Carme "Miser Catulle" di Catullo

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Testo

CARME VIII

TRADUZIONE LIBERA:

1. Misero Catullo, basta illudersi!
Ciò che vedi perduto consideralo tale.
Splendettero solo per noi quei giorni felici.
Allora ci eravamo recati in tutti i posti che più la aggradavano
5. e l'avevamo amata come nulla lo sarà mai.
Allora avevamo fatto quei tanti giochi d'amore
che noi avevamo voluto e lei di certo non si era negata.
Splendettero veramente solo per noi quei giorni.
Ora che lei non vuole più, tu, debole, non volere!
10. Non inseguirla come un miserabile nonostante ti schivi
ma sopporta con tutta la tua volontà, resisti.
Addio ragazza: Catullo non lo inganni più!
Non verrà a cercare né te né il tuo parere
e soffrirai quando non ti chiederà più nulla.
15. Sciagurata, guai a te! Che ti rimane ora?
E ora chi verrà da te? Agli occhi di chi sarai bella?
Chi mai bacerai? E a chi mordicchierai le labbra?
Riguardo a te Catullo, resisti ostinato.

MOTIVAZIONI DELLE SCELTE COMPIUTE:
Tutte le scelte compiute sono state finalizzate a sottolineare la divisione interiore che si è verificata in Catullo dopo la rottura del suo rapporto amoroso con Lesbia. Quello che sta parlando in questo carme è il Catullo che ormai ha aperto gli occhi di fronte alla dura realtà ed è deciso a voler dimenticare Lesbia. Per fare ciò ha bisogno della “collaborazione” con la parte irrazionale di sé ed è, per l'appunto, quella parte che in questo carme viene rimproverata. Nel testo originale latino si ha “amata nobis quantum amabitur nulla” e in questa frase si vede chiaramente come il Catullo razionale sia ben consapevole di aver amato Lesbia con tutto se stesso. Facendo leva su questa forma latina ho deciso di evidenziare questo fatto: ovvero che il Catullo razionale non rinnega affatto i bei momenti passati con Lesbia ma è ben consapevole che ora bisogna andare avanti nella vita e perciò esorta la sua parte irrazionale a lasciarsi il passato alle spalle. Infatti, come si vede nei vv. 3-9, ho fatto in modo che il soggetto dell'azione fosse sempre plurale, appunto per sottolineare come la frattura interna a Catullo si è verificata solo nel momento della rottura del rapporto. Un altro modo per sottolineare che la parte di Catullo che parla è quella che vuole staccarsi da Lesbia consiste nell'aggiunta di aggettivi dimostrativi derivanti da “quello” di modo che si esprima la lontananza nel tempo e nei sentimenti del Catullo razionale e la vicinanza a colui che ascolta, ovvero il Catullo irrazionale. Per di più ho anche sfruttato l'ambivalenza di “miser” che significa sia “misero, infelice” sia “meschino, miserabile”. Infatti il “miser” presente nel primo verso l'ho interpretato come “infelice”, laddove quello del verso 10 come “miserabile” in quanto l'azione di inseguire una persona che continua a fuggire a mio parere è un'azione meschina e quindi meritevole di disprezzo. Dal verso 12 ho immaginato che il Catullo narrante stia rimproverando Lesbia e perciò ho volontariamente usato “ragazza” al posto di “fanciulla” per sottolineare al meglio il distacco netto che c'è tra la parte razionale e Lesbia. Molte altre scelte sono state compiute per rendere il testo più scorrevole: ad esempio molte forme sono state trasformate da passive in attive o con l'uso di tipiche espressioni italiane come ad esempio “Agli occhi di chi sarai bella” invece di “A chi sembrerai bella”. Scelte importanti sono state compiute negli ultimi versi dove Lesbia viene aspramente criticata. La serie di domande poste una dietro l'altra costituiscono un climax ascendente: ogni domanda viene arricchita sempre di qualcosa in più rispetto alla precedente fino a che nell'ultima non si fa riferimento esplicito all'atto sessuale. In questa serie di domande ho quindi deciso di aggiungere congiunzioni o avverbi per rendere il ritmo molto più concitato di modo che potesse rispecchiare l'ascesa di questo climax. Un'altra scelta di trasformazione evidentemente molto diversa dalla forma latina si trova nel v. 12 dove ho tradotto la frase “iam Catullus obdurat” con “Catullo non lo inganni più”. Il motivo di questa scelta sta nel fatto che con questa traduzione si nota come la resistenza di Catullo consista nell'evitare di farsi nuovamente manovrare come una marionetta (concetto già espresso nel v. 4). Infine sono state compiute anche scelte finalizzate a sottolineare al meglio la peculiarità e irripetibilità della passione amorosa in termini assoluti provata nei confronti di Lesbia. Nel quinto verso ho deciso di usare “nulla” al posto di “nessuna” appunto per rendere più chiaro che l'amore di Catullo era un amore in termini assoluti e, oltre a questo, ho aggiunto “mai” che indica proprio l'irripetibilità di un sentimento amoroso di tale grandezza e importanza. Nel verso quindicesimo ho tradotto con “Che ti rimane ora?” abbassando volutamente il registro per sottolineare come queste domande fossero state poste in preda all'ira e facendo notare meglio come la vita senza l'amore di Catullo è una vita completamente vuota, grazie appunto ai sui caratteri assolutisti.
ANALISI DEL CARME 8 DI CATULLO:

Il carmen 8 fa parte della prima sezione del Liber Catullianus ed è il primo carme composto in trimetri giambici scazonti detti anche ipponattei o coliambi. Il trimetro giambico è per eccellenza il metro dell'invettiva e della poesia realistica, ma Catullo in questo carme lo usa per esprimere la propria malinconia e il dialogo con se stesso, poiché ben si adatta ad esprimere l'alternarsi di diversi stati d'animo ed ha il ritmo del singulto disperato. Esso inoltre dà una vena di ironia al testo sebbene l’argomento trattato non sia molto allegro. Tutto ciò ci spinge a pensare che Catullo volesse strappare, non solo al lettore ma anche a se stesso, un sorriso. Avviene qui, infatti, la prima rottura tra Catullo e Lesbia, per la prima volta il poeta si rende conto che l’amata conduce una vita troppo dissoluta: si tratta quindi, della prima delusione; tuttavia lo stato d'animo di sconforto induce all'abbandono nostalgico nel passato.
Il carmen ha una struttura ad anello (la cosiddetta Ringkomposition spesso usata da Saffo), in quanto si chiude ritornando al principio dell’esortazione che il poeta fa a se stesso: ovvero smettere di comportarsi da sciocco. All’interno di questa struttura si distinguono diverse modulazioni: ai vv. 1-8 abbiamo innanzitutto un rimprovero che Catullo fa a se stesso e poi il ricordo dei bei giorni trascorsi con Lesbia. La seconda parte è costituita dai vv. 9-11, in cui Catullo contrappone alla dura realtà la sua volontà di rinunciare all’amata. Infine la terza sequenza, che va dal verso 12 al 18, si proietta nel futuro, quando una Lesbia ormai pentita si ritroverà sola. Il carme presenta una sintassi spezzata: le proposizioni sono brevi, le congiunzioni sono quasi del tutto assenti, dominano i segni d'interpunzione forti, il linguaggio è scabro e ripetitivo. È degna di nota anche la ripetizione non solo di parole e inflessioni, ma addirittura di versi simili in un carme breve, per accentuare il carattere del doloroso lamento, quasi a trasformare l'intero componimento in una nenia.
Già dal v. 1 il poeta si abbandona ad un intimo dialogo con se stesso, e contempla le pene del suo animo sdoppiandosi, consentendo così introspezioni psicologiche del tutto nuove alla letteratura latina, quasi che abbia innanzi a sé un altro Catullo che egli compiange e commisera. Questo carme riflette con drammatica vivezza il conflitto interiore di Catullo che non solo si mostra deciso a farla finita con le solite illusioni ma si lascia anche alla sofferenza che comporta il pensiero di tutto il bene che ha perduto. E’ vezzo catulliano chiamarsi per nome mentre parla a se stesso; un dialogo tutto interiore tuttavia reso pubblico dalla forma poetica. Miser, nel linguaggio erotico dei neoteroi, indica chi soffre per amore, l'infelice che non può coronare il proprio sogno con l'amata. Desinas e ducas sono congiuntivi esortativi, ma con una sfumatura desiderativa che risulta assente nell'imperativo. Inoltre l'irrimediabilità della perdita è sottolineata dalle allitterazioni e dalle assonanze; si noti anche la posizione chiastica dei verbi della perdita rispetto ai due reggenti vides e ducas, dei quali il primo si riferisce alla sfera sensoriale, il secondo a quella razionale. Ineptire è proprio della lingua parlata, deriva da ineptus e significa “essere folle, comportarsi da insensato”. Quod vides perisse perditum ducas è un’espressione proverbiale, usata nella commedia anche da Plauto nel Trinummus. La prospettiva del carme si amplia poi in un excursus, racchiuso ad anello entro i confini segnati dai due perfetti arcaici fulsere dei versi 3 e 8. Dopo una prima esortazione a non illudersi più, si raccontano le giornate luminose del suo amore. Soles lo abbiamo già trovato nel carme 5 ed è metonimia che indica i giorni; la parola soles porta con sé immagini di luce splendida ed esasperazione cromatica del bianco (candidus indica il bianco splendente, brillante contrapposto al bianco spento albus) motivata dal fatto che il ricordo è particolarmente chiaro nella memoria del poeta. Ma l'avverbio quondam inframmezza questa solarità, sottolinea che il passato è ormai relegato nel solo ricordo. Ventitabas, frequentativo di venio, è funzionale a sottolineare la ripetizione dell'azione, per la frequenza degli incontri fra gli innamorati. Il verbo fa visualizzare l'azione estremamente concreta di Catullo, burattino nelle mani di Lesbia, ulteriormente enfatizzata da ducebat, che significa propriamente "tirarsi dietro", allusione alla disponibilità del poeta a lasciarsi ducere dalla sua puella. L'accumulo dei suoni sibilanti, nasali e liquidi rende particolarmente dolce e musicale questo verso. Nobis è un plurale maiestatis ed equivale a mihi. Secondo alcuni interpreti questo plurale indicherebbe le due personalità dell'io sdoppiato del poeta: il cuore e la ragione, che nel passato felice coincidevano, ma nel presente dialogano separati, straniati. Questa possibilità è stata anche accettata e posta alla base delle scelte per la traduzione libera proposta precedentemente. L'aggettivo iocosa è usato per i giochi d'amore; è presente la componente concreta nella terminazione in -osus, che indica abbondanza, e l'uso della radice di ioco, che rimanda al legame matrimoniale, perché durante i matrimoni venivano attuati i pesanti scherzi della iocatio fescennina. E’ poi presente una litote (nec... nolebat), che sottolinea nella fanciulla una assoluta assenza di ritrosie. Si noti l'accostamento esasperato dei quattro verbi di volontà volebas (v. 7), nolebat (v. 7), vult (v. 9), noli (v. 9): il parallelismo nell'uso di volo prima e poi di nolo in entrambi i versi è annullato dalla contrapposizione temporale e semantica (variatio). L'unico elemento che differenzia il verso 8 dal verso 3 è il vere che sostituisce il quondam. Ancora circolarmente, dunque, si chiude la parte di nostalgica rievocazione del passato felice; il quondam rafforzava il passato già indicato dal perfetto arcaico fulsere.
Dal v. 9 si impone il contrasto col presente (nunc). Questa rievocazione rende infatti amaramente evidente la diversità della situazione attuale e dimostra che non c’è spazio per le illusioni il che rende così difficile il distacco che il Catullo razionale deve ripetere con più insistenza l’invito a non cedere. Il verso 9 è costituito da ben 9 parole, in netto contrasto col precedente, formato da sole 5; ciò è evidentemente funzionale a rendere un diverso ritmo per due differenti scansioni temporali: il passato eterno nella memoria del verso 8 contrapposto al duro e sfuggente presente del non vult. Questo verso serve anche a dimostrare come ora l'amata sia molto contraria ai giochi d'amore con il poeta laddove nel passato “non nolebat”. Nunc iam sembra sottolineare il distacco dal lieto ricordo e il brusco risveglio della coscienza del Catullo razionale che rimette la realtà di fronte agli occhi. È presente al termine del v. 9 un locus corruptus ed è stata operata un’integrazione da parte degli studiosi: il verbo noli infatti era assente nei codici. In lettura verticale, questo è il primo di tre imperativi in chiusura del verso, che salgono a cinque contando anche sectare e perfer: dalla nostalgia di un passato irripetibile si passa alla realtà di un presente che richiede grande forza di volontà. Nec quae fugit sectare è la ripresa di un'espressione teocritea e anche del saffico Preghiera ad Afrodite: Saffo, tuttavia, implora la divinità, mentre Catullo si dà ordini per aiutare l'operazione di distaccamento affettivo verso Lesbia. Sector è verbo molto concreto, iterativo, frequentativo di sequor: riprende e accentua in senso negativo il precedente ventitabas (v. 4).
Scelesta si può tradurre con "disgraziata", ma anche "cattiva": tale è ora Lesbia per il poeta, il quale le si rivolge con distacco. Si noti che questo appellativo è usato molto in commedia ed è tipico dei servi. Tale appellativo deriva da scelus (colpa commessa in ambito religioso) e ci dà un’idea della consapevolezza, da parte del poeta, del tradimento della donna, della rottura del foedus. Vae te è un’espressione del linguaggio familiare, perché quest’espressione è usata con l’accusativo anziché col dativo. Il poeta dice dunque addio a Lesbia, ma ecco che ora gli si presentano le immagini del futuro, il futuro di una Lesbia senza Catullo. Il carme si conclude con una serie martellante di interrogative dirette, in realtà domande retoriche, che saranno poi una costante della poesia elegiaca: l'insistenza del poeta sul futuro dell'amata, lungi dal rivelare disinteresse per la sua sorte, tradisce anzi una morbosa volontà di continuare il rapporto. Bella, da bonus, è un termine colloquiale usato al posto di pulcher, mentre basiabis ha origine dialettale e labella è il diminutivo vezzeggiativo di labia. Il lessico assume quindi in questi versi le movenze della lingua d’uso: tutto ciò è motivato dal fatto che, allora come ora, nel momento in cui una persona si altera tende, senza avvedersene, ad abbassare il proprio registro linguistico.
COLLEGAMENTI IPERTESTUALI:

Nel Carme 8 di Catullo è possibile trovare diversi riferimenti ad alcuni dei temi principali trattati dal poeta non solo in questo carme ma esaminati più ampiamente anche in altri componimenti. Il riferimento a questi testi ci permette di comprendere meglio il significato generale del testo. I riferimenti principali sono essenzialmente 4: il tema della luce, il tema del Iocus Amoris e il tema del Foedus Amoris.
La prima parte del carme corrispondente al ricordo del passato possiede un'atmosfera più fantastica che realistica, ed è data sia dalle determinazioni temporali indefinite (quondam, tum, cum, ibi) sia dallo svolgimento del tema della luce. Quest’ultima rappresenta infatti la nota dominante fino a v. 8: il passato è stato per Catullo luminoso, radioso ed è per questo che si susseguono notazioni cromatiche (Fulsere, candidi, soles) ad indicare lo splendore da sogno di quel tempo che ora, nel presente, non c'è più. E’ possibile comprendere l’importanza del tema della luce dal fatto che, nonostante la brevità del componimento, le tre parole chiave (Fulsere, candidi, soles) sono ripetute addirittura in un verso quasi uguale a uno precedente. La luce in questo componimento presenta due significati principali: oltre ad evidenziare la passata felicita’ del poeta, il tema della luce richiama principalmente due componimenti precedentemente scritti da Catullo: il carme 2 e il carme 5. Il rimando al carme 5 costituisce un ulteriore nota nostalgica, con la quale il poeta ricorda gli innumerevoli baci che scambiava con la donna amata, il rimando al carme 2 invece sottolinea la netta opposizione tra la luce e le tenebre. La luce e’ infatti identificata da Catullo con la vita, ma, cosa ancor più importante, con l’amore, sentito appunto come un amore in termini assoluti. Se infatti la vita splendente e’ per il poeta la vita permeata dall’Amore, la vita senza quest’ultimo e’ una vita di tenebre, una vita indegna di essere vissuta.
Questa concezione di Catullo risulta più evidente se si tiene in considerazione il verso 15 del componimento (“Scelesta, vae te! Quae tibi manet vita?”), nel quale il poeta chiede a Lesbia quale vita gli rimanga. Questa è evidentemente una domanda retorica, infatti, per Catullo, quella di lesbia sarà un'esistenza senza amore e quindi priva di luce.
Il tema dello Iocus Amoris e’ trattato da Catullo nella prima parte del componimento (“iocosa”) e costituisce un rimando al carme II, nel quale i “giochi d’amore” avvenivano tra Lesbia e il passero regalatole da Catullo. Questo riferimento, collocato nella prima parte del testo, rappresenta, nonostante la gelosia nei confronti del passero, un ulteriore ricordo nostalgico del passato, del quale Catullo ricorda principalmente gli aspetti positivi.
L’ultimo tema presente in questo componimento è il tema del Foedus Amoris: questo tema non trova un riferimento esplicito nel componimento, ma permea piuttosto l’intero carme, in quanto quest’ultima è interamente incentrata sul “discidum”, ovvero sulla rottura del rapporto tra i due amanti. Catullo infatti concepiva l’amore come un “foedus”, ovvero un patto basato sulla fiducia reciproca tra i due amanti (“fides”). Questa concezione dell’amore è espressa chiaramente nel carme LXXXVII e contribuisce a chiarire il motivo della violenta reazione del poeta contro Lesbia nell’ultima parte del componimento, colpevole non solo di slealtà verso Catullo ma vera e propria traditrice di un patto basato sulla fiducia.

Mondio Andrea, Cassutti Alessandro, Maddalena Luca

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