalza, premi, coprili di esortazioni, lasciando da parte le ambiguità, i sillogismi, i cavilli e gli altri giochi di sottigliezze inutili. Parla contro l'avarizia, parla contro la dissolutezza; quando ti renderai conto di aver guadagnato terreno e di aver colpito l'animo degli ascoltatori, incalza con più energia: è straordinaria l'efficacia di questo tipo di eloquenza tesa a risanare e interamente volta al bene di chi ascolta. È facilissimo indirizzare all'amore dell'onestà e della virtù l'animo dei giovani: sono ancora plasmabili e incorrotti, e la verità, se trova un buon avvocato, se ne impadronisce facilmente. 13 Io, almeno, quando ascoltavo Attalo fustigare i vizi, le aberrazioni, i mali della vita, ho spesso provato compassione dell'umanità e l'ho giudicato un'anima nobile e superiore a ogni grandezza terrena. Diceva di essere un re, ma a me sembrava superiore, poiché i re li poteva censurare. 14 Quando poi cominciava a lodare la povertà e a dimostrare come tutto ciò che eccede il bisogno è un peso superfluo e pesante a reggersi, tante volte avrei voluto uscire povero dalla scuola. Quando cominciava a schernire i piaceri, a lodare la castità, la frugalità, la purezza di un'anima aliena non solo dai piaceri illeciti, ma anche da quelli superflui, avrei voluto limitare la mia gola e il mio ventre. 15 Di questi insegnamenti qualcosa mi è rimasto, Lucilio mio; avevo cominciato tutto con grande slancio; poi, ritornato alla vita della città, ho mantenuto pochi dei miei buoni propositi. Da allora ho rinunciato per tutta la vita alle ostriche e ai funghi: non sono cibi, ma leccornie che fanno mangiare anche quando si è sazi (cosa graditissima agli ingordi e a chi si rimpinza oltre misura), vanno giù con facilità, con facilità si vomitano. 16 Da allora per tutta la vita non ho usato profumi, perché il miglior odore sul corpo è non averne nessuno; da allora non ho più bevuto vino. Da allora ho sempre evitato i bagni caldi: ritengo inutile e insieme segno di mollezza far cuocere il corpo ed esaurirlo col sudore. Le altre abitudini che avevo eliminato sono ritornate; non ho mantenuto l'astinenza totale, ma ho conservato una misura molto vicina all'astinenza, forse più difficile, poiché certe consuetudini è più facile troncarle che moderarle.
17 Visto che ho cominciato a raccontarti come da giovane mi sono accostato alla filosofia con uno slancio maggiore di quello con cui continuo da vecchio, non mi vergognerò di confessarti il mio amore per la filosofia pitagorica. Sozione spiegava perché Pitagora si era astenuto, dal mangiar carne e perché in sèguito se ne era astenuto Sestio. Le loro motivazioni erano diverse, ma entrambe nobili. 18 Secondo Sestio l'uomo dispone di una quantità sufficiente di alimenti senza che versi sangue e inoltre, quando si straziano dei corpi per il proprio piacere, si crea un'abitudine alla crudeltà. Aggiungeva poi che dobbiamo ridurre i motivi di dissolutezza; e concludeva che la varietà di alimenti è dannosa alla salute e nociva al nostro corpo. 19 Pitagora, invece, sosteneva l'esistenza di una parentela di tutti gli esseri fra loro e la trasmigrazione delle anime da una forma di vita all'altra. Nessun'anima, secondo lui, muore o rimane inerte, se non nell'attimo in cui passa in un altro corpo. Vedremo in sèguito attraverso quali avvicendamenti e quando, dopo aver cambiato più dimore, l'anima ritorni in un uomo: diciamo intanto che egli ha fatto nascere negli uomini la paura di un delitto e di un parricidio, data la possibilità d'imbattersi, senza saperlo, nell'anima di un genitore, e di oltraggiarla scannando o mangiando un essere in cui alberga lo spirito di qualche congiunto. 20 Sozione mi espose queste teorie e vi aggiunse argomentazioni sue proprie, poi mi chiese: "Non credi che le anime siano assegnate successivamente a corpi diversi e che quella che chiamiamo morte sia solo un trapasso? Non credi che negli animali domestici o feroci o acquatici possa esserci l'anima che un tempo fu di un uomo? Non credi che nulla finisca in questo mondo, ma muti unicamente sede? Che non solo i corpi celesti percorrano un cammino prefissato, ma anche gli esseri animati abbiano i loro cicli e che le anime seguano una loro orbita? 21 Grandi uomini hanno creduto a queste teorie. Astieniti perciò da un giudizio e lascia tutto in sospeso. Se queste teorie sono vere, l'astinenza dalle carni ci rende immuni da colpe; se sono false, ci rende frugali. Che danno te ne deriva a crederci? Ti impedisco di nutrirti come i leoni e gli avvoltoi." 22 Stimolato da questi discorsi, cominciai ad astenermi dalle carni: dopo un anno era diventata per me un'abitudine non solo facile, ma anche piacevole. Avevo la sensazione che il mio spirito fosse più vivace, ma oggi non potrei dirti con sicurezza se lo fosse veramente. Vuoi sapere come ho abbandonato questa pratica? La mia giovinezza coincise con i primi anni del regno di Tiberio: i culti stranieri erano allora messi al bando e l'astinenza dalle carni di certi animali era considerata una prova di pratiche superstiziose. Per le preghiere di mio padre, che non temeva le false accuse, ma odiava la ffldsofia, ritornai alle vecchie abitudini; egli mi convinse senza difficoltà a mangiare meglio. 23 Attalo, poi, raccomandava di dormire su un materasso duro: e io anche ora, da vecchio, ne uso uno su cui non rimane il segno del corpo.
Ti ho raccontato questo per dimostrarti come siano impetuosi da principio gli slanci dei novizi verso tutte le virtù, se qualcuno li stimola e li sprona. Ma qualche errore si commette per colpa dei maestri che ci insegnano a discutere, non a vivere, qualche altro per colpa dei discepoli che frequentano le scuole non col proposito di esercitare lo spirito, ma l'ingegno. Così quella che fu filosofia è diventata filologia. 24 È molto importante, però, il proposito con cui ci si accosta a una qualunque materia. Se uno studia Virgilio come grammatico, non legge quello straordinario verso:
Fugge inesorabile il tempo
con questo spirito: "Bisogna stare all'erta; se non ci affrettiamo, rimarremo indietro; i giorni ci incalzano e si incalzano veloci; siamo trascinati via e non ce ne rendiamo conto; rimettiamo tutto al futuro e indugiamo mentre ogni cosa precipita": nota, invece, come ogni volta che parla della celerità del tempo, Virgilio usa questo verbo: "fugge".
I giorni migliori della vita sfuggono per primi ai miseri mortali; sopraggiungono le malattie la triste vecchiaia la sofferenza, e ci trascina via la morte spietata e crudele.

25 Chi ha di mira la filosofia, interpreta questi stessi versi nella maniera dovuta. "Virgilio," osserva, "non dice mai che i giorni passano, ma che fuggono, verbo che indica il modo più rapido di correre, e che i giorni migliori ci vengono strappati per primi: perché dunque non ci incitiamo a uguagliare la rapidità di una cosa tanto veloce? Il meglio svanisce, subentra il peggio." 26 Come da un'anfora fuoriesce prima il vino più schietto, mentre il più pesante e torbido sedimenta, così della nostra esistenza la parte migliore è la prima. E noi lasciamo che altri l'attingano e ce ne riserviamo la feccia? Imprimiamoci nell'anima questi versi e consideriamoli quasi il responso di un oracolo:
I giorni migliori della vita sfuggono per primi al miseri mortali.

27 Perché i migliori? Perché quanto rimane è incerto. Perché i migliori? Perché da giovani possiamo imparare, possiamo indirizzare al meglio l'anima ancora docile e duttile; perché questo periodo è adatto alle fatiche, adatto a stimolare la mente con gli studi e a esercitare il corpo con il lavoro: negli anni che ci rimangono siamo più deboli e fiacchi e più vicini alla fine. Perseguiamo perciò un unico scopo con tutta l'anima e, tralasciato ogni motivo di distrazione, diamoci da fare solo a questo fine: che non ci si debba accorgere, quando ormai siamo rimasti indietro, di questa rovinosissima e irrefrenabile velocità del tempo. Apprezziamo i nostri primi giorni come i migliori e traiamone profitto. Impadroniamoci del tempo che fugge. 28Se uno legge questi versi con gli occhi dell'erudito non pensa che i primi giorni siano i migliori perché poi subentrano le malattie, la vecchiaia incalza e sovrasta gli uomini quando ancòra pensano all'adolescenza, ma nota come Virgilio colleghi sempre malattie e vecchiaia, e a ragione: la vecchiaia è una malattia inguaribile. 29"Inoltre" egli aggiunge "Virgilio dà alla vecchiaia questo attributo, la chiama 'triste':
subentrano le malattie e la triste vecchiaia.
In un altro passo scrive:
vi abitano le pallide Malattie e la triste Vecchiaia."
Non c'è da meravigliarsi che dalla stessa materia ciascuno ricavi argomenti convenienti ai suoi studi: in uno stesso prato il bue cerca l'erba, il cane la lepre, la cicogna le lucertole.
30Quando un fdologo, un grammatico e un filosofo prendono in mano il De re publica di Cicerone, ciascuno rivolge la sua attenzione a elementi diversi. Il filosofo si meraviglia che si sia potuto parlare tanto contro la giustizia. Se alla stessa lettura si dedica invece il filologo, nota che ci sono due re di Roma di cui non si conosce dell'uno a padre, dell'altro la madre. Infatti non si sa con certezza chi fu la madre di Servio, di Anco non si menziona il padre: viene indicato come nipote di Numa. 31 Osserva inoltre che fi magistrato che noi chiamiamo dittatore e che nei libri di storia viene così nominato, gli antichi lo chiamavano "maestro del popolo". E oggi questo risulta evidente dal libro degli àuguri, e lo prova il fatto che la persona nominata dal dittatore è il "maestro della cavalleria". Analogamente osserva che Romolo morì durante un'eclissi di sole; che ci si poteva appellare al popolo anche contro le sentenze dei re; così risulterebbe dai libri dei pontefici secondo Fenestella e altri studiosi. 32 Se è il grammatico a fare l'esegesi dei medesimi libri, annota sùbito che Cicerone scrive reapse cioè re ipsa e sepse cioè se ipse. Poi passa a quelle espressioni che sono cambiate nel tempo, come in quel passo di Cicerone
poiché la sua interruzione ci ha riportati indietro dalla calce.
La meta nel circo che ora chiamiamo creta, un tempo si chiamava calx. 33 Quindi raccoglie i versi di Ennio, e soprattutto quelli sull'Africano:
cui nessun concittadino o nemico potrà reddere opis pretium per le sue imprese.
Egli ne deduce che in passato ops significava non solo 'aiuto', ma anche 'opera'. Ennio, infatti, vuol dire che nessun concittadino o nemico poté compensare l'opera di Scipione. 34 Si riterrà poi felice per aver trovato il modello di Virgilio:
e sopra di lui tuona l'immensa porta del cielo.
Dirà che Ennio l'ha preso da Omero, e Virgilio da Ennio; poiché in Cicerone, negli stessi libri del De re publica, si trova questo epigramma di Ennio:
se è lecito a un uomo salire alle regioni celesti, per me solo si apre l'immensa porta del cielo.

35 Ma per non finire anch'io, che ho ben altri intenti, tra i filologi e i grammatici, ti ricordo che i filosofi vanno ascoltati o letti avendo di mira la felicità e non per cogliere gli arcaismi o i neologismi, le metafore insensate e le figure retoriche, bensì i precetti utili, le massime nobili e coraggiose da mettere sùbito in pratica. Assimiliamo questi insegnamenti in modo che le parole si traducano in opere. 36 Da parte mia non giudico nessuno più dannoso all'umanità di quegli uomini che hanno imparato la filosofia come un'arte per arricchirsi e vivono in contrasto con i loro insegnamenti. Diventano loro stessi esempio di una disciplina inutile, schiavi come sono di tutti i vizi che condannano. 37 Un simile maestro mi è utile quanto un timoniere che vomita in piena tempesta. Bisogna tener saldo il timone contro la violenza delle onde, lottare col mare, sottrarre le vele alla furia del vento: come può essermi di aiuto un timoniere stordito e in preda al vomito? Non pensi che la nostra vita sia sconvolta da tempeste più violente che una nave? C'è bisogno di una guida sicura, non di parole. 38 Tutti i princìpî che espongono, che vanno ripetendo alla folla in ascolto, sono di altri: di Platone, Zenone, Crisippo, Posidonio e di un vasto gruppo di tanti insigni filosofi. Ecco come possono dimostrare che questi princìpî sono i loro: agiscano come parlano.
39 Ti ho ormai detto quanto volevo; soddisfarò ora il tuo desiderio e ti scriverò tutte le spiegazioni che hai richiesto, ma in un'altra lettera: non voglio che affronti stanco una questione spinosa che va ascoltata con molta attenzione. Stammi bene.

109
1 Tu vuoi sapere se un saggio può essere utile a un altro saggio. Noi diciamo che il saggio ha in sé ogni bene e ha raggiunto la perfezione: come può dunque qualcuno essere utile a chi possiede il sommo bene? Eppure i buoni si giovano vicendevolmente, poiché praticano le virtù e mantengono costante la loro saggezza; ognuno di loro sente il bisogno di un altro con cui comunicare, con cui discutere. 2 I lottatori esperti si tengono in esercizio con combattimenti continui; il musicista viene stimolato da un collega abile quanto lui. Anche il saggio deve esercitare le sue virtù; e come è di sprone a se stesso, così è spronato da un altro saggio. 3 Come potrà un saggio essere utile a un altro saggio? Gli darà slancio, gli indicherà le occasioni per agire virtuosamente. Gli manifesterà inoltre certi suoi pensieri; gli comunicherà le sue scoperte, poiché anche al saggio rimarrà sempre qualcosa da scoprire e in cui il suo spirito possa spaziare. 4 Il malvagio nuoce al malvagio, lo rende peggiore eccitandone l'ira, secondandone la durezza, approvandone i piaceri; i malvagi si trovano a mal partito soprattutto quando uniscono i loro vizi e la loro cattiveria forma un tutt'uno. Quindi all'opposto il buono sarà utile al buono. 5 "Come?" tu chiedi. Gli porterà gioia, consoliderà il suo coraggio. Alla vista della reciproca serenità, crescerà in entrambi la contentezza. Gli trasmetterà inoltre la conoscenza di certe nozioni: il saggio non conosce tutto, e quand'anche conoscesse tutto, qualcun altro potrebbe escogitare e indicargli vie più brevi per divulgare più facilmente tutta la sua opera. 6 Il saggio sarà utile al saggio, non soltanto con le proprie forze, ma anche con quelle di chi viene aiutato. Certamente anche se è lasciato a se stesso il saggio può svolgere i propri compiti: lo farà procedendo alla sua velocità; anche un corridore, però, è aiutato da uno che lo sprona.
"Il saggio non giova al saggio, ma a se stesso. Ne vuoi una prova? Sottraigli la forza e non potrà fare più nulla." 7 Con questo criterio potresti dire che il miele non è dolce; infatti, se chi deve mangiarlo non ha lingua e palato conformati in modo da apprezzare un sapore simile, ne rimarrà nauseato; ci sono certe persone che per una malattia sentono amaro il miele. I saggi devono essere entrambi in pieno vigore, cosi che l'uno sia in grado di giovare, e l'altro gli offra materia adatta.
8 "Ma," si ribatte, "come è inutile riscaldare un corpo che ha raggiunto il massimo calore, così è inutile dare aiuto a chi ha raggiunto il sommo bene. L'agricoltore fornito di tutti gli attrezzi chiede forse di riceverne da un altro? Un soldato armato sufficientemente per scendere in campo, sente forse il bisogno di altre armi? Quindi neppure il saggio: ha attrezzi e armi sufficienti per affrontare la vita." 9 Rispondo: anche un corpo che ha raggiunto il massimo calore ha bisogno di calore aggiuntivo per mantenere costante la temperatura. "Ma," si obietta, "il calore si conserva da sé." Prima di tutto c'è una grande differenza tra gli elementi del confronto: il calore è unico, l'aiuto vario. E poi, perché il calore sia tale, non serve un'aggiunta di calore: il saggio invece non può mantenere il suo stato spirituale se non si crea amici simili a lui da rendere partecipi delle proprie virtù. 10 Tutte le virtù sono, inoltre, in amicizia tra loro; perciò giova chi ama le virtù di qualcuno a lui simile e gli offre a sua volta virtù da amare. Le somiglianze sono gradite, soprattutto quando si tratta di persone oneste che sanno apprezzare e farsi apprezzare. 11 E poi nessun altro, se non il saggio, può influire con perizia sull'animo del saggio, come solo l'uomo può influire razionalmente sull'uomo. Per influire sulla ragione, occorre dunque la ragione, così per influire su una ragione perfetta occorre una ragione perfetta. 12 Generalmente si definiscono utili persone che ci elargiscono beni indifferenti: denaro, favori, incolumità e altri ancòra graditi o necessari ai bisogni della vita; in questo, si dirà, anche lo stolto può essere utile al saggio. Ma essere utili, significa indirizzare un'aníma secondo natura con la propria virtù. Ciò si tradurrà in un bene sia dell'oggetto che del soggetto di questa azione perché chi esercita la virtù altrui necessariamente esercita anche la propria. 13 Ma pur lasciando da parte i beni sommi o le loro cause, i saggi possono lo stesso giovarsi a vicenda. Per il saggio, infatti, trovare un altro saggio è di per sé desiderabde, poiché per natura ogni bene è caro a chi è buono e così ognuno va d'accordo con chi è buono come con se stesso.
14 L'argomento richiede che da questo problema io passi a un altro. Si discute se il saggio debba decidere da solo o domandare consiglio ad altri. Questo deve farlo quando si tratta di questioni civili, familiari e, per così dire, mortali; per esse ha bisogno di essere consigliato come ha bisogno del medico, del timoniere, dell'avvocato, del giudice. Talvolta il saggio sarà, dunque, utile al saggio consigliandolo. Ma anche nei problemi grandi e riguardanti il divino, come si è detto, gli potrà essere utile nel compiere insieme il bene, in comunione di anime e di pensieri. 15 Inoltre è secondo natura sia essere uniti agli amici, sia rallegrarsi dei loro progressi come dei propri; se non agiremo così, non manterremo viva in noi la virtù che trae la sua forza dall'esercizio del pensiero. La virtù ci esorta a disporre bene il presente, a provvedere per il futuro, a meditare e a elevare l'anima; questa elevazione e questo sviluppo spirituale saranno più facili per chi si sarà preso un compagno. Cercherà pertanto o un uomo perfetto o in via di progredire e vicino alla perfezione. E quest'uomo perfetto sarà utile se alle decisioni darà l'apporto della comune saggezza. 16 Si dice che gli uomini vedano più chiaro nelle faccende altrui [...]. Questo accade a chi è accecato dall'amore di sé, oppure a chi nei pericoli si lascia prendere dal panico e perde di vista ciò che è utile: incomincerà a mostrarsi assennato quando è ormai tranquillo e libero dalla paura. Ci sono, tuttavia, faccende in cui anche i saggi vedono con più chiarezza per gli altri che per se stessi. Il saggio inoltre offrirà al saggio quel "volere e non volere le stesse cose", così ricco di dolcezza e di virtù, e insieme sotto lo stesso giogo compiranno la loro nobile opera.
17 Ho pagato il mio debito come chiedevi, sebbene tutto questo si trovasse tra gli argomenti trattati nei miei libri di filosofia morale. Rifletti su quello che spesso ti ripeto: con simili questioni noi esercitiamo solo la nostra intelligenza. Tante volte torno a chiedermi: a che mi serve questo genere di speculazioni? Rendimi, invece, più forte, più giusto, più temperante. Non ho tempo per questi esercizi mentali: ho ancora bisogno del medico. 18 Perché mi è richiesta una conoscenza inutile? Mi sono state fatte grandi promesse: che vengano mantenute! Mi dicevi che sarei rimasto imperterrito anche in mezzo al balenare delle spade, anche col pugnale alla gola; che non avrei avuto paura neanche tra il divampare di un incendio, neanche se un'improvvisa tempesta avesse trascinato la mia nave per tutti i mari: aiutami a disprezzare il piacere, a disprezzare la gloria. Mi insegnerai dopo a sciogliere i nodi, a distinguere le ambiguità, a capire concetti oscuri: per ora insegnami quello che è necessario. Stammi bene.

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