De rerum natura, Lucrezio

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Testo

LUCREZIO - De Rerum natura

• Della vita di Lucrezio si sa pochissimo: unica fonte nella traduzione del “Chronicon di Eusebio” fatta da Girolamo.
• Lucrezio scrisse negl’intervalli di lucidità che gli lasciava la follia.
• Si uccise di propria mano a 43 anni. Notizie probabilmente false scritte da Girolamo (informazioni cristianizzate).
• Nacque negli anni 90 e morì verso la metà degli anni 50 (contemporaneo di Cicerone, Catullo [età di Cesare]).
• Segue la filosofia di Epicuro e da lui prende spunto per scrivere il De rerum natura.
IL DE RERUM NATURA È:
• Un prodotto letterario di singolare complessità e rinnovato fascino.
• Composto da 6 libri con un totale di 7400 esametri.
• Opera dedicata all’aristocratico Gaio Memmio (“interlocutore privilegiato”), citato già al 26° verso.
• Memmio è uno scettico ed è legato alla filosofia romana.
• Composto da varie fasi di un percorso educativo non solo per Memmio.
• Lucrezio è epicureo e, con questa opera, vorrebbe insegnare e rendere nota a tutti questa filosofia.
• Prende come modello Memmio visto il suo alto grado di scietticità.
• L’inno a Venere (richiesta di assistenza) cerca di attrarre il lettore con le sue lusinghe di un proemio non troppo dissimile dai moduli consueti, anche se comporta una lieve infrazione alla dottrina epicurea; Epicuro infatti sosteneva che gli dei erano distaccati dagli uomini, vivevano infatti nell’intermundia.
• In seguito il tema dell’opera continuerà più distaccato e indifferente dagli dei.
• Contro il pensiero di Epicuro (la poesia non è adatta all’insegnamento morale e filosofico: ci vuole la prosa), Lucrezio scrive in versi da lui definiti “dolce miele” che rendono più facile accettare un messaggio spesso difficile.
• Si rivolge con forza al dibattito culturale del suo tempo, e non necessariamente ad un élite di studiosi.
• Lucrezio utilizza per questa opera un lessico ricercato.

PASSI SIGNIFICATIVI DELL’OPERA

INNO A VENERE [I, 1/49, Pag. 482]
• Il De rerum natura si apre con un proemio che ha lo scopo di non presentarsi in un modo troppo iconoclastico (distaccato dalla filosofia predominante: quella romana) ad un potenziale discepolo.
• L’inno a Venere contrasta l’ortodossia religiosa epicurea.
• Il testo garantisce la sua intenzione di essere strumento educativo per un pubblico specificatamente romano, di cui vuole assicurarsi fin dall’inizio il coinvolgimento emotivo e l’attenzione non ostile.
• Giustificato da Cicerone con “multae tamen artis”; infatti l’opera è vista come un opera multi ingenii.
• Venere incarna i valori positivi del mondo naturale: fertilità, vitalità, soprattutto piacere (voluptas).
• Sequenze:
1. [1-13] Invocazione all’inno di Venere: “o dea famosa, pace tranquilla per i Romani”
2. [14-20] Conseguenze del suo arrivo: “fuggono i venti e le nubi dal cielo e la terra produce frutti e fiori soavi”
3. [20-26] Appello a venere per la stesura dell’opera: “io ti prego che tu mi sia alleata / ispiratrice in questi versi”
4. [21-25] Materia del suo libro: “…che mi accingo a scrivere sulla natura…”
5. [26-30] Esaltazione di Memmio: “per il nostro Memmio, che tu, o dea, hai voluto sempre eccellere dotato di tutte le virtù.”
6. [30-41] Nuovamente invocazione a Venere: “Infatti tu sola puoi giovare ai mortali con una pace tranquilla…”.
7. [44-49] Conclusione con l’esposizione del contenuto del suo libro.

ANALISI DEI VERSI:
[1] Epiteti (genetrix, voluptas, alma Venus): aggettivi qualificativi che esprimono qualità generali sganciati dal contesto della frase; [2] apostrofe (Alma Venus); subter: forma arcaica per sub; [3] navigerum e frugiferentis: parole composte; [4] anastrofe: sta per quoniam per te; [6/8] anafora: te, te - tibi, tibi; poliptoto (te, tibi, tuum): pronome usato in varie funzioni; [7] enjambement: suavis, flores; [8] metafora: rident aequora; [10] ipallage (species, verna, diei): accosta l’aggettivo a species invece che a diei (altrimenti sarebbe verni); [11] genitabilis: parola composta; [15] iperbato: rapidos, amnis(es); [17-18] montis(es) - virentis(es); chiasmo: fluvios, domos, campos; consonanza (delle lettere “m” e “s”) e assonanza (della lettera “o”); [20-29] struttura ipotattica (efficis ut): è anche un arcaismo in quanto successivamente in poesia prevale la struttura paratattica (con molti nessi sintattici); [27-28] iperbato (omnibus-rebus, aeternum-leporem): isola i due termini; [29-32] chiasmo: fera moenera militiai con belli fera moenera; [32] enjambement: Mavors armipotens; [37] iperbato: tuo-ore; [41-42] parallelismo: tempore iniquo – aequo animo.

TRADUZIONE:
[1]Genitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei,/ Venere Alma, che sotto i mobili astri del cielo/ rendi fecondo il mare di navi, e le terre che producono messi,/ giacche per causa tua tutte le stirpi di esseri animati/[5] vengono concepite, e, nate, vedono la luce del sole:/ col tuo arrivo, o dea, fuggono i venti e le nubi dal cielo,/ per te la terra maravigliosa/ produce fiori soavi, per te sorridono le distese del mare,/ ed il cielo placato risplende di luce diffusa.
[10] Infatti, non appena l’aspetto primaverile del giorno si è manifestato/ e non appena l’aurea del favonio si è liberata/ da allora gli uccelli del cielo sono segno di te, o dea,/ colpiti nel cuore dalla tua forza.
Poi fiere e armenti balzano sui lieti pascoli,/[15] e attraversano i fiumi impetuosi: così, conquistati dalla tua grazia,/ ti seguono con piacere ovunque desideri condurli.
Infine nei mari, sui monti, nei fiumi travolgenti,/ nelle frondose dimore degli uccelli, e per i campi verdeggianti,/ ispirando a tutti nel petto un tenero amore,/[20] fai in modo che, specie a specie, propaghino con piacere le stirpi.
Poiché tu sola governi la natura,/ ne senza te sorgerà qualcosa sulle splendidi plaghe della luce,/ ne si farà lieto ne amabile qualcosa,/ ti chiedo di essermi ispiratrice per questi versi/[25] che mi accingo a scrivere sulla natura/ per il nostro Memmio, che tu, o dea,/ hai voluto sempre eccellere dotato di tutte le virtù.
Tanto più dai a questi versi, o dea, l’eterno piacere.
Nel frattempo fa in modo che tutte le crudeli imprese di guerra,/[30] sia in terra che in mare, riposino sopite.
Infatti tu sola puoi giovare ai mortali con una pace tranquilla,/ perché Marte, re delle armi, governa le cruenti azioni della guerra,/ e Marte spesso giace nel tuo grembo/ vinto da un’eterna ferita d’amore/[35] e così, abbandonando il capo tornito,/ alza lo sguardo su di te e nutre d’amore i suoi avidi occhi, ammirando te, o dea,/ e dalla tua bocca pende il respiro del dio supino.
Tu, o dea, mentre questo giace sul tuo corpo santo,/ abbraccialo, e spargi soavi parole dalla tua bocca, invocando,/[40] o dea famosa, pace tranquilla per i Romani./ Infatti noi non possiamo compiere/ la nostra opera con animo tranquillo in un momento triste per la patria, ne, in tali circostanze, l’inclita stirpe di Memmio/ può far venir meno il suo aiuto per la salvezza comune.[43]

LA RELIGIO TRADIZIONALE E IL SACRIFICIO DI IFIGENIA [I, 50/101, Pag. 487]
• Ora si allontana dalla religione e inizia a spiegare come la vede personalmente.
• Infatti Lucrezio dal verso 62 inizia a descrivere la condizione infelice degli uomini che vivevano prigionieri delle superstizioni religiose.
• Epicuro, che non viene qui nominato esplicitamente, fu il primo essere mortale a sfidare tali superstizioni e a indagare con la forza del pensiero scientifico la natura delle cose.
• Le critiche alla religio fatte da Epicuro (Lucrezio spiega a Memmio) non sono empie, ma empi sono i riti tradizionali che una concezione sbagliata degli dei e della loro attività ha imposto agli uomini.
• In particolare è empia l’uccisione di Ifigenia, ordinata da Calcante come unico rimedio alla bonaccia che teneva ferma la flotta greca destinata a Troia.
• Gli dei esistono ma non aiutano, ne ostacolano, ne puniscono gli uomini (quello succedeva presso i Romani).
• Esalta alle stelle la filosofia di Epicuro.
• Sequenze:
1. [50-53] Richiesta di attenzione da parte del lettore (Memmio): “rivolgi le orecchie libere e l’animo seguace lontano dalle preoccupazioni verso il vero ragionamento filosofico”
2. [54-61] Materia filosofica trattata (gli atomi): “incomincerò ad esporti la suprema norma del cielo e degli dei, e disvelerò i primordi delle cose, da dove la natura crea ogni cosa… e dove all’opposto risolve quelle cose dopo che sono distrutte… noi siamo soliti chiamare queste cose materia e corpi genitali, e definirli anche semi delle cose o corpi primi, perché proprio da quegli elementi originari tutto deriva”
3. [62-65] Immagine della religione;
4. [66-79] Immagine di Epicuro (vincitore) ed esposizione dell’opera di Epicuro: “Epicuro dapprima osò sollevare gli occhi mortali contro la religione e per primo osò resisterle… volle rompere per primo le porte chiuse della natura”
5. [80-84] Vittoria della filosofia di Epicuro sulla religione: “e percosse con la mente e l’animo tutto l’universo da cui vincitore ci riportò”
6. [84-99] Scena drammatica della morte di Ifigenia: “quella religione di cui ho parlato prima portò ad azioni empie e sciagurate”
7. [100-101] Giudizio sulla religione: “indurre a si gran misfatto poté la religione”

ANALISI DEI VERSI:
[50] enjambement: auris-semotum; [51] perifrasi per atarassia: semotum a curis; anastrofe: veram ad rationem; [53] iperbato: studio - fideli; [59] metafora: reddunda in ratione; [55-58-59-61] poliptoto: rerrum primordia - genitalia corpora - semina rerum – corpora prima; [63] personificazione: religione; [66] perifrasi: Graius homo; [66-67] epifora: contra-contra; [70] forma sincopata: irritat al posto di irritavit; [72/75] alliterazione di “vi”; [73] metafora: flammantia moenia mundi; [77] metafora (alte terminus haerens): questa è una metafora presa dalla vita quotidiana [terminus = pietra di confine terriera; [81] ipallage: impia-rationis-elementa; [85] forma sincopata: turparat al posto di turpaverant; [86] alliterazione di “d”; [89] iperbato: maestum-parentem; [90] sineddoche: ferrum sta a significare il pugnale; [92] allitterazione di “m”; [98] ossimoro/antitesi (cassta inceste): incastemente casta [opposizione di contrari]; [99] iperbato: hostia-maesta); [101] iperbato: tantum-malorum.

TRADUZIONE:
[50] E inoltre (natura didascalica) rivolgi le orecchie libere e l’animo seguace/ lontano dalle preoccupazioni verso il vero ragionamento filosofico,/ perché tu non abbandoni i miei doni disprezzati preparati per te con una cura fedele/ prima che siano compresi.
Infatti incomincerò ad esporti la suprema norma del cielo e degli dei,/[55] e disvelerò i primordi delle cose,/ da dove la natura crea ogni cosa, l’accresce e la nutre,/ e dove all’opposto la natura risolve/ quelle cose dopo che sono distrutte,/ nell’esposizione della nostra dottrina noi siamo soliti chiamare queste cose materia e corpi genitali,/[60] e definirli anche semi delle cose/ o corpi primi, perché proprio da quegli elementi originari tutto deriva.
Giacendo la vita umana davanti agli occhi/ sotto il peso della ragione/ che ostentava la testa dalle ragioni del cielo/[65] sovrastando ai mortali con un aspetto orribile,/ in questo momento un uomo greco (Epicuro) dapprima osò/ sollevare gli occhi mortali contro la religione e per primo osò resisterle,/ e ne la fama degli dei, ne i fulmini,/ ne il cielo con il suo mormorio minaccioso lo hanno oppresso, ma egli irritò con la virtù dell’animo/[70] l’acutezza dell’animo e al punto che volle rompere/ per primo le porte chiuse della natura.
Così la vivida forza del suo animo trionfò e avanzò/ lontano al di là delle mura infiammate del mondo (cerchio di fuoco)/ e percosse con la mente e l’animo tutto l’universo/[75] da cui vincitore ci riportò/ quello che possa nascere e quello che non possa/ e secondo quale legge ogni cosa abbia insomma una facoltà ben definita e un termine profondamente infisso./ Per questo motivo la religione è schiacciata a sua volta sotto i nostri piedi/ e la vittoria ci eguaglia al cielo.
[80] In tutte queste cose temo (questo) che tu creda per caso di andare verso/ cose empie per la ragione/ e nella via della scelleratezza e invece al contrario spesso/ quella religione di cui ho parlato prima portò ad azioni empie e sciagurate.
Per esempio come in Aulide gli scelti condottieri fra i Greci,[85] il fior fiore degli uomini, avevano deturpato vergognosamente con il sangue di Ifianassa l’altare di Diana (vergine Trivia).
Non appena la benda ebbe avvolto le chiome virginee/ e da tutte due le parti delle guance scendeva pari/ e non appena sentì stare in piedi davanti all’altare triste il padre/ e vicino a lui i sacerdoti nascondevano un pugnale/ e vide la folla che guardava lei e piangeva,/ la giovane cadde in ginocchio muta dal terrore.
E in questo momento non poteva giovare alla sventurata/ il fatto che per prima aveva donato il nome del padre al re.
Infatti sollevata dagli uomini fu condotta tremante all’altare,/ ma non dopo essere stato fatto il sacrificio solenne/ per essere portata in un festoso corteo nuziale,/ ma perché, incastemente casta, nel tempo delle nozze,/ cadesse vittima sventurata dell’assassinio del padre,/ in modo che alla flotta fosse consentita una partenza fausta e felice.
A tanta malvagità la religione poté persuadere. (indurre a si gran misfatto poté la religione).

I DONI DELLA FILOSOFIA [II, 1/61, Pag. 497]
• Lucrezio riprende i temi fondamentali dell’etica epicurea: l’atarassia (la capacità di chi è interiormente sicuro, non toccato dalle vicende del mondo esterno); la fondamentale distinzione tra piaceri necessari e non necessari; l’idea chiave di limite cui il piacere può aspirare.
• Il lettore che ha appreso già nel primo libro gli aspetti fondamentali del cosmo epicureo, è ora in grado di recepire questa lezione di morale con la consapevolezza del suo intrinseco valore scientifico.
• Lucrezio offre lo spettacolo della natura in tutti i suoi aspetti.
• E’ il saper vedere [spectare (v.2); tueri (v.5); despicere (v.9); videmus (v.20)] le cose che distingue il saggio dalla massa disorientata, letteralmente cieca dei suoi sfortunati compagni di cammino.
• Sequenze:
1. [1-14] Figura del saggio: è colui che risiede in una condizione isolata (meditazione) rispetto agli altri; contempla dall’alto l’affanno degli uomini ==> ATARASSIA; “E’ dolce… guardare dalla terra la grande frenesia (fatica) degli altri. Non perché sia un piacere giocondo il fatto che qualcuno è tormentato, ma perché è soave distinguere di quali mali tu stesso manchi”
2. [15-19] Cecità degli uomini: tendenza della natura a fuggire il dolore; “O misere menti degli uomini, o cuori cechi!”
3. [20-36] La dottrina epicurea dei desideri e il corpo: la ricchezza, la nobiltà e il potere politico non giovano al corpo; Epicuro aveva ridotto il numero dei bisogni naturali e necessari, quelli indispensabili per sopravvivere, a tre (non aver fame, non aver sete, non aver freddo).

ANALISI DEI VERSI:
[1] Allitterazione della “m”; [1-2] Metafora (mari…ventis): esprime gli stati d’animo. [1-5] Parallelismo di Suave e anafora (sottolinea la soavità della vista del saggio); [6] Allitterazione: parte pericli. [36] Perifrastica attiva: cubandum est; [39] Verbo essere sottointeso: putandum est.

TRADUZIONE:
[1] E’ dolce, quando i venti sono in turbinio sul mare e turbano la grande distesa d’acqua, guardare dalla terra la grande frenesia (fatica) degli altri.
Non perché sia un piacere giocondo il fatto che qualcuno è tormentato, ma perché è soave distinguere di quali mali tu stesso manchi.
[5] E’ dolce anche osservare le grandi lotte della guerra allestite nei campi senza che per te ci sia pericolo.
Ma non c’è nulla di più dolce che occupare i templi sereni ben difesi costruiti dalla dottrina dei sapienti e lì disprezzare le passioni umane, [10] luogo da dove vedere gli altri che cercano affamati il modello di vita, che si affaticano giorno e notte per emergere verso le più grandi ricchezze e impadronirsi del potere politico.
O misere menti degli uomini, o cuori cechi! [15] In quali tenebre della vita e in quali pericoli si trascorre questo tempo qualunque esso sia! E come non vedere che null’altro la natura grida per sé, se non che il dolore, separato dal corpo, se ne stia lontano, e la mente goda di sensazioni piacevoli, priva di preoccupazioni e paure?
[20] Vediamo dunque che la natura del corpo ha bisogno di poche cose, che eliminano il dolore, in modo tale che possano offrire anche svariati piaceri.
E non è la natura stessa che richiede occasionalmente un piacere maggiore se in casa non ci sono statue auree di giovani [25] che con la mano destra reggono fiaccole accese, per offrire luce ai banchetti notturni, ne la casa brilla d’argento e risplende d’oro e al suono della cetra non riecheggiano i dorati soffitti a cassettoni.
[29-32] Lucrezio descrive questo tranquillo luogo di delizia campestre secondo il modulo tipico del locus amoenus, che vanta una tradizione molto antica sia in letteratura greca che romana.
… soprattutto quando il tempo sorride e la stagione cosparge di fiori l’erba verdeggiante.
[34-36] Le ricchezze esteriori non giovano. L’esempio che Lucrezio propone per primo, quello delle febbri che non si allontanano dal corpo neppure se il malato dispone di coperte preziose, assumerà un rilievo particolare per il lettore del finale dell’opera: nella descrizione della peste di Atene Lucrezio mette in risalto che la povertà spirituale degli Ateniesi, contrapposta alla loro ricchezza materiale, accentua i danni causati dall’epidemia, e la rende meno sopportabile.
[35] … non meno se ti rotoli su tessuti decorati e sulla porpora rosseggiante che se ti è necessario giacere su una coltre plebea.
[37-39] I beni materiali non alleviano le sofferenze del corpo, e tantomento potranno alleviare quelle dell’anima.
[40] … a meno che quando vedi le tue legioni che si agitano nel campo simulando la guerra, rafforzate da grandi riserve e dalla forza dei cavalli, e le disponi ornate di armi e parimenti animate… [45] e i timori di morte lasciano allora libero il petto e privo di angoscia.
ma se vediamo che questo è ridicolo e degno di scherno, e in verità le paure degli uomini e le angosce che li incalzano non temono il risuonare delle armi o i dardi audaci… [50] né il luminoso splendore di una veste purpurea, come dubiti che questo sia totalmente il potere della ragione, specialmente quando l’intera vita si affanna nelle tenebre? Tutta la vita si affatica nelle tenebre.
[55] Infatti come i fanciulli trepidano dalla paura delle tenebre, così noi alla luce temiamo talvolta delle cose che non sono da temere più di quelle che i fanciulli paventano nel buio e credono che stiano per accadere.
Dunque questo terrore e queste tenebre dell’animo [60] è necessario che le disperdano non i raggi del sole o i lucidi dardi del giorno, ma la contemplazione razionale della natura.

IL MOTO DEGLI ATOMI [II, 80/141, Pag. 505]
• E’ uno dei passi più significativi del secondo libro.
• La teoria del moto atomico (cinetica), sviluppata da Epicuro viene qui presentata da Lucrezio e costituisce un decisivo superamento delle tesi democritee, e un punto saldo dell’intero sistema epicureo.
• Lucrezio poi espone in questi versi alcuni principi metodologici che rivestono un’importanza generale nel poema.
• Epicuro dimostra che tutti gli atomi sono in movimento continuo in tutte le direzioni: il peso (una qualità essenziale degli atomi) e la declinazione (clinamen) determinano questo movimento.
• la gravità è espressa per prima ed è da ritenersi condizione generale valida in ogni caso, mentre l’ictus (l’urto) è un evento possibile, ma non necessariamente presente.
• Gli atomi vagano nel vuoto e quindi il loro movimento è incessante.
• L’universo non è limitato in nessuna direzione, e non può quindi offrire alcun punto di resistenza o di sosta agli atomi in movimento.
• Lucrezio, poi, illustra le diverse conseguenze che possono risultare dall’incontro fra gli atomi. Alcuni urtandosi, rimbalzano in misura limitata, a causa della loro stessa forma e danno quindi origine ad aggregati solidi e resistenti; altri, di natura sottile e leggera, mantengono anche nei concilia (legami) che creano con il loro incontro un’ampia libertà di movimento, e formano quindi corpi estremamente diffusi come l’aria o la luce solare.

ANALISI DEI VERSI:
[80] Allitterazione: avius a vera… vagaris. [85] cita: participio da cieo (muoversi). [86] ut: introduce una completiva al congiuntivo. [87] proposizione relativa con valore causale (durissima quae sint). [90] reminiscere: 2° pers. sing. dell’imperativo presente del deponente reminiscor. [92] consistant: metafora militare. [98-99] confulta: participio da confulcio con valore mediale (“essendosi scontrati”); partim…pars: variatio. [103] radices: metafora per indicare i legami tra un atomo e l’altro. [114] contemplator: 2° pers. sing. Imperativo futuro di contemplor. [116] multa minuta modis multis: chiasmo, poliptoto e allitterazione.[118] proelia pugnas: sostantivi collegati per asindeto. [122] quale…inani: interrogativa indiretta. [130] retroque repulsa reverti: allitterazione. [139] ut: consecutivo

TRADUZIONE:
[80] Se pensi che i principi delle cose (gli atomi) possano restare fermi/ e stando fermi generare nuovi delle cose,/ ti allontani di molto dalla via della vera dottrina./ Infatti poiché tutti gli atomi vagano nel vuoto, è inevitabile che si muovano o per il loro peso o per il probabile urto con un altro atomo.
[85] Infatti spesso a causa del loro movimento/ si scontrano, repentinamente (ad un tratto) rimbalzano nella direzione opposta;/ ed è logico [est], perché sono durissimi dato/ la loro massa solida e dato che nessun ostacolo li trattiene./ E ricordati, per scorgere meglio che tutti i corpi della materia si agitano,[90] che in tutto l’universo non c’è un fondo,/ e non c’è un luogo dove questi si possano fermare,/ perché lo spazio non ha fine ne misura/ e ho detto, e provato con ragionamenti sicuri,/ che lo spazio si estende in tutte le direzioni immenso.
[95] Visto che questo è sicuro, è logico che non sia dato/ agli atomi nessun riposo attraverso il vuoto profondo,/ ma di più, spronati da un moto continuo e vario,/ alcuni, dall’urto, risultano mandati a grandi distanze,/ altri sono mandati più vicini.
[100] E quelli che risultano mandati a intervalli esigui/ sono legati più saldamente in reticoli intricati,/ formano le radici solide del sasso e la dura parte del ferro e le altre cose simili a queste.
[105] I pochi altri gli altri, che vagano invece nell’immenso vuoto/ saltano lontani e distanti rimbalzano/ a lunghi intervalli; questi ci forniscono/ l’aria sottile l’aria e gli splendidi raggi del sole./ Parecchi infine vagano nell’universo, [110] disgiunti da ogni legame delle cose/ e non hanno ancora potuto condividere il loro moto con gli altri./ Di questo, di cui sto parlando, ci appare sempre/ davanti agli occhi nostri un modello e un’immagine. Infatti osserva che quando la luce del sole illumina[115] con i suoi raggi radi l’interno di una casa buia:/ vedrai molti corpi piccolissimi nel vuoto mescolati in molti modi/ negli stessi raggi del sole e come se si combattesse una battaglia eterna,/ scondrandosi a schiere senza alcuna pausa,[120] sono turbati da continue unioni e separazioni;/ perché tu possa capire da questo, l’enorme agitazione che/ scuote gli atomi immersi sempre nel vuoto./ Certo una piccola cosa può darci un esempio/ dei grandi fatti e offrircene notizia.
[125] Anche per questo motivo è più opportuno che tu faccia attenzione/ a questi corpi che sembrano turbarsi nei raggi del sole,/ perché tali turbinii significano che nella materia/ ci sono moti clandestini e invisibili./ Infatti lì vedrai molti corpi che a causa di scontri invisibili[130] cambieranno direzione e saranno respinti indietro/ ora di qua, ora di là in tutte le direzioni vicine. E’ chiaro che queste deviazioni derivano dai principi./ Infatti dapprima si muovono per se i principi delle cose;/ dunque quelle cose che sono meno legate[135] e che sono quasi prossime alla forza dei principi,/ colpite dai loro scontri invisibili ricevono un impulso,/ e esse stesse a loro volta invogliano le altre un po’ più grandi./
Così dai principi il moto ascende ed esce gradualmente verso i nostri sensi, cosicché si muovono anche quelle cose che possiamo vedere nella luce del sole e non appare manifesto a causa di quali colpi si muovano.

LA DECLINAZIONE DEGLI ATOMI [II, 216/224 – 284/293, Pag. 513]
• Irrisa da Cicerone e da Seneca, la dottrina lucreziana della declinazione atomica costituisce uno dei principi cardinali dell’intero sistema filosofico esposto nel De rerum natura.
• In questo passo Lucrezio sostiene che tutti gli atomi si muovono alla stessa velocità e dall’alto verso il basso.
• Sostiene anche l’esistenza di un moto casuale che è il clinamen: una deviazione minima nel moto perpendicolare degli atomi. Questo introduce il libero arbitrio (la casualità) che i primi materialisti (Democrito) avevano proposto.
• Infatti grazie al clinamen gli atomi, in seguito allo scontro con un altro atomo, variano la loro direzione.

ANALISI DEI VERSI:
[217] rectum per inane: ipallage (l’aggettivo rectum è collegato a corpora e non a per inane); [223] foret: forma alternativa del cong. Imperf. di sum (esset); [224] creasset è piucchepperfetto sincopato (per creavisset), ed esprime irrealtà nel passato. [284] fateare: con la desinenza –re anziché –ris della seconda pers. sing., è congiuntivo pres.(retto da necesse est) di fateor.

TRADUZIONE:
[216] Un’altra cosa vorrei che tu conoscessi circa queste cose, e cioè che quando i corpi cadono in linea retta verso il basso nel vuoto, a causa del proprio peso, in un momento e in un luogo del tutto incerti, deviano un po’ dal cammino, di quel tanto che basti per poter dire che oscillano (il movimento è cambiato). [221] Perché se non fossero soliti deviare, tutti cadrebbero, come le gocce di pioggia, in basso nel vuoto infinito, e mai sarebbe nato un urto tra gli atomi: così la natura non avrebbe mai creato nulla.
[284] Perciò anche a proposito degli atomi è necessario confessare in simile modo che c’è un’altra causa dei moti a parte i colpi e il peso, una causa grazie a cui ci giunge questo innato potere, giacché vediamo che nulla può accadere dal nulla. [288] Il peso infatti impedisce che tutto nasca dagli urti come da forza esterna: ma affinché la mente stessa non abbia una necessità interna nel compiere tutte le cose, e, sopraffatta, sia come costretta a sopportare e subire, questo compie la leggera deviazione degli atomi, in un punto incerto dello spazio e del tempo.

IL RIMPROVERO DELLA NATURA [III, 931/962, Pag. 523]
• Il rimprovero ora giunge dalla natura che chiede all’uomo il perché di tanta disperazione al pensiero della morte.
• Anche Lucrezio rimprovera di questa paura i non convertiti all’epicureismo. Giudica questa paura insensata.
• Sostiene che il voler prolungare la vita non giova all’uomo in quanto la morte significa la terminazione di tutti i piaceri e dunque, sfidare questa, vorrebbe dire continuare a vivere privati dei propri piaceri. E allora perché continuare a vivere?
• Questo schema logico si sviluppa attraverso l’immagine topica della vita come un banchetto da cui l’uomo deve sapersi allontanare una volta sazio.
• Presuppone quindi una forza di tipo interiore, un invito all’autarchia e alla moderazione psicologica che devono essere in grado di liberare il discepolo di Lucrezio da vani terrori e desideri.

ANALISI:
[931-932] si vocem…mittat et …increpet: protasi del periodo ipotetico la cui apodosi (quid respondemus) è collocata al v. 950. [936] congesta quasi: anastrofe

TRADUZIONE:
[931] Ma se all’improvviso la natura si mettesse a parlare, e così rimproverasse uno di noi: Che c’è di tanto grave, o mortale, che indulgi troppo in tristi lamenti? Perché deplori e piangi la morte? [935] Se la vita che hai già vissuto ti è gradita, né tutti i beni sono scivolati via come in un vaso forato, e sono scomparsi senza che tu li ringraziassi, perché non ti allontani come un convitato sazio, e con animo tranquillo –stolto!- non accetti una pace sicura?
[940] Se invece tutto ciò di cui hai goduto è stato perduto, e la vita è ormai un peso, perché desideri aggiungere dell’altro, che nuovamente sarà perduto, e scomparirà senza darti gioia, e non poni invece fine alla tua faticosa esistenza?/ Non c’è nulla ch’io possa inventare o escogitare per te:[945] tutte le cose restano uguali per sempre./ Se anche il tuo corpo non è già marcio per il passare degli anni, e le tue membra non languono spossate, pure ogni cosa resta quella che era, anche se tu cercassi –vivendo- di sconfiggere i secoli, e ancora di più se tu riuscissi a non morire mai, [950] che cosa potremmo rispondere, se non che la natura ci sta intentando un giusto processo, e con le sue parole ci espone un problema reale?/ E in verità, se adesso un uomo già assai vecchio piangesse, e lamentasse la morte del giusto, forse la natura non griderebbe, e non lo riproverebbe con voce più aspra: Basta con quelle lacrime, pozzo insaziabile, e smettila coi tuoi lamenti! Stai marcendo, è vero, ma dopo aver sfruttato tutte le gioie della vita. Ma siccome desideri sempre ciò che non c’è, e disprezzi i beni presenti, la vita ti è scivolata via incompiuta e senza gioia, e la morte ti è comparsa a fianco all’improvviso, prima che te ne possa andare sazio e pieno di ogni bene. Ma ora lascia perdere queste cose, inadatte alla tua età, e con animo sereno…: è inevitabile.

LA NOIA E IL NULLA [III, 1053/1075, Fotocopia]
• La terra è impoverita e fiacca ed è stufa di produrre vita e di nutrirla continuamente.
• Il lavoro cresce perché, in qualche modo, bisogna far produrre la terra, ma questa produce sempre meno; anche i buoi si stancano sempre di più.
• Si trova ora la figura di un vecchio aratore che sospira stanco e in parallelo quella di un padrone che, deluso dai campi, accusa dolente le avverse stagioni e sostiene anche che genti più religiose avessero vissuto meglio.
• Se gli uomini riuscissero a scoprire la causa della noia avrebbero una vita migliore. Ma incerti scappano in cerca di altri luoghi.
• Si incontra ora un immagine topica di un uomo che lascia il palazzo ma poi, dopo poco tempo, ci ritorna. fuori la vita non è migliore. Un altro uomo scappa a cavallona dopo breve ritorna alla solita vita preso da una crisi di sonno.
• Questi uomini vorrebbero fuggire ma non possono, allora si attaccano a se stessi e si odiano perché non trovano la causa del male.
• Se l’uomo trovasse la causa del suo male, l’unica sua preoccupazione sarebbe il cercare di rivivere.

TRADUZIONE:
[1053] Se gli uomini potessero, quando sentono il peso sull’animo che li stanca, almeno trovare la causa di ciò, forse riuscirebbero ad ottenere una vita diversa (migliore). E così vediamo i più che non sanno quello che vogliono e chiedono (inquieti) sempre di cambiare luogo dove possano porre quel peso. Spesso questo esce fuori dal suo grande palazzo disgustato dalla sua casa e subito ci ritorna, ha visto che fuori non c’è niente di meglio. Quest’altro corre precipitosamente alla villa campestre con il cavallino, quasi a spegnere i tetti ardenti e sbadiglia subito quando tocca la soglia della villa, o discende nel sonno e il grave affanno interrompe oppure ritorna anche in città e rivede (le solite strade). Ognuno vorrebbe fuggire da se, (ma purtroppo fuggire da se non è possibile, anzi sempre più a se stesso costretto si attacca e intanto si odia, il malato non sa come il male gli viene, non vede la causa del male; che se bene (mai) la vedesse, già lascerebbe ogni cosa per cercare di studiare questo segreto della natura, dove il tempo è eterno, e non è da un’ora l’età che ci prepara alla morte.

IL PROEMIO DEL LIBRO V È ANCORA UN ELOGIO DI EPICURO. SI RIASSUME POI QUANTO È STATO DETTO NEI LIBRI PRECEDENTI, E SI ENUNCIA L’ARGOMENTO DA TRATTARE, PRECISAMENTE LA NATIVITÀ E LA MORTALITÀ DEL MONDO. MA PRIMA SI NEGA LA DIVINITÀ DEL SOLE, DELLA LUNA, DELLE STELLE, DELL’ETERE, IN CONTRASTO A RELIGIONIE FILOSOFIE CHE TALE DIVINITÀ SOSTENGONO. NEL MONDO NON C’È POSTO PER GLI DEI ED ESSI NON HANNO ALCUNA PARTE NELLE VICENDE DEL MONDO

IL MONDO NON È STATO FATTO IN FUNZIONE DELL’UOMO [V, 195/235, Pag. 531]
• In questo passo Lucrezio sottolinea nuovamente, e forse con più vigore, la completa assenza di ogni forma di provvidenza divina dal mondo naturale.
• Con questo Lucrezio non vuole affermare che la natura nutre un senso di vendetta o odio per l’uomo ma soltanto che gli dei risultano del tutto assenti dalle vicende dell’universo.
• Le vicende dell’universo, infatti, sono esclusivamente regolate dalle leggi naturali basate sull’interazione di materia atomica indistruttibile e vuoto.

TRADUZIONE:
[195] Ma se anche ignorassi quali sono i principi delle cose, questo oserei tuttavia affermare in base ai movimenti del cielo e sostenere grazie a molti altri fatti, che in nessun modo la natura delle cose è stata creata in nostro favore dagli dei: di tanti difetti è gravata.
[200-203] La prima prova addotta da Lucrezio riguarda la conformazione della terra, che è per larghi tratti inospitale, e le difficoltà incontrate dagli agricoltori.
[204] Poi quasi due terzi li portano via agli uomini il calore ardente e la caduta continua del gelo. Quello che rimane di terra arabile, tuttavia viene coperto di rovi dalla potenza della natura, … avezza, per sopravvivere, a gemere sulla zappa robusta e a fendere la terra premendo l’aratro.

GLI EFFETTI DELL’EPIDEMIA DI ATENE [VI, 1230/1246, Pag. 556]
• E’ questo la parte più discussa ma anche più grandiosa dell’intero poema.
• Come nel libro quarto, anche qui inizia da considerazioni scientifiche di carattere generale, di cui l’affresco sublime della peste di Atene costituisce un esempio concreto.
• Dapprima infatti analizza le cause che provocano squilibri nell’atmosfera tali da rendere l’aria nociva.
• La morte raffigurata alla fine dell’opera potrebbe essere un segno dell’amletismo lucreziana.
• La tragica sorte degli ateniesi sta, più che nella virulenza effettiva del morbo, nell’incapacità di afferrare le cause, e di mantenere un comportamento eticamente accettabile anche di fronte ad una disgrazia apparentemente senza cause e senza scampo.
• Nel progetto lucreziano rimane comunque uno sfondo educativo espresso con le verba di Epicuro.
• E’ doveroso ricordare che tutto il libro aveva cercato di spiegare una serie di fenomeni spesso terrificanti, quali il fulmine, i terremoti, i vulcani, e aveva cercato di eliminare le residue tracce di ignoranza causarum che fosse rimasta residua nel discepolo meno influenzato come l’erronea visione religiosa e superstiziosa dell’universo.

Esempio



  


  1. silvia

    sto cercando l'analisi del libro 5 di lucrezio versi 221-234

  2. Antonella

    "La natura e' indifferente ai bisogni dell'uomo"