Seneca: Lettere a Lucilio - libro15

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Testo

LIBRO QUINDICESIMO


93
1 Nella lettera in cui lamentavi la morte del filosofo Metronatte, come se avesse potuto e dovuto vivere più a lungo, ho sentito la mancanza di quel senso di giustizia di cui sei ricco in ogni funzione, in ogni attività, e che ti difetta in una sola cosa, come a tutti: ho trovato molte persone giuste verso gli uomini, ma nessuna giusta verso gli dèi. Ogni giorno rimproveriamo il destino: "Perché Tizio è stato rapito nel pieno della vita? Perché non Caio? Perché prolunga una vecchiaia penosa a sé e agli altri?" 2 Ma dimmi: ritieni più giusto che sia tu a obbedire alla natura o la natura a te? Che importanza ha se esci presto o tardi dalla vita? Bisogna in ogni caso uscirne. Non dobbiamo cercare di vivere a lungo, ma di vivere abbastanza; vivere a lungo dipende dal destino, dalla nostra anima vivere quanto basta. La vita è lunga se è piena, e diventa tale quando l'anima ha riconsegnato a se stessa il suo bene e ha preso il dominio di sé. 3 Che cosa servono a quel tizio ottant'anni trascorsi nell'inerzia? Costui non è vissuto, ma si è attardato nella vita, e non è morto tardi, ma lentamente. "È vissuto ottant'anni." L'importante è da che giorno calcoli la sua morte. 4 "Invece quell'altro è scomparso nel fiore degli anni." Ha adempiuto, però ai doveri di onesto cittadino, di fedele amico, di buon figlio; mai è venuto meno ai propri obblighi; anche se è incompleta la sua età, è completa la sua vita. "È vissuto ottant'anni." Anzi è esistito per ottant'anni, a meno che tu non dica che è vissuto, così come si dice che gli alberi vivono. Ti scongiuro, Lucilio mio, facciamo in modo che la nostra vita, come tutte le cose preziose, non conti per la sua estensione, ma per il suo peso; misuriamola dalle azioni, non dal tempo. Vuoi sapere che differenza c'è fra un uomo vigoroso e sprezzante della fortuna, che ha adempiuto a tutti i doveri della vita umana ed è giunto al sommo bene, e un uomo che ha lasciato scorrere gli anni? Il primo vive anche dopo la morte, il secondo si è spento prima di morire. 5 Lodiamo, perciò e mettiamo nel numero degli uomini felici chi ha ben impiegato il poco tempo avuto in sorte. Egli ha visto la vera luce; non è stato uno dei tanti; è vissuto; è stato forte. Talora ha goduto di giorni sereni; talora, come spesso avviene, lo splendore del sole si è mostrato fra le nubi. Perché chiedi quanto è vissuto? Vive ancora: è balzato tra i posteri e si è consegnato al loro ricordo. 6 Non per questo rifiuterei degli anni in più; ma anche se la vita mi viene troncata, dirò che non mi è mancato niente per avere la felicità; non ho regolato la mia esistenza su quel giorno che un'avida speranza mi aveva promesso come ultimo: ogni giorno l'ho guardato come se fosse l'ultimo. Perché mi chiedi la data di nascita o se faccio ancòra parte della lista dei giovani? Ho quello che mi spetta. 7 Un uomo con un fisico più piccolo del normale può essere perfetto, e allo stesso modo può essere perfetta una vita più breve del normale. L'esistenza dipende da fattori esterni. Non dipende da me la lunghezza della vita: da me dipende vivere veramente la vita che avrò. Pretendi questo da me: che non conduca un'esistenza oscura in mezzo alle tenebre, ma che guidi la mia vita senza lasciarmi vivere. 8 Chiedi qual è la vita più lunga? Vivere fino alla saggezza; chi la raggiunge, non tocca la meta più lontana, ma la più importante. Ne sia pure fiero; ringrazi gli dèi e fra gli dèi anche se stesso e imputi alla natura ciò che è stato. E lo farà a ragione: le ha restituito una vita migliore di quella ricevuta. Egli ha dato un esempio di uomo virtuoso, ha dimostrato le sue qualità e il suo valore; se fosse vissuto ancora, tutto sarebbe rimasto uguale. 9 E dunque, fino a quando vogliamo vivere? Siamo ormai arrivati a conoscere tutto: sappiamo su quali princìpî si fondi la natura, che ordinamento dia al mondo, attraverso quali cicli faccia ritornare l'anno, in che modo abbia segnato i confini di tutte le cose future e si sia posta come limite a se stessa; sappiamo che le stelle si muovono per loro impulso, che nessun corpo celeste è fermo, eccetto la terra e che gli altri scorrono veloci ininterrottamente; sappiamo come la luna superi il sole e perché, pur essendo più lenta, si lasci alle spalle quello che è più veloce, come si illumini e si oscuri, per quale causa si avvicendino il giorno e la notte: bisogna andare là dove questi fenomeni si contemplano più da vicino. 10 "Non esco dalla vita con maggiore forza d'animo," dice il saggio, "perché spero che mi sia aperta la strada verso i miei dèi. Mi sono procurato il diritto di essere ammesso tra di loro (e per altro ci sono già stato): il mio spirito è giunto fino a loro e loro a me. Supponi che io scompaia e che dopo la morte dell'uomo non rimanga nulla: io ho lo stesso un'anima grande anche se, uscito dalla vita, non andrò a finire in nessun luogo." 11 "Non visse tanto a lungo quanto avrebbe potuto." Anche un libro di poche righe può essere apprezzabile e utile: hai presente la mole degli annali di Tanusio e che fama li accompagni. La lunga vita di certa gente è simile e segue la stessa sorte degli annali di Tanusio. 12 Secondo te il gladiatore ucciso alla fine dello spettacolo è forse più felice di quello che muore a metà giornata? Pensi che uno sia tanto stupidamente attaccato alla vita da preferire che lo scannino nello spogliatoio piuttosto che nell'arena? Se uno muore prima, non precede un altro di un intervallo maggiore di questo. La morte arriva per tutti, l'assassino segue la vittima. Ci tormentiamo tanto per una sciocchezza. Ma a che serve evitare a lungo l'inevitabile? Stammi bene.

94
1 Certi filosofi hanno accolto unicamente quella parte della filosofia che dà insegnamenti particolari sul ruolo che ognuno ricopre nella vita, e non forma l'uomo in generale, ma consiglia al marito come comportarsi verso la moglie, al padre come educare i figli, al padrone come governare i servi, e hanno trascurato le altre parti come fossero per noi inutili, quasi si potessero dare consigli su un aspetto della vita senza averla prima abbracciata nella sua totalità. 2 Secondo lo stoico Aristone, invece, questa parte è poco importante e non penetra nell'intimo, con i suoi insegnamenti da nonnetta; per lui giovano moltissimo i princìpî stessi della filosofia e la definizione del sommo bene; "chi l'ha compresa e imparata bene, può decidere lui stesso il da farsi in ogni singola circostanza." 3 Quando uno impara a scagliare il giavellotto, cerca di colpire il bersaglio ed esercita la mano a dirigere il tiro; raggiunta questa capacità con la disciplina e l'esercizio, se ne serve a suo piacimento, perché non ha imparato a colpire questo o quel bersaglio, ma tutti quelli che vuole; così, se uno è preparato ad affrontare la vita in tutti i suoi aspetti, non ha bisogno di essere consigliato sui particolari, perché è istruito in generale, e non su come vivere con la moglie o con il figlio, ma su come vivere bene: e questo comprende anche come vivere con la moglie o coi figli. 4 Per Cleante anche questa parte è utile, ma è inefficace se non ha origine da una conoscenza universale, se non conosce i precetti e i princìpî stessi della filosofia.
Questa sezione della filosofia, cioè la precettistica particolare, presenta due problemi: se sia utile o inutile e se da sola possa rendere l'uomo virtuoso, o meglio se sia superflua o renda superflue tutte le altre. 5 Chi la ritiene superflua afferma: se un ostacolo impedisce la vista, va rimosso; finché rimane, è tempo perso impartire degli insegnamenti: "camminerai così, stenderai la mano da quella parte." Allo stesso modo quando qualcosa ottenebra l'anima e le impedisce di comprendere la scala dei doveri, chi insegna: "Così vivrai col padre, così con la moglie" non conclude niente. Gli ammaestramenti non serviranno a nulla finché l'errore offusca la mente: se viene eliminato apparirà chiaro come dobbiamo adempiere a ciascun dovere. Altrimenti tu insegni a uno che cosa debba fare un uomo sano, ma non lo rendi sano. 6 Mostri al povero come comportarsi da ricco: ma se rimane povero, come può farlo? All'affamato spieghi che cosa dovrebbe fare se fosse sazio: togligli piuttosto la fame che ha nelle ossa. Lo stesso vale per tutti i vizi: bisogna eliminarli, non insegnare cose impossibili a realizzarsi finché essi rimangono. Se non rimuoverai i pregiudizi che ci affliggono, l'avaro non comprenderà come va usato il denaro, né il vile come disprezzare i pericoli. 7 Devi fargli comprendere che il denaro non è né un bene, né un male e mostrargli persone ricche molto infelici. Devi fargli comprendere che quello che generalmente temiamo non è temibile come si dice, che nessuno soffre a lungo e non muore più di una volta: nella morte, che è inevitabile, c'è un grande motivo di consolazione: non ritorna per nessuno; nel dolore sarà un rimedio la fermezza d'animo, che rende meno penosi i mali se sopportati con coraggio; la natura del dolore è eccellente, perché, se si protrae, non può essere grande, e se è grande, non può protrarsi. Dobbiamo accettare da forti quanto ci comanda la legge dell'universo. 8 Quando, stabiliti questi princìpî, metterai uno davanti alla sua condizione e capirà che si è felici vivendo non secondo piacere, ma secondo natura, quando amerà veramente la virtù come unico bene dell'uomo e fuggirà la disonestà come unico male, quando comprenderà che tutto il resto - ricchezza, onori, salute, forze, poteri - sono cose indifferenti da non annoverarsi né tra i beni, né tra i mali, allora non sentirà il bisogno di uno che lo consigli in ogni situazione e dica: "Cammina così, pranza così; questo comportamento è adatto all'uomo, questo alla donna, questo a chi è sposato, questo al celibe." 9 Chi dà questi consigli così minuziosi non è in grado di metterli in pratica nemmeno lui; il pedagogo impartisce questi insegnamenti all'allievo, la nonna al nipote e il maestro, così proclive all'ira, disputa sulla necessità di non adirarsi. Se entrerai in una scuola, ti renderai conto che i precetti elargiti dai filosofi con estrema alterigia si trovano già nei libri di testo per l'infanzia.
10 E poi, darai ammaestramenti lampanti o dubbi? Quelli lampanti non hanno bisogno di consiglieri; quanto a quelli dubbi non si presta fede a chi li dà: dunque, ammaestrare è inutile. Soprattutto impara questo: se dài consigli oscuri e ambigui, dovrai provarli; se li proverai, le prove addotte hanno più valore e bastano di per sé. 11 "Tratta così con l'amico, così con il concittadino, così con il compagno." "Perché?" "Perché è giusto." Tutti questi insegnamenti mi vengono dalla sezione della filosofia che riguarda la giustizia: lì apprendo che bisogna desiderare la giustizia di per sé, che ad essa non ci costringe la paura o ci induce il guadagno, che non è un uomo giusto chi in questa virtù si compiace di qualcosa al di fuori di essa. Quando mi sono persuaso e sono profondamente convinto di ciò a che servono questi precetti che insegnano a uno già istruito? A chi sa, è inutile dare dei precetti, a chi non sa, è poco, poiché deve apprendere non solo quello che gli viene insegnato, ma anche perché. 12 I precetti, dico io, sono necessari, per chi ha le idee chiare sul bene e sul male, o per chi non le ha? A costui tu non sarai affatto d'aiuto: dicerie contrarie ai tuoi consigli gli otturano le orecchie. Se uno sa esattamente che cosa evitare o che cosa ricercare, sa come deve comportarsi anche senza che tu parli. In conclusione, tutta questa parte della filosofia si può eliminare.
13 Per due motivi noi erriamo: o c'è nell'animo una perversità prodotta da convinzioni malvagie, oppure, anche se esso non è in preda all'errore, vi è incline e, fuorviato dalle apparenze, fa presto a rovinarsi. Perciò dobbiamo o curare bene lo spirito ammalato e liberarlo dai vizi, oppure, se ne è libero, ma è propenso al male, prenderne possesso in tempo. I principî della filosofia hanno sia l'uno che l'altro effetto; pertanto questo genere di insegnamenti non serve a niente. 14 E poi, impartire norme a ognuno è un'impresa immane: sono di un certo tipo per l'usuraio, di un altro per il contadino, per il commerciante, per il cortigiano, per chi cerca l'amicizia dei suoi pari e per chi quella degli inferiori. 15 Nel matrimonio insegnerai come vivere con una donna sposata vergine, o con una che ha avuto un marito in precedenza, come vivere con una donna ricca o con una senza dote. Oppure secondo te non c'è differenza tra una donna sterile e una feconda, fra una matura e una ragazzina, fra una madre e una matrigna? Non possiamo abbracciare tutti i vari casi: eppure ciascuno richiede regole particolari, mentre le norme della filosofia sono brevi e comprendono tutto. 16 I precetti della saggezza, inoltre, devono essere definiti e precisi; se non si possono definire, non fanno parte della saggezza, che conosce i limiti delle cose. Bisogna pertanto eliminare questa parte precettistica, perché non è in grado di garantire a tutti le promesse fatte a pochi; la saggezza, invece, riguarda tutti. 17 Fra la pazzia collettiva e quella curata dai medici non c'è differenza, se non che questa nasce da malattia, quell'altra da false opinioni; l'una affonda le radici della sua frenesia nello stato di salute, l'altra è una malattia dell'anima. Se a un pazzo qualcuno volesse insegnare come parlare, camminare, comportarsi in pubblico e in privato, sarebbe più folle di lui: bisogna curare la bile nera e rimuovere la causa stessa della pazzia. Lo stesso va fatto per la pazzia dello spirito: la si deve scacciare, altrimenti i consigli andranno sprecati.
18 Queste sono le affermazioni di Aristone e noi le controbatteremo una per una. Veniamo alla prima; egli sostiene che, se c'è un ostacolo davanti agli occhi e ne impedisce la vista, deve essere rimosso; anch'io ammetto che per vedere non c'è bisogno di precetti, ma di un rimedio che liberi la vista ed elimini l'ostacolo che la impedisce: la vista è un fatto naturale e rimuovendo ciò che è d'impedimento le restituiamo la sua funzione. Ma la natura non insegna come si debba adempiere a ciascun dovere. 19 In secondo luogo, chi è stato curato di cataratta non può appena riacquistata la vista, restituirla anche ad altri; invece, uno liberato dalla malvagità, può liberare a sua volta gli altri. Non sono necessarie esortazioni e neppure consigli perché l'occhio colga le proprietà dei colori: distinguerà il bianco dal nero anche senza che nessuno glielo insegni. L'anima, invece, ha bisogno di numerosi consigli per comprendere come debba comportarsi nella vita. In realtà, il medico i malati agli occhi non solo li cura, ma dà loro anche dei consigli. 20 "Non esporre sùbito la vista ancora debole a una luce troppo violenta," dice; "prima passa dall'oscurità alla penombra, poi osa di più e abìtuati gradualmente a sopportare la viva luce. Non devi studiare dopo aver mangiato e nemmeno sforzare gli occhi gonfi e tumefatti: evita il vento e il freddo pungente che ti batte in faccia", e altri suggerimenti simili, utili quanto le medicine. L'arte medica aggiunge consigli alle cure.
21 "L'errore," continua Aristone, "è la causa delle nostre mancanze: i precetti non lo eliminano e non dissipano le idee sbagliate sul bene e sul male." Ammetto che i precetti non riescano di per sé a rimuovere le convinzioni errate; ma non per questo non servono, uniti anche ad altri sistemi. Per prima cosa rinfrescano la memoria; poi, quei concetti che, tutti insieme, sembravano piuttosto confusi, divisi in sezioni, possono essere esaminati con più attenzione. Oppure, in questo modo, puoi definire inutili anche i discorsi consolatori e di esortazione: e invece non sono inutili; quindi, non lo sono neppure gli ammonimenti. 22 "È sciocco," dice, "insegnare a un malato che cosa debba fare come se fosse sano; restituiscigli, invece, la salute: senza di essa i precetti sono vani." E che dire del fatto che ad ammalati e sani su certe questioni vanno rivolti consigli uguali? Come ad esempio, non mangiare con avidità ed evitare la spossatezza. Anche per il povero e il ricco ci sono precetti in comune. 23 "Guarisci l'avidità," afferma Aristone, "e non dovrai dare consigli al povero o al ricco, se si è calmata la loro cupidigia." Ma come? Un conto è non desiderare il denaro, un altro è saperlo usare. Gli avari ne ignorano la giusta misura, ma anche chi non è avaro può ignorarne il giusto uso. "Elimina gli errori," dice il filosofo, "e i precetti sono inutili." È falso. Immagina che si sia mitigata l'avidità, domata la dissolutezza, frenata l'imprudenza, spronata l'ignavia: anche se i vizi sono stati eliminati, bisogna imparare che cosa fare e come. 24 "Contro i vizi gravi," egli sostiene, "non riusciranno a niente gli ammonimenti." Nemmeno la medicina vince le malattie inguaribili, eppure viene usata come rimedio per alcune, per altre come sollievo. Nemmeno la potenza stessa dell'intera filosofia, anche se chiama a raccolta tutte le sue forze, potrà sradicare dall'animo un male ormai incallito e di vecchia data; ma perché non guarisce tutto, non si può dire che non guarisca niente.
25 "A che serve," dice Aristone, "insegnare l'evidenza?" Serve moltissimo. Certe volte, infatti, le cose le sappiamo, ma non siamo attenti. Le esortazioni non servono da insegnamento, risvegliano, però l'attenzione, stimolano, mantengono viva la memoria e non la lasciano smarrire. Noi tralasciamo molte cose che pure abbiamo davanti agli occhi: un ammonimento è una forma di esortazione. Spesso l'animo finge di non vedere neppure l'evidenza; e allora bisogna ricordargli anche le cose più note. A questo punto è bene ricordare la frase pronunciata da Calvo contro Vatinio: "Voi lo sapete che c'è stato un broglio e tutti sanno che voi lo sapete." 26 Sai che le amicizie vanno venerate come sacre, ma non lo fai. Sai che è un infame chi pretende dalla moglie il pudore, ma seduce le donne altrui; sai che come lei non deve avere rapporti con un altro, così tu non ne devi avere con un'amante, e non lo fai. Perciò bisogna rinfrescarti sovente la memoria; quei princìpî non devono stare in un canto, ma essere a portata di mano. Tutte le norme salutari vanno esaminate di frequente e meditate; non devono esserci solo note: devono essere sùbito disponibili. Inoltre anche i concetti chiari diventano di solito ancò ra più chiari.
27 "Se i tuoi ammaestramenti sono incerti," continua, "dovrai aggiungere delle prove; perciò utili saranno quelle e non gli ammaestramenti." Ma se a giovare è proprio l'autorità di chi consiglia, anche senza prove? Così come i pareri dei giureconsulti sono validi anche se non se ne dà una spiegazione. E poi gli stessi ammaestramenti hanno molto peso di per sé, soprattutto se messi in versi oppure racchiusi in massime in prosa come quelli di Catone: "compra non l'occorrente, ma l'indispensabile; il superfluo è caro anche a pagarlo un soldo"; 28 e così i responsi dell'oracolo o simili: "risparmia il tempo", "conosci te stesso". Chiederai spiegazioni quando uno ti reciterà questi versi?
L'oblio è il rimedio delle offese.
La fortuna aiuta gli audaci, il pigro è di ostacolo a se stesso.
Sono parole che non richiedono un esperto; toccano i sentimenti e sono utili perché la natura fa sentire la sua forza. 29 L'animo porta in sé i semi di tutte le virtù, questi vengono fatti germogliare dalle esortazioni, come la scintilla, attizzata da un soffio leggero, sviluppa la sua fiamma; la virtù cresce, se è spronata e incitata. Inoltre ci sono nell'animo dei princìpî, non molto evidenti però che cominciano a essere pronti solo quando vengono espressi; altri si trovano sparsi qua e là e la mente poco esercitata non riesce a metterli insieme. Bisogna perciò radunarli e congiungerli perché siano più efficaci e risollevino meglio l'animo. 30 Oppure se i precetti non servono a niente, ogni insegnamento va eliminato e dobbiamo accontentarci della sola natura. Coloro che sostengono questa tesi non si rendono conto che uno è di ingegno vivace e sveglio, lento e ottuso un altro, e che in ogni caso non tutti sono intelligenti allo stesso modo. La forza dell'intelligenza è alimentata dai precetti, cresce, aggiunge nuove convinzioni a quelle innate e corregge le idee distorte.
31 "Se uno non ha dei retti princìpî," continua Aristone, "legato com'è al malcostume, a che cosa gli serviranno gli ammonimenti?" Naturalmente a liberarsene, perché in lui le qualità naturali non sono scomparse, ma soltanto nascoste e oppresse. Anche così esse cercano di risollevarsi e di resistere alla depravazione e, trovato un sostegno e un aiuto nei precetti, riprendono forza, purché non le abbia infettate a morte un male di vecchia data: in questo caso non potrà sanarle neppure la dottrina filosofica impiegando tutte le sue forze. Che differenza c'è, infatti, fra i princìpî filosofici e i precetti se non che i primi sono norme universali, i secondi particolari? Entrambi istruiscono, ma gli uni in generale, gli altri in particolare.
32 "Se uno," egli dice, "ha dei princìpî retti e onesti è inutile dargli dei consigli." Niente affatto; anche costui conosce il suo dovere, ma non ne ha una chiara percezione. Non sono solo le passioni a impedirci di agire virtuosamente, ma l'incapacità di capire che cosa esigano le singole circostanze. Il nostro animo a volte è ben regolato, ma inerte e poco pratico a trovare la via dei doveri, che un buon consiglio ci può invece indicare.
33 "Elimina," egli dice, "le false idee sul bene e sul male, metti al loro posto idee giuste e i consigli saranno inutili." Questo sistema senza dubbio regola l'animo, ma non basta; anche se con argomentazioni logiche si ricava qual è il bene e qual è il male, tuttavia i precetti hanno un loro ruolo. Sia la prudenza che la giustizia sono formate da vari doveri: e i doveri li determinano i precetti. 34 Inoltre, anche il giudizio sul male e sul bene trova conferma nel compimento dei doveri, e a questo ci conducono i precetti. Sono due cose in armonia tra loro: gli uni non possono precedere senza che gli altri seguano e questi seguono un ordine proprio; è quindi evidente che sono i doveri a precedere.
35 "I precetti," dice Aristone, "sono infiniti." Non è vero; sulle questioni più importanti e fondamentali non sono infiniti; ci sono differenze minime determinate dal momento, dal luogo, dalle persone, ma anche in questi casi si dànno precetti generali.
36 "Non si può curare," sostiene, "la pazzia con i precetti; quindi, nemmeno la malvagità." È diverso: se elimini la pazzia restituisci la salute mentale; togliendo di mezzo le idee false, invece, non ce ne deriva immediatamente la capacità di distinguere le azioni da compiere; ma, posto che sia così, un consiglio avvalorerà il nostro giusto giudizio sul bene e sul male. Ed è ugualmente falso che ai pazzi i precetti non servano a nulla. Da soli non giovano, ma sono di aiuto alla cura; i pazzi li frenano sia le minacce che le punizioni - certo, mi riferisco a quelli la cui mente vacilla, ma non è stravolta completamente.
37 "Le leggi," dice, "non riescono a farci comportare come dovremmo, e che altro sono se non precetti misti a minacce?" Prima di tutto le leggi non persuadono proprio perché minacciano, mentre i precetti non costringono, ma cercano di persuadere; le leggi, inoltre, distolgono dal delitto, i precetti esortano al dovere. E poi anche le leggi giovano alla moralità, specialmente se, oltre a comandare, insegnano. 38 In questo non sono d'accordo con l'affermazione di Posidonio: "Disapprovo che alle leggi di Platone siano stati aggiunti dei princìpî. La legge deve essere breve, perché i profani la comprendano meglio. Sia come una voce che viene dal cielo: comandi senza discutere. Per me non c'è niente di più insulso, niente di più inopportuno di una legge preceduta da un preambolo. Consigliami, dimmi che cosa vuoi che faccia: non imparo, ma obbedisco." In realtà le leggi servono; e infatti vedrai che sono corrotte le città governate da cattive leggi. 39 "Ma non servono a tutti." Neppure la filosofia; non per questo, però è inutile e incapace di formare l'animo. E come? La filosofia non è la legge della vita? Ma supponiamo che le leggi non servano: non ne consegue che non siano utili neppure gli ammonimenti. Oppure allo stesso modo dirai che non servono le parole di conforto, di dissuasione, gli incitamenti, i rimproveri, le lodi. Sono tutte forme di ammonimento; per mezzo loro raggiungiamo la perfezione spirituale. 40 Niente rende più virtuosi gli animi e li riconduce sulla retta via, se sono incerti e inclini al male, quanto la compagnia di uomini onesti; a poco a poco essa penetra nell'intimo e la loro vista e il loro ascolto abituale ha la stessa forza dei precetti. Anche il solo incontrarsi coi saggi è utile, per dio, e da un grand'uomo puoi trarre dei vantaggi perfino se tace. 41 Capire che mi è stato utile è per me più facile che dirti in che modo mi è utile. "Certi animaletti quando pungono non li sentiamo," dice Fedone, "tanto debole è la loro forza e ci inganna sul pericolo; il gonfiore rivela la puntura, eppure nel gonfiore stesso non si vede nessuna ferita." Ti accadrà lo stesso nei rapporti coi saggi; non ti accorgerai come o quando ti giovano, ma ti accorgerai che ti hanno giovato.
42 "Dove va a parare questo discorso?" chiedi. I buoni precetti, se li terrai sempre presenti, ti saranno utili quanto i buoni esempi. Pitagora afferma che cambia interiormente una persona che entra in un tempio e vede da vicino le immagini degli dèi e attende il responso di un oracolo. 43 E chi può negare che certi precetti colpiscano nel segno anche gli uomini più ignoranti? Come queste frasi molto concise, ma pregnanti:
Niente di troppo.
Non c'è guadagno che sazi l'animo dell'avaro.
Aspettati da altri ciò che hai fatto al tuo prossimo.
A queste parole rimaniamo come colpiti e nessuno può dubitare o chiedere: "Perché?", tanto la verità è palese anche senza spiegazioni. 44 Se il rispetto frena gli animi e reprime i vizi, perché non dovrebbero avere la stessa efficacia anche gli ammonimenti? Se la punizione è causa di vergogna, perché non dovrebbe essere lo stesso per gli ammonimenti, anche se si avvalgono di semplici precetti? In realtà sono più efficaci e penetrano più a fondo i consigli che sostengono con prove i loro insegnamenti, che aggiungono quali siano le azioni da compiere e le loro motivazioni e quale utile attenda chi agisce in obbedienza ai precetti. Se gli ordini servono, servono anche i consigli; ebbene, gli ordini servono, dunque servono anche i consigli. 45 La virtù si divide in due parti: contemplazione della verità e azione: la prima ce la dànno gli insegnamenti, alla seconda ci spingono i consigli. Le azioni oneste esercitano e mostrano la virtù. Se i consigli giovano a chi intende operare, gli saranno utili anche gli ammonimenti. Quindi, se l'agire onestamente è necessario alla virtù e gli ammonimenti indicano le azioni oneste, anche gli ammonimenti sono necessari. 46 Due cose dànno una grandissima forza all'anima, la fede nella verità e la fiducia in se stessi; entrambe ci vengono dagli ammonimenti, poiché in essi si crede e, quando si è giunti a credere, l'anima concepisce sentimenti elevati e si riempie di fiducia; quindi, gli ammonimenti non sono inutili. M. Agrippa, uomo di straordinario temperamento, l'unico ad aver fortuna nella vita pubblica fra le persone rese famose e potenti dalle guerre civili, spesso diceva di dover molto a questa massima: "Con la concordia i piccoli stati crescono, con la discordia vanno in rovina i più grandi." Affermava che essa lo aveva reso un eccellente amico e fratello. 47 Se massime di questo tipo recepite nell'intimo formano l'animo, perché non potrebbe fare lo stesso anche quella sezione della filosofia che da tali massime è formata? Parte della virtù si basa sull'insegnamento, parte sull'esercizio; devi imparare e poi confermare con le azioni quanto hai appreso. Se ciò si verifica, non servono solo i princìpi della saggezza, ma anche i precetti, che frenano le nostre passioni e le reprimono come in forza di un editto.
48 "La filosofia," dice Aristone, "si divide in conoscenza e stato morale; chi ha imparato e capìto le azioni da compiere e quelle da evitare, non è ancora saggio se il suo animo non si è modellato su quanto ha appreso. Questa terza parte, cioè l'insegnamento, deriva sia dalla dottrina che dallo stato morale, perciò è superflua per conseguire la virtù: bastano le prime due." 49 A questo modo, dunque, sono inutili le parole di conforto (anch'esse derivano da quelle due parti), l'incitamento, il consiglio e la stessa argomentazione, poiché anche questa nasce da uno stato d'animo sereno e forte. Ma sebbene queste cose provengano da un'ottima condizione morale, tale condizione dipende da esse; le origina e ne trae origine. 50 Le tue affermazioni, inoltre, riguardano l'uomo che ha raggiunto la perfezione e il culmine della felicità umana. Ma è una meta a cui si arriva lentamente; intanto all'uomo ancòra imperfetto, ma in via di progresso, bisogna indicare una linea d'azione. Forse il saggio se la darà da solo, anche senza che nessuno lo ammonisca, poiché ha portato l'animo al punto di non potersi muovere se non verso il bene. Ma ai caratteri più deboli è necessario che uno suggerisca: "Evita questo, fa' quello." 51 Inoltre se uno aspetta il momento di sapere da sé che cosa sia meglio fare, nel frattempo si allontanerà dalla retta via e allontanandosene non riuscirà a giungere là dove può essere contento di sé; deve, dunque, essere guidato finché non incomincia a potersi guidare da solo. I ragazzi apprendono in base a un modello: il maestro tiene loro con la mano le dita guidandole lungo i segni delle lettere; quindi li esorta a imitare gli esempi proposti e a uniformare a essi la grafia: allo stesso modo trae giovamento il nostro animo, istruito secondo un modello.
52 Tali prove dimostrano come questa parte della filosofia non sia superflua. Ci si chiede, poi, se da sola basti a formare il saggio. Questo problema lo affronteremo a suo tempo; intanto, messe da parte le prove, non è forse chiaro che abbiamo bisogno di un esperto che ci dia ammaestramenti contrari a quelli della massa? 53 Tutte le parole che ascoltiamo ci danneggiano: ci nuoce chi ci augura il bene come chi ci augura il male. Le maledizioni degli uni ci incutono false paure, e l'amore degli altri, con i suoi buoni augùrî, ci dà dei cattivi insegnamenti, perché ci indirizza verso beni lontani, incerti e dubbi, mentre la nostra felicità la possiamo trovare dentro di noi. 54 Non si può secondo me, procedere per la retta via; ci fanno deviare i genitori, i servi. Nessuno coinvolge negli errori solo se stesso, ma diffonde la sua follia sul prossimo e a sua volta la riceve dagli altri. Per questo i vizi della massa li ritroviamo nei singoli: è stata la massa a trasmetterli. Nel momento in cui uno corrompe, è corrotto; ha imparato il male e lo ha poi insegnato e ne è nata quell'enorme malvagità, poiché si accumulano in un solo individuo i vizi peggiori di ciascuno. 55 Deve, dunque, esserci qualcuno che ci sorvegli, che di volta in volta ci tiri le orecchie, e tenga lontano le chiacchiere della gente e protesti contro le lodi della folla. Sbagli se pensi che i vizi nascano con noi: sono venuti dopo, si sono accumulati in noi. Respingiamo, perciò con moniti frequenti, i pregiudizi che ci rintronano. 56 La natura non ci mette sulla strada del vizio: ci ha generati puri e liberi. Non ha messo in evidenza niente che eccitasse la nostra avidità: ci ha posto sotto i piedi l'oro e l'argento e ci ha dato da calpestare e da schiacciare quello per cui siamo calpestati e schiacciati. Ci ha fatto volgere lo sguardo al cielo e ha voluto che quanto di grandioso e stupendo essa ha creato noi lo vedessimo alzando gli occhi: il sorgere e il tramontare degli astri, il vertiginoso moto su se stesso del mondo che mostra di giorno le bellezze terrene, di notte quelle celesti, il procedere delle stelle, lento se lo paragoni a quello dell'universo, ma velocissimo se pensi che enormi spazi percorrano a velocità costante, le eclissi del sole e della luna che si oscurano a vicenda, e altri fenomeni ancora, degni di ammirazione sia che si manifestino con ordine o che compaiano d'un tratto determinati da cause improvvise, come strisce di fuoco nella notte e lampi nel cielo che si apre senza colpi o tuoni, colonne di fuoco, meteore e varie figure fiammeggianti. 57 Tutto questo la natura lo ha posto sopra di noi, ma l'oro, l'argento e il ferro, che per questi metalli è sempre in guerra, li ha nascosti, come se fosse male affidarceli. Li abbiamo portati noi alla luce e per essi combattiamo, abbiamo tirato fuori noi le cause e gli strumenti dei nostri pericoli fendendo il grembo della terra, noi abbiamo affidato alla fortuna le nostre disgrazie e non ci vergogniamo di tenere nella massima considerazione materiali che stavano sottoterra in profondità. 58 Vuoi sapere che falso splendore ha ingannato i tuoi occhi? Finché essi giacciono coperti e immersi nel fango, non c'è niente di più brutto, di più ignobile. E perché no? Vengono estratti attraverso lunghissimi e oscuri cunicoli. Non c'è niente di più orribile, mentre vengono alla luce e sono liberati dalle impurità. Guarda, infine, gli stessi operai che con le mani ripuliscono questa sorta di terra sterile e sotterranea: vedrai come sono sporchi di fuliggine! 59 Eppure questi metalli insudiciano più l'animo che il corpo e ci si sporca più a possederli che a lavorarli. È necessario, dunque, essere consigliati, aver vicino una persona onesta che ci difenda, e fra tanto strepito e confusione di menzogne dar ascolto finalmente a una voce sola. Quale sarà questa voce? Naturalmente quella che ti sussurri parole salutari, assordato come sei dal gran chiasso dell'ambizione, una voce che dica: 60 non c'è ragione di invidiare gli uomini che il popolo definisce importanti e fortunati; non c'è ragione che il plauso distrugga la tua serenità e la tua salute spirituale, che quel porporato pieno di cariche ti faccia venire a nausea la tua pace, che tu ritenga quell'uomo, al cui passaggio tutti fanno largo, più felice di te che il littore scaccia dalla via. Se vuoi esercitare un potere che ti torni utile e non opprima nessuno, elimina i vizi. 61 Ci sono molti che danno fuoco alle città, e distruggono costruzioni che avevano resistito attraverso i secoli ed erano state al sicuro per lungo tempo, molti che erigono terrapieni alti quanto fortezze, e con arieti e macchine da guerra abbattono mura straordinariamente elevate. Ci sono molti che mettono in fuga eserciti e incalzano minacciosamente i nemici e giungono all'oceano bagnati dal sangue delle stragi: anche loro, però per vincere un nemico sono stati vinti dalle passioni. Nessuno ha resistito alla loro avanzata, ma neanche essi avevano resistito all'ambizione e alla crudeltà; e quando sembrava che inseguissero gli altri, erano loro ad essere inseguiti. 62 Una folle smania di devastare paesi stranieri spingeva l'infelice Alessandro e lo faceva andare verso l'ignoto. Oppure, secondo te, è sano di mente uno che incomincia a far strage proprio in Grecia, dove è stato educato? Che toglie a ognuno quanto ha di meglio e impone a Sparta la schiavitù e ad Atene il silenzio? Non contento dello scempio di tante città, che Filippo aveva vinto e comprato, ne abbatte altre qua e là e porta le armi in tutto il mondo; la sua crudeltà mai esausta non ha tregua, come quella delle belve feroci che sbranano anche se non hanno fame. 63 Ormai ha fuso numerosi regni in uno solo, ormai i Greci e i Persiani temono lo stesso tiranno, ormai anche le popolazioni libere dal giogo di Dario sono sottomesse; e tuttavia egli supera i confini dell'oceano e del sole, non si dà pace che le sue vittorie non calchino le orme di Ercole e di Bacco, e si prepara a lottare anche contro la natura. Non è lui che vuole andare avanti: non può star fermo, come un peso, gettato nel vuoto, il cui moto tende come ultima meta a finalmente giacere. 64 Non era il valore o il raziocinio, ma un insano desiderio di falsa grandezza che spingeva anche Gneo Pompeo alle guerre e alle lotte civili. Ora andava contro la Spagna e gli eserciti di Sertorio, ora a tenere a freno i pirati e a pacificare i mari: solo pretesti per non perdere il potere. 65 Che motivo lo trascinò in Africa, nel nord, contro Mitridate, in Armenia e nelle terre più lontane dell'Asia? Certo una brama insaziabile di diventare sempre più grande, perché solo a lui sembrava di non esserlo abbastanza. Che cosa spinse Cesare alla rovina sua e dello stato? La gloria, l'ambizione e il desiderio sfrenato di eccellere sugli altri. Non riuscì a tollerare neanche uno sopra di sé, quando la repubblica ne tollerava due su di sé. 66 Perché, credi davvero che C. Mario, quella volta che era stato console (unico consolato regolare, gli altri li aveva ottenuti con la violenza) abbia massacrato i Cimbri e i Teutoni, inseguito Giugurta per i deserti d'Africa, affrontando tanti pericoli spinto dalla virtù? Mario guidava l'esercito, l'ambizione guidava Mario. 67 Loro sconvolgevano tutto e come turbini venivano sconvolti: i turbini si trascinano dietro ciò che ghermiscono, ma prima vorticano e per questo si avventano con maggior furia: non hanno controllo di sé; perciò sono una calamità per molti, ma subiscono anch'essi quella pestilenziale violenza con la quale danneggiano i più. Non puoi credere che uno diventi felice se rende infelici gli altri.
68 Bisogna eliminare questo campionario di esempi che ci trapassano gli occhi e le orecchie, e liberare l'animo ingombro di discorsi nocivi. In chi ne è preda bisogna far penetrare la virtù, perché estirpi le menzogne e le convinzioni in contrasto con la verità, perché ci separi dal volgo cui diamo troppa fiducia e ci riconduca a pensieri incorrotti. La saggezza consiste in questo: rifarsi alla natura, ritornare là dove un abbaglio comune ci aveva cacciato. 69 Buon senso significa soprattutto abbandonare chi ci istiga alla follia e tenersi lontani da un connubio dannoso alle due parti. Vuoi rendertene conto? Guarda come in pubblico uno vive diversamente che in privato. La solitudine non è di per sé maestra di onestà o la campagna di frugalità; però, quando se ne sono andati testimoni e spettatori, cessano i vizi, che si beano di essere ostentati e osservati. 70 Chi indossa vesti di porpora per non esibirle? Chi mette le vivande in stoviglie d'oro solo per se stesso? Davvero uno dispiega lo sfarzo del suo lusso, sdraiato in solitudine, all'ombra di un albero nei campi? Nessuno sfoggia per il piacere dei suoi occhi o di poca gente o degli amici, ma sciorina l'apparato dei suoi vizi secondo la folla che lo guarda. 71 È proprio così: la spinta verso tutto quello per cui diamo segni di follia è la presenza di un ammiratore e di un testimone. Spegni il desiderio, se togli la possibilità di ostentazione. L'ambizione, lo sfarzo, la sfrenatezza, hanno bisogno della ribalta: se li tieni nascosti, ne guarirai. 72 E così, se ci troviamo in mezzo allo strepito delle città, ci stia a fianco uno che ci consigli, e alla lode di ingenti patrimoni opponga la lode di chi è ricco con poco e misura le ricchezze dall'uso che se ne fa. Contro coloro che esaltano il favore della massa e il potere, lui sottolinei con ammirazione l'esistenza ritirata dedita agli studi e l'anima che si ripiega su se stessa. 73 Dimostri che quegli uomini giudicati dalla massa felici stanno, invece, tremanti e sbigottiti in quella loro posizione invidiata e di sé hanno un'opinione ben diversa da quella degli altri; quelle che per gli altri sono cime elevate, per loro sono precipizi. E così si scoraggiano e tremano ogni volta che spingono lo sguardo nell'abisso della loro grandezza: pensano alla possibilità di cadute tanto più pericolose quanto più uno sta in alto. 74 Allora hanno paura di quello che desideravano e la prosperità che li rende insopportabili agli altri, pesa su loro ancora più insopportabile. Allora elogiano la vita calma e indipendente, detestano il loro splendore e cercano di fuggire quando la situazione è ancora stabile. Allora li vedi darsi alla filosofia per paura, ragionare saggiamente spinti dal timore della mala sorte. Come se la buona fortuna e il ben ragionare fossero agli antipodi, noi abbiamo più buon senso quando le cose vanno male: quando vanno a gonfie vele, ci tolgono la capacità d'intendere. Stammi bene.

95
1 Mi chiedi di trattare sùbito quell'argomento che avevo deciso di rinviare a suo tempo e vuoi che ti scriva se la parte della filosofia che i Greci chiamano "parenetica" e noi "precettistica" basta per raggiungere una perfetta saggezza. So che se io rifiutassi, non te l'avresti a male. A maggior ragione mi impegno e mantengo vivo il proverbio: "Non domandare una seconda volta quello che non volevi ottenere." 2 A volte domandiamo insistentemente cose che rifiuteremmo se qualcuno ce le offrisse. Che sia leggerezza o servilismo, questo comportamento va punito con un pronto assenso. Vogliamo dare l'impressione di voler sapere molte cose, ma non è così. Un autore portò una volta un enorme volume di storia, scritto a caratteri minutissimi e avvolto molto strettamente; dopo averne letto una gran parte, dice: "Se volete, smetto." "Continua, continua", gridano gli ascoltatori, anche se in realtà vorrebbero che tacesse. Spesso vogliamo una cosa e ne chiediamo un'altra e non diciamo la verità neppure agli dèi, ma gli dèi o non ci esaudiscono o hanno compassione di noi. 3 Io non avrò pietà e mi vendicherò infliggendoti una lunga lettera. Se la leggerai mal volentieri, di': "Me lo sono tirato addosso io questo disastro." Fa' conto di essere uno di quegli uomini che hanno sposato una donna dopo averla corteggiata a lungo e adesso lei li tormenta; di quelli che hanno sudato per raggiungere la ricchezza e ora vivono male; di quelli che hanno puntato alle cariche pubbliche con ogni intrigo e con ogni mezzo e ora ne sono torturati, e di tutti gli altri, colpevoli dei propri mali.
4 Ma lasciamo da parte ogni preambolo ed entriamo in argomento. "La felicità," sostengono, "si basa sull'agire onestamente; alle azioni oneste ci portano i precetti; quindi i precetti bastano per arrivare alla felicità." Non sempre i precetti ci portano ad agire onestamente, ma solo se trovano un carattere docile; a volte è inutile impartirli, se l'animo è ingombro di idee distorte. 5 Inoltre, certi individui, anche se agiscono rettamente, non ne sono consapevoli. Nessuno, a meno che non sia educato dall'inizio e regolato dalla ragione perfetta, può adempiere a tutte le regole per sapere quando è opportuno agire, in che limiti, con chi, come e perché. Non può tendere all'onestà con tutte le sue forze e neppure con costanza o volentieri, ma si volterà indietro e avrà delle esitazioni.
6 "Se le azioni oneste sono frutto dei precetti," dicono, "questi sono più che sufficienti per arrivare alla felicità: la prima proposizione è vera, quindi, è vera anche la seconda." A costoro risponderemo che le azioni oneste sono frutto dei precetti, ma non solo di essi.
7 "Se alle altre arti bastano i precetti, essi basteranno anche alla saggezza; anche questa è un'arte, l'arte della vita. Ora, il pilota lo forma chi gli insegna: 'Il timone muovilo così, così ammaina le vele, in questo modo utilizza il vento favorevole, resisti a quello contrario, sfrutta quello variabile e incostante.' I precetti formano anche gli uomini dediti alle altre arti, pertanto avranno lo stesso effetto su chi si occupa dell'arte del vivere." 8 Tutte queste arti si occupano dei mezzi per vivere, non della vita nella sua interezza; ci sono, perciò molti fattori esterni che le impediscono e le ostacolano: la speranza, la cupidigia, il timore. Ma alla saggezza, che esercita l'arte della vita, niente vieta di mettere in atto se stessa; essa abbatte ogni impedimento e rimuove tutti gli ostacoli. Vuoi sapere quanto è diversa la condizione delle altre arti rispetto alla saggezza? Nelle arti è più giustificabile un errore volontario che uno casuale; nella saggezza la colpa più grave è sbagliare volontariamente. 9 Le cose stanno proprio così. Un erudito non arrossisce di un solecismo se l'ha fatto consapevolmente, ma arrossisce se è un errore inconsapevole; un medico, se non capisce che l'ammalato sta morendo, è professionalmente più colpevole che se finge di non capire; ma in quest'arte della vita, la colpa volontaria è più spregevole. E poi, anche gran parte delle arti - e in particolare quelle più liberali, come, ad esempio, la medicina - hanno, oltre alla precettistica, i loro princìpî teorici; perciò le sette di Ippocrate, di Asclepiade, di Temisone sono diverse tra loro. 10 Inoltre, non c'è scienza teoretica che non abbia princìpî propri: i Greci li chiamano dogmata, noi decreta, scita o placita e li trovi anche in geometria e in astronomia. La filosofia è teoretica e pratica insieme: osserva e contemporaneamente agisce. Sbagli se pensi che riguardi solo le attività terrene: vive in una sfera più alta. "Scruto l'universo intero," afferma, "e non mi limito alle relazioni umane, contentandomi di consigliare o dissuadere: mi chiamano problemi grandi, al di sopra di voi.
11 "Comincerò a trattare della suprema essenza del cielo e degli dèi e svelerò i primordi dell'universo; da dove la natura crei tutte le cose, le accresca e le alimenti, e in che cosa, annientandole, di nuovo le dissolva",
così scrive Lucrezio. Ne consegue che, essendo un'attività teoretica, la filosofia ha princìpî propri. 12 E poi, a un lavoro può attendere convenientemente solo chi avrà imparato il metodo per eseguire tutte le funzioni necessarie in ogni circostanza; ma se uno ha ricevuto insegnamenti particolari e non generali, non potrà adempiervi. I precetti particolari sono di per sé inefficaci e, per così dire, senza radici. A premunirci, a tutelare la nostra quiete e tranquillità sono i princìpî generali: essi comprendono la vita intera e l'intera natura delle cose. Tra i princìpî della filosofia e i precetti intercorre la stessa differenza che tra gli elementi e le parti di un organismo: queste dipendono dai primi che sono causa di esse e di tutte le cose.
13 "L'antica saggezza," obiettano, "indicava solo le azioni da compiere e quelle da evitare e a quel tempo gli uomini erano di gran lunga migliori: da quando sono comparsi i dotti, i buoni non ci sono più; quella virtù semplice e chiara si è mutata in una scienza oscura e scaltra: impariamo a discutere, non a vivere." 14 Quell'antica saggezza, soprattutto ai suoi inizi, fu senza dubbio, come dite voi, rozza, come le altre scienze, che nel processo di evoluzione si sono poi affinate. Ma ancòra non c'era il bisogno di studiati rimedi. La malvagità non era ancòra arrivata a tanto, non si era diffusa così ampiamente: i vizi erano semplici e si poteva combatterli con rimedi semplici. Ora le difese devono essere tanto più efficaci quanto più violento è l'attacco.
15 La medicina un tempo consisteva nel conoscere poche erbe per far coagulare il sangue e rimarginare le ferite; poi, a poco a poco, è arrivata all'odierna molteplicità di branche. E non c'è da meravigliarsi che avesse meno da fare allora, quando l'organismo dell'uomo era ancora sano e robusto e il vitto semplice e non alterato dagli artifici e dal piacere: in séguito si cominciò a ricercare il cibo non per soddisfare la fame, ma per stuzzicarla, e si sono escogitati mille condimenti per eccitare l'avidità: quelli che erano alimento per un ventre digiuno, sono un peso per un ventre pieno. 16 Da qui il pallore e il tremito nervoso degli alcolizzati e la magrezza dovuta alle indigestioni, più miserevole di quella per fame; da qui l'incedere incerto e malfermo e il barcollare continuo, come in piena ubriachezza; il sudore a rivoli su tutta la pelle, il ventre rigonfio per la cattiva abitudine di ingurgitare oltre misura; e poi l'itterizia, il volto pallido, il decomporsi degli organi [...] che si putrefanno, le dita rinsecchite per l'irrigidimento delle articolazioni, il torpore dei nervi divenuti insensibili o il loro tremito continuo. 17 E che dire dei capogiri? Dei dolori lancinanti agli occhi e alle orecchie, delle fitte del cervello in fiamme, delle ulcere agli intestini? E ancòra, degli innumerevoli tipi di febbre, alcune violente, altre insinuanti e subdole, altre che si manifestano con brividi e forte tremore? 18 Ma perché elencare le numerosissime malattie, con cui si paga la dissolutezza? Erano immuni da questi mali quegli uomini che non si erano ancòra snervati nei piaceri, che comandavano e servivano se stessi. Irrobustivano il fisico con il lavoro e la fatica vera, stancandosi con la corsa, con la caccia, o arando la terra; e li attendeva un cibo che poteva piacere solo a degli affamati. Perciò non avevano bisogno di tanti arnesi medici, di tanti ferri e vasetti. Le malattie erano semplici e originate da cause semplici: la molteplicità delle portate ha provocato la molteplicità delle malattie. 19 Vedi come la dissolutezza, devastando terra e mare, mescoli una quantità di cose che passano attraverso la gola di uno solo. Perciò sostanze tanto diverse sono necessariamente in contrasto fra loro e, ingoiate, non vengono digerite bene, perché hanno effetti opposti. E non c'è da stupirsi che cibi dissimili causino malattie dal decorso vario e mutevole e che alimenti di natura contraria, cacciati nello stesso ventre, siano rigettati. Perciò le nostre malattie sono nuove, come nuovo è il nostro genere di vita.
20 Il più grande medico, il fondatore della medicina, affermò che le donne non perdono i capelli e non soffrono di gotta: e invece, i capelli li perdono e hanno la gotta. La loro natura non è cambiata: è stata vinta; hanno uguagliato gli uomini in dissolutezza, e li hanno uguagliati pure nelle malattie. 21 Passano le notti vegliando come loro, bevono come loro, con loro gareggiano nella lotta e nel vino; vomitano anch'esse i cibi ingurgitati contro voglia e rigettano tutto il vino; anch'esse rosicchiano pezzi di ghiaccio per dar sollievo allo stomaco in fiamme. Nella libidine poi non sono da meno dei maschi: destinate per natura a un ruolo passivo (che gli dèi le fulminino), hanno escogitato un genere così perverso di impudicizia da montare gli uomini. Non c'è, dunque, da meravigliarsi se il più grande medico, profondo conoscitore della natura, è stato smentito e tante donne sono calve e malate di gotta. Per i vizi hanno perso i vantaggi del loro sesso; si sono spogliate della natura femminile e così sono state condannate alle malattie proprie degli uomini.
22 I medici di una volta ignoravano l'uso di somministrare agli ammalati il cibo con più frequenza e di sostenere col vino una deficienza circolatoria, non conoscevano il salasso e la possibilità di alleviare le malattie croniche con bagni e sudorazioni, non sapevano far affiorare un male nascosto e interno legando braccia e gambe. Non occorreva cercare molte specie di presidî: i pericoli erano pochissimi. 23 Ma ora, che passi da gigante hanno fatto le malattie! È questo il prezzo che paghiamo per i piaceri agognati oltre i giusti limiti. Non stupirti che i malati siano così numerosi: conta i cuochi. Non si studia più e i professori di discipline liberali stanno in aule deserte senza anima viva; le scuole dei retori e dei filosofi sono abbandonate: ma che folla c'è nelle cucine! Quanti giovani si ammassano intorno al focolare degli scialacquatori! 24 E taccio della massa di quei poveri ragazzi che dopo il banchetto sono vittime di altri oltraggi nelle camere; taccio delle schiere di amasi divisi per nazionalità e colore in modo che abbiano tutti la stessa levigatezza, la stessa prima lanuggine, lo stesso tipo di capelli: chi li ha lisci non va mescolato a chi li ha ricci; taccio della torma di fornai e di servi, che, a un ordine, corrono a mettere in tavola. 25 Buon dio, a quanti uomini dà da fare un solo ventre! Ma come? Credi che quei funghi, voluttuoso veleno, non abbiano un effetto nascosto, anche se non istantaneo? Non pensi che quel ghiaccio d'estate produca un indurimento del fegato? E che le ostriche, carne inerte ingrassata nella melma, trasmettano la loro limacciosa pesantezza? E quella salsa che viene dalle province, preziosa poltiglia di pesci guasti, non credi che bruci le viscere col suo piccante marciume? E quella carne purulenta che passa dal fuoco alla bocca secondo te si raffredda nello stomaco senza provocare danni? Eruttano in maniera disgustosa e pestilenziale; che nausea di se stessi provano a mandar fuori i miasmi della crapula del giorno prima! Il cibo non lo assimilano: marcisce. 26 Ricordo che mi è stato raccontato di un piatto famoso in cui il taverniere aveva ammassato, affrettando la sua rovina, tutte quelle vivande che nelle case dei signori vengono servite nel corso di una giornata: conchiglie di Venere, spondili e ostriche tagliate fin dove si possono mangiare, divise e intervallate da ‹tordi›; ricci e triglie fatte a pezzi senza lische, ricoprivano interamente il piatto. 27 Ormai non piace più gustare vivande singole: si mescolano sapori diversi. Durante il pranzo avviene quello che dovrebbe avvenire nello stomaco: ormai mi aspetto che vengano serviti cibi già masticati. E non ci manca molto: si tolgono gusci e ossa e il cuoco svolge la funzione dei denti. "È scomodo far baldoria assaporando le vivande una per una: mettiamo tutto insieme a formare un sapore unico. Perché mettere mano a un solo piatto? Ne vengano serviti molti simultaneamente, si uniscano e si mescolino portate diverse e raffinate. 28 Chi affermava che tutto ciò si fa per ostentazione e desiderio di notorietà sappia che queste vivande non sono messe in mostra, ma presentate al giudizio di ognuno. Quei cibi che di solito si servono separatamente vengano uniti, immersi nello stesso intingolo; non ci siano distinzioni; ostriche, ricci, spondili, triglie siano messi in tavola cotti insieme e mescolati." Il cibo che si vomita non potrebbe essere più mescolato. 29 Le malattie che nascono da piatti così confusi sono complesse, oscure, diverse, multiformi, e per combatterle la medicina ha cominciato a munirsi di svariati metodi e ricette.
Lo stesso ti dico della filosofia. Un tempo, quando le colpe erano meno gravi e vi si poteva porre facilmente rimedio, era più semplice: ma di fronte a un tale sfacelo morale, bisogna tentare di tutto. E volesse il cielo che questa peste fosse infine debellata! 30 La nostra follia interessa la vita privata e anche quella pubblica. Reprimiamo gli omicidi, gli assassini di singoli individui: ma che dire delle guerre e dello sterminio di intere popolazioni, delitti di cui ci si vanta? L'avarizia, la crudeltà non conoscono misura. E finché rimangono nascoste, opera di singole persone, sono meno nocive e meno abominevoli. Ma le atrocità vengono sancite dai decreti del senato e del popolo e si comanda in nome dello stato quello che è proibito in privato. 31 Quei delitti che, compiuti di nascosto, verrebbero puniti con la pena di morte, noi li approviamo perché li hanno commessi degli alti ufficiali? Gli uomini, che pure sono una razza mitissima, non si vergognano di godere delle reciproche stragi, di fare guerre e di lasciarle in eredità ai figli perché le portino avanti, mentre anche le bestie e le fiere non combattono tra loro. 32 Contro un furore così potente e diffuso la filosofia è diventata più attiva e più forte in proporzione alla forza dei mali che doveva combattere. Era facile, in passato, rimproverare gli uomini che indulgevano al vino e ricercavano cibi più raffinati, non serviva una grande forza per riportarli alla frugalità: non se ne erano allontanati molto.

33 ora ci vuole mano rapida e grande maestria.
Dovunque si cerca il piacere; nessun vizio rimane dentro i suoi confini: il lusso precipita nell'avidità. L'onestà è dimenticata; non consideriamo ignobile niente di quello che ci alletta. L'uomo, creatura sacra all'uomo, viene ormai ucciso per divertimento e per gioco, e mentre prima era considerato un misfatto insegnare a un individuo a ferire e a essere ferito, ora lo si spinge fuori nudo e inerme, e la morte di un uomo è uno spettacolo che soddisfa. 34 Di fronte a una tale depravazione si sente il bisogno di una forza più vigorosa del comune, che dissipi questi mali inveterati: bisogna agire in base ai princìpî della filosofia per sradicare del tutto le nostre false convizioni. E se ai princìpî uniremo precetti, consolazioni, esortazioni, essi avranno efficacia: da soli non bastano. 35 Se vogliamo vincolare gli uomini al bene e strapparli ai vizi che li legano, imparino che cosa è il bene e che cosa il male, sappiano che ogni cosa, tranne la virtù, cambia nome e diventa un po' un bene, un po' un male. Come il primo vincolo di un soldato è la lealtà giurata, l'amore per la bandiera e il considerare la diserzione un delitto, e quando ha prestato giuramento, gli altri obblighi li si può esigere e comandarglieli facilmente; così in quegli uomini che vuoi condurre alla felicità bisogna gettare le prime fondamenta del bene e insinuare la virtù. Ne abbiano quasi una fanatica venerazione, la amino; vogliano vivere con lei, e senza di lei morire.
36 "Ma come? Individui sprovvisti di un'educazione accurata non sono diventati uomini onesti e hanno conseguito dei risultati notevoli semplicemente adeguandosi a una pura precettistica?" D'accordo, ma avevano un ingegno fertile e gli insegnamenti utili li hanno carpiti al volo. Gli dèi immortali non hanno bisogno di imparare le virtù, le possiedono tutte innate e fa parte della loro natura essere buoni; così ci sono degli uomini dotati dalla fortuna di qualità straordinarie, che arrivano senza un lungo apprendistato a quei concetti che di solito vengono insegnati, e abbracciano i princìpî onesti appena ne sentono parlare; di qui queste menti così pronte a ghermire la virtù, fertili anche di per se stesse. Le nature deboli e ottuse, invece, oppure assediate dalle cattive abitudini, bisogna ripulirle dalla ruggine spirituale. 37 Del resto se uno insegna i princìpî filosofici, come riesce a condurre più rapidamente ai vertici del bene chi vi è incline, così aiuterà anche i più deboli, strappandoli ai pregiudizi sbagliati; e di come siano necessari questi princìpî te ne puoi rendere conto. Ci sono forze in noi che ci rendono pigri per certe cose, temerari per altre; è un'audacia che non può essere contenuta, un'indolenza che non si può scuotere, se non ne sopprimi le cause, e cioè il terrore o l'ammirazione infondati. Finché ne siamo preda, puoi ben dire: "Questo lo devi al padre, questo ai figli, questo agli amici, questo agli ospiti"; anche se uno ci prova, lo bloccherà l'avarizia. Saprà che bisogna battersi per la patria, ma la paura lo distoglierà; saprà che per gli amici bisogna sudare fino all'ultima goccia, ma glielo vieteranno i piaceri; saprà che è un gravissimo affronto per la moglie avere un amante, ma la lussuria lo spingerà ad agire contro virtù. 38 Indicare delle norme non servirà a niente, se prima non togli di mezzo gli ostacoli a queste norme, allo stesso modo che aver messo sotto gli occhi e a disposizione di una persona delle armi non servirà a niente se non gli sleghi le mani per usarle. Perché l'animo possa indirizzarsi agli insegnamenti che gli offriamo, bisogna liberarlo. 39 Supponiamo che qualcuno faccia quanto è necessario: non lo farà in modo né costante, né uniforme; ignora, difatti, perché lo faccia. O per caso, o a forza di provare, certe cose avranno buon esito, ma egli non stringerà in pugno lo strumento che gli consente una verifica, in base a cui possa ritenere giusto quello che ha fatto. Uno buono per caso non garantisce di conservarsi così eternamente.
40 Inoltre i precetti potranno forse metterlo in grado di compiere il proprio dovere, ma non gli indicheranno il modo; e se non lo indicano, non conducono certo alla virtù. Se ammonito, farà il suo dovere, te lo concedo; ma è poco, perché lodevole non è l'azione, ma il come si verifica. 41 Che cosa c'è di più scandaloso che mangiarsi un patrimonio da rango equestre in una cena sontuosa? Che cosa merita maggiore censura se uno, come blaterano questi dissoluti, fa una tale concessione a sé e al suo estro? E tuttavia, uomini frugalissimi, all'entrata in carica, hanno offerto pranzi da un milione di sesterzi. Lo stesso fatto è riprovevole se è una concessione alla gola; ma non lo si può criticare se è per una carica; non è lusso, ma una spesa dovuta alle consuetudini. 42 A Tiberio fu inviata una triglia di dimensioni gigantesche - e perché non specificare il peso e solleticare la golosità di qualcuno? - dicevano che pesasse quattro libbre e mezza. Egli diede ordine che fosse portata al mercato e messa in vendita, dicendo: "Amici, se non mi sbaglio, questa triglia la comprerà o Apicio o P. Ottavio." Ma si andò al di là delle sue previsioni: misero il pesce all'asta, vinse Ottavio e si ricoprì di grande gloria tra i suoi: aveva acquistato per cinquemila sesterzi la triglia venduta da Cesare, che neppure Apicio aveva comprato. Pagare una somma simile fu una vergogna per Ottavio, non per chi aveva acquistato la triglia con l'intenzione di mandarla a Tiberio; per quanto, secondo me, anche costui va criticato: l'ha giudicata straordinaria e ne ha considerato degno l'imperatore. 43 Uno assiste l'amico ammalato: bravo! Ma lo fa per ereditare: è un avvoltoio, aspetta il cadavere. Le stesse azioni possono essere oneste o disoneste: quello che conta è il perché o il modo in cui sono fatte. Ma saranno sempre oneste se ci consacreremo all'onestà e vedremo in essa e in quello che ne trae origine l'unico bene dell'uomo; gli altri sono beni temporanei. 44 Dobbiamo, perciò metterci bene in testa questa convinzione - io la chiamo principio - che riguarda tutta la vita. A tale convinzione le nostre azioni, i nostri pensieri si uniformeranno e la nostra vita a sua volta si uniformerà ad essi. I consigli particolari sono poca cosa per chi vuole dare un ordine all'intera esistenza. 45 M. Bruto nel libro intitolato $ðåñr êáèÞêïíôïò$ dà una ricca precettistica per i genitori, i figli, i fratelli: ma nessuno la seguirà come deve, se non avrà un punto di riferimento. Dobbiamo proporci come fine il sommo bene, tendervi con ogni sforzo e guardare ad esso per tutte le nostre azioni e le nostre parole, così come i marinai devono dirigere la rotta secondo una stella. 46 Se manca un traguardo, la vita è un girovagare. E se questo traguardo bisogna senz'altro proporselo, cominciano a essere necessari i princìpî. Sarai d'accordo, penso, che niente è più riprovevole di un uomo che, pieno di dubbi, di incertezze, di paure, ritorna sui suoi passi. E questo ci capiterà in ogni circostanza se non togliamo di mezzo tutto ciò che trattiene e lega il nostro animo e gli impedisce di avanzare e di lottare con tutto se stesso.
47 Tra le norme più diffuse ci sono quelle che riguardano il culto degli dèi. Ebbene: si proibisca di accendere lumi il sabato: gli dèi non hanno bisogno di luce e per gli uomini il fumo delle lucerne non è piacevole. Si vieti l'adempimento dei saluti mattutini e lo stare seduti alle porte dei templi: solo l'ambizione umana è conquistata da omaggi come questi; onorare dio è conoscerlo. Si vieti che vengano portati a Giove drappi di tela e strìgili e che si regga lo specchio a Giunone: dio non cerca servitori. Perché no? È lui stesso a servire gli uomini, è a disposizione dovunque e di tutti. 48 Anche se uno apprende quali norme deve rispettare nei sacrifici, come debba abbandonare le superstizioni dannose, non avrà mai fatto progressi sufficienti se non ha una giusta concezione di dio, che tutto possiede, tutto offre, ed è benefico senza pretendere una contropartita. 49 Che cosa spinge gli dèi a fare il bene? La loro natura. È un errore credere che non vogliono fare del male; non possono farlo. E non possono né subire, né arrecare offese; offendere ed essere offesi sono cose strettamente unite. La loro natura superiore e più bella di ogni altra li ha sottratti ai pericoli e li ha resi anche non pericolosi per gli altri. 50 Primo atto di venerazione verso gli dèi è credere in loro; poi riconoscerne la maestà e riconoscerne la bontà senza la quale non c'è maestà; sapere che sono loro a governare il mondo, a regolare tutto con la loro forza, a esercitare la tutela dell'umanità, trascurando a volte i singoli individui. Gli dèi non fanno e non subiscono il male; ma riprendono certi uomini, li tengono a freno, li castigano e talora infliggono una punizione sotto l'apparenza di un bene. Vuoi propiziarti gli dèi? Sii buono. Imitarli è un atto di venerazione sufficiente.
51 Ecco un altro problema: come ci si deve comportare con gli uomini? Che facciamo? Che insegnamenti diamo? Di non versare sangue umano? È davvero poco non fare del male al prossimo cui si dovrebbe fare del bene! È proprio un grande merito per un uomo essere mite con un altro uomo! Insegneremo a porgere la mano al naufrago, a mostrare la strada a chi l'ha perduta, a dividere il pane con chi ha fame? Perché elencare tutte le azioni da compiere e da evitare quando posso insegnare questa breve formula che comprende tutti i doveri dell'uomo: 52 tutto ciò che vedi e che racchiude l'umano e il divino, è un tutt'unico; noi siamo le membra di un grande corpo. La natura ci ha generato fratelli, poiché ci ha creato dalla stessa materia e indirizzati alla stessa meta; ci ha infuso un amore reciproco e ci ha fatti socievoli. Ha stabilito l'equità e la giustizia; in base alle sue norme, chi fa del male è più sventurato di chi il male lo riceve; per suo comando le mani siano sempre pronte ad aiutare. 53 Medita e ripeti spesso questo verso:
Sono un uomo, e niente di ciò che è umano lo giudico a me estraneo.
Mettiamo tutto in comune: siamo nati per una vita in comune. La nostra società è molto simile a una vòlta di pietre: cadrebbe se esse non si sostenessero a vicenda, ed è proprio questo che la sorregge.
54 Dopo gli dèi e gli uomini vediamo come dobbiamo valerci delle cose. Le norme che predichiamo sono inutili, se prima non avremo l'esatta opinione su tutto, sulla povertà, la ricchezza, la gloria, il disonore, la patria, l'esilio. Valutiamo queste cose una per una, tralasciando l'opinione generale, e cerchiamo la loro essenza, non il loro nome.
55 Passiamo ora alle virtù. Qualcuno ci raccomanderà di stimare molto la prudenza, di abbracciare la fortezza, di stringerci, se possibile, alla giustizia più che alle altre virtù' ma non arriverà a nessun risultato se noi ignoriamo cos'è la virtù, se è una o più di una, se sono separate o collegate, se chi ne ha una, possiede anche le altre, in che cosa differiscano tra loro. 56 L'artigiano non ha bisogno di chiedere notizie sul suo mestiere, quando è cominciato, quale ne sia l'uso, come non ne ha bisogno il pantomimo sull'arte della danza: tutte queste arti conoscono se stesse, non manca nulla, perché non riguardano la totalità della vita. La virtù è conoscenza delle altre cose e di sé; per apprenderla bisogna studiarla a fondo. 57 Un'azione non sarà onesta, se onesta non sarà la volontà, da cui l'azione deriva. E d'altra parte, la volontà non sarà onesta, se non sarà onesta la disposizione di spirito da cui la volontà deriva. A sua volta, la disposizione di spirito non sarà la migliore se non avrà appreso le leggi dell'intera esistenza e non avrà ricercato che giudizio si debba esprimere su ogni fatto, se non avrà ricondotto le cose alla verità. La serenità la può avere solo chi si è formato un giudizio sicuro e incrollabile. Tutti gli altri cadono più volte, si rimettono in piedi e ondeggiano alternativamente tra rinunce e desideri. 58 Qual è il motivo di questa loro instabilità? Che niente è chiaro per chi si basa sul criterio più incerto: l'opinione pubblica. Se vuoi avere una volontà costante, devi volere sempre la verità. Ma alla verità non si arriva senza princìpî filosofici: essi comprendono tutta la vita. Il bene e il male, l'onestà e la disonestà, la giustizia e l'ingiustizia, la pietà e l'empietà, la virtù e l'esercizio delle virtù, il possesso di comodità materiali, la stima e la dignità, la salute, le forze, la bellezza, l'acutezza dei sensi - tutte queste cose hanno bisogno di uno che ne faccia una stima esatta. Dobbiamo sapere quanto ciascuna vada valutata. 59 Difatti ci inganniamo e certe cose le stimiamo più del loro valore; anzi ci inganniamo al punto da apprezzare moltissimo cose che non valgono un soldo: la ricchezza, il favore della massa, la potenza. Ma il giusto valore non lo potrai conoscere se non esaminerai la base fondamentale per cui queste cose vengono stimate in rapporto tra loro. Le foglie non possono germogliare da sé, hanno bisogno di stare attaccate a un ramo da cui trarre la linfa; analogamente questi precetti, da soli, marciscono; richiedono di essere strettamente legati a una dottrina filosofica.
60 Inoltre, quei filosofi che eliminano i princìpî, non capiscono che questi trovano conferma proprio nel motivo per cui vengono eliminati. Che cosa sostengono costoro? Che per vivere, i precetti sono sufficienti e che i princìpî della saggezza sono superflui. Ma questa stessa loro affermazione, perbacco, è un principio, proprio come se ora io dicessi che bisogna abbandonare i precetti perché inutili e servirsi dei princìpî e concentrarsi solo su questi; darei dei precetti proprio nel momento in cui sostenessi che i precetti vanno tralasciati. 61 Certe parti della filosofia richiedono un ammonimento, certe altre una dimostrazione, e ampia, perché sono oscure e diventano più chiare solo procedendo con grande esattezza e penetrazione. Se le dimostrazioni sono necessarie, sono necessari anche i princìpî che col ragionamento arrivano alla verità. Certi sono chiari, certi oscuri: chiari quelli che si comprendono col buon senso e rimangono nella memoria; oscuri quelli che sfuggono a queste due facoltà. Ma la ragione non si appaga di concetti evidenti: la sua funzione maggiore e più bella si esplica nelle questioni che ci sfuggono. Queste richiedono una dimostrazione, e per la dimostrazione bisogna ricorrere ai princìpî; quindi i princìpî sono necessari. 62 Il senso comune e anche l'intelligenza perfetta sono il prodotto di un giudizio esatto sulle cose; se è vero che senza di esso tutto dentro di noi diventa incerto, i princìpî, che ci forniscono un giudizio immutabile, sono necessari. 63 Infine, quando esortiamo qualcuno ad avere per l'amico la stessa considerazione che per se stesso, a pensare che un nemico può diventare un amico, ad accrescere il suo amore per il primo, a moderare l'odio verso il secondo, noi aggiungiamo: "È giusto, onesto." Ma il giusto e l'onesto dei nostri princìpî lo comprende la ragione; dunque, è necessaria, perché senza di essa non esistono neppure i princìpî. 64 Ma uniamo precetti e princìpî: senza le radici i rami sono inservibili, e d'altra parte le radici si valgono dei rami che hanno generato. Nessuno può ignorare l'utilità delle mani, l'aiuto che dànno è evidente: ma il cuore, che alle mani dà vita, slancio, movimento, è nascosto. Dei precetti possiamo dire lo stesso: sono evidenti, mentre i princìpî della saggezza sono reconditi. Solo gli iniziati conoscono i più sacri misteri del culto, così i misteri della filosofia sono svelati agli individui ammessi e accolti nei suoi penetrali; ma i precetti e gli altri insegnamenti dello stesso tipo sono noti anche ai profani.
65 Secondo Posidonio sono necessarie non solo la precettistica (niente ci proibisce di servirci di questa parola), ma anche il consiglio, il conforto e l'esortazione; aggiunge, inoltre, la ricerca delle cause, o eziologia, e non vedo perché noi non dovremmo osarne l'adozione e l'uso, quando i grammatici, custodi della lingua latina, a buon diritto, se ne servono. Posidonio sostiene anche l'utilità della descrizione di ciascuna virtù, che egli chiama "etologia", mentre altri la definiscono "charatterismos"; essa ci dà le note caratteristiche di ogni virtù e di ogni vizio, grazie alle quali si distinguono cose simili tra loro. 66 L'etologia ha la stessa forza dei precetti; difatti, chi insegna dice: "Fai questo se vuoi essere temperante"; chi descrive dice: "È temperante chi fa questo, chi non fa quest'altro." Vuoi sapere la differenza? Il primo dà precetti di virtù, il secondo ne dà un modello. Confesso che queste descrizioni o rappresentazioni fedeli, per usare una parola da esattori, sono utili: proponiamo esempi lodevoli, troveremo un imitatore. 67 Ritieni utile che ti vengano date delle prove grazie alle quali puoi riconoscere un cavallo di razza, per non concludere un affare sbagliato, per non perder tempo con un animale fiacco? Quanto è più utile conoscere le caratteristiche di un animo straordinario, che da un altro si possono trasferire a sé!

68 Un puledro di buona razza avanza eretto nei campi, posando con agilità le zampe; per primo osa muoversi, guadare fiumi minacciosi, attraversare un ponte mai passato e non lo spaventano vani fragori. Ha il collo erto, la testa ben delineata, il ventre piccolo, il dorso pingue e il superbo petto è un rigoglio di muscoli...
...Se sente da lontano risuonare le armi, non sa stare fermo, drizza le orecchie, gli fremono gli arti e soffia dalle narici, cacciando fuori l'ardore accumulato.

69 Il nostro Virgilio, senza volerlo, ci ha descritto l'uomo forte: io, almeno, di un grand'uomo farei lo stesso ritratto. Se dovessi rappresentare M. Catone impavido fra i clamori delle guerre civili, nell'atto di attaccare per primo gli eserciti arrivati ormai alle Alpi e di affrontare la guerra civile, non gli darei un aspetto diverso o un diverso atteggiamento. 70 Nessuno poté certamente avanzare con maggiore dignità dell'uomo che si levò contemporaneamente contro Cesare e Pompeo e che mentre si parteggiava per l'una o per l'altra fazione, li sfidò entrambi e mostrò che si potevano anche tenere le parti dello stato. È poco dire di Catone "non lo spaventano vani fragori". E perché no? Visto che non lo spaventano quelli veri e vicini, che alza la sua voce libera contro dieci legioni, le milizie ausiliarie galliche, le forze barbariche miste a quelle civili ed esorta lo stato a non capitolare di fronte alla lotta per la libertà, ma a tentare di tutto, perché cadere in schiavitù è più onorevole che andarle incontro. 71 Che vigore, che audacia c'è in lui, che coraggio in mezzo al panico generale! Sa che è il solo la cui condizione non è in gioco: il problema non è se Catone è libero, ma se vive tra uomini liberi: da qui il suo disprezzo dei pericoli e delle spade. Piace ammirare l'invincibile fermezza di un uomo incrollabile nella rovina generale e dire "e il superbo petto è un rigoglio di muscoli".
72 Sarà utile non solo descrivere le qualità usuali degli uomini virtuosi e ritrarre la loro immagine e i loro tratti caratteristici, ma raccontare e mostrare quali furono; l'estrema e coraggiosissima ferita di Catone attraverso la quale la libertà esalò l'ultimo respiro; la saggezza di Lelio e l'armonia con il suo Scipione; le azioni straordinarie dell'altro Catone, nella sfera privata e in quella pubblica; i letti conviviali di legno di Tuberone, allestiti per un pranzo ufficiale, con pelli di capra anziché coperte, e i vasi di argilla per i banchetti posti proprio davanti alla cella di Giove; che altro significava se non consacrare la povertà sul Campidoglio? Anche se non conoscessi altri suoi gesti per metterlo tra i Catoni, questo ti sembrerebbe poco? Non fu un pranzo, ma una censura. 73 Come ignorano quegli uomini avidi di gloria che cosa essa sia veramente e come la si debba cercare! Quel giorno il popolo romano vide le suppellettili di molte persone, ma ammirò quelle di uno solo. L'oro e l'argento di tutti gli altri è stato spezzato e fuso molte volte: i vasi d'argilla di Tuberone dureranno attraverso le generazioni. Stammi bene.

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