Lettere a Lucilio (Seneca), libro IV

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Testo

LIBRO QUARTO


30
1 Ho visto Aufidio Basso, gran brava persona, mal ridotto e in lotta con l'età. Ma questa ormai pesa a tal punto su di lui da non permettergli più di riaversi; la vecchiaia gli sta addosso con tutto il suo tremendo peso. Sai che ha sempre avuto un fisico debole e smunto; a lungo l'ha sostenuto, anzi, per meglio dire, rabberciato: improvvisamente ha ceduto. 2 Quando una nave imbarca acqua, si tamponano ora l'una ora l'altra falla, ma se incomincia a cedere e ad aprirsi in più punti, non c'è rimedio per l'imbarcazione che si sfascia; allo stesso modo un fisico vecchio e debole si può tenere in piedi e puntellare fino a un certo punto. Quando tutte le commessure si aprono, come in un edificio marcio, e mentre ne ripari una, se ne spacca un'altra, bisogna cercare il modo di venirne fuori. 3 Tuttavia il nostro Basso ha uno spirito vivace: questo ti dà la filosofia: essere sereno di fronte alla morte, forte e addirittura lieto indipendentemente dalle condizioni fisiche, e non cedere anche se le forze non reggono più. Un pilota abile naviga pure se la velatura è a brandelli e, se ha perso le sartie, segue ugualmente la rotta con quel che resta della nave. Così fa il nostro Basso e guarda alla sua fine con quello spirito e quel volto che apparirebbero eccessivamente tranquilli persino per uno che guardasse la morte di un altro. 4 È questa, Lucilio mio, una lezione importante, che va imparata e meditata a lungo: andarsene con animo sereno, quando si avvicina l'ora fatale. Altri generi di morte non escludono una speranza di salvezza: una malattia può finire, un incendio si può spegnere, a volte un crollo ha lasciato incolumi persone che pareva dovesse schiacciare; il mare ha gettato sulla riva sani e salvi i naufraghi con la stessa violenza con cui li aveva inghiottiti; il soldato ha ritirato la spada proprio dal collo della vittima; ma se uno lo trascina a morte la vecchiaia, non ha nessuna speranza: solo a essa non ci si può opporre. Nessun tipo di morte è più dolce, ma neppure più lunga. 5 Mi sembrava quasi che il nostro Basso assistesse ai suoi funerali e alla sua sepoltura, e continuasse poi a vivere come fosse superstite a se stesso, sopportando con saggezza la propria perdita. Parla molto della morte e si dà da fare per persuaderci che, se questa faccenda è spiacevole e terribile, la colpa è di chi muore, non della morte; in essa non c'è dolore, come non ce n'è dopo. 6 Se uno teme disgrazie che poi non subirà, è pazzo quanto chi teme una cosa che non potrà avvertire. Oppure qualcuno crede che sentirà la morte, quando, invece, per merito suo non sentiremo più niente? "Quindi," egli conclude, "la morte è così al di fuori da ogni male da essere al di fuori anche da ogni paura di mali." 7 Questi concetti li hanno ripetuti spesso e spesso devono essere ripetuti, lo so bene; ma io non ne ho tratto mai tanto giovamento a leggerli o ad ascoltarli da persone che sostenevano che non si deve temere la morte, e ne erano lontane: Basso, invece, parla della fine ormai vicina e le sue parole sono per me autorevolissime. 8 Ti dirò come la penso: se uno si trova in punto di morte ha, secondo me, più coraggio di chi è prossimo alla morte. La morte imminente, infatti, ha dato anche a uomini ignoranti la forza di affrontare l'inevitabile; così il gladiatore, pieno di paura per tutto il combattimento, offre la gola all'avversario e dirige contro di sé la spada esitante. Ma quando la morte è vicina e destinata ad arrivare in ogni caso, richiede una fermezza d'animo tenace che è piuttosto rara e la può dimostrare solo il saggio. 9 Perciò ascoltavo molto volentieri Basso, come se egli esprimesse un giudizio sulla morte e ne indicasse la vera natura, quasi l'avesse osservata più da vicino. Tu crederesti di più, io penso, e attribuiresti maggior peso a uno che resuscitasse e ti dicesse per sua esperienza che nella morte non c'è nessun male: il turbamento che porta l'avvicinarsi della morte, potrebbero spiegartelo benissimo quelli che le sono stati vicini, l'hanno vista arrivare e l'hanno accolta. 10 Tra costoro metti Basso che ci ha voluto liberare dall'errore. Temere la morte, dice, è da stupidi come temere la vecchiaia; la vecchiaia segue l'adolescenza, e la morte la vecchiaia. Se uno non vuole morire, non vuole vivere: la vita ci è stata data con la condizione della morte; noi avanziamo verso di essa. Perciò è da pazzi temerla: solo gli eventi dubbi si temono, quelli certi si aspettano. 11 La morte è una necessità uguale per tutti e invincibile: e nessuno può lamentarsi di essere in una situazione comune a tutti. Condizione prima della giustizia è l'uguaglianza. Ma ora è superfluo difendere la natura che ha voluto per noi una legge analoga alla sua: essa distrugge tutto ciò che ha formato e riforma quanto ha distrutto. 12 Se a uno è capitato che la vecchiaia lo allontani lentamente dalla vita, senza strapparlo all'improvviso, ma sottraendovelo a poco a poco, non deve ringraziare tutti gli dèi? Ormai sazio viene condotto a quel riposo necessario all'uomo e gradito a chi è stanco. Tu lo vedi: certi desiderano la morte e con più intensità di quanto solitamente si chiede la vita. Non so se ci infonde più coraggio chi implora la morte o chi l'aspetta lieto e sereno: quel desiderio nasce talvolta da furore o da sdegno improvviso, mentre questa tranquillità deriva da una valutazione ponderata. Qualcuno va incontro alla morte pieno d'ira: solo chi vi si è preparato a lungo, ne accoglie lieto l'arrivo.
13 Confesso di essere andato piuttosto di frequente da quest'uomo, a me caro per moltissimi motivi, per vedere se lo avrei trovato ogni volta nella stessa disposizione di spirito, o se insieme alla forza fisica diminuisse il suo vigore spirituale; ma questo cresceva in lui come l'esultanza degli aurighi diventa più evidente quando, al settimo giro, si avvicinano alla vittoria. 14 Egli, seguendo gli insegnamenti di Epicuro, diceva di sperare prima di tutto che non ci fosse nessuna sofferenza in quell'anelito supremo; e se poi c'era, il fatto stesso che fosse di breve durata rappresentava già un grande sollievo: nessun dolore intenso dura a lungo. Ma anche al momento del distacco dell'anima dal corpo, nel caso fosse doloroso, lo avrebbe aiutato il pensiero che dopo quella sofferenza non avrebbe più potuto soffrire. Non dubitava, poi, che la sua anima senile fosse a fior di labbra e che si sarebbe staccata dal corpo senza grande violenza. "Il fuoco, quando si propaga a materiali infiammabili, bisogna spegnerlo con l'acqua, e a volte demolendo tutto; se gli manca alimento si estingue da solo." 15 Mio caro, queste parole le ascolto volentieri, non perché mi siano nuove, ma perché mi mettono di fronte alla realtà. E dunque? Non ho visto molti togliersi la vita? Sì, li ho visti, ma per me ha più valore chi arriva alla morte senza odiare la vita, e la accoglie, senza tirarsela addosso. 16 Basso sosteneva poi che quel tormento noi lo sentiamo per colpa nostra, perché ci lasciamo prendere dal panico quando crediamo che la morte ci sia vicina: ma la morte è vicina a ognuno, pronta a ghermirci in ogni luogo e in ogni momento. "Quando ci sembra che si avvicini un pericolo di morte," diceva, "consideriamo quanto ci sono più vicini altri pericoli di cui non abbiamo paura." 17 Un tale era minacciato di morte da un suo nemico e invece è morto prima di indigestione. Se vorremo analizzare le cause dei nostri timori, ne troveremo alcune reali, altre apparenti. Noi non temiamo la morte, temiamo il pensiero della morte; dalla morte siamo sempre ugualmente lontani. Così se va temuta, va temuta sempre: non c'è momento della vita che ne sia privo.
18 Ma temo che lettere tanto lunghe tu finisca per odiarle più della morte. Perciò concludo: tu, però alla morte pensaci sempre per non temerla mai. Stammi bene.

31
1 Riconosco il mio Lucilio: comincia a mostrarsi quale aveva promesso: tu hai calpestato i beni cari alla massa e ti sei diretto alle più alte forme di bene: persevera in quel tuo slancio. Non desidero che tu divenga più grande o migliore di quanto hai cercato di essere. Hai fondamenta solide e ampie: realizza quanto hai tentato e metti in atto i tuoi propositi. 2 In breve, raggiungerai la saggezza, se ti tapperai le orecchie; ma chiuderle con la cera è poco: Ulisse, raccontano, l'adoperò per i suoi compagni: per te occorre un tappo più efficace. Le voci che egli temeva erano lusingatrici, ma isolate: queste che dobbiamo temere noi, invece, non risuonano da un solo scoglio, ma da ogni angolo della terra. Non devi oltrepassare un unico luogo sospetto per i suoi insidiosi piaceri, ma tutte le città. Fa' il sordo anche con le persone che ti amano di più: ti augurano il male nonostante le loro buone intenzioni. E se vuoi essere felice, prega gli dèi che non ti capiti niente di quanto esse desiderano. 3 Non sono veri beni quelli che costoro vogliono si accumulino in te: uno solo è il bene, causa e fondamento della felicità: la fiducia in se stessi. Ma non la si può ottenere se non si è indifferenti all'attività e la si annovera fra le cose che non sono né buone, né cattive: non è possibile che una stessa cosa un po' sia un male, un po' sia un bene, un po' leggera e tollerabile, un po' terrificante. 4 L'attività non è un bene: ma allora che cos'è il bene? L'indifferenza all'attività. Disapproverei, perciò quelli che si danno da fare inutilmente. Se uno, invece, indirizza i suoi sforzi a obiettivi onesti, quanto più si applica senza lasciarsi vincere o concedersi riposo, lo ammirerò e gli griderò: "Fatti animo, alzati, tira un bel respiro e supera questo pendio, se puoi, tutto d'un fiato." 5 L'attività nutre gli animi generosi. Non è, dunque, il caso che tu decida le tue aspirazioni, i tuoi desideri in base a quel vecchio voto dei tuoi genitori; è vergognoso per un uomo che è passato ormai attraverso tutti i più alti incarichi importunare ancora gli dèi. Che bisogno c'è di preghiere? Renditi felice da solo; e ci riuscirai, se avrai capito che i beni sono quelli cui si unisce la virtù, i mali quelli cui si unisce il vizio. Niente risplende se non è impregnato di luce, niente è oscuro se non ciò che sta nelle tenebre o riceve su di sé un'ombra; niente è caldo senza l'intervento del fuoco e niente è freddo senza l'aria; così l'associazione con la virtù o con il vizio rende le azioni oneste o disoneste. 6 Cos'è, dunque, il bene? La conoscenza della realtà. Che cos'è il male? L'ignoranza. Il saggio, artefice della sua vita, respinge o sceglie ogni cosa secondo le circostanze; ma se ha un animo grande e indomito, non teme quello che respinge, e non guarda con ammirazione ciò che sceglie. Non voglio che tu ti arrenda o ceda. Non rifiutare l'attività è poco: devi cercarla. 7 "Come?" ribatti. "Non è un male l'attività vana e superflua, motivata da cause meschine?" Non più di quella che impieghiamo in belle azioni, poiché è la stessa tenacia dello spirito che si incita a imprese ardue e difficili e dice: "Perché desisti? Non è virile temere il sudore." 8 E perché la virtù sia perfetta, bisogna che a tutto questo si aggiunga uniformità di pensiero e un tenore di vita sempre coerente a se stesso, e ciò è impossibile se manca la conoscenza della realtà e la scienza dei problemi umani e divini. Questo è il sommo bene; e se lo raggiungi, cominci a essere compagno degli dèi, non loro supplice. 9 "Come vi si arriva?" domandi. Non attraversando le Alpi Pennine o Graie, o i deserti della Candavia; non devi affrontare le Sirti, Scilla o Cariddi, che hai, però dovuto passare per guadagnarti la tua piccola carica: la strada è sicura, piacevole e la natura ti ha preparato ad essa. Ti ha dato qualità che, sfruttate, ti innalzeranno alla pari di un dio. 10 Il denaro, invece, non potrà fare altrettanto: dio non possiede niente. E non lo potrà la toga pretesta: dio non ha veste. Neppure la fama o il metterti in mostra o la notorietà del tuo nome fra le genti: nessuno conosce dio; molti lo giudicano male e impunemente. E nemmeno una turba di servi che porti la tua lettiga per le strade urbane ed extraurbane: dio, che è l'essere più grande e più potente, porta lui l'universo. Neppure la bellezza e la forza possono renderti felice: non resistono alla vecchiaia. 11 Bisogna cercare un bene che non si guasti giorno per giorno, che non conosca ostacoli. Qual è? Lo spirito, ma deve essere retto, onesto, grande. E come altro puoi chiamarlo, se non un dio che dimora nel corpo umano? Uno spirito simile può trovarsi sia in un cavaliere romano, che in un liberto o in uno schiavo. Cosa sono, infatti, un cavaliere romano, un liberto, uno schiavo? Nomi nati dall'ambizione o dall'ingiustizia. È possibile arrivare al cielo anche da un cantuccio: innalzati
e rendi anche te degno di un dio.
Ma non potrai farlo con l'oro o con l'argento; non si può da questi metalli tirar fuori un'immagine simile alla divinità; pensa che gli dèi, quando ci erano propizî, erano fatti di creta. Stammi bene.

32
1 Indago su di te e da tutti quelli che vengono da codesta regione cerco di sapere che cosa fai, dove e con chi passi il tuo tempo. Non puoi ingannarmi: ti sono vicino. Comportati come se io potessi sentire, anzi, vedere quello che fai. Vuoi sapere che cosa mi è più gradito di quello che sento su di te? Il fatto che non sento niente, che la maggior parte di quanti interrogo non sanno che cosa fai. 2 La cosa migliore è non avere rapporti con chi non è simile a noi e ha aspirazioni diverse. Sono, però convinto che non sia possibile fuorviarti e che rimarrai saldo nei tuoi propositi, anche se ti circonda una massa di gente che cerca di corromperti. E allora? Non temo che ti cambino, temo solo che ti siano di ostacolo. Anche chi provoca ritardi danneggia molto, soprattutto perché la vita è tanto breve, e noi la rendiamo ancòra più breve con la nostra incostanza, ricominciandola di continuo ora in un modo, ora in un altro: la riduciamo in pezzi e la laceriamo. 3 Affrettati, dunque, Lucilio carissimo, e pensa quanto andresti più veloce, se il nemico ti incalzasse alle spalle, se temessi l'arrivo della cavalleria sulle tracce dei fuggiaschi. Succede proprio questo: ti inseguono; affretta il passo e fuggi, mettiti al sicuro e considera come è bello portare a compimento la vita prima che sopraggiunga la morte e poi aspettare serenamente il tempo che rimane, non chiedendo niente per sé, nel possesso di un'esistenza felice, che più felice non diventa, se dura più a lungo. 4 Quando arriverà quel giorno in cui ti renderai conto che del tempo non ti importa, in cui sarai tranquillo e sereno, incurante del domani e ormai completamente pago di te stesso! Vuoi sapere che cosa rende gli uomini avidi del futuro? Nessuno appartiene a se stesso. I tuoi genitori hanno desiderato ben altro per te; io, invece, desidero che tu disprezzi tutti quei beni che loro ti augurano in abbondanza. I loro voti spogliano molti altri per arricchire te; tutto ciò che vogliono darti, bisogna toglierlo a qualcuno. 5 Io ti auguro, invece, di avere il possesso di te stesso in modo che la tua mente, travagliata da pensieri volubili, trovi riposo e certezze, che sia soddisfatta di sé e, riconosciuti i beni veri, che si possiedono non appena si riconoscono, non desideri una vita più lunga. Se uno vive dopo aver portato a compimento la propria vita, ha ormai superato tutte le necessità ed è completamente libero da ogni vincolo. Stammi bene.

33
1 Tu vuoi che anche in queste lettere, come nelle precedenti, io aggiunga qualche massima dei nostri maestri. Essi non si sono occupati di sentenze: l'intero ordito delle loro opere è pieno di vigore. Sappi che c'è disuguaglianza dove si notano concetti che spiccano sugli altri. Non può essere oggetto di ammirazione un solo albero, quando tutto il bosco è cresciuto alla stessa altezza. 2 Di frasi simili sono pieni anche i poemi e le storie. Pertanto non voglio che tu ascriva ad Epicuro quelle massime: appartengono a tutti e soprattutto a noi Stoici, ma in lui si notano di più perché compaiono raramente, inaspettate, e poi perché queste espressioni virili sorprendono pronunciate da un uomo che professa la mollezza. Così crede la maggior parte della gente: secondo me Epicuro è virile anche se indossa una veste da donna; la fortezza, l'operosità e uno spirito battagliero si possono trovare tanto nei Persiani, quanto negli uomini che vestono abiti succinti. 3 Non c'è, quindi, motivo che tu chieda massime scelte e ripetute: nella nostra scuola è continuo quel pensiero che negli altri filosofi è espresso qua e là. Non abbiamo pertanto merce che dà nell'occhio, e non inganniamo il compratore: chi entra troverà solo gli articoli in mostra all'esterno: gli lasciamo scegliere un campione dove vuole. 4 Immagina che noi vogliamo selezionare da tutto l'insieme singole massime: a chi le attribuiremo? A Zenone, a Cleante, a Crisippo, a Panezio, a Posidonio? Non siamo sotto un monarca: ciascuno rivendica i propri diritti. Presso gli Epicurei, invece, ciò che ha detto Ermarco o Metrodoro, è riportato a uno solo; e il pensiero che qualcuno ha espresso in quella scuola, è stato espresso sotto la guida e gli auspici di uno solo. Noi non possiamo, sostengo, anche se lo tentassimo, da una così grande quantità di concetti dello stesso valore, enuclearne qualcuno:
È il povero che conta le sue pecore.
Dovunque volgerai lo sguardo, ti capiteranno sotto gli occhi pensieri che potrebbero spiccare se non fossero letti in mezzo ad altri di uguale importanza. 5 Abbandona, perciò la tua speranza di poter gustare per sommi capi l'ingegno degli uomini più grandi: devi esaminarlo e considerarlo nella sua totalità. Il pensiero si svolge con continuità e l'opera dell'ingegno è concatenata nelle sue linee fondamentali: niente può essere tolto senza che l'insieme crolli. Non dico che non si debbano prendere in considerazione le membra una per una, purché non si perda di vista l'individuo: non è bella la donna di cui si lodano le gambe o le braccia, ma quella la cui bellezza nel suo insieme distoglie dall'ammirare le singole parti. 6 Tuttavia, se lo chiederai, non mi comporterò con te meschinamente, ma darò a piene mani; da ogni parte c'è grande abbondanza di massime: basta prenderle, non occorre raccoglierle. Non compaiono di tanto in tanto, ma fluiscono a profusione; sono continue e concatenate. Servono molto, non ne dubito, alle persone ancòra incolte la cui attenzione è solo esteriore: singoli concetti circoscritti e racchiusi nella misura di un verso rimangono impressi più facilmente. 7 Perciò ai fanciulli facciamo imparare a memoria le massime e quelle che i greci chiamano chreiai perché l'intelligenza infantile arriva a comprenderle, mentre non è ancòra in grado di recepire concetti più complessi. Per un uomo maturo è una vergogna cercare di cogliere fiorellini e puntellarsi con pochissime massime, le più famose, basandosi sulla memoria: deve ormai appoggiarsi su se stesso. Concetti del genere li esprima con parole sue e non stia a impararli a memoria. È riprovevole per un vecchio o per uno ormai prossimo alla vecchiaia avere una cultura antologica: "Questo l'ha detto Zenone"; e tu, cosa dici? "Questo Cleante"; e tu? Fino a quando ti muoverai sotto la guida di un altro? Prendi il comando e pronuncia frasi che meritino di essere imparate a memoria, tira fuori anche qualcosa di tuo. 8 Tutti costoro, mai autori, sempre interpreti, nascosti all'ombra degli altri, non nutrono, secondo me, sentimenti magnanimi e non hanno mai osato fare una buona volta quello che per tanto tempo hanno imparato. Hanno esercitato la memoria su concetti di altri; ma una cosa è ricordare, un'altra sapere. Ricordare è conservare i concetti affidati alla memoria; sapere, invece, è far propri i concetti senza dipendere dai modelli e senza guardare sempre al maestro. 9 "Questo l'ha detto Zenone, questo Cleante." Deve esserci una differenza fra te e il libro. Fino a quando imparerai? Ormai è tempo anche di insegnare. Perché dovrei stare a sentire una cosa che posso leggere? "A viva voce le idee risultano molto più efficaci", ribatti. Non se si prendono a prestito da altri le parole e si funge da segretari. 10 Inoltre costoro, che non si rendono mai autonomi, seguono le teorie dei filosofi precedenti anche per questioni sulle quali tutti gli altri si sono dissociati e poi per quelle su cui ancòra si discute. Non scopriremo mai niente, se ci accontentiamo delle scoperte già fatte. Inoltre, se uno segue le orme di un altro, non trova niente, anzi neppure cerca. 11 E allora? Non dovrò seguire le orme di chi mi ha preceduto? Certo posso percorrere la vecchia strada, ma se ne troverò una più corta e più piana, cercherò di aprirla. Quegli uomini che hanno suscitato questi problemi prima di noi non sono i nostri padroni, ma le nostre guide. La verità è aperta a tutti; nessuno se n'è ancòra impossessato; gran parte di essa è stata lasciata anche ai posteri. Stammi bene.

34
1 Mi sento fiero ed esulto; mi scuoto di dosso la vecchiaia e riprendo l'antico ardore tutte le volte che da quello che fai e scrivi capisco quanto hai superato te stesso - la massa l'hai lasciata indietro già da tempo. Se l'agricoltore è contento quando un albero produce i suoi frutti, se il pastore gioisce per i piccoli nati nel gregge, se ognuno guardando il figlio considera la sua giovinezza come propria, cosa pensi che senta chi ha educato un carattere, l'ha plasmato ancòra tenero, e all'improvviso lo vede maturo? 2 Ti dichiaro mio; sei opera mia. Quando ho capito la tua indole, ti ho preso sotto la mia tutela, ti ho esortato, spronato, non ho lasciato che tu avanzassi lentamente, ma ti ho incitato in continuazione; ed ora faccio lo stesso, ma ti sprono quando tu già stai correndo e mi esorti a tua volta. 3 "Che dici?" obietti. "Finora ho solo dato prova di buona volontà." Questo è già moltissimo e non nel senso banale di "chi ben comincia è alla metà dell'opera." È una questione morale; pertanto gran parte della bontà consiste nel volere diventar buoni. Sai chi definisco buono? L'individuo perfetto, completo, che nessuna forza, nessuna necessità può rendere malvagio. 4 Prevedo che diventerai così, se sarai perseverante e tenace e farai in modo che tutti i tuoi atti e le tue parole siano coerenti, consonanti e abbiano un'unica impronta. Non è onesto l'animo dell'uomo, le cui azioni non concordino. Stammi bene.

35
1 Quando ti chiedo con tanta insistenza di dedicarti allo studio, lo faccio nel mio interesse. Voglio avere un amico, ma questa fortuna non mi può toccare, se tu non continui, come hai cominciato, a perfezionare te stesso. Ora mi ami, ma non sei un amico. "Come? Sono due cose diverse?" Certamente, anzi dissimili. Chi è amico ama, ma chi ama non sempre è un amico; e pertanto l'amicizia giova sempre, l'amore, invece, può a volte anche nuocere. Cerca di fare progressi se non altro almeno per imparare ad amare veramente. 2 Sbrigati, dunque, in modo che i tuoi progressi giovino a me e tu non debba imparare per un altro. Io ne raccolgo già i frutti, quando mi immagino che noi saremo un'anima sola e il vigore che se n'è andato con l'età mi verrà dai tuoi anni, sebbene non ci sia tra noi molta differenza; ma voglio essere soddisfatto anche di come stanno le cose ora. 3 Dalle persone che amiamo, se pure sono lontane, ci viene una gioia, lieve però e caduca: la vista, la presenza, i rapporti diretti danno un vivo piacere, soprattutto se abbiamo davanti, non solo la persona che vogliamo, ma come la vogliamo. Vieni, dunque, da me, mi farai un grande regalo e, per essere più pronto, pensa che tu sei mortale e io vecchio. 4 Affréttati verso di me, ma prima ancora verso di te. Cerca di migliorare e innanzi tutto preoccupati di essere coerente con te stesso. Ogni volta che vuoi constatare se hai fatto qualche progresso, considera se oggi vuoi le stesse cose di ieri: un cambiamento di volontà indica che l'animo ondeggia e compare ora da una parte ora dall'altra, come lo porta il vento. Se una cosa è salda e ha buone fondamenta, non va qua e là, e questa è una caratteristica del perfetto saggio e, in certa misura, anche di chi avanza e fa progressi. Dunque, che differenza c'è fra i due? Quest'ultimo, è scosso, tuttavia non si muove, ma vacilla sulla sua posizione. Il saggio non è neppure scosso. Stammi bene.

36
1 Esorta il tuo amico a disprezzare orgogliosamente quelli che lo criticano perché ha scelto una vita umbratile e ritirata, perché ha lasciato la sua brillante posizione e, pur potendo arrivare più in alto, ha anteposto a tutto la tranquillità; mostri loro ogni giorno come abbia fatto utilmente il proprio interesse. Gli uomini oggetto di invidia sono destinati a scomparire: alcuni verranno eliminati, altri cadranno. La prosperità è inquieta; si tormenta da sé. Essa sconvolge la mente in svariati modi: eccita gli uomini a passioni diverse: gli uni alla sete di potere, gli altri alla lussuria; rende tronfi i primi, snerva e svigorisce completamente i secondi. 2 "Ma qualcuno la regge bene." Sì, come il vino. Perciò non farti convincere da costoro che è felice chi è assediato da molte persone: corrono da lui come a una sorgente d'acqua che esauriscono e intorbidano. "Lo chiamano buono a nulla e inetto." Sai che certe persone parlano a rovescio e dànno alle parole il significato opposto. Lo definivano felice: e allora? Lo era veramente? 3 E non mi preoccupo neppure del fatto che secondo alcuni è troppo duro e severo. Aristone diceva di preferire un giovane austero a uno allegro e gradito alla folla; diventa un buon vino quello che, nuovo, sembrava acerbo e aspro; mentre il vino gradevole già nella botte non regge all'invecchiamento. Lascia che lo definiscano triste e nemico dei propri successi: quando sarà vecchio la sua stessa tristezza si rivelerà positiva, purché perseveri nel coltivare la virtù e si imbeva di studi liberali, non quelli con cui è sufficiente bagnarsi, ma questi in cui bisogna immergere lo spirito. 4 Il tempo di imparare è questo. "Come? C'è un tempo in cui non bisogna imparare?" No; ma, mentre è giusto studiare a qualsiasi età, non lo è andare sempre a scuola. È vergognoso e ridicolo che un vecchio sia ancòra alle nozioni elementari: il giovane deve prepararsi, il vecchio deve mettere a profitto. Farai, quindi, una cosa a te molto utile se renderai il tuo amico il migliore possibile; i benefici che si devono chiedere ed elargire, dicono, appartenenti senza dubbio alla categoria più alta, sono quelli che è utile sia fare che ricevere. 5 Infine, costui non è più libero: ha dato la sua parola; ed è meno disonesto fallire ai danni di un creditore, che deludere una buona speranza. Il commerciante ha bisogno di una navigazione propizia per saldare i suoi debiti, l'agricoltore della fertilità del terreno che coltiva e di un clima favorevole: il tuo amico, invece, può pagare con la sola volontà il suo debito: la fortuna non vanta nessun diritto nella sfera morale. 6 Regoli la sua condotta in modo che il suo spirito giunga alla perfezione in tutta tranquillità, senza fare caso a ciò che gli viene tolto o aggiunto, mantenendo, però sempre lo stesso atteggiamento comunque vadano le cose: se gli aumenteranno i beni graditi alla massa, se ne sentirà al di sopra; se la sorte gliene toglierà una parte o tutti, non si sentirà sminuito.
7 Se fosse nato tra i Parti, già da fanciullo imparerebbe a tendere l'arco; se fosse nato in Germania, fin da piccolo scaglierebbe l'asta flessibile; se fosse vissuto ai tempi dei nostri avi, avrebbe imparato a cavalcare e a colpire il nemico combattendo corpo a corpo. È il modo di vivere della propria gente a consigliare e a imporre ai singoli queste attività. 8 Su che cosa, dunque, deve riflettere il tuo amico? Su quello che serve contro ogni arma, contro ogni genere di nemici: il disprezzo della morte; essa ha in sé qualcosa di terribile, che affligge il nostro spirito per natura amante di se stesso: nessuno lo mette in dubbio; non sarebbe necessario prepararsi ed esercitarsi a un evento verso il quale andassimo per impulso volontario, così come tutti sono portati alla propria conservazione. 9 Nessuno impara a starsene tranquillamente, se necessario, sopra un letto di rose, ma cerca di abituarsi a non cedere ai tormenti, a vegliare a difesa delle fortificazioni, in caso di bisogno, stando in piedi, talvolta anche ferito, e a non appoggiarsi al giavellotto, perché spesso il sonno sorprende chi si appoggia a un sostegno. La morte non provoca nessun danno; altrimenti dovrebbe esserci qualcosa che subisce questo danno. 10 Se desideri tanto una vita più lunga, pensa che nessuno degli esseri che spariscono al nostro sguardo e si nascondono in seno alla natura, da dove sono usciti e presto usciranno di nuovo, si consuma: ogni cosa finisce, ma non si annienta; la morte che tanto temiamo e rifiutiamo, interrompe la vita, non la elimina; verrà di nuovo il giorno che ci riporterà alla luce, ma molti lo rifiuterebbero se non tornassero ormai dimentichi del passato. 11 In seguito ti spiegherò più scrupolosamente come tutto ciò che sembra finire, in realtà muta. Siamo destinati a tornare, e dobbiamo, perciò uscire serenamente dalla vita. Osserva il corso delle cose che ritornano in se stesse: vedrai che nulla a questo mondo si estingue, ma alternativamente declina e risorge. L'estate se n'è andata, ma l'anno venturo la ricondurrà con sé; l'inverno è finito, lo riporteranno i mesi che gli sono propri; la notte ha oscurato il sole, ma sùbito il giorno la scaccerà a sua volta. Gli astri ripercorrono nella loro corsa gli spazi già attraversati; di continuo una parte del cielo si solleva, una parte sprofonda.
12 Concludo, ma voglio aggiungere ancora una cosa: gli infanti, i fanciulli, i pazzi non temono la morte; e allora è proprio vergognoso che la ragione non sia in grado di darci quella serenità interiore a cui porta l'assenza di raziocinio. Stammi bene.

37
1 Hai promesso di essere un uomo virtuoso, ti sei impegnato con un giuramento: e questo è il vincolo più grande per arrivare alla saggezza. Se uno ti dicesse che è un'impresa facile e agevole, ti schernirebbe. Non voglio che tu sia ingannato. Le parole di questo giuramento, che è il più onorevole, e di quello dei gladiatori, che è il più disonorevole, sono identiche: "Sopportare il fuoco, le catene e la morte di spada." 2 Dai gladiatori che prestano le loro mani all'arena e mangiano e bevono quanto dovranno restituire col sangue, si esige che sopportino questi tormenti anche controvoglia: da te, che tu lo faccia volontariamente e di buon grado. A loro è concesso abbassare le armi e invocare la pietà del popolo: tu non potrai arrenderti, e neppure chiedere grazia della vita; devi morire in piedi e invitto. A che serve, poi, guadagnare pochi giorni o pochi anni? Siamo nati per combattere a oltranza. 3 "E come me la caverò?" chiedi. Non puoi sfuggire al destino, puoi solo vincerlo.
Ci si apre la strada con la forza,
e questa strada te la indicherà la filosofia. Volgiti a essa, se vuoi essere salvo, sereno, felice, e infine, se vuoi essere, e questo è il massimo, libero; non si può diventarlo in altro modo. 4 La stoltezza è cosa meschina, ignobile, sordida, da schiavi, soggetta a molte, violentissime passioni. La saggezza, l'unica vera libertà, allontana da te dei padroni tanto gravosi, che comandano un po' alternativamente, un po' tutti insieme. E alla saggezza porta un'unica via e diritta; non puoi sbagliare; avanza con passo sicuro. Se vuoi sottomettere a te ogni cosa, sottomettiti alla ragione; farai da guida a molti se la ragione farà da guida a te. Da essa imparerai che cosa devi intraprendere e in che modo; non ti imbatterai inaspettatamente negli eventi. 5 Tu non puoi citarmi nessuno che sappia come ha cominciato a volere le cose che vuole: non vi è giunto di proposito, vi è capitato seguendo un impulso. La fortuna ci viene incontro tanto spesso quanto noi andiamo incontro a lei. È vergognoso non avanzare, ma essere trascinati e, trovandosi improvvisamente in mezzo alla tempesta degli eventi, chiedersi stupiti: "Come sono arrivato a questo punto?" Stammi bene.

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1 È giusta la tua richiesta di intensificare questo nostro carteggio. Una conversazione alla buona giova moltissimo, poiché si insinua nell'anima a poco a poco: le dissertazioni preparate ed esposte alla presenza del pubblico hanno più risonanza, ma sono meno familiari. La filosofia è un buon consiglio: e nessuno dà consigli ad alta voce. A volte bisogna ricorrere anche a quelle così dette "concioni", quando bisogna stimolare una persona incerta; quando, però lo scopo non è di ottenere che voglia imparare, ma che impari, bisogna ricorrere a queste parole più sommesse. Penetrano e rimangono impresse con maggiore facilità; e non ne occorrono molte, purché siano efficaci. 2 Bisogna spargerle come un seme, che, per quanto minuscolo, se cade nel terreno adatto, sprigiona le sue forze e da piccolissimo si dilata fino a raggiungere il massimo sviluppo. Lo stesso fa la ragione: se osservi, non appare grande: cresce nell'agire. Sono poche le cose che si dicono, ma se l'animo le accoglie bene, acquistano vigore e si sviluppano. I precetti, a mio parere, sono come i semi: danno grossi risultati, eppure sono piccola cosa. Come ho detto, però occorre che li afferri e li assorba una mente adatta; essa a sua volta produrrà molti frutti e darà più di quanto ha ricevuto. Stammi bene.

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1 Ti preparerò senz'altro gli appunti che mi chiedi, ordinati con cura e brevi; bada, però, che il sistema abituale non sia più utile di questo che ora comunemente si chiama breviarium e che un tempo, quando parlavamo un buon latino, si chiamava summarium. Il primo metodo serve di più a chi impara, il secondo a chi già sa; l'uno insegna, l'altro richiama alla memoria. Ma di entrambi te ne farò avere in abbondanza. Tu non devi chiedermi questo o quell'autore: solo chi è sconosciuto presenta un garante. 2 Ti scriverò ciò che vuoi, ma a modo mio; intanto hai a disposizione molti scrittori; non so, però se le loro opere sono abbastanza ordinate. Prendi in mano l'elenco dei filosofi: già questo ti costringerà a scuoterti, vedendo quanti hanno faticato per te. Desidererai essere anche tu uno di loro; la qualità migliore di un animo generoso è l'istinto al bene. Nessun uomo di spirito elevato si compiace di cose abiette e sordide: lo attira e lo esalta la bellezza delle cose grandi. 3 La fiamma si leva diritta, non può stare distesa o abbassarsi, come non può rimanere ferma; così il nostro spirito è sempre in movimento, ed è più mobile e attivo quanto maggiore sarà il suo impeto. Ma beato l'uomo che ha rivolto questo slancio al meglio: si sottrarrà al dominio e al potere della sorte; sarà moderato nella prosperità, attenuerà le sventure e disdegnerà quanto gli altri ammirano. 4 Un animo grande disprezza la grandezza e preferisce la moderazione agli eccessi; quella è utile e vitale, questi, invece, nuocciono, proprio perché sono superflui. Un'eccessiva fertilità danneggia le messi; i rami si spezzano per il peso; una soverchia fecondità non arriva alla maturazione. Così capita anche allo spirito: una prosperità smodata lo fiacca e diventa dannosa non soltanto per gli altri, ma anche per lui stesso. 5 Nessuno è stato oltraggiato tanto da un nemico quanto certi uomini dai propri piaceri. La loro sfrenatezza e la loro insana libidine può essere perdonabile solo perché quello che hanno fatto ricade su di loro. E questa follia li tortura a ragione; i desideri che superano i confini naturali sfociano inevitabilmente nella dismisura: la natura ha un suo limite, mentre i desideri vani e scaturiti dalla libidine non ne hanno. 6 L'utilità dà la misura del necessario: ma il superfluo in che modo si può misurarlo? Alcuni, perciò si immergono nei piaceri e, abituatisi, non ne possono più fare a meno e sono davvero infelici perché arrivano al punto che per loro il superfluo diventa necessario. Non godono dei piaceri, ne sono schiavi e per giunta, e questo è il male estremo, i propri mali li amano; si arriva al culmine dell'infelicità, quando le azioni abiette non solo allettano, ma piacciono, e non c'è più modo di rimediare se quelli che erano vizi, diventano abitudini. Stammi bene.

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1 Tu mi scrivi spesso e io ti ringrazio: ti mostri a me nell'unico modo possibile. Ogni volta che ricevo una tua lettera, siamo subito insieme. Se i ritratti dei nostri amici assenti ci sono graditi, perché rinnovano il ricordo e alleviano la nostalgia con un falso ed effimero conforto, tanto più ci è gradita una lettera, che porta le vere tracce, i veri segni dell'amico assente. La sensazione più dolce che si prova alla presenza di un amico, il riconoscerlo, ce la dà l'impronta della sua mano nella lettera.
2 Scrivi di aver ascoltato il filosofo Serapione, quando è approdato lì, in Sicilia: "Parla molto velocemente e perciò storpia sempre le parole e non lascia che si diffondano [...], ma le constringe tutte insieme accavallandole: gli arrivano alle labbra più numerose di quanto si possano pronunciare con un'unica emissione di voce." Questo non lo approvo in un filosofo: il suo modo di parlare deve essere composto, come la sua vita; non può esserci ordine, se c'è precipitazione e foga. Perciò l'eloquenza concitata, che fluisce senza interruzione come la neve, Omero l'attribuisce all'oratore giovane; ma nel vecchio le parole scorrono lievi e più dolci del miele. 3 Credimi, la forza di questo eloquio rapido e straripante è più adatta a un ciarlatano, non a un filosofo che tratta e insegna una materia seria e importante. Secondo me, non deve stillare le parole, e nemmeno correre; non deve costringere il pubblico a tendere le orecchie, né frastornarlo. Anche l'eloquenza povera e scarna rende gli ascoltatori meno attenti: la lentezza e le frequenti interruzioni annoiano; tuttavia, un discorso che si fa attendere rimane più facilmente impresso di uno che scorre via veloce. Si dice, infine, che i filosofi trasmettono ai discepoli i loro insegnamenti: ma non si può trasmettere una cosa che fugge via. 4 L'eloquenza al servizio della verità, inoltre, deve essere ordinata e semplice: quella demagogica non rispecchia il vero. Vuole far presa sulla folla e trascinare col suo slancio le orecchie delle persone sconsiderate; non si presta a un attento esame, anzi se ne sottrae: e come può governare se non può essere governata? Questo tipo di oratoria, volta a sanare gli animi, deve scendere in noi: i rimedi non giovano se non svolgono un'azione lenta e costante. 5 Un'eloquenza simile, inoltre, è vana e inutile: ha più risonanza che vigore. Bisogna mitigare le paure, reprimere gli impulsi, dissipare gli inganni, frenare la lussuria, sradicare l'avidità: niente di tutto questo può realizzarsi al volo. Quale medico cura di corsa gli ammalati? E per giunta un tale strepito di parole, che scorrono ammassate alla rinfusa, non provoca nessun piacere. 6 Come la maggior parte dei fatti che credevamo impossibili basta averli osservati una sola volta, così è più che sufficiente aver sentito una sola volta questi oratori da strapazzo. Uno che cosa ha da imparare o da imitare? Come giudicare l'animo di persone che parlano in maniera confusa, sciatta e senza freni? 7 Se uno corre giù per un pendio non riesce a fermarsi nel punto stabilito, ma viene trascinato dal peso del corpo in movimento e va più lontano del voluto; allo stesso modo questa velocità di eloquio non ha dominio su di sé e non è sufficientemente adatta alla filosofia, che le parole deve disporle, non pronunciarle di getto, e deve procedere passo passo. 8 "Ma come? Certe volte l'eloquenza non dovrà anche innalzarsi di tono?" E perché no? Ma salvando la dignità di comportamento che, invece, questa forza eccessiva e violenta le toglie. Sia vigorosa, e tuttavia moderata; simile a una corrente perenne, ma non torrenziale. Una tale velocità di parola irrefrenabile e senza regole potrei ammetterla appena in un oratore: difatti, come potrebbe seguirlo un giudice che a volte è rozzo e inesperto? Ma anche quando lo trascina il desiderio di ostentazione o una passione irrefrenabile, l'oratore deve affrettarsi e ammassare parole solo nei limiti di un ascolto agevole.
9 Farai bene a non dare retta a questi conferenzieri che si preoccupano di quanto e non di come parlano; tu stesso, se è necessario, è meglio che parli come P. Vinicio. "Come, dunque?" Una volta che si discuteva su come costui parlasse, Asellio disse: "Lentamente", e Gemino Vario replicò: "Non so come possiate definirlo eloquente: non è capace a mettere insieme tre parole." E perché non dovresti preferire di parlare come lui? 10 Certo, potrebbe intervenire uno tanto sciocco come quel tizio che, mentre Vinicio spiccava le parole a una a una, quasi dettasse più che fare un discorso, gli gridò: "Parla, parli dunque?" A mio parere un uomo assennato deve tenersi lontano dalla celerità di Q. Aterio, oratore famosissimo ai suoi tempi: non aveva mai un'esitazione, non faceva mai una pausa; quando cominciava, arrivava fino in fondo.
11 Tuttavia, penso, che certe caratteristiche si adattino più o meno alle singole popolazioni. Tra i greci questa libertà è tollerabile: noi, invece, siamo abituati a fare delle pause anche quando scriviamo. Pure il nostro Cicerone, da cui scaturì l'eloquenza romana, aveva un'andatura posata. Da noi l'oratoria procede guardandosi più attorno, fa delle valutazioni e si presta ad essere valutata. 12 Fabiano, uomo straordinario sia per la sua vita, che per la sua cultura e, qualità a queste secondaria, anche per la sua eloquenza, si esprimeva speditamente, ma non in maniera concitata; la sua poteva essere definita facilità di parola, non rapidità. Nel saggio la ammetto, ma non la giudico fondamentale; purché le sue frasi vengano fuori senza impedimenti, è meglio tuttavia che siano emesse, piuttosto che sgorghino con profusione. 13 Da questo difetto cerco di tenerti lontano tanto più perché può sopravvenire solo se perderai il tuo pudore: devi deporre ogni vergogna e non ascoltare più te stesso; quella rapidità incontrollata, infatti, porta con sé molti difetti da censurare. 14 Non può ripeto, sopravvenire, se il tuo pudore lo mantieni intatto. È necessario, inoltre, un esercizio giornaliero e bisogna trasferire l'attenzione dai fatti alle parole. Ma anche se queste si presenteranno da sé e potranno fluire senza nessuna fatica da parte tua, bisogna, tuttavia, moderarle; come al saggio si addice un incedere contegnoso, così gli si addice un eloquio cauto, non avventato. In conclusione: parla lentamente. Stammi bene.

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1 Fai proprio una cosa buona e a te salutare se, come scrivi, continui ad avanzare verso la saggezza: è insensato chiederla a dio, visto che puoi ottenerla da te. Non occorre alzare le mani al cielo o scongiurare il sacrestano che ci lasci avvicinare alle orecchie della statua, quasi potessimo trovare più ascolto: dio è vicino a te, è con te, è dentro di te. 2 Secondo me, Lucilio, c'è in noi uno spirito sacro, che osserva e sorveglia le nostre azioni, buone e cattive; a seconda di come noi lo trattiamo, lui stesso ci tratta. Nessun uomo è virtuoso senza dio: oppure qualcuno può ergersi al di sopra della sorte senza il suo aiuto? Egli ci ispira principi nobili ed elevati. In ogni uomo virtuoso
abita un dio (quale non si sa).

3 Se ti troverai davanti a un bosco folto di alberi secolari, di altezza insolita, dove la densità dei rami, che si coprono l'un l'altro, impedisce la vista del cielo, l'altezza di quella selva, la solitudine del luogo e lo stupore che desta un'ombra tanto densa e ininterrotta in uno spazio aperto, ti persuaderà che lì c'è un dio. Se una grotta, creata non dalla mano dell'uomo, ma scavata in tanta ampiezza da fenomeni naturali, sostiene su rocce profondamente corrose un monte, un sentimento di religioso timore colpirà il tuo animo. Noi veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; vengono innalzati altari là dove d'improvviso scaturisce dal sottosuolo una copiosa corrente; onoriamo le fonti di acque termali, e il colore opaco o la smisurata profondità hanno reso sacri certi laghi. 4 Se vedrai un uomo impavido di fronte ai pericoli, libero da passioni, felice nelle avversità, tranquillo in mezzo alle tempeste, che guarda gli altri uomini dall'alto e gli dèi alla pari, non ti pervaderà un senso di rispetto per lui? Non dirai: "C'è un qualcosa di troppo grande ed eccelso perché possa ritenersi simile al povero corpo in cui si trova"? 5 Una forza divina è discesa in lui; una potenza celeste stimola questo spirito straordinario, moderato, che passa oltre ogni cosa considerandola di poco conto, che se la ride dei nostri timori e desideri. Non può un essere così grande restare saldo senza l'aiuto divino; perciò la parte maggiore di lui è là da dove è disceso. Come i raggi del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di partenza, così l'anima grande e santa, mandata quaggiù per farci conoscere meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine; dipende da essa, a essa guarda e aspira e sta in mezzo a noi come un essere superiore. 6 Qual è, dunque, quest'anima? È l'anima che brilla solo del suo bene. Cosa c'è, infatti, di più insensato che lodare in un uomo beni che non gli appartengono? Chi è più pazzo di uno che apprezza beni che possono sempre passare a un altro? Le briglie d'oro non rendono migliore un cavallo. Un leone dalla criniera dorata, ammansito e costretto, ormai stanco, a sopportare le bardature, si slancia in maniera diversa dal leone selvaggio, nel suo pieno vigore: naturalmente quest'ultimo, violento nella sua furia, quale lo volle la natura, splendido per l'aspetto feroce, la cui bellezza consiste nell'essere guardato con terrore, è preferito a quello fiacco e coperto d'oro. 7 Ognuno si deve gloriare solo di quello che gli appartiene. Lodiamo una vite se i tralci sono carichi di frutti, se la pianta sotto il loro peso abbatte i sostegni: forse qualcuno potrebbe preferire una vite cui fossero appesi grappoli e foglie d'oro? La virtù propria della vite è la fertilità; anche nell'uomo bisogna lodare quello che gli è proprio. Ha begli schiavi, una magnifica casa, vasti terreni seminati, cospicui redditi da usura; nessuno di questi beni è in lui, ma intorno a lui. 8 Nell'uomo devi lodare quello che non può essergli tolto o essergli dato, quello che gli è proprio. Chiedi cos'è? L'anima e nell'anima una ragione perfetta. L'uomo è un animale dotato di ragione: il suo bene lo attua appieno, se adempie al fine per cui è nato. Che cosa esige da lui questa ragione? Una cosa facilissima: che viva secondo la natura che gli è propria. Ma la follia comune la rende una cosa difficile: ci trasciniamo l'un l'altro nei vizi. E come si può ricondurre alla salvezza gente che nessuno trattiene e che è spinta dalla massa? Stammi bene.

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