Seneca: Lettere a Lucilio - libro16

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Categoria:Latino

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Testo

LIBRO SEDICESIMO


96
1 Tu ti sdegni e ti lamenti per qualche contrarietà e non capisci che in esse non c'è niente di male, se non il tuo sdegno e i tuoi lamenti? Vuoi il mio parere? Secondo me la sola infelicità per l'uomo è ritenere che nella natura ci siano elementi d'infelicità. Non sopporterò più me stesso il giorno in cui non sarò in grado di sopportare qualche disgrazia. Sto male: fa parte del destino. La servitù è malata, i debiti mi opprimono, la casa scricchiola, disgrazie, danni, pene, paure mi sono piombati addosso: sono cose che càpitano. O meglio: dovevano capitare. Non sono avvenimenti casuali: sono decretati. 2 Vuoi credermi? Ora ti svelerò i miei intimi sentimenti: in tutte le situazioni che appaiono avverse e critiche, mi comporto così: non obbedisco a dio, sono d'accordo con lui: lo seguo spontaneamente e non perché è necessario. Qualunque cosa accada non l'accoglierò mostrandomi triste o con volto accigliato: non pagherò nessun tributo controvoglia. Tutto ciò che ci fa piangere o ci atterrisce è un tributo che va pagato alla vita: non sperare, Lucilio mio, l'immunità, non chiederla nemmeno. 3 Soffri di dolori alla vescica, sono arrivate lettere poco piacevoli, hai subìto danni continui, - dirò di più - hai temuto per la vita. Come? Non sapevi che augurandoti la vecchiaia, ti auguravi questo? Sono tutte disgrazie in cui ci si imbatte in una vita lunga, come in un lungo viaggio ti imbatti nella polvere, nel fango, nella pioggia. 4 "Ma io volevo vivere, e non avere, però tutti questi fastidi." Parole così effeminate sono indegne di un uomo. Vedrai tu come accogliere questo mio augurio; te lo faccio di cuore e con animo generoso: dèi e dee non ti permettano di essere nelle grazie della fortuna! 5 Chieditelo: se un dio ti desse facoltà di scelta, vorresti vivere in un mercato o in un accampamento? Ma, caro Lucilio, vivere è fare il soldato. Perciò coloro che sono sbattuti qua e là, e costretti a percorrere per dritto e per traverso strade faticose e difficili e affrontano spedizioni piene di rischi, sono uomini valorosi, i primi tra i soldati; quanti, invece, si lasciano languidamente andare a un ozio nauseante, mentre gli altri si affannano, sono delle colombelle, e si garantiscono la sicurezza con il disonore. Stammi bene.

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1 Hai torto, Lucilio mio, se attribuisci solo al nostro secolo la dissolutezza, l'indifferenza alla moralità, e gli altri vizi che ognuno rimprovera alla propria epoca: sono colpe degli uomini, non dei tempi. Non c'è nessuna età innocente e se tu vuoi passare in rassegna secolo per secolo la sfrenatezza, vedrai - rincresce dirlo - che la depravazione più spudorata ci fu proprio quando visse Catone. 2 Nessuno potrebbe credere che il denaro abbia giocato un ruolo determinante nel processo che vedeva accusato P. Clodio di adulterio; lo aveva commesso in un penetrale con la moglie di Cesare e aveva violato i riti religiosi di un sacrificio che, dicono, si celebra a favore del popolo, e nel quale tutti gli uomini vengono allontanati dallo spazio sacro in maniera così tassativa da arrivare a velare le pitture raffiguranti animali maschi. Eppure i giudici furono comprati e, cosa ancor più abbietta di questo patto, fu preteso per giunta lo stupro di matrone e di nobili giovani. 3 Il delitto fu meno grave dell'assoluzione: l'accusato di adulterio dispensò adulterî e fu sicuro della sua salvezza solo dopo aver reso i giudici identici a se stesso. E questo avvenne nel processo in cui, per non dir altro, uno dei testimoni era Catone. Riferirò proprio le parole di Cicerone perché la cosa ha dell'incredibile. 4 "Chiamò a sé i giudici, promise, supplicò, dette. E poi, buon dio, che infamia! per soprammercato alcuni giudici ottennero anche i favori di determinate donne e le grazie di nobili giovani." 5 Perché recriminare per il denaro? Il peggio è stato nelle aggiunte. "Ti piacerebbe la moglie di quel personaggio così austero? È tua. O di questo tanto ricco? Anche lei sarà tua, te lo garantisco. Se non si combina, condannami pure. Desideri quella bella donna? Verrà. Ti prometto una notte con lei e presto; entro tre giorni manterrò la mia promessa." Dispensare adulterî è più grave che commetterli: questa è un'intimazione alle madri di famiglia. 6 I giudici di Clodio avevano chiesto e ottenuto dal senato una scorta, necessaria solo in caso di condanna; e così, dopo l'assoluzione, Catulo disse loro spiritosamente: "Perché ci avete chiesto una scorta? Per paura che portassero via il denaro?" Scherzi divertenti, ma intanto Clodio, adultero prima del processo, ruffiano durante il processo, la fece franca e sfuggì alla condanna con atti più esecrabili di quelli per cui l'aveva meritata. 7 Secondo te, ci fu mai corruzione maggiore di quando la dissolutezza non la potevano frenare i riti sacri, né i processi, e in un'inchiesta straordinaria, promossa con delibera del senato, si commisero azioni peggiori di quelle inquisite? Si indagava se dopo un adulterio non potesse essere al sicuro: fu chiaro che non si poteva essere al sicuro senza adulterio.
8 Questo avvenne negli anni di Pompeo e Cesare, di Cicerone e Catone, proprio quel Catone durante la cui magistratura, secondo quanto raccontano, il popolo non osò chiedere gli spettacoli della dea Flora con prostitute nude, se ti pare credibile che allora ci fosse più rigidità negli spettacoli che nei verdetti. Questi misfatti sono accaduti e accadranno ancora in futuro: in una città la corruzione può finire a volte per disciplina e per paura, mai spontaneamente. 9 Pertanto non devi credere che abbiamo concesso moltissimo alla sfrenatezza e quasi niente alle leggi: i nostri giovani sono molto più moderati di una volta, quando l'accusato negava davanti ai giudici l'adulterio e i giudici lo confessavano davanti all'accusato, quando si commetteva uno stupro per celebrare un processo, quando Clodio, benvisto per gli stessi vizi per i quali era colpevole, faceva il ruffiano perfino durante la sua difesa. Chi lo crederebbe? Uno condannato per un solo adulterio fu assolto grazie a molti adulterî.
10 Ogni epoca avrà i suoi Clodi, non tutte dei Catoni. Siamo portati al peggio, intanto perché è difficile che ci manchino una guida o un compagno e poi perché la corruzione procede da sola anche senza guida o compagni. La strada al vizio non solo è in discesa, precipita; c'è poi un fatto che rende la gran parte degli uomini incorreggibili: in altri campi gli errori generano vergogna in chi li commette, mortificano chi ha sbagliato, ma degli errori di condotta ci si compiace. 11 Il pilota non gioisce se la barca si rovescia, e nemmeno il medico se il malato finisce nella bara, o l'avvocato se l'imputato perde la causa per colpa della difesa, invece, tutti si rallegrano delle proprie malefatte; uno è soddisfatto dell'adulterio, a cui l'ha spinto proprio la difficoltà di realizzarlo; un altro di una frode o di un furto, e non prova dispiacere per il suo peccato, ma per l'insuccesso del medesimo. La causa sta nelle cattive abitudini. 12 Sappi del resto che il senso del bene, sotto, sotto, si trova anche negli animi più abietti, e che la disonestà non è ignorata, ma trascurata; tutti celano le loro colpe e, anche se hanno un felice esito, ne godono i frutti, ma di nascosto. La buona coscienza, invece, vuole mostrarsi e farsi notare: la malvagità ha paura anche del buio. 13 Quindi, secondo me, Epicuro ha detto bene: "Càpita che un delinquente rimanga nascosto, ma non ne può avere la certezza", oppure, se per te il significato è più chiaro in questo modo: "Ai colpevoli non serve stare nascosti, perché, anche se ne hanno la fortuna, non ne hanno la certezza". È vero, chi commette un delitto può starsene al sicuro, ma non essere tranquillo. 14 Non credo che questo pensiero, spiegato così, sia in contrasto con la nostra scuola. Perché? Perché la prima e più grave punizione dei colpevoli consiste nella colpa commessa, e nessun delitto, per quanto la fortuna lo colmi di doni, lo protegga e lo difenda, rimane impunito: il castigo del delitto sta nel delitto stesso. E tuttavia, a questa punizione se ne aggiungono e incalzano altre: la continua paura, il terrore e l'eterna insicurezza. Perché liberare la malvagità da questo tormento? Perché non tenerla sempre nell'incertezza? 15 Noi non siamo d'accordo con Epicuro quando dice che niente è giusto per natura e che i delitti si devono evitare perché la paura è inevitabile; condividiamo, invece, che le cattive azioni sono torturate dalla coscienza: il suo maggior tormento è l'essere straziata senza tregua da un'ansia continua e il non poter credere a chi promette tranquillità. È proprio questa la prova, caro Epicuro, che noi aborriamo la criminalità per disposizione naturale: tutti i delinquenti hanno paura, anche se sono al sicuro. 16 La sorte libera molti dalla prigione, nessuno dalla paura. Perché? Perché è radicata in noi la ripugnanza per un'azione condannata dalla natura. Per questo anche chi sta nascosto non è mai sicuro di rimanerlo: la coscienza lo accusa e lo smaschera a se stesso. Vivere in ansia è proprio dei colpevoli. Molti delitti sfuggono alla legge, ai giudici, alle pene sancite dalla legge: sarebbe, quindi, grave per gli uomini se i criminali non scontassero sùbito le dure punizioni della natura e la paura non prendesse il posto delle pene. Stammi bene.

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1 Non è felice, credimi, chi dipende dal benessere materiale. Poggia su fragili basi e gode di beni che vengono dal di fuori: la gioia, come è venuta, se ne andrà. Quella che scaturisce dall'intimo, invece, è durevole e stabile, cresce e ci accompagna fino all'ultimo: gli altri beni, apprezzati dalla massa, durano un giorno. "Ma come? Non possono essere utili e piacevoli?" Chi dice di no? Ma solo se dipendono loro da noi, non noi da loro. 2 Tutti i beni soggetti alla fortuna diventano fruttuosi e gradevoli, se chi li possiede, possiede anche se stesso e non è in balia delle cose. È un errore, Lucilio mio, pensare che la fortuna ci concede o il bene o il male: essa ci dà materia di bene e di male e i fondamenti di quello che si tradurrà per noi in male o in bene. L'anima è più forte di ogni fortuna, indirizza da sé le cose in un senso o nell'altro ed è causa della propria felicità o infelicità. 3 Se è malvagia volge tutto in male, anche quello che appariva ottimo; se è virtuosa e pura, corregge i mali della fortuna, addolcisce le difficoltà, gli affanni e sa sopportarli, accoglie la prosperità con gratitudine e moderazione, l'avversità con fermezza e coraggio. Ma sebbene sia saggia e agisca sempre ponderatamente, sebbene non tenti nulla al di sopra delle sue forze, non raggiungerà mai quel bene incorrotto, che non conosce minacce, se non si erge salda contro i capricci della fortuna. 4 Se osserverai gli altri - giudichiamo più serenamente quando non si tratta di noi - o te stesso, cercando di essere obiettivo, ti accorgerai e dovrai ammettere che delle cose desiderabili e gradite nessuna è utile se non sarai pronto ad affrontare la volubilità del caso e dei beni che seguono il caso, se ad ogni male non ripeterai, spesso, senza lamentarti queste parole:
Gli dèi hanno deciso diversamente.

5 Anzi, per dio, voglio trovare un verso più incisivo e più giusto per sostenere meglio la tua anima: ogni volta che gli eventi tradiranno le tue aspettative, di': "Gli dèi hanno deciso meglio." Se uno si comporta così, niente lo coglierà di sorpresa. Ma questo atteggiamento lo terrà se avrà preso in considerazione, prima di sperimentarle, le possibili conseguenze delle vicende umane e se godrà dei figli, del coniuge, dei beni come se non dovesse goderne per sempre e non diventasse più infelice perdendoli. 6 È proprio misera l'anima inquieta per il futuro e infelice prima che l'infelicità arrivi, angosciata che i beni di cui gode non durino fino alla morte; non troverà mai pace e nell'attesa del futuro perderà i beni presenti, di cui avrebbe potuto godere. Il dolore per la perdita di un bene e il timore di perderlo sono sentimenti sullo stesso piano. 7 Ma non per questo ti consiglio l'indifferenza. Evita i mali temibili, prevedi quanto si può saggiamente prevedere, spia e allontana molto prima che si verifichi tutto quello che ti può danneggiare. A questo scopo ti servirà molto la fiducia in te stesso e un animo risoluto a sopportare ogni disgrazia. Può guardarsi dalla sorte chi è in grado di sopportarla; certo una persona tranquilla non si lascia sconcertare. Non c'è cosa più misera e sciocca che temere prima del tempo: è da pazzi prevenire i propri mali. 8 Voglio, infine, esprimerti brevemente quello che provo e descriverti questi uomini che si affannano e sono gravosi a se stessi: mancano di misura sia nelle disgrazie che prima. Si duole più del necessario chi si duole prima del necessario: è debole e non sa valutare il dolore, come non sa aspettarlo; con la stessa sfrenatezza immagina eterna la sua felicità, crede che i beni avuti in sorte debbano non solo durare, ma aumentare e, dimentico dell'instabilità delle vicende umane, presagisce per lui solo la stabilità dei doni della fortuna. 9 Secondo me è molto bella l'affermazione di Metrodoro in quella lettera indirizzata alla sorella che aveva perso un figlio di qualità eccezionali: "Ogni bene dei mortali è mortale." Parla dei beni che tutti bramano: il vero bene, saggezza e virtù, non muore, è sicuro ed eterno; è l'unica cosa immortale che tocca ai mortali. 10 Ma gli uomini sono tanto insensati e dimentichi della meta a cui li spinge ogni giorno che passa, che si stupiscono di perdere qualcosa, quando in un solo giorno perderanno tutto. Tutti i beni di cui pretendi d'essere il padrone, li hai con te, ma non sono tuoi; non c'è niente di sicuro per chi è insicuro, niente di eterno e di duraturo per chi è caduco. È inevitabile tanto perdere la vita, quanto perdere i beni e, se lo comprendiamo, proprio questo è un conforto. Impara a perdere tutto serenamente: dobbiamo morire.
11 Per fronteggiare queste perdite che cosa ci può essere di aiuto? Questo: ricordiamoci dei beni perduti e non lasciamo che con essi svaniscano i frutti che ce ne sono derivati. Ce ne viene tolto il possesso, non il fatto di averli posseduti. È davvero un ingrato chi, quando perde qualcosa, non si sente debitore per averla avuta. Il caso ci sottrae un bene, ce ne lascia, però l'usufrutto, e noi lo perdiamo con i nostri ingiusti rimpianti. 12 Di' a te stesso: "Nessuno di questi mali che sembrano terribili, è invincibile." Tanti uomini in passato ne hanno vinto ora l'uno, ora l'altro: Muzio il fuoco, Regolo il supplizio, Socrate il veleno, Catone la morte infertasi con la spada: vinciamone anche noi qualcuno. 13 D'altra parte questi beni che, belli e fecondi in apparenza, attraggono la massa, molti individui li hanno spesso disprezzati. Fabrizio, quando era comandante dell'esercito, rifiutò la ricchezza, e da censore la biasimò; Tuberone giudicò la povertà degna di lui e del Campidoglio, quando, servendosi di stoviglie di terracotta per un pranzo ufficiale, dimostrò che l'uomo deve contentarsi di quello che ancòra si usa nei sacrifici agli dèi. Suo padre, Sestio, che per nascita sarebbe dovuto entrare nella carriera politica, rifiutò le cariche e non accettò la dignità senatoria che Giulio Cesare gli offriva: capiva che quanto può essere dato, si può anche togliere. Compiamo pure noi qualche azione coraggiosa, diventiamo un esempio per gli altri. 14 Perché arrenderci? Perché disperare? Tutto quello che è stato possibile fare in passato, lo si può fare oggi, purché manteniamo pura l'anima e seguiamo la natura: chi se ne allontana, sarà schiavo della paura, delle passioni e del caso. Si può tornare sulla retta via, si può recuperare l'integrità perduta: recuperiamola, potremo sopportare ogni tipo di dolore fisico e dire alla sorte: "Hai a che fare con un vero uomo: per vincere cercati un altro".
15 * * * Con questi discorsi e con altri simili si lenisce la virulenza di quella ferita che io desidero, per dio, si mitighi e guarisca, oppure non peggiori e invecchi con lui. Ma per lui io sono tranquillo; il danno è nostro: ci viene strappato un vecchio straordinario. Egli ha vissuto abbastanza e non vuole vivere ancora per sé, ma per quelli a cui è utile. 16 Vivere, per lui, è un atto di generosità: un altro l'avrebbe ormai fatta finita con questi tormenti: fuggire la morte lo considera infame, quanto rifugiarsi in essa. "Ma come? Se la situazione lo consiglia, non lascerà la vita?" E perché no, se non servirà più a nessuno, non gli resterà altro che soffrire? 17 Questo significa, Lucilio mio, imparare la filosofia attraverso l'azione ed esercitarsi a contatto con la realtà: vedere che coraggio dimostra il saggio di fronte alla morte quando si avvicina, di fronte al dolore quando l'opprime; che cosa si debba fare, impariamolo da chi lo fa. 18 Finora si è cercato di argomentare se si possa resistere al dolore oppure se la morte, una volta vicina, possa piegare anche gli animi grandi. Che bisogno c'è di parole? Veniamo ai fatti: la morte non rende il saggio più coraggioso di fronte al dolore, né il dolore di fronte alla morte. Contro l'una e l'altro egli fa affidamento solo su se stesso e soffre con pazienza non perché speri di morire, e muore volentieri non perché sia stanco del dolore: il dolore lo sopporta, la morte l'aspetta. Stammi bene.

99
1 Ti mando la lettera che ho scritto a Marullo: ha perso un figlio ancòra piccolo e, dicono, si comporta da debole: in essa non ho fatto come si fa di solito e non ho ritenuto di doverlo trattare con dolcezza: merita rimproveri più che conforto. Per un po' bisogna essere accomodanti con chi è afflitto e mal sopporta una grave ferita: si sazi o almeno sfoghi il primo impeto di cordoglio: 2 ma se uno sceglie di piangere deve essere rimproverato sùbito e imparare che anche le lacrime sono a un certo modo sconvenienti.
"Aspetti un conforto? Riceverai, invece, dei rimproveri. Ti comporti così da debole per la morte di un figlio; che faresti se avessi perso un amico? È morto un figlio di incerte speranze, ancòra piccolo: il tempo perduto è poco. 3 Noi cerchiamo motivi di dolore e vogliamo, anche a torto, lamentarci della sorte, come se non ci desse fondate ragioni di pianto; ma, per dio, mi sembravi abbastanza forte anche di fronte ai mali concreti, tanto più verso queste parvenze di mali di cui gli uomini si lagnano per abitudine. Se pure avessi perso un amico, che di tutte è la perdita più grave, dovresti cercare di gioire per averlo avuto, più che piangere per averlo perso. 4 Ma la maggior parte della gente non tiene conto dei beni ricevuti, delle gioie provate. Questo dolore ha un difetto tra gli altri: oltre che inutile, è ingrato. E dunque, aver avuto un amico simile è stato infruttuoso? Tanti anni, tanta comunione di vita, tanti studi fatti amichevolmente in comune, non sono serviti a niente? Insieme all'amico seppellisci l'amicizia? E perché ti duoli di averlo perso, se averlo avuto non ti serve a niente? Credimi, gran parte delle persone che abbiamo amato, anche se la morte li ha rapiti, ci rimane vicina; il passato ci appartiene e solo quello che è stato si trova al sicuro. 5 Non siamo riconoscenti per i beni ricevuti, perché speriamo nel futuro, quasi che il futuro, se pure arriva, non si trasformi velocemente in passato. Chi gioisce solo del presente limita a poco i vantaggi della vita: futuro e passato sono fonte di piacere, l'uno con l'attesa, l'altro con il ricordo, ma il primo è incerto e può anche non realizzarsi, il secondo non può non essere esistito. È da pazzi perdere il più sicuro dei beni! Sentiamoci soddisfatti delle gioie già gustate, purché il nostro animo non se le sia lasciate sfuggire tutte, come un vaso rotto perde il contenuto.
6 Sono innumerevoli gli esempi di uomini che hanno celebrato senza piangere i funerali di figli adolescenti, che dal rogo sono tornati in senato o ai pubblici affari e si sono occupati sùbito d'altro. E a ragione: prima di tutto, è inutile dolersi se il dolore non ti serve a niente; e poi è ingiusto lagnarsi di quanto ora succede a uno: è una sorte riservata a tutti; inoltre, querimonie e rimpianti sono da insensati: la distanza fra la persona perduta e chi la rimpiange è breve. Dobbiamo, dunque, rassegnarci, perché seguiamo a ruota chi abbiamo perduto. 7 Considera come il tempo fugga via rapidissimo, pensa alla brevità di questo cammino che percorriamo precipitosamente, di corsa, osserva come l'umanità tutta tenda alla medesima meta, a intervalli brevissimi, anche se sembrano molto lunghi: la persona che secondo te è scomparsa, in realtà ti ha preceduto. Anche tu devi percorrere quel cammino, e allora non è da pazzi piangere chi è andato avanti? 8 Forse che uno piange di un fatto che sapeva sarebbe accaduto? Oppure, se pensava che un uomo potesse essere immortale, si è voluto ingannare da sé. Piange uno di un fatto che lui stesso definiva inevitabile? Chi lamenta la morte di qualcuno, lamenta che sia stato un uomo. Siamo tutti schiavi dello stesso destino; se uno nasce, deve morire. 9 Sia pure in tempi diversi, la fine è uguale per tutti. Il tempo che vivi fra il primo e l'ultimo giorno è vario e indefinito: lungo anche per un bambino, se consideri le pene, breve anche per un vecchio, se ne consideri la rapidità. Tutto è instabile, fallace e più mutevole di ogni burrasca: tutto è sconvolto e muta per i capricci della sorte: fra tanto variare delle vicende umane, la sola cosa certa è la morte; eppure, tutti si lamentano della sola cosa che non inganna nessuno.
10 "Ma è morto bambino." Non ho ancora detto che sia meglio se uno muore presto; passiamo a chi invecchia: come supera di poco un bambino! Immagina di abbracciare l'immensità del tempo e l'universo, poi paragona all'infinito quella che chiamiamo vita umana: vedrai come è poca cosa questa vita che desideriamo e cerchiamo di prolungare. 11 Che parte ne occupano le lacrime, gli affanni? E la morte desiderata prima dell'ora e le malattie e la paura? Che parte ne hanno gli anni dell'inesperienza o quelli inutili della vecchiaia? La metà della vita, poi, la passiamo dormendo. Aggiungi fatiche, dolori, pericoli e capirai che anche di una vita lunghissima se ne vive una minima parte. 12 Ma chi ti dice che non stia meglio chi può tornarsene presto, chi finisce il suo cammino prima di essere stanco? La vita non è un bene, e neppure un male: comprende bene e male. Così quel bambino ha perso solo il rischio, forse la certezza di disgrazie maggiori. Sarebbe potuto diventare un uomo misurato e saggio, formarsi al meglio, sotto le tue cure. Ma - e sono timori fondati - avrebbe potuto diventare simile alla massa. 13 Guarda quei giovani di nobilissima famiglia che la dissolutezza ha gettato nell'arena; guarda quei giovani senza pudore che soddisfano reciprocamente le proprie e le altrui voglie; non passa giorno senza che siano ubriachi, senza che si macchino di qualche grave infamia; ti sarà chiaro che i timori sarebbero stati maggiori delle speranze. Non procurarti, perciò motivi di dolore e non accrescere col tuo sdegno contrarietà di poco conto. 14 Non ti esorto a fare ogni sforzo per sollevarti: non ti giudico così male da pensare che tu debba fare appello a tutta la tua virtù per fronteggiare questa disgrazia. Non è dolore questo, è una fitta: sei tu a farne un dolore. Sicuramente la filosofia ti ha giovato molto, se non ti abbandoni al rimpianto per un bambino più conosciuto alla nutrice che al padre.
15 E che? Ora ti consiglio forse la durezza e voglio che il tuo volto rimanga impassibile perfino durante il funerale e non concedo nemmeno che ti si stringa il cuore? No, niente affatto. È crudeltà, non virtù, guardare la sepoltura dei propri cari con gli stessi occhi con cui li vedevi in vita e non commuoversi al momento del distacco dai familiari. Ma immagina che io te lo vieti: certe reazioni sono incontrollate; le lacrime cadono anche se uno cerca di trattenerle e sgorgando dànno sollievo all'anima. 16 E allora? Lasciamole scendere, ma non a comando; scorrano secondo l'impeto della commozione, non per imitare gli altri. Non accresciamo la nostra tristezza e non esageriamola sull'esempio altrui. L'ostentazione del dolore esige più del dolore: quanti sono tristi per se stessi? Se c'è gente che li ascolta, si lamentano ad alta voce, e mentre da soli se ne stanno calmi e silenziosi, appena vedono qualcuno riprendono di nuovo a piangere; si percuotono il capo (cosa che avrebbero potuto fare più liberamente quando nessuno glielo impediva), si augurano la morte, si rotolano sul letto: scomparso il pubblico, scompare il dolore. 17 Anche in questa, come in altre circostanze, facciamo lo sbaglio di uniformarci all'esempio della maggioranza e badiamo alle consuetudini, non alla convenienza. Ci allontaniamo dalla natura, ci offriamo al popolo, cattivo consigliere sempre, ed estremamente volubile in questo frangente come in tutti gli altri. Vede uno che sopporta con coraggio il proprio dolore? Lo definisce empio e crudele. Vede un altro svenire e gettarsi sul cadavere del parente, dice che è effeminato e debole. 18 Bisogna, dunque, ricondurre tutto alla ragione. La cosa più sciocca è cercare di farsi una nomea di tristezza e considerare giuste le lacrime. Ci sono lacrime, secondo me, alle quali il saggio si abbandona e altre che non può trattenere. Ecco la differenza. Appena arriva, la notizia di una morte prematura ci sconvolge, e quando stringiamo il cadavere che dalle nostre braccia passerà sul rogo, per una legge di natura ci sgorgano le lacrime e il respiro sotto la morsa del dolore ci sconvolge tutto il corpo e pure gli occhi facendone uscire il vicino umore. 19 Queste lacrime ci cadono involontariamente per compressione interna. Invece quelle cui diamo via libera se ripensiamo ai nostri cari scomparsi sono diverse e nella nostra tristezza c'è un che di dolce quando ci tornano alla memoria i loro amabili discorsi, la loro allegra compagnia, il loro premuroso affetto, e in quel momento gli occhi si aprono al pianto come nella gioia. A queste lacrime ci abbandoniamo, dalle prime siamo vinti. 20 Non dobbiamo, perciò trattenerle o versarle perché c'è qualcuno intorno o vicino a noi: fingere è vergognoso sia nell'uno che nell'altro caso: le lacrime scorrano spontanee. Possono, però scorrere in modo pacato e composto; spesso, senza perdere il proprio prestigio, il saggio le ha versate con tale misura da mantenere umanità e decoro. 21 Si può secondo me, seguire la natura salvando la dignità. Al funerale dei propri cari, ho visto persone degne di rispetto che sul volto portavano scritto l'amore, senza manifestazioni esteriori di lutto: ogni atteggiamento scaturiva da sentimenti sinceri. Pure il dolore ha un suo decoro; il saggio lo deve mantenere e, come in tutto il resto, anche nelle lacrime c'è un limite: gli uomini dissennati, invece, eccedono e nella gioia e nel dolore.
22 Accogli serenamente l'inevitabile. Che cosa è successo di straordinario, d'insolito? Per quanti uomini proprio adesso si prendono accordi per il funerale, per quanti si comprano i paramenti funebri, quanti piangono dopo di te! Quando penserai che era solo un bambino, pensa anche che era un uomo, e per l'uomo non ci sono certezze e la fortuna non lo conduce necessariamente alla vecchiaia: lo congeda a suo piacimento. 23 Per il resto parla sovente di lui, esalta quando puoi il suo ricordo: ti ritornerà più spesso alla memoria, se non sarà doloroso: nessuno sta volentieri con una persona triste, tanto meno con la tristezza. Se avevi ascoltato con piacere qualche suo discorso, qualche battuta spiritosa anche se di bambino, ricordali di frequente; afferma senza esitazione che avrebbe potuto realizzare le speranze che tu come padre avevi concepito. 24 Dimenticarsi dei propri cari e seppellirne col cadavere il ricordo, piangere a dirotto e poi ricordarli raramente, è disumano. Gli uccelli, le belve amano così i loro piccoli: il loro amore è ardente e quasi furioso, ma, quando li hanno perduti, si estingue interamente. È un comportamento indegno di un saggio: mantenga il ricordo, ma smetta di piangere.
25 Non sono affatto d'accordo con l'affermazione di Metrodoro: c'è un piacere affine alla tristezza e lo dobbiamo cogliere in queste circostanze. Ti trascrivo qui di seguito proprio le sue parole: $Ìçôñïäþñïõ dðéóôïëí ðñ'ò ôxí PäåëöÞí. IÅóôéí ãÜñ ôéò 1/2äïíx$ ‹$ëýðw óõããåíÞò, |í ÷ñz èçñåý$›$åéí êáôN ôï(tm)ôïí ô'í êáéñüí$. 26 Non ho dubbi sul tuo giudizio in proposito; niente è più infame che dar la caccia al piacere proprio nel dolore, anzi tramite il dolore, e cercare un godimento anche fra le lacrime. Sono questi gli individui che ci rinfacciano un'eccessiva severità e accusano di durezza i nostri insegnamenti, perché diciamo che il dolore non va accolto nell'anima oppure va scacciato subito. E dunque, è più incredibile o più disumano non soffrire per la perdita di un amico o andare in cerca del piacere proprio nel dolore? 27 Il nostro insegnamento è onesto: quando abbiamo versato qualche lacrima e l'urgenza dei sentimenti è, come dire, sbollita, non dobbiamo abbandonarci al dolore. Ma come? Tu vuoi mescolare il piacere al dolore? Così con uno zuccherino consoliamo i bimbi, così ne plachiamo il pianto dandogli del latte. Neppure mentre tuo figlio brucia nel rogo e l'amico si spegne, ammetti che il piacere venga meno, ma vuoi solleticare perfino la tristezza? È più onesto scacciare dall'animo il dolore o accordare il piacere anche al dolore? "Accordare" dico? si cerca di averlo e proprio dal dolore! 28 "Esiste un piacere," affermano, "affine alla tristezza." Questo lo possiamo dire noi, non voi. Voi conoscete un solo bene, il piacere, e un solo male, il dolore: che affinità ci può essere fra il bene e il male? Ma immagina che ci sia: la scopriamo proprio adesso? E scrutiamo il dolore per vedere se porta con sé qualcosa di piacevole e di voluttuoso? 29 Rimedi salutari per certe parti del corpo non si possono usare per altre, perché sono indecenti e sconvenienti, e quello che altrove gioverebbe senza ledere il pudore, diventa indecoroso per il punto della ferita: non ti vergogni di guarire un dolore con il piacere? Questa piaga va curata più seriamente. Ricordati piuttosto che chi è morto non sente nessun male: se lo sente, non è morto. 30 Niente fa soffrire chi non c'è più, ti ripeto: se soffre, è vivo. Pensi che una persona stia male perché non esiste più o perché esiste ancòra? Eppure non può soffrire per il fatto di non esistere (ha forse sensibilità il nulla?) e nemmeno per il fatto di esistere, poiché in questo caso è sfuggito al danno più grave della morte: il non essere. 31 Se uno è in lacrime e rimpiange il figlio morto nella prima infanzia, diciamogli anche questo: noi tutti, giovani e vecchi, per la brevità della nostra vita, se confrontata con l'universo, siamo nella medesima condizione. Di tutto il tempo a noi tocca meno di quello che uno potrebbe definire il minimo, perché il minimo è pur sempre una parte: la nostra vita è quasi un nulla; e tuttavia, pazzi, facciamo progetti a lungo termine.
32 Ti scrivo questo non perché tu aspetti da me un rimedio così tardivo (sono certo che ti sei già detto tutto quanto leggerai), ma per rimproverarti quel breve momento di esitazione in cui hai deviato da te stesso, e incitarti per l'avvenire a farti animo contro la fortuna e a guardare a tutti i suoi colpi non come eventuali, ma come sicuri. Stammi bene.

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1 Mi scrivi di aver letto con grande avidità i libri di Fabiano Papirio sulla politica, ma che hanno deluso le tue aspettative; poi, dimenticando che si tratta di un filosofo, ne critichi la forma. Supponiamo che sia come tu dici e che le parole vengano messe giù senza un'architettura precisa. Prima di tutto, questo stile ha una sua attrattiva ed è la bellezza di una prosa che scivola via dolcemente; secondo me scorrere e venir fuori a precipizio sono due cose molto diverse. Inoltre c'è una grande differenza anche in quello che sto per dire: 2 per me Fabiano riversa la sua eloquenza, senza, però uscire dagli argini; è un'eloquenza ampia, pacata, e tuttavia, ha un suo impeto. Questo indica chiaramente e dimostra immediatezza e spontaneità. Ma ammettiamo che tu abbia ragione: l'intento di Fabiano era di dare una regola ai costumi, non alle parole, e ha scritto per educare, non per diletto. 3 E poi, se lo avessi sentito parlare, non avresti avuto modo di badare ai particolari, tutto preso dal succo del discorso; e in genere quello che piace per l'impeto dell'oratore, una volta trascritto rende meno. Ma è già molto che l'opera attragga a prima vista l'attenzione di chi legge, anche se a un esame più accurato si troveranno delle pecche. 4 Vuoi sapere come la penso? Chi strappa un giudizio favorevole vale di più di uno che questo giudizio lo merita; eppure so che quest'ultimo va più sul sicuro, so che può nutrire speranze più audaci di futuri successi. Non è bene che l'eloquenza di un filosofo sia eccessivamente ricercata: se uno si preoccupa per le parole, non può riuscire vigoroso e fermo, non può mettere alla prova se stesso. 5 Fabiano non si curava della forma, ma non era sciatto. Non troverai niente di volgare: le parole sono scelte, non ricercate, non ne capovolge il senso impiegandole in accezioni opposte alla norma secondo la moda di oggi, e, benché siano prese dal linguaggio comune, sono eleganti. I concetti sono nobili ed elevati, espressi piuttosto diffusamente e non ridotti a sentenze. Potremo scoprire qualche ridondanza, qualche frase mal costruita, qualche elemento privo di questa eleganza oggi in uso: ma in tutto l'insieme non troverai pensieri meschini e vuoti. 6 Una casa anche se non ha varietà di marmi, acqua corrente nelle diverse camere, la cosiddetta stanzetta del povero e tutto ciò che il lusso non contento di ornamenti semplici mette insieme, è pur sempre, come si dice, una buona casa.
Inoltre, i pareri sullo stile sono discordi: certi vogliono che la bellezza derivi dalla semplicità, a certi altri piace la durezza al punto che, se per caso qualche frase risulta troppo dolce, la guastano di proposito e spezzano le clausole per renderle inaspettate. 7 Leggi Cicerone: il suo stile è unitario, segue un ritmo lento, è dolce, ma senza eccessi. Invece quello di Asinio Pollione è scabro, ineguale e si ferma quando meno te l'aspetti. Insomma, in Cicerone i periodi terminano, in Pollione si interrompono, tranne pochissime eccezioni in cui sono legati a un ritmo determinato e a un unico modello.
8 Affermi, inoltre, che secondo te in Fabiano tutto è terra terra e poco elevato: a mio parere è un difetto che non ha. Le sue espressioni non sono terra terra, ma pacate, e nascono da uno stato d'animo tranquillo e sereno; non sono basse, ma chiare. Mancano di vigore oratorio, di quella capacità di incitare, che tu chiedi, e di colpire con frasi inattese; ma l'insieme, ne avrai notata l'eleganza, è bello. La sua eloquenza è priva di grandiosità, ne dà, tuttavia, il senso. 9 Citami qualche scrittore da anteporre a Fabiano. Cicerone, i cui libri di filosofia sono all'incirca numerosi quanto quelli di Fabiano; d'accordo, ma se uno è inferiore a chi è grandissimo, non per questo è da poco. Asinio Pollione: va bene; però ti rispondo: occupare il terzo posto in un campo così importante equivale a distinguersi. Fai ancòra il nome di Tito Livio; ha scritto anche dei dialoghi che si possono considerare storici e filosofici, e dei libri specificatamente filosofici: faccio posto anche a lui. Vedi, tuttavia, quanti autori si lasci alle spalle uno che è superato solo da tre e per giunta straordinariamente eloquenti.
10 Fabiano, però non eccelle in tutto: la sua eloquenza non è vigorosa, anche se elevata; non è impetuosa e irruente, anche se sciolta; è schietta, ma non limpida. "Le sue parole," dici "dovrebbero essere più severe contro i vizi, più coraggiose contro i pericoli, più altere contro la fortuna, più oltraggiose contro l'ambizione. Vorrei che biasimasse il lusso, schernisse la libidine, rintuzzasse la prepotenza. Che ci fosse in lui la veemenza dell'oratoria, la grandezza della tragedia, l'asciuttezza della commedia." Tu vorresti che Fabiano badasse a una cosa da poco: le parole; lui si è dedicato alla grandezza dell'argomento, e si è trascinato dietro l'eloquenza come un'ombra, senza curarsene. 11 I singoli elementi sono senza dubbio poco meditati e mal collegati tra loro, non tutte le parole sono accese e pungenti, lo ammetto: molte espressioni passano inosservate, senza colpire, e il discorso talvolta scorre via senza nerbo; ma in ogni pagina ci sono sprazzi di luce e ne puoi scorrere lunghi brani senza annoiarti. Infine, ti sarà chiaro che egli sentiva le cose che ha scritto. Capirai che non ha voluto piacere a te, ma farti sapere ciò che a lui piaceva. L'intera opera tende a rendere migliori, a educare lo spirito: non cerca il plauso.
12 Sono certo che i suoi scritti sono di questo tipo, anche se, più che averli presenti, ne ho un vago ricordo, e le loro caratteristiche non le ho bene impresse, come avviene dopo una lettura recente, ma li ricordo in modo sommario: sono frutto di una conoscenza di vecchia data; quando lo ascoltavo parlare, i suoi discorsi mi sembravano, se non connessi in maniera organica, consistenti, cioè capaci di elevare un giovane di indole onesta e di spingerlo all'emulazione con buone speranze di superare il suo modello: e questo mi pare un incoraggiamento efficacissimo. Distoglie i giovani, chi suscita in loro il desiderio di imitarlo, ma li priva della speranza di riuscire. Del resto la sua eloquenza era sovrabbondante e magnifica nell'insieme, nonostante le singole componenti non avessero pregi particolari. Stammi bene.

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