Seneca: Lettere a Lucilio - libro14

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Testo

LIBRO QUATTORDICESIMO


89
1 Tu desideri una cosa utile e necessaria per chi è ansioso di raggiungere la saggezza, cioè dividere la filosofia, e il suo corpo smisurato distinguerlo in membra: alla conoscenza del tutto è più facile arrivarvi attraverso le singole parti. Come si presenta ai nostri occhi l'aspetto generale dell'universo, magari potesse dispiegarsi così davanti a noi l'intera filosofia in uno spettacolo assai vicino a quello dell'universo! Certo strapperebbe ai mortali tutti l'ammirazione, lasceremmo da parte ciò che ora riteniamo grande per ignoranza di ciò che è veramente grande. Ma poiché questo è impossibile, dobbiamo volgere lo sguardo sulla filosofia nello stesso modo in cui si scrutano i segreti dell'universo. 2 L'animo del saggio ne abbraccia l'intera mole e la percorre non meno velocemente di quanto i nostri occhi percorrano il cielo; ma a noi che dobbiamo squarciare la nebbia e abbiamo una vista limitata alla realtà vicina, si mostrano più facilmente i singoli elementi perché siamo ancora incapaci di una visione globale. Ti accontenterò dunque, in quello che chiedi e dividerò la filosofia in parti, ma non in frammenti. È utile dividerla, non sminuzzarla: le cose molto piccole è difficile capirle quanto quelle molto grandi. 3 Il popolo è distinto in tribù, l'esercito in centurie; quando una cosa assume dimensioni ragguardevoli, si riconosce più facilmente se viene distinta in parti, ma, come ho già detto, non devono essere innumerevoli e troppo piccole. La mancanza di divisione e l'eccessivo frazionamento hanno lo stesso difetto: tutto quello che è ridotto in briciole è simile ad un ammasso confuso.
4 Comincerò, pertanto, se sei d'accordo, con lo spiegarti la differenza tra saggezza e filosofia. La saggezza è il bene supremo della mente umana; la filosofia è amore e desiderio per la saggezza: tende là dove la saggezza è arrivata. È chiaro perché si chiama filosofia; il suo stesso nome dichiara che cosa ama. 5 Qualcuno ha definito la saggezza la scienza del divino e dell'umano; per altri la saggezza è conoscenza del divino, dell'umano e delle loro cause. Questa mi sembra un'aggiunta superflua: le cause del divino e dell'umano rientrano nel divino. Anche per la filosofia si sono trovate decine e decine di definizioni; è stata chiamata da alcuni ricerca della virtù, da altri ricerca di ben indirizzare la mente, e anche desiderio di una ragione retta. 6 Per quasi unanime consenso si indica una differenza tra filosofia e saggezza: l'oggetto e il soggetto di una aspirazione non possono identificarsi. Come tra avarizia e denaro c'è una profonda differenza, perché l'avarizia agogna e il denaro è agognato, lo stesso succede tra filosofia e saggezza: la seconda è conseguenza e compenso della prima; quella viene, all'altra si va. 7 I Greci dànno alla saggezza il nome di $óïößá$. È un termine che un tempo adoperavano anche i romani, così come ora usano filosofia; la testimonianza la trovi nelle antiche commedie togate e nell'epigrafe del monumento di Dossenno:
Férmati, forestiero, e leggi la sofia di Dossenno.

8 Certi Stoici, benché la filosofia sia ricerca di virtù, e la virtù sia oggetto della ricerca, mentre la filosofia ricerca, non hanno ritenuto che i due elementi potessero essere disgiunti, perché non esiste filosofia senza virtù, né virtù senza filosofia. La filosofia è ricerca di virtù, ma attraverso la virtù stessa; e la virtù non può esistere senza la ricerca di sé, né la ricerca della virtù senza la virtù. Quando si cerca di colpire un oggetto da lontano, da una parte c'è chi tira, dall'altra il bersaglio; nella virtù, invece, non c'è separazione; le strade che conducono alle città sono fuori dalle città: ma le vie che conducono alla virtù non sono fuori dalla virtù: alla virtù si arriva attraverso di essa, e filosofia e virtù sono strettamente legate.
9 Secondo la maggioranza dei più grandi scrittori, le parti della filosofia sono tre: morale, fisica e logica. La prima regola l'anima, la seconda indaga la natura, la terza esamina la proprietà del linguaggio, l'ordinata disposizione delle parole, le argomentazioni, perché il falso non si insinui al posto del vero. Ma si possono trovare altri che dividono la filosofia in un numero minore o maggiore di parti. 10 Certi Peripatetici aggiungono una quarta parte, la politica, in quanto richiede una sua pratica e si interessa di una materia diversa. Altri aggiungono la parte cosiddetta $ïkêïíïìéêÞ$, la scienza dell'amministrazione del patrimonio; e, infine, c'è chi distingue i differenti generi di esistenza. Sono tutti elementi riconducibili alla morale. 11 Gli Epicurei sostenevano che le parti della filosofia sono due, fisica e morale: eliminavano la logica. Poi, costretti dalla realtà a sceverare le incertezze e a individuare il falso nascosto sotto l'apparenza della verità, hanno introdotto anch'essi un settore chiamato "norme di giudizio", che è un altro nome per logica, ma per loro si tratta di un'appendice della fisica. 12 I Cirenaici hanno eliminato la fisica e la logica, accontentandosi della morale, per poi recuperare anche loro in altro modo quello che hanno rimosso; suddividono, infatti, la morale in cinque parti; la prima riguarda ciò che va fuggito e cercato, la seconda le passioni, la terza le azioni, la quarta le cause, la quinta gli argomenti. Ma le cause fanno parte della fisica, gli argomenti della logica 13 Aristone di Chio arrivò a definire la fisica e la logica non solo superflue, ma addirittura nocive; e arriva anche a limitare la morale, unica superstite. Ha soppresso, infatti, la precettistica attribuendola al pedagogo, non al filosofo, come se il saggio fosse qualcosa di diverso dal pedagogo del genere umano.
14 Dato che la filosofia consta di tre parti, cominceremo a passare in rassegna per prima la morale, che a sua volta si è deciso di distinguere in tre parti: la prima è l'esame di ciò che tocca a ciascuno e la determinazione del valore di ogni cosa, còmpito della massima utilità, perché non c'è niente di più necessario che attribuire la giusta stima alle cose. La seconda è l'esame degli impulsi, la terza delle azioni. In primo piano c'è il giudizio sul valore di ogni cosa, in secondo il tendervi in maniera regolare e misurata, in terzo la concordanza tra impulso e azione in maniera che tu sia in ogni momento coerente con te stesso. 15 La mancanza di una sola di queste tre componenti sconvolge anche le altre. Che vantaggio ti dà aver ponderato tutto, se poi il tuo slancio è eccessivo? A che serve avere represso gli slanci, avere il controllo dei desideri, se manchi di tempestività al momento di agire, se non sai che cosa si deve fare, quando, dove, e come? Un conto è conoscere grado e valore delle cose, un altro i momenti decisivi, e un altro ancora frenare gli impulsi e avviarsi, non precipitarsi, all'azione. La vita è coerente con se stessa quando c'è equilibrio tra azione e impulso; l'impulso nasce dal valore dell'oggetto e di conseguenza è debole o più forte a seconda che l'oggetto meriti di essere ricercato.
16 La fisica si divide in due sezioni: il corporeo e l'incorporeo; ciascuna delle due si articola, per così dire, in gradi. Nell'àmbito dei corpi innanzi tutto si distinguono quelli che generano e quelli che da essi sono generati, e gli elementi sono generati. Lo stesso àmbito degli elementi, a parere di qualcuno, è semplice, a parere di altri, si fraziona nella materia, nella causa, che muove tutto, e negli elementi veri e propri.
17 Mi resta da suddividere la logica. Ogni discorso o è continuo o spezzato in domanda e risposta. Convenzionalmente si chiama $äéáëåêôéêÞ$ il secondo, $1/4çôïñéêÞ$ il primo. La $1/4çôïñéêÞ$ cura le parole, i pensieri e la loro collocazione; la $äéáëåêôéêÞ$ si scinde in due parti: parole e significati, ossia in concetti espressi e vocaboli, strumento di questa espressione. Entrambe sono soggette a una miriade di ulteriori distinzioni. Perciò a questo punto mi fermerò e
per sommi capi toccherò le cose;
altrimenti se vorrò occuparmi delle ripartizioni delle parti, nascerà un libro di problemi.
18 Non ti distolgo, mio ottimo Lucilio, dal leggere trattati del genere, purché tu riporti immediatamente alla morale tutto quello che avrai letto. Sappi regolarla, ridesta ciò che langue in te, tira le redini allentate, doma le resistenze, attacca per quanto puoi le passioni tue e degli altri, e a chi ti obbietta: "Ma non la smetterai mai con la stessa predica?" rispondi:
19 "Io dovrei dire: 'Non la smetterete mai di commettere gli stessi errori?' Volete che i rimedi finiscano prima dei vizi? Io parlerò ancòra di più, e insisterò perché voi avete un atteggiamento di rifiuto; una medicina comincia a fare effetto quando il corpo che aveva perduto la sensibilità reagisce con dolore allo stimolo. Anche se non volete, vi indicherò i farmaci. È bene che talvolta vi arrivi qualche parola un po' dura e dato che singolarmente vi rifiutate di ascoltare la verità, ascoltatela tutti insieme."
20 "Fin dove estenderete i confini delle vostre terre? Un territorio che bastava a un popolo è piccolo per un padrone solo? Fin dove spingerete i vostri aratri, se a delimitare i vostri campi non vi soddisfano neppure i confini di una provincia? Fiumi importanti attraversano solo proprietà private e grandi corsi d'acqua, che segnano confini di grandi popoli, sono vostri dalla sorgente alla foce. E anche questo è poco: se coi vostri latifondi non avete circondato i mari, se il vostro amministratore non regna oltre l'Adriatico, lo Ionio, l'Egeo; se le isole, dimora di grandi condottieri, non sono annoverate tra le quisquilie. Aggiungete proprietà a proprietà, sia un fondo privato quello che una volta si chiamava impero, appropriatevi di tutto quello che potete, fintanto che i possedimenti altrui sono più estesi dei vostri."
21 "Adesso mi rivolgo a voi, il cui lusso si dilata non meno dell'avidità di quegli altri. Dico a voi: fino a quando i tetti delle vostre ville si affacceranno su ogni lago o le vostre case costelleranno le rive di tutti i fiumi? Dovunque zampilleranno vene d'acqua calda, là si fabbricheranno nuovi alloggi di lusso. Dovunque il litorale si curverà in una baia, voi getterete sùbito delle fondamenta, e, contenti solo del terreno che create artificialmente, incalzerete il mare fin dentro. I vostri palazzi risplendano dovunque, sia sulla cima dei monti con un ampio orizzonte di terra e di mare, sia in pianura, alti quanto montagne; quando avrete costruito palazzi su palazzi e smisurati, sarete soltanto un corpo e piccolo. A che servono tante camere da letto? Dormite in una sola; non è vostro quello dove non state."
22 "E ora passo a voi, ghiottoni: la vostra golosità senza fondo e insaziabile fruga i mari, le terre; con ami, lacci, vari tipi di reti braccate faticosamente gli animali, non date loro tregua se non quando vi sono venuti a nausea. Ma con la bocca stanca di tante prelibatezze quanto gustate di questi banchetti allestiti col lavoro di tanta gente? Quanto assaggia di questa bestia catturata con tanto rischio un signore che digerisce male e ha la nausea? Sono stati fatti venire da lontano tanti crostacei, quanti ne scivolano dentro questo stomaco insaziabile? Poveri infelici, non vi rendete conto che la vostra fame è più grande del vostro ventre?"
23 Dille queste cose agli altri, purché anche tu ascolti mentre parli; scrivile, purché tu le legga mentre le scrivi; poni ogni tua cura alla morale e a placare il furore delle tue passioni. Cerca non di sapere di più, ma di saper meglio. Stammi bene.

90
1 Il fatto di vivere, Lucilio mio, è un dono degli dèi immortali, il fatto di vivere bene, della filosofia, nessuno può dubitarne. Dunque, noi dovremmo avere un debito maggiore verso la filosofia che non verso gli dèi, in quanto un'esistenza virtuosa è certamente un beneficio maggiore che l'esistenza; ma sono stati gli dèi a darci proprio la filosofia: non hanno concesso a nessuno la conoscenza di essa, a tutti la possibilità. 2 Se avessero reso anche la filosofia un bene comune e noi nascessimo saggi, la saggezza avrebbe perduto la sua straordinaria prerogativa di non essere un bene fortuito. Quello che essa ha di prezioso e di stupefacente è di non essere un dono della sorte, ma una conquista personale, qualcosa che non si chiede a un terzo. Cosa ci sarebbe da ammirare nella filosofia se derivasse da un beneficio? 3 Il suo unico còmpito è scoprire la verità sul divino e sull'umano; da essa non si staccano mai religione, sentimento del dovere, giustizia e il corteo di tutte le altre virtù strettamente connesse tra di loro. Ci ha insegnato, la filosofia, a venerare gli dèi, ad amare gli uomini, e che il comando è nelle mani degli dèi, e che gli uomini sono uniti tra loro. Questo stato di cose fu per un certo tempo rispettato, poi l'avidità ruppe l'associazione e fece diventare povere anche quelle persone che aveva un tempo reso ricchissime: desiderando beni propri cessarono di possedere il tutto. 4 Ma i primi uomini e la loro progenie seguivano con purezza la natura, trovavano nello stesso uomo la guida e la legge, affidandosi alle decisioni del migliore, poiché la natura subordina quello che è inferiore a quello che è superiore. Le greggi le guidano gli animali più grossi o più impetuosi, le mandrie non le precede un toro di scarto, ma quello che per grossezza e massa muscolare supera gli altri maschi; i branchi degli elefanti li conduce il più alto; fra gli uomini conta il migliore, non il più forte. Il capo veniva scelto per le sue qualità interiori, e perciò i popoli più fiorenti erano quelli in cui solo il migliore poteva essere il più potente: poiché può fare con sicurezza quello che vuole solo l'uomo che ritiene di potere unicamente quello che deve.
5 Posidonio pensa che nell'età cosiddetta aurea, il governo fosse nelle mani dei saggi. Essi tenevano a freno la violenza, difendevano il più debole dai più forti, facevano opera di persuasione e di dissuasione, indicavano ciò che era utile o inutile; la loro preveggenza faceva in modo che non mancasse niente al popolo, la loro forza teneva lontani i pericoli, la loro liberalità arricchiva e dava benessere ai sudditi. Comandare era un dovere, non una tirannide. Nessuno sperimentava il proprio potere contro chi gli aveva permesso di averlo, nessuno era incline o motivato a commettere ingiustizie, poiché i sudditi obbedivano con sollecitudine al sovrano che comandava rettamente e la minaccia più grave del re a chi disobbediva era di rinunciare al potere. 6 Ma quando, per l'insinuarsi dei vizi, il regnare si tramutò in dispotismo, nacque la necessità delle leggi: e anch'esse all'inizio furono i saggi a presentarle. Solone, che diede ad Atene solide fondamenta di giustizia, fu uno dei sette famosi sapienti: Licurgo, se fosse vissuto nella stessa epoca, sarebbe stato inserito in quella sacra congrega come ottavo. Si elogiano i codici di Zaleuco e di Caronda; costoro il diritto non lo impararono nel foro o nell'atrio degli avvocati, ma le leggi che avrebbero dato alla Sicilia allora fiorente e, attraverso l'Italia meridionale, alla Grecia, le appresero nel sacro e tacito ritiro di Pitagora.
7 Fin qui sono d'accordo con Posidonio: non condivido, invece, che la filosofia abbia inventato le arti di uso quotidiano, e non le attribuirei la gloria dei mestieri artigianali. "La filosofia," egli afferma, "insegnò a costruire case agli uomini dispersi qua e là e che trovavano riparo o in capanne, o in qualche caverna, o nel cavo di un albero." Secondo me la filosofia non ha escogitato questi congegni di tetti che sorgono sui tetti, di città che incalzano le città, come non ha escogitato i vivai ittici, creati per risparmiare alla gola il rischio delle tempeste e per offrire alla mollezza, quando il mare impazzisce furioso, cale tranquille in cui ingrassare diverse qualità di pesci. 8 Che dici? La filosofia ha insegnato agli uomini ad avere chiavi e serrature? Non era dar via libera all'avidità? La filosofia avrebbe innalzato dei tetti che sovrastano così pericolosamente chi vi abita? Non bastava proteggersi con ripari fortuiti, trovarsi un rifugio naturale che non richiedesse tecnica o fatica. 9 Credimi, era felice quell'epoca senza architetti, né decoratori. Tagliare le assi in modo regolare, segare le travi con mano sicura secondo le linee tracciate, questo è nato col nascere del lusso;
i primi uomini, infatti, spaccavano con cunei il legno che si fendeva con facilità.
Non costruivano dimore con stanze destinate ai banchetti, pini e abeti non venivano trasportati in lunghe file di carri, facendo tremare le strade, per trasformarli in soffitti carichi d'oro sospesi sulle loro teste. 10 Puntelli dai due lati sostenevano la capanna; rami secchi stipati, fronde ammassate disposte con opportuna inclinazione assicuravano il defluire delle piogge anche torrenziali. Sotto questi tetti abitavano al sicuro: un tetto di paglia riparava gente libera; oggi sotto i marmi e l'oro abitano dei servi.
11 Su un altro punto ancora dissento da Posidonio: egli pensa che gli strumenti artigianali sono stati inventati dai filosofi; allo stesso modo potrebbe tranquillamente dire che i saggi
allora escogitarono il modo di catturare le fiere con i lacci, di ingannarle con il vischio e di circondare con i cani le grandi balze selvose.
Tutte queste scoperte le fece la sagacia, non la saggezza umana. 12 Anche su questo non sono d'accordo: le miniere di ferro e di rame non le hanno trovate i saggi quando la terra bruciata dall'incendio delle foreste aveva riversato fuse le vene di metalli giacenti in superficie: sono cose che le trova chi se ne occupa. 13 E neppure mi sembra tanto acuto, come a Posidonio, il problema se l'uso del martello fu anteriore a quello delle tenaglie. Li inventò entrambi qualcuno dalla mente brillante e acuta, non nobile ed elevata, e fu così per qualsiasi altra cosa che va cercata col corpo curvo e concentrandosi sulla terra. Il saggio condusse sempre una vita semplice. E perché no? Anche di questi tempi desidera essere il più libero possibile. 14 Ma via, come può essere che ammiri Diogene e Dedalo insieme? Chi di loro ti sembra saggio? L'inventore della sega o il filosofo che, dopo aver visto un bambino bere l'acqua nel cavo della mano, tirò fuori il bicchiere dalla bisaccia e lo ruppe immediatamente rivolgendo a se stesso questo rimprovero: "Per quanto tempo ho portato da insensato pesi inutili!", egli che dormiva rannicchiato in una botte? 15 E oggi, chi ritieni più saggio? Chi ha trovato il modo di spruzzare a grandi altezze, attraverso condotti invisibili, essenze profumate, chi riempie i canali con un improvviso getto d'acqua o li prosciuga, e congiunge i soffitti girevoli delle sale da pranzo in modo che si susseguano immagini diverse e il tetto cambi tante volte quante sono le portate, oppure chi dimostra a sé e agli altri che la natura non ci costringe a nulla di faticoso e di difficile, che possiamo avere case senza ricorrere al marmista e al fabbro, che possiamo vestirci senza importare sete, che possiamo avere il necessario per i nostri bisogni se ci accontentiamo dei beni che la terra presenta in superficie? Se l'umanità vorrà ascoltarlo, capirà che un cuoco le è inutile quanto un soldato.
16 Erano saggi, o almeno simili ai saggi, quegli uomini che curavano il proprio corpo in modo sbrigativo. Procurarsi il necessario non richiede un impegno particolare: per i piaceri, invece, ci si affanna. Non c'è bisogno di artigiani: segui la natura. Essa non ha voluto che ci occupassimo di troppe cose: ci ha fornito il necessario per affrontare le prove alle quali ci costringeva. "Quando si è nudi, il freddo è insopportabile." Ebbene? La pelle delle fiere e di altri animali non può difenderci più che a sufficienza dal freddo? Tanti popoli non si coprono il corpo con la corteccia degli alberi? Non si intrecciano piume di uccelli per farne vestiti? Anche oggi la gran parte degli Sciti non indossa pelli di volpi e di martore, morbide al tatto e impenetrabili ai venti? E gli uomini non intrecciavano a mano un graticcio di vimini e lo spalmavano di fango e poi coprivano il tetto di paglia e di rami e passavano tranquilli l'inverno mentre le piogge scivolavano sugli spioventi del tetto? 17 "Però, bisogna respingere la calura estiva creando più ombra." Ebbene? Con gli anni non si sono formati molti anfratti che, scavati dalla corrosione del tempo o da qualsiasi altro fenomeno, divennero caverne? Non si rifugiano sottoterra i popoli della Sirte e quelli che, per l'eccessivo ardore del sole, non hanno nessuna copertura sufficientemente valida per respingere il caldo, se non la stessa terra riarsa? 18 La natura, che ha dato a tutti gli altri animali una vita facile, non è stata ingiusta al punto che solo l'uomo non potesse vivere senza tante arti; non ci ha imposto niente di gravoso, niente da ricercare con fatica per prolungare la vita. Fin dalla nascita abbiamo avuto tutto a portata di mano: ci siamo, però, resi tutto difficile per ripugnanza delle cose facili. Le case, i vestiti, i medicinali, il cibo e quanto ora è diventato fonte di grandi difficoltà, erano a portata di mano, gratuiti ed era possibile procurarseli con poca fatica; la misura di tutto era determinata dalla necessità: noi abbiamo reso questa roba preziosa, straordinaria e frutto di molte e importanti arti. La natura basta a soddisfare i suoi bisogni. 19 Il lusso si è scostato dalla natura, si incita da sé giorno per giorno, cresce attraverso le generazioni e alimenta i vizi con l'intelligenza. Dapprima ha cominciato col desiderare le cose superflue, poi quelle dannose, infine ha assoggettato l'anima al corpo, comandandole di servire le sue voglie. Tutte queste arti che mettono in movimento o riempiono di strepito le città fanno gli interessi del corpo: un tempo gli si dava tutto come a uno schiavo, ora glielo si offre come a un padrone. Ecco, dunque, qua le botteghe dei tessitori, là quelle dei fabbri, gli odori delle cucine, le scuole dove si insegnano molli danze e canti languidi ed effeminati. È scomparsa quella naturale misura che limitava i desideri alle necessità; ormai è segno di grossolanità e di miseria volere solo quanto basta.
20 È incredibile, Lucilio mio, con quanta facilità la suggestione della parola distolga anche i grandi uomini dalla verità. Ecco Posidonio, a mio avviso, uno degli uomini che hanno dato un grandissimo apporto alla filosofia; egli vuole descrivere prima come si ritorcano alcuni fili, come altri siano tratti da una massa morbida e lenta; poi come il telaio tenga dritto l'ordito per mezzo di pesi attaccati, come con la spatola si raccolgano e uniscano i fili inseriti per ammorbidire la durezza della trama che preme sui due lati; afferma poi che anche la tessitura è stata inventata dai saggi, dimenticando che, in sèguito, si è trovato questo sistema più ingegnoso in cui
la tela è legata al subbio, il pettine separa i fili dell'ordito, con la spola appuntita si inserisce fra mezzo la trama, e i denti intagliati nel largo pettine la battono.
Che avrebbe pensato se avesse potuto vedere i tessuti di oggi con cui si confezionano vestiti completamente trasparenti, che non servono né al corpo, né al pudore? 21 Posidonio passa quindi ai contadini: con la stessa eloquenza descrive come venga arato più volte il terreno perché le radici penetrino più facilmente nella terra morbida, poi descrive la semina e l'estirpazione a mano delle erbacce perché non spunti qualcosa a caso o qualche pianta selvatica che faccia morire il raccolto. Pure quest'opera la attribuisce ai saggi, come se i contadini non trovassero anche oggi moltissimi sistemi nuovi per accrescere la produttività. 22 Poi, non ancora contento di queste arti, egli infila il saggio anche nei mulini e racconta come incominciò a fare il pane imitando la natura. "I denti con la loro durezza," afferma, "spezzano i cereali che mettiamo in bocca e quanto sfugge, la lingua lo riporta di nuovo ai denti; poi il tutto viene mescolato con la saliva perché scivoli più facilmente per la gola; quando arriva allo stomaco, è digerito dal suo calore uniforme; infine, viene assorbito dal corpo. 23 Qualcuno, seguendo questo esempio, pose due pietre ruvide l'una sull'altra a somiglianza dei denti, di cui una parte sta ferma e l'altra si muove; poi con l'attrito delle due pietre spezzò i chicchi, e ripeté più volte l'operazione fino a ridurli triturati in farina; poi bagnò la farina, la impastò lavorandola a lungo e fece il pane, che all'inizio fu cotto al calore della cenere e in un vaso di argilla rovente, quindi nei forni inventati col tempo e con altri sistemi a calore regolabile." Per poco non disse che anche il mestiere di calzolaio l'hanno inventato i saggi.
24 La ragione, non la retta ragione, ha escogitato tutte queste attività. Sono scoperte dell'uomo, non del saggio, come, appunto, le navi con cui attraversiamo fiumi e mari, dopo aver sistemato le vele per sfruttare la forza del vento e collocato a poppa il timone per indirizzare la nave su rotte diverse. L'esempio è stato preso dai pesci che regolano i loro movimenti con la coda e si dirigono rapidamente con un guizzo da una parte o dall'altra. 25 "Tutte queste scoperte," egli afferma, "le fece proprio il saggio, ma poiché erano troppo poco importanti per occuparsene lui stesso, le ha passate a più umili esecutori." E invece, queste arti sono state escogitate proprio da quegli stessi che, ancor oggi, le praticano. Certe invenzioni, lo sappiamo, sono recenti: l'uso dei vetri, che con il loro materiale trasparente lasciano filtrare la luce nella sua luminosità; le volte dei bagni e i tubi attaccati ai muri che emanano un calore omogeneo per tutta la stanza sopra e sotto. E che dire dei marmi di cui risplendono i templi, le case? E le enormi colonne di pietra levigata che sostengono porticati ed edifici atti a contenere una gran quantità di gente, e della tachigrafia, grazie alla quale si possono trascrivere anche discorsi rapidi e seguire con la mano la velocità della lingua? Queste sono invenzioni degli schiavi più umili: 26 la saggezza sta più in alto, insegna agli animi, non alla mano. Vuoi sapere che cosa ha scoperto, che cosa ha prodotto? Non i movimenti aggraziati del corpo, o la diversa melodia della tromba o del flauto, che ricevono il fiato e durante il passaggio o all'uscita dallo strumento lo trasformano in suono. Non fabbrica armi, fortificazioni o arnesi da guerra: favorisce la pace, e il genere umano lo invita alla concordia. 27 Non è - ripeto - l'artefice di strumenti per le necessità pratiche. Perché le assegni attività così meschine? Tu hai davanti l'artefice della vita. Ella ha il dominio sulle altre arti: è signora della vita e signora di ciò che è ornamento della vita: ma tende a uno stato di felicità, a quella mèta ci conduce e ci spiana il cammino. 28 Ci mostra i mali veri e quelli apparenti; libera la mente da ogni vanità, dà la grandezza autentica e reprime quella tronfia, fatta di vuote apparenze, vuole che sappiamo la differenza tra grandezza e superbia; ci fa conoscere se stessa e la totalità della natura. Ci rivela l'essenza e le qualità degli dèi, che cosa siano gli inferi, i lari, i genii, le anime che sopravvivono sotto forma di divinità secondarie, la loro sede, la loro attività, il loro potere e volontà. Questa è l'iniziazione attraverso la quale essa ci schiude non il sacrario di una città, ma il vasto tempio di tutti gli dèi, l'universo stesso, di cui ha offerto all'esame dell'intelligenza l'immagine vera, il vero aspetto: l'occhio umano è debole per spettacoli così grandi. 29 È ritornata, poi, ai principî delle cose, alla ragione eterna immanente nell'universo e alla forza di tutti i semi che dà ai singoli esseri una propria forma. Ha cominciato a indagare sull'anima, sulla sua origine, la sua sede, la sua durata, e sulle parti in cui è divisa. È poi passata dal corporeo all'incorporeo e ha esaminato la verità e le prove della verità; ha, quindi, mostrato come si possono distinguere le ambiguità nella vita e nelle parole, perché in entrambe vero e falso sono confusi insieme.
30 Secondo me il saggio non è che si sia allontanato da queste occupazioni, come sostiene Posidonio; non vi si è mai applicato. Per il saggio non sarebbe stata meritevole di invenzione una cosa che non giudicasse meritevole di un uso perpetuo; non avrebbe intrapreso un'opera che poi doveva lasciare. 31 "Anacarsi," afferma, "inventò il tornio, che ruotando permette di foggiare i vasi." E, poiché in Omero si parla del tornio, si è preferito ritenere falsi i suoi versi invece della notizia di Posidonio. Io non contesto il fatto che Anacarsi fu l'inventore del tornio; in questo caso fu certo un saggio a fare questa scoperta, ma non come tale: i saggi compiono molte azioni in quanto uomini, non in quanto saggi. Supponi che un saggio sia velocissimo nella corsa: supererà tutti perché è veloce, e non perché è saggio. Vorrei mostrare a Posidonio un vetraio, che soffiando foggia il vetro in molteplici forme: una mano precisa stenterebbe a modellarlo. Queste scoperte furono fatte quando si smise di trovare i saggi. 32 "Affermano che Democrito inventò l'arco" dice Posidonio, "in cui la pietra centrale tiene ferme le altre che gradualmente si inclinano." Ma è falso! Già prima di Democrito c'erano necessariamente ponti e porte che sono in genere curvi alla sommità. 33 Vi sfugge, inoltre, che sempre Democrito inventò il modo di lavorare l'avorio, di tramutare in smeraldo una pietruzza, sottoponendola a un forte calore, sistema con cui, anche oggi, si colorano le pietre adatte a questo scopo. Saranno pure scoperte di un saggio, ma non in quanto tale: egli, difatti, fa molte cose che vediamo fare o nello stesso modo o con più abilità e più pratica da gente del tutto ignorante.
34 Vuoi conoscere le ricerche e le scoperte del saggio? Per prima cosa, ha studiato la verità e la natura, che non ha indagato con occhi tardi a comprendere la realtà divina, come gli altri esseri animati; poi, la legge dell'esistenza, che ha regolato secondo l'ordine universale e ha insegnato non solo a conoscere, ma anche a obbedire agli dèi e ad accogliere gli eventi della vita come comandi. Ha impedito che si seguissero false credenze e ha attribuito a ogni oggetto il suo valore facendone una stima precisa; ha condannato i piaceri, cui si mescola il pentimento, lodato i beni, fonte di perpetua soddisfazione, e ha dimostrato che l'uomo più felice è quello che non ha bisogno della felicità e il più potente quello che ha il dominio di se stesso. 35 Non mi riferisco a quella filosofia che ha posto i cittadini fuori dallo stato, gli dèi fuori dal mondo, che ha messo la virtù in balia del piacere, ma a quella che giudica l'onestà il solo bene, che non si lascia sedurre dai doni degli uomini o della fortuna e il cui valore è di essere incorruttibile.
Non credo che questa filosofia esistesse in quell'età rozza quando non c'erano ancòra i mestieri e l'esperienza stessa insegnava ciò che era utile. 36 Credo, invece, che venne dopo quei tempi fortunati, quando i beni della natura erano in comune e tutti potevano farne uso insieme, prima che l'avidità e il lusso dividessero gli uomini e insegnassero a passare dalla comunanza al ladrocinio. Non erano saggi, quelli, anche se facevano quello che devono fare i saggi. 37 Nessuno potrebbe guardare con più ammirazione un'altra condizione umana e se anche dio permettesse a qualcuno di dare ordine alla terra e costumi ai popoli, non potrebbe giudicare opportuna altra condizione che quella esistente al tempo in cui
nessun colono lavorava i campi; e non si poteva nemmeno contrassegnare o dividere il terreno con linee di confine: il raccolto era comune ed era la terra ad offrire i suoi beni spontaneamente, senza che nessuno li ricercasse.

38 Ci può essere generazione di uomini più felice di quella? Insieme godevano i prodotti della natura che, come una madre, bastava al sostentamento di tutti, e, senza pericolo, possedevano le ricchezze in comune. Perché non dovrei definire ricchissimi quegli uomini tra cui non avresti potuto trovare un solo povero? L'avidità fece breccia in quelle eccellenti condizioni di vita e mentre desiderava sottrarre dei beni e farli suoi, fu privata di tutto e da una ricchezza smisurata si ridusse in ristrettezze. L'avidità portò la miseria: desiderando troppo, perse ogni cosa. 39 Si sforzi pure, adesso, di recuperare ciò che ha perduto, aggiunga campi su campi, scacciando il vicino col denaro o con la violenza, estenda le campagne a intere province e la parola possesso significhi un lungo viaggio attraverso le proprie terre: nessun ampliamento di confini ci riporterà al punto di partenza. Facciamo tutto il possibile: avremo molto; ma prima avevamo tutto. 40 Anche la terra, senza lavorarla, era più fertile e generosa verso le necessità degli uomini che non si contendevano i suoi frutti. Era un piacere sia trovare i prodotti della terra, sia mostrarli agli altri; nessuno poteva avere troppo o troppo poco: si divideva in pieno accordo. Il più forte non aveva ancòra messo le mani sul più debole, l'avaro non aveva ancòra tolto anche lo stretto necessario al prossimo, nascondendo il capitale inutilizzato: ognuno aveva la stessa cura di sé e degli altri. 41 Non si combatteva e le mani, senza spargere sangue umano, riversavano tutta la loro aggressività sulle fiere. Quegli uomini che si riparavano dal sole nel fitto di un bosco, che per sfuggire l'inclemenza dell'inverno e della pioggia vivevano al sicuro in un umile rifugio sotto le fronde, passavano notti tranquille senz'ansia. Ora in preda all'angoscia noi ci rivoltiamo nei nostri letti lussuosi e ci pungolano aspri tormenti; su quella terra dura, invece, che placidi sonni per loro! 42 Non li sovrastavano soffitti intagliati, ma giacevano all'aperto mentre sul loro capo scorrevano le stelle e, straordinario spettacolo delle notti, l'universo si muoveva rapido, compiendo in silenzio una così grande opera. Sia di giorno che di notte si apriva loro la vista di questa splendida dimora; era un piacere contemplare il declino delle stelle in mezzo al cielo e il sorgere di altre da un buio segreto. 43 Non era piacevole vagare fra tante meraviglie sparse per ogni dove? Voi, invece, tremate di paura a ogni rumore della casa e fra i vostri affreschi fuggite spaventati al minimo suono. Non possedevano case grandi come città: l'aria e il suo libero soffio per gli spazi aperti, l'ombra leggera di una rupe o di un albero, fonti e ruscelli trasparenti che l'uomo non aveva ancora deturpato con dighe, tubi, o deviandone il corso, ma che scorrevano naturalmente, e prati belli senza artificio, e in mezzo a un tale scenario una rustica dimora abbellita da mani semplici - era questa la casa secondo natura, in cui era bello vivere, senza aver paura di essa o per essa: ora la casa costituisce gran parte delle nostre paure.
44 Certo, condussero una vita perfetta e pura, ma non furono saggi: questo è un nome che ormai indica l'attività più nobile. Non nego, tuttavia, che avessero un animo elevato e fossero, per così dire, usciti proprio allora dalle mani degli dèi; sicuramente il mondo, non ancora esausto, produceva esseri migliori. Ma se avevano un carattere più forte e più disposto alle fatiche, non tutti, però erano dotati di una intelligenza perfetta. La virtù non è un dono naturale: diventare virtuosi è un'arte. 45 Quelli non cercavano oro, argento e pietre preziose nelle viscere della terra e risparmiavano anche gli animali: non si concepiva nemmeno che un uomo uccidesse un proprio simile, non per ira, né per timore, ma solo per il gusto di vederlo morire. Non avevano ancòra vestiti variopinti, non tessevano l'oro, anzi nemmeno l'estraevano. 46 E allora? Erano innocenti per ignoranza: ma c'è molta differenza fra chi non vuole e chi non sa agire male. Non avevano giustizia, prudenza, temperanza, fortezza. Somigliava un po' a queste virtù quella vita primitiva: ma solo l'animo profondamente istruito ed elevato al più alto grado di perfezione da un costante esercizio raggiunge la virtù. Per essa nasciamo, ma senza di essa, e anche negli uomini migliori, prima che vengano istruiti, c'è materia di virtù, non virtù. Stammi bene.

91
1 Ora il nostro Liberale è triste: ha saputo dell'incendio che ha distrutto la colonia di Lione; è una disgrazia che commuoverebbe chiunque, a maggior ragione un uomo molto amante della sua patria. In questa circostanza ha fatto invano appello alla sua fermezza d'animo: evidentemente l'aveva esercitata per le disgrazie che riteneva possibili. In realtà non mi stupisco che non avesse temuto una calamità così imprevedibile e quasi inaudita, poiché non aveva precedenti: incendi hanno devastato molte città, ma non ne hanno mai cancellata nessuna. Anche quando il fuoco alle case lo appiccano i nemici, molti focolai si spengono e, sebbene venga ripetutamente attizzato, è raro che divori tutto e non lasci niente alle armi. Anche il terremoto fu di rado così grave e disastroso da annientare città intere. E poi non divampò mai in nessun luogo un incendio tanto rovinoso che non rimanesse niente per un altro incendio. 2 È bastata una sola notte ad abbattere tante stupende costruzioni, ognuna delle quali avrebbe potuto dare lustro a una città, e in un periodo di pace così completa è accaduto quanto non si potrebbe temere neanche in guerra. Chi lo crederebbe? Mentre ovunque tacciono le armi e c'è tranquillità nel mondo intero, si cerca invano Lione, vanto della Gallia. La fortuna ha sempre concesso a tutte le vittime di una calamità di prevedere i mali che avrebbero subìto; tutto quello che è grande non precipita improvvisamente: in questo caso è intercorsa una sola notte fra l'esistenza di una città grandissima e la sua sparizione. Insomma, è scomparsa più rapidamente di quanto te lo racconto.
3 Tutti questi avvenimenti abbattono l'animo del nostro Liberale, che pure si è dimostrato saldo e coraggioso di fronte alle sue sventure; e a ragione ne è rimasto sconvolto: gli imprevisti gravano maggiormente; l'inatteso rende più pesanti le disgrazie e per tutti gli uomini il dolore è più acuto se sono colti di sorpresa. 4 Non ci deve essere, perciò per noi niente di imprevisto: è bene considerare ogni eventualità e pensare non a quello che generalmente accade, ma a quello che può accadere. C'è qualcosa che la sorte non possa togliere - basta che lo voglia - quando si è all'apice della prosperità? Che non assalga e abbatta con tanta maggiore violenza quanto più è vistoso e splendente? Non c'è niente di arduo, niente di difficile per lei. 5 Il modo in cui ci assale non è uno solo e nemmeno sempre lo stesso. Ora ci volge contro le nostre stesse mani, ora, paga delle sue forze, ci crea da sola pericoli senza interventi esterni. Nessuna circostanza fa eccezione: anche in mezzo ai piaceri nascono motivi di dolore. La guerra scoppia mentre regna la pace e quanto ci dava sicurezza si trasforma in paura; l'amico ora è un avversario, l'alleato un nemico. Dalla tranquillità estiva si passa a tempeste improvvise e più violente di quelle invernali. I mali che subiamo non ci vengono da nemici e i motivi di sventura, se ne mancano altri, l'eccessiva prosperità li trova da sé. La malattia colpisce gli uomini più temperanti, la tisi i più robusti, la punizione i più innocenti, le rivolte quelli che più vivono in disparte; il destino sceglie qualche nuovo sistema per imporre le proprie forze se ce ne fossimo dimenticati. 6 Basta un solo giorno a disperdere e distruggere quello che è stato costruito a prezzo di dure fatiche col favore degli dèi in una lunga serie di anni. Dire un giorno è dare una scadenza troppo lunga ai mali che ci incalzano: basta un'ora, anzi, un istante per distruggere un impero. Sarebbe una consolazione per la nostra debolezza e per i nostri beni se tutto andasse in rovina con la stessa lentezza con cui si produce e, invece, l'incremento è graduale, la rovina precipitosa. 7 Non c'è stabilità individuale, e nemmeno collettiva; il destino ha un suo corso sia per gli uomini, che per le città. Il terrore nasce nella calma più assoluta e i mali erompono là da dove erano del tutto inaspettati, senza cause apparenti. I regni che avevano resistito alle lotte civili e alle guerre crollano senza nessuna spinta: ben poche città hanno mantenuto una prospera condizione! Bisogna, quindi, considerare ogni eventualità e rafforzare l'animo contro i possibili mali. 8 Pensa all'esilio, alle sofferenze, alle guerre, ai naufragi. Un caso potrebbe strappare te alla patria o la patria a te, potrebbe cacciarti in un deserto, un deserto potrebbe diventare perfino questo luogo dove la folla boccheggia. Mettiamoci sotto gli occhi ogni aspetto del destino umano: non figuriamoci quanto accade spesso, ma quanto può con grandissima probabilità accadere, se non vogliamo farci schiacciare e rimanere attoniti di fronte a eventi insoliti come se fossero straordinari; la fortuna va considerata nella sua totalità. 9 Quante volte città dell'Asia, città della Grecia sono crollate per una sola scossa tellurica! Quante città in Siria, quante in Macedonia sono state ingoiate dalla terra? Quante volte Cipro è stata devastata da questa calamità! Quante volte Pafo è precipitata su se stessa! Abbiamo spesso avuto notizia della rovina di tante città e noi, a cui vengono di frequente annunziate queste disgrazie, che minima parte siamo dell'umanità! Leviamoci, dunque, contro i casi fortuiti, consapevoli che la gravità dell'accaduto è inferiore a quanto si va dicendo. 10 È bruciata una città ricca, fregio delle province di cui faceva parte in posizione di spicco e tuttavia costruita su un solo colle e per giunta non molto grande: il tempo cancellerà anche le tracce di tutte queste città di cui ora senti celebrare la magnificenza e la fama. Ma non lo vedi che in Grecia sono ormai corrose le fondamenta di città celebri e non rimane niente che indichi almeno la loro passata esistenza? 11 Non decade solo quello che costruiamo con le nostre mani, il tempo non distrugge soltanto i frutti dell'arte e dell'operosità umana: le vette dei monti si disfano, intere regioni sprofondano, vengono sommersi dalle onde luoghi che erano lontani persino dalla vista del mare; il fuoco, con la sua enorme violenza, ha eroso i colli sui quali risplendeva, e abbassato cime prima altissime, sollievo dei naviganti e punti di vedetta. Anche le opere della natura vengono devastate e perciò dobbiamo sopportare serenamente la rovina delle città. 12 Si ergono destinate a cadere: questa è la fine che le aspetta tutte, sia che la forza interna dei venti e il loro soffio impetuoso attraverso luoghi chiusi faccia precipitare i muri che li serrano, sia che la furia dei torrenti, più terribile nel sottosuolo, infranga ogni resistenza, sia che la violenza delle fiamme crepi la massa compatta del terreno, sia che la vecchiaia, cui niente scampa, le faccia capitolare a poco a poco, sia che il clima insalubre scacci le popolazioni e la muffa guasti quei luoghi ormai deserti. Tutte le vie del destino sarebbe lungo elencarle. Io so solo questo: ogni opera dei mortali è condannata a morte sicura, viviamo fra cose destinate a finire.
13 Perciò al nostro Liberale che arde di un amore straordinario per la sua patria - e forse è stata distrutta per risorgere migliore - rivolgo queste e altre simili parole di conforto. Spesso una disgrazia apre la strada a un destino più felice: molte opere sono risorte più splendide dalla loro rovina. Timagene, ostile alla fortuna di Roma, diceva che gli incendi di quella città lo facevano soffrire solo perché sapeva che sarebbero sorti edifici migliori di quelli bruciati. 14 È probabile che anche in questa città tutti faranno a gara per ricostruire edifici più imponenti e grandiosi di prima. Voglia il cielo che viva nel tempo e sia edificata con auspici più fausti e durevoli! Dalla fondazione di questa colonia sono passati cento anni, che non sono il limite massimo neppure per un uomo. Fondata da Planco, ebbe questo aumento demografico per la sua posizione favorevole: ma quante terribili disgrazie ha subìto nello spazio di una vita umana! 15 Sappia, dunque, il nostro animo comprendere e sopportare il proprio destino, sappia che la fortuna può osare tutto e ha gli stessi diritti sull'autorità e su chi la detiene e lo stesso potere sulla città e sui cittadini. Non indignamoci per questi fatti: sono le leggi che regolano la vita dell'universo di cui facciamo parte. Ti va bene: accettale. Non ti va bene: vattene per la via che preferisci. Potresti sdegnarti se l'ingiustizia fosse deliberata esclusivamente contro di te; ma se questa è una necessità che vincola tutti, dal più piccolo al più grande, riconcìliati col destino, che tutto viola. 16 Non giudicare gli uomini dalla diversità dei monumenti funebri e delle tombe che adornano le strade: la cenere rende tutti uguali. Nasciamo diversi, moriamo uguali. Quanto dico per le città, vale anche per chi le abita: fu conquistata Ardea, fu conquistata Roma. L'autore delle leggi umane ci ha distinto per nascita o per fama solo nell'arco della nostra vita: ma quando giunge la fine per gli uomini, dice: "Vattene, ambizione: la legge sia identica per tutti gli esseri che calcano questa terra." Siamo uguali di fronte alla sofferenza; nessuno è più debole dell'altro, nessuno è più certo del domani.
17 Alessandro, re dei Macedoni, aveva incominciato a studiare la geometria per sapere, infelice, quanto fosse piccola la terra di cui aveva occupato una minima parte. Infelice - dico - perché avrebbe dovuto capire che il suo soprannome era sbagliato: chi può essere grande in pochissimo spazio? Gli argomenti che gli venivano insegnati erano sottili e bisognava studiarli con grande attenzione: non era in grado di capirli un pazzo, che indirizzava i suoi pensieri al di là dell'oceano. "Insegnami nozioni facili," disse. "Sono le stesse per tutti, ugualmente difficili," gli rispose il precettore. 18 Supponi che la natura ti dica: "I mali di cui ti lamenti sono uguali per tutti; non posso darne a nessuno di più sopportabili, ma chi vorrà se li renderà tali." Come? Con l'imperturbabilità. E dovrai soffrire e patire la sete, la fame e invecchiare (se ti toccherà di stare più a lungo tra gli uomini), e dovrai ammalarti e subire delle perdite e morire. 19 Non c'è ragione, però di credere a quelli che gridano intorno a te i loro lamenti: nessuna di queste cose è un male, nessuna è insopportabile o penosa. La paura nasce perché tutti la pensano così. Tu temi la morte come le dicerie: ma non è del tutto insensato un uomo che teme le parole? Acutamente il nostro Demetrio afferma spesso di considerare i discorsi degli ignoranti alla stessa stregua dei rumori del ventre. "Che importa," afferma, "se risuonano su o giù?" 20 Che follia temere di essere screditati da gente screditata. E come è immotivata la tua paura per l'opinione pubblica, così lo sono i timori che hai perché la gente te li ha imposti. Verrebbe danneggiato un uomo onesto se venisse coperto di calunnie? 21 E quindi non dobbiamo giudicare male nemmeno la morte, e la morte ha una cattiva fama. Nessuno di quelli che l'accusano l'ha sperimentata: è da sconsiderati condannare quello che non si conosce. Però sai a quanti è utile, quanti libera dalle sofferenze, dalla povertà, dai lamenti, dalle pene, dalla noia. Nessuno ha potere su di noi, quando noi abbiamo la morte in nostro potere. Stammi bene.

92
1 Io e te siamo d'accordo, penso: i beni materiali ce li procuriamo per il corpo, il corpo lo curiamo per onorare l'anima, nell'anima ci sono parti subalterne dateci per l'elemento principale, per mezzo delle quali ci muoviamo e ci nutriamo. In questo elemento principale c'è una parte irrazionale, e ce n'è anche una razionale; la prima è soggetta alla seconda, e questa è la sola a non essere subordinata a niente altro, ma a subordinare tutto a sé. Anche la ragione divina è preposta a tutto, non dipende da nessuno; così è la nostra ragione che da lei nasce.
2 Se siamo d'accordo su questo punto, lo saremo di conseguenza anche sul fatto che la felicità consiste soltanto nell'avere la perfetta ragione. Essa sola non si scoraggia e sta salda contro la fortuna; in qualsiasi condizione conserva la padronanza di sé. Ed è il solo bene che non viene mai spezzato. È felice, secondo me, l'uomo che non può essere sminuito da nulla; è giunto alla sommità e non si appoggia che a se stesso: infatti, chi si sostiene con l'aiuto di qualcuno, può cadere. In caso contrario, cominceranno a prevalere in noi elementi estranei. Ma chi vuole dipendere dalla fortuna o qual è il saggio che ammira se stesso per beni non suoi? 3 Che cos'è la felicità? Uno stato duraturo di sicurezza e di serenità, e ce lo daranno la grandezza d'animo e la continuità nel giudicare sempre rettamente. Come ci si arriva? Esaminando la verità nella sua interezza, conservando nelle proprie azioni l'ordine, la misura, la dignità, una volontà che non fa il male, ma il bene, che non perde di vista la ragione e non se ne allontana mai, degna di essere amata e insieme ammirata. Infine, per dirla in breve, l'animo del saggio deve essere degno di dio. 4 Che cosa può desiderare d'altro chi ha raggiunto ogni virtù? Infatti, se i vizi possono contribuire al raggiungimento del bene supremo, la felicità consisterà in essi, poiché senza di essi non esiste. E che cosa c'è di più vergognoso e sciocco che legare all'irrazionale il bene di un animo razionale?
5 Certi filosofi, tuttavia, ritengono che il sommo bene si accresca, poiché non è perfetto se la sorte è contraria. Anche Antipatro, uno dei grandi rappresentanti della nostra scuola filosofica, attribuisce una certa importanza, sia pure molto scarsa, ai fattori esterni. Pensa che assurdità sarebbe non accontentarsi della luce del giorno e voler accendere una fiammella: che valore può avere una scintilla quando splende il sole? 6 Se non sei contento della sola virtù, è inevitabile che tu voglia aggiungerci o la serenità dello spirito, che i Greci chiamano $Pï÷ëçóßá$, o il piacere. L'una la si può accettare comunque, poiché l'animo libero dagli affanni si dedica all'osservazione dell'universo e niente lo distoglie dalla contemplazione della natura. L'altro, il piacere, è il bene delle bestie; aggiungiamo, dunque, l'irrazionale al razionale, l'immorale al morale, ‹il piccolo› al grande: l'eccitazione dei sensi rende la vita ‹felice›? 7 Perché allora esitate a dire che l'uomo sta bene, se sta bene il palato? E tu, quest'individuo per cui il sommo bene consiste nei sapori, nei colori, nei suoni, lo annoveri non dico fra gli uomini di valore, ma fra gli uomini comuni? Esca da questa bellissima categoria di esseri, seconda unicamente agli dèi; da animale, contento solo di mangiare, si aggreghi alle bestie. 8 L'elemento irrazionale dell'anima si suddivide in due parti: una audace, ambiziosa, sfrenata, immersa nelle passioni, l'altra vile, fiacca, dedita ai piaceri; alcuni tralasciano la prima, sfrenata, e tuttavia migliore, certo più forte e degna di un uomo, e ritengono necessaria alla felicità la seconda, senza nervo e spregevole. 9 Vi hanno asservito la ragione, e il sommo bene dell'animale più nobile lo hanno svilito e reso spregevole, facendolo diventare un impasto mostruoso di parti diverse e disarmoniche. Così il nostro Virgilio parlando di Scilla dice:
nella parte superiore fino al pube ha aspetto umano, di fanciulla dal bel petto; in basso è un mostro marino dal corpo smisurato con code di delfini unite a ventre di lupi.
A questa Scilla sono congiunti animali selvaggi, orribili, veloci: ma costoro, con che razza di mostri l'hanno messa insieme la saggezza? 10 L'elemento principale dell'uomo è la virtù; a essa è unita la carne inutile e caduca, capace solo di ricevere il cibo, come afferma Posidonio. Quella virtù divina finisce in un elemento instabile e alle sue parti eccelse, degne di venerazione e del cielo, si congiunge un animale inerte e putrido. Quanto poi alla serenità dello spirito, di per sé non garantisce niente all'anima, rimuove, però gli ostacoli: il piacere, invece, distrugge e fiacca ogni forza. Si può trovare un'unione di corpi più contrastanti tra loro? A un elemento fortissimo se ne aggiunge uno del tutto inerte, a uno severissimo uno frivolo, a uno irreprensibile uno sfrenato fino all'immoralità.
11 "Ma come?" si obietta, "se la salute, la serenità e l'assenza di dolore non ostacolano la virtù, non cercherai di ottenerle?" E perché no? Non, però; perché sono beni, ma perché sono secondo natura e perché le sceglierò con criterio. Che cosa avranno, allora, di positivo? Solo questo: una scelta opportuna. Quando indosso un vestito adatto, quando cammino come si conviene, quando sto a tavola come si deve, non il pranzo o il camminare o il vestito sono beni, ma la mia intenzione di mantenere in ogni circostanza un comportamento in sintonia con la ragione. 12 Dirò di più: l'uomo deve scegliere una veste pulita, poiché per natura l'uomo è un essere pulito ed elegante. Perciò non è un bene di per sé una veste pulita, ma la scelta di una veste pulita, poiché il bene non consiste nella cosa in sé, ma nel tipo di scelta; oneste sono le nostre azioni, non l'oggetto delle nostre azioni. 13 Quanto ho detto del vestito, fa' conto che lo dica del corpo. Anche questo la natura lo ha messo intorno all'animo come una veste: è il suo manto. Chi ha mai valutato i vestiti in base all'armadio? Il fodero non rende una spada né buona, né cattiva. Quindi, ti rispondo lo stesso anche per il corpo: sceglierò se sarà possibile, la salute e le forze, ma il bene consisterà nel mio giudizio su di esse, non in questi elementi in se stessi.
14 "Certo," dicono, "il saggio è felice; tuttavia, raggiunge il sommo bene solo se ha a disposizione anche i mezzi naturali. Così non può essere infelice chi possiede la virtù, ma non è veramente felice chi ha perso i beni naturali, come la salute o l'integrità fisica." 15 Quello che sembra più incredibile, tu lo ammetti, cioè che un uomo non sia infelice in mezzo a dolori gravissimi e continui, anzi che sia addirittura felice; neghi, invece, la cosa più semplice: che sia veramente felice. Eppure, se la virtù può fare in modo che uno non sia infelice, più facilmente lo renderà molto felice; tra un uomo felice e uno molto felice c'è una distanza inferiore che tra uno infelice e uno felice. Oppure, una cosa che riesce a strappare un uomo alle disgrazie e renderlo felice, non può aggiungere quel che resta e renderlo molto felice? Le mancheranno le forze proprio all'ultimo? 16 Nella vita ci sono beni e mali, entrambi fuori di noi. Se l'uomo virtuoso non è infelice, per quanto oppresso da ogni male, come può non essere molto felice anche se gli manca qualche bene? Come non è abbattuto dal peso dei mali fino a essere infelice, così non è strappato dalla condizione di uomo estremamente felice per la mancanza di beni, ma è molto felice senza beni quanto non è infelice sotto il peso dei mali; altrimenti, il suo bene, se lo si può diminuire, potrà anche essergli tolto. 17 Poco fa dicevo che una fiammella non aggiunge niente alla luce del sole, poiché lo splendore di questo astro nasconde qualunque cosa brilli indipendentemente da lui. "Ma ci sono corpi che fanno da ostacolo anche al sole," dicono. Il sole, però conserva la sua integrità anche in presenza di ostacoli, e, se pure c'è di mezzo qualcosa che ci impedisce di vederlo, è in attività e continua il suo corso; ogni volta che risplende fra le nubi non è più debole e neppure più lento di quando c'è il sereno, poiché è una cosa molto diversa se c'è solo un ostacolo o un vero e proprio impedimento. 18 Così quanto si oppone alla virtù non le sottrae nulla: essa non è più debole, ma riluce meno. Forse non ci è visibile e non brilla allo stesso modo, ma si mantiene identica a se stessa e, senza apparire, esercita la sua forza, come il sole quando è coperto. Così le sventure, le privazioni e le offese hanno sulla virtù lo stesso potere che una nube ha sul sole.
19 C'è chi dice che il saggio, se non ha un fisico sano, non è felice, né infelice. Anche costoro sbagliano, poiché equiparano i beni fortuiti alle virtù e considerano alla stessa stregua l'onesto e il disonesto. Ma che cosa c'è di più ignobile e indegno che paragonare cose di tutto rispetto a cose spregevoli? Meritano rispetto la giustizia, la pietà, la lealtà, la fortezza, la prudenza: al contrario, sono senza valore i beni che spesso toccano con maggiore profusione agli uomini più infimi: gambe robuste, muscoli e denti sani e forti. 20 Inoltre, se non considereremo né felice, né infelice il saggio sofferente nel fisico, ma lo relegheremo in una condizione di mezzo, anche la sua vita non dovrà essere né desiderata, né evitata. Ma che c'è di così assurdo quanto il pensare che la vita del saggio non sia desiderabile? Oppure di così incredibile che esista un tipo di vita da non desiderare e da non evitare? E poi, se i difetti fisici non rendono infelici, permettono di essere felici: quello che non può peggiorare una condizione, non può neppure impedire che questa condizione diventi ottima.
21 "Noi conosciamo il freddo e il caldo," ribattono, "in mezzo c'è il tiepido; così c'è il felice, l'infelice, e chi non è né felice, né infelice." Voglio esaminare questo paragone che ci viene opposto. Se aggiungerò una sostanza più fredda a una tiepida, questa diventerà fredda, se ne aggiungerò una più calda, alla fine diventerà calda. Ma per quanto io aggravi le disgrazie di quest'uomo che non è felice, né infelice, non sarà infelice, come dite; quindi, il paragone non è appropriato. 22 Eccoti, poi, un uomo né infelice, né felice. Gli aggiungo la cecità: non diventa infelice; la debolezza: non diventa infelice; dolori continui e violenti: non diventa infelice. Se tanti mali non lo portano all'infelicità, non possono nemmeno strapparlo alla felicità. 23 Se il saggio, come voi dite, non può ridursi da felice a infelice, non può neppure ridursi all'assenza di felicità. Perché uno che ha incominciato a scivolare dovrebbe a un certo punto fermarsi? Ciò che non lo lascia precipitare fino in fondo lo trattiene in cima. E perché la felicità dovrebbe poter essere distrutta? Non può neppure essere diminuita e per questo la virtù da sola basta a raggiungerla.
24 "Ma come?" continuano, "il saggio che è vissuto più a lungo senza essere distratto da nessun dolore non è più felice di quello che ha lottato sempre con la cattiva sorte?" Rispondimi: è forse migliore e più onesto? Se non è così, non è neppure più felice. Per vivere più felicemente deve condurre una vita più retta: se non può vivere più rettamente, non potrà nemmeno essere più felice. La virtù non si accresce e, perciò, neppure la felicità che da essa nasce. La virtù è un bene così grande che non avverte questi insignificanti complementi, la brevità del tempo, il dolore e le varie malattie, poiché il piacere non è degno di essere preso in considerazione. 25 Qual è la prerogativa della virtù? Non aver bisogno del futuro e non fare il conto dei propri giorni. In un momento conduce a pienezza i beni eterni. Questo ci sembra incredibile e superiore alla natura umana: noi misuriamo la sua grandezza in base alla nostra debolezza e diamo ai nostri vizi il nome di virtù. E dunque? Non sembra ugualmente incredibile che un uomo fra i più atroci tormenti, dica: "Sono felice"? Eppure queste parole si sono sentite proprio nella scuola del piacere. "Vivo questo mio ultimo giorno, il più felice," disse Epicuro, anche se era tormentato da difficoltà urinarie e dal dolore di un'ulcera addominale inguaribile. 26 E perché questo comportamento dovrebbe sembrare incredibile a chi pratica la virtù, quando si ritrova anche in quegli uomini che obbediscono al piacere? Anche questa gente degenere e d'animo vilissimo sostiene che in mezzo alle più gravi sofferenze, alle più terribili disgrazie, il saggio non sarà né infelice, né felice. Eppure anche questo è incredibile, anzi più incredibile ancòra: non vedo come la virtù cacciata dai suoi fastigi non precipiti in fondo. O deve assicurare all'uomo la felicità, oppure, se è costretta a rinunziare, non gli impedirà di diventare infelice. Finché è in lizza, non può ritirarsi: deve vincere o essere vinta.
27 "Solo agli dèi immortali," dicono, "è toccata la virtù e la felicità, a noi un pallido riflesso di quei beni; ci avviciniamo a essi, senza raggiungerli." In realtà la ragione è comune agli dèi e agli uomini; in quelli è perfetta, in noi è suscettibile di perfezione. 28 Ma i nostri vizi ci portano a disperare. Infatti, l'uomo che ha una capacità di giudizio ancòra vacillante e incerta è inferiore, in quanto poco fermo nel mantenere i suoi propositi di virtù. Desìderi pure vista e udito integri, salute, bell'aspetto e una vita lunga senza decadenza fisica. 29 Così si può condurre una vita soddisfacente, ma c'è in quest'uomo imperfetto una certa quantità di malizia, poiché ha un animo incline al male; tuttavia, la sua non è una malizia profondamente radicata e che non ha tregua. Non è ancòra un uomo virtuoso, ma cerca di rendersi tale; però, se a uno manca qualcosa per essere virtuoso, è malvagio. 30 Ma
chi ha coraggio e animo risoluto in corpo
eguaglia gli dèi e tende a loro memore della sua origine. Tutti giustamente si sforzano di risalire là da dove erano scesi. Perché non dovresti credere che ci sia qualcosa di divino in chi è parte di dio? Tutto quello che ci circonda è una sola cosa: dio; e noi ne siamo alleati e membra. La nostra anima ha la capacità di raggiungerlo, se i vizi non la trascinano in basso. Come il nostro corpo ha una posizione eretta e guardiamo al cielo, così l'anima, che può protendersi quanto vuole, desidera per sua formazione naturale le stesse cose degli dèi. E se si avvale delle sue forze e procede nel suo àmbito, tende alla vetta per la via che gli è propria. 31 È una grande fatica salire al cielo: eppure vi fa ritorno. Trovata questa strada, avanza con coraggio, disprezzando ogni cosa; non si volta a guardare il denaro, l'oro e l'argento, del tutto degni delle tenebre in cui giacevano, non li vàluta dallo splendore con cui colpiscono gli occhi degli ignoranti, ma dal fango di vecchia data da cui la nostra avidità li ha separati ed estratti. L'anima sa, dico, che le ricchezze stanno altrove, non dove vengono ammassate; sa che si deve riempire lo spirito, non il forziere. 32 La si può mettere a capo di tutto, darle il possesso della natura, in modo che l'oriente e l'occidente siano i confini delle sue proprietà e sia padrona dell'universo come gli dèi e disprezzi con le sue ricchezze i ricchi; nessuno di loro è mai tanto lieto dei propri beni quanto triste per quelli altrui. 33 Giunta a tale sublime altezza, non ama il corpo, ma se ne cura come di un peso necessario, e non si sottomette a quello cui è stata assegnata. Se uno è schiavo del corpo, non è libero; anche a trascurare gli altri padroni che si trovano, se ci si cura troppo del corpo, il suo dominio è capriccioso ed esigente. 34 Dal corpo l'anima del saggio ora esce serenamente, ora balza fuori con audacia e non si chiede che fine faranno le sue spoglie; ma come non ci curiamo della barba e dei capelli tagliati via, così quell'anima divina quando sta per lasciare l'uomo ritiene che non la riguardi dove andrà a finire quello che era il suo riparo, se lo divori il fuoco o lo ricopra la terra o lo lacerino le fiere, come la placenta non riguarda un bambino appena nato. Che importa a chi non c'è più se il suo corpo viene abbandonato allo strazio dei rapaci ed
è gettato come preda ai pescecani
e divorato? 35 Ma anche quando è ancòra fra gli uomini non teme nessuna minaccia di quegli spauracchi che spingono i nostri timori al di là della morte. "Non mi atterrisce," dice, "l'uncino, né l'orribile vista del cadavere straziato ed esposto all'oltraggio. Non chiedo a nessuno di celebrare le mie esequie, a nessuno affido i miei resti. La natura provvede a non lasciare insepolto nessuno; il tempo ricoprirà i cadaveri abbandonati dalla crudeltà umana." Dice bene Mecenate:
non mi curo della tomba: la natura seppellisce i resti insepolti.
Potresti pensare che a parlare sia stato un grand'uomo: avrebbe avuto un'indole nobile e virile, se il successo non l'avesse infiacchita. Stammi bene.

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