Lucrezio e la decadenza morale

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Testo

LUCREZIO: PROGRESSO TECNICO E DECADENZA MORALE

Lucrezio nel V libro del “De rerum Natura” tenta di descrivere il processo evolutivo della storia
umana fino ad arrivare alla conclusione che essa sia solo un’alternanza di epoche con vantaggi e
svantaggi e non possa esistere un’epoca ottimale. Egli, seguendo le posizioni del suo maestro Epicuro,
rifiuta il mito poetico dell'età dell'oro, presente per la prima volta in Esiodo e ripreso nella letteratura
latina da numerosi autori, fra cui Virgilio e Ovidio. Il mito delle età, nelle sue varie versioni,
postulava sempre un decadimento e un regresso dell'umanità a partire da una condizione edenica
primitiva , l'età aurea appunto, quando la terra donava spontaneamente e generosamente frutti abbondanti
e gli uomini vivevano felici ed innocenti, indenni dalle malattie e dalla vecchiaia, senza
conoscere né fatiche né affanni né discordie né vizi. La fine dell'età dell'oro e il passaggio a vita
meno favorevoli erano attribuiti all'abbandono degli uomini da parte degli dei, motivato da colpe
umane o da altri fattori, connessi comunque con la concezione di una divinità che regola e dirige le
vicende del mondo. Lucrezio (come già Epicuro e il suo precursore Democrito) si inserisce al contrario
in una tradizione che dava della storia dell'umanità un'interpretazione laica e razionalistica.
Egli crede che il progresso tecnico sia realizzato dagli uomini con le loro sole forze, sotto lo stimolo
del bisogno e con la guida della ragione, attraverso tentativi e sperimentazioni che li conducono ad
escogitare e a perfezionare le tecniche e le arti, in una lotta incessante contro gli ostacoli e le avversità.
Viene escluso dunque ogni intervento da parte degli dei e degli eroi. Lucrezio identifica varie
tappe del progresso umano, tra quelle positive sicuramente vi è la scoperta del linguaggio, del fuoco,
dei metalli, della tessitura e dell’agricoltura, mentre attribuisce un valore negativo al progresso
dell’attività bellica e al sorgere del timore religioso. La natura ha spesso indicato agli uomini il modo
migliore di agire interferendo nelle loro azioni, come, ad esempio, mostrando durante un incendio
il surriscaldamento del metallo raccoltosi in una buca per indicare la tecnica della fusione. Infine
le prime forme del linguaggio sono nate dalla necessità dell’uomo di comunicare con i suoi simili.
Il progresso materiale, fin quando è stato ispirato al soddisfacimento di bisogni primari, è valutato
positivamente, mentre riserve di Lucrezio si concentrano sull’aspetto di decadenza morale che il
progresso ha portato con sé: il sorgere dei bisogni innaturali, della guerra, delle ambizioni e cupidigie
personali ha corrotto la vita dell’uomo. Non solo il progresso tecnico e progresso morale non
avevo proceduto di pari passo, ma addirittura le immense possibilità offerte dallo sviluppo della
tecnica talora potevano essere rivolte contro l’uomo. Ma quella di Lucrezio non è una visione consolata
e pessimistica: a questi problemi l’epicureismo è in grado di fornire una risposta invitando a
riscoprire che “di poche cose ha davvero bisogno la natura del corpo” (1120). L’uomo, è vero, si
evolve perché nel corso dei secoli perde robustezza e resistenza ai disagi materiali, mentre, stimolato
dalla natura, acquista capacità tecniche che sono alla base del cosiddetto “ progresso”, e si associa
ai suoi simili, imparando a comunicare con loro e stabilendo col tempo consuetudini e leggi di
convivenza.
La questione fondamentale è se Lucrezio creda nel progresso o con nostalgia idealizzi lo stadio
primitivo di vita umana. In effetti guardando con occhio materialista alla realtà dei fatti, Lucrezio
non ignora le difficoltà del cosiddetto “stato di natura” e non lo idealizza affatto come i cantori
dell’età dell’oro. Lucrezio non rimpiange il lontano passato, né rinnega il progresso: ne denuncia i
limiti. Questa sorta di avversione nei confronti del progresso può essere causata dal precario momento
che egli stava vivendo. Infatti lo sfaldarsi delle istituzioni politiche romane e il profilarsi
all’orizzonte delle guerre civili aveva messo in crisi quel senso di “sicurezza” sociale e politica che
il progresso avrebbe dovuto mantenere.

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