i classicisti italiani

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Testo

Gruppo 3
Le posizioni dei classicisti italiani

Dopo la pubblicazione dell’articolo di Madame De Staël, la polemica divampò immediatamente. Da parte dei classicisti ci furono, nel dibattito con i romantici, invettive, espressioni d’orgoglio ferito e di risentimento genericamente patriottico, accuse di lesa maestà, ma anche ragionamenti più pacati, se pur diretti, e articolati in difesa della tradizione letteraria e della poetica degli antichi. Quella che segue è una minima campionatura per il periodo 1816-1817.
In Italia il romanticismo non è ancora una corrente ben sviluppata (si parla infatti di pre-romanticismo), ma è una corrente che sta comunque crescendo. È quindi adesso che viene coniato il termine “classicismo” proprio in opposizione ai romantici.

Pietro Giordani: “ un italiano” risponde al discorso della De Staël, 1816,
pubblicato nel secondo numero della rivista “Biblioteca italiana” in Aprile 1816
V. T69 pag. 325 vol. D.

Carlo Botta: Contro il romanticismo, 1816, lettera al “di Breme”,
pubblicata sulla rivista “Antologia” in Aprile 1826

Or solo si fa maggior rombazzo [=schiamazzo] e con maggior fronte, or solo si corre dietro a questi matti. In nome di Dio, che profondità, che novità è mai nei ghiribizzi di costoro? Che, o non si capiscono, o se si capiscono, è peggio; perché questa vantata profondità, quest’ammirata novità, se si spogliano delle espressioni strane, con cui sono vestite, non sono altro che pensieri volgari, volgarissimi, di quei, che ne vanno a migliaia per le vie; ed a questi è abbastanza risposto con una risata. V.S. [=vostra signoria] creda a me, che la cosa è così. Mi duole sino all’anima il vedere gl’italiani andar dietro a simili inezie. Oh nono mancava altro alla misera Italia, che andar dietro alle tedescherie dopo aver corso dietro alle franceserie! Le nebbie delle maremme caledoniche ed erciniche avran più forza nelle menti italiane della luce greca, latina, e della luce italiana stessa! Staremo a vedere che bell’opera faranno gli scapestrati da poter star a fronte di un Iliade, di un Eneide, di una Gerusalemme liberata, di un’Ifigenia, di un’Antigone ecc. ecc. So che questi signori ridono, ed a me vien voglia di fischiare.

Arnaldo: Parodia dello statuto d’una immaginaria Accademia Romantica, 1817

ART. II. – Essa terrà le sue adunanze nell’ antico castello di Fanfaluconia [luogo immaginario da “fanfaluca”= cosa di poco momento] e sue vicinanze, e si radunerà tutte le sere che sarà lume di luna.
ART. III. – È in libertà dei soci di scegliere un ruscello per loro seggio od un rottame di torre, un tronco di quercia, ecc. in luogo dei consueti scanni accademici con simboli, nomi pastorali, ecc.
ART. IV. – È proibito a tutti i membri della società di possedere le lingue dotte, e se qualcuno di essi avesse mai una leggiera tinta di latino, dovrà fare il possibile per dimenticarsene. Non è permesso in conseguenza leggere Omero, Virgilio, ecc.
ART. V. – La lettura soltanto dei poeti tedeschi ed inglesi può dare qualche considerazione a coloro che aspirano ad essere eletti soci.
ART. VI. – Ogni socio è tenuto a provvedersi di un liuto, sopra cui canterà un’ode alla malinconia, un inno alla luna ecc.; ma dovrà fare uso di tuoni minori.
ART. VII. – Niuno potrà essere ammesso nella società, se non avrà prima letto tutto quanto Ossian, o almeno imparatone a memoria alcuni canti.
ART. VIII. – È permesso in alcuni giorni dell’anno di leggere, nelle versioni moderne, qualche passo di poesia araba, ed ebraica per riaccendersi la fantasia, se a caso i nostri poeti se la fossero guastata prendendo della caligine sulle rive del Cona, e del Lubar, nell’antro di Tura; o acquistata una costipazione sulla vetta del Mora. [si tratta di luoghi evocati nei canti di Ossian]
ART. IX. – Per essere annoverati fra gli accademici romantici, sarà d’uopo: per gli uomini, subire prima un esame dinanzi a dei sindici eletti a bella posta, sopra la metafisica di Kant, che siano atti a rispondere nel linguaggio astratto e filosofico delle moderne filosofie, senza obbligo d’intendere ciò che dicono essendo ridicolo che il linguaggio debba servire all’intelligenza altrui, ed alla verità. […]
ART. X. – Le signore saranno ammesse nel ceto accademico, purché abbiano, o finta o vera, un Air languissant [=un aspetto languido], non facciano uso di belletto, e posseggano l’arte di svenirsi tre volte il giorno almeno. Il loro esame si aggirerà sopra […] i romanzi di madama Ratecliffe, ecc. […]

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