Dall'800 ai giorni nostri...

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Testo

L’Illuminismo 3
Tendenze letterarie 3
Neoclassicismo e Preromanticismo 4
Il Romanticismo 4
Profilo storico 5
La figura dell’intellettuale 5
Tratti distintivi del romanticismo europeo 5
Il Romanticismo in Italia 6
Tendenze letterarie 7
Il romanzo 7
M5 - Le forme principali del romanzo nel primo ‘800 8
M6 - Il romanzo nero 8
Ugo Foscolo 8
Le ultime lettere di Jacopo Ortis 9
Odi e sonetti 9
I Sepolcri 9
Le Grazie 10
Testi 10
T19 - Alla sera 10
T 20 - In morte del fratello Giovanni 10
T21 - A Zacinto 10
T22 - Dei Sepolcri 10
Giacomo Leopardi 11
Il pensiero 12
La poetica del vago e indefinito 12
Leopardi e il Romanticismo 12
Il primo Leopardi: le Canzoni e gli Idilli 12
I grandi idilli 13
L’ultimo Leopardi 13
Testi 13
T144 - L’infinito 13
T145 - La sera del dì di festa 14
T147 - Ultimo canto di Saffo 14
T149 - Dialogo della Natura e di un Islandese 14
Alessandro Manzoni 14
Prima della conversione : le opere classicistiche 15
Dopo la conversione : gli Inni sacri e altre liriche 15
Le tragedie 15
I Promessi Sposi 15
Il problema del romanzo 15
I “Promessi Sposi” e il romanzo storico 16
Il quadro politico del ‘600 e l’ideale manzoniano di società 16
L’intreccio e la struttura romanzesca 16
Il lieto fine, l’idillio, la provvidenza 16
Il Fermo e Lucia : un altro romanzo ? 16
Il problema della lingua 17
Dopo i “Promessi Sposi” : il distacco dalla letteratura 17
Testi 17
T128 - Il dissidio romantico di Adelchi 17
T129 - La morte di Adelchi : la visione pessimistica della storia 17
T131 - L’amor tremendo di Ermengarda 17
Il Realismo 18
M7 - Il romanzo realistico 18
M8 - Il romanzo di formazione 18
A28 - Stendhal 19
Il rosso e il nero 19
T54 - Le contraddizioni di un giovane ambizioso (da Il rosso e il nero) 19
A29 - Honoré de Balzac 19
Illusioni perdute 20
T55 - Una discesa negli Inferi nel mercato delle lettere (da Illusioni perdute) 20
Il Naturalismo 20
A71 - Gustave Flaubert 20
Madame Bovary 21
L’educazione sentimentale 21
A72 - Edmond e Jules de Goncourt 21
T192 - Prefazione a Germinie Lacertaux (manifesto del naturalismo) 21
A73 - Emile Zola 21
T193 -La Prefazione: letteratura e scienza (da Therese Raquin) 22
T194 - La Prefazione ai Rougon-Macquart: ereditarietà e determinismo 22
T195 - Lo scrittore come operaio del progresso sociale (da Il romanzo sperimentale) 22
Il verismo italiano 22
A74 - Luigi Capuana 23
T213 - Scienza e forma letteraria : l’impersonalità 23
Giovanni Verga 23
Testi 23
T200 - Il progetto dei vinti… 23
T201 - Sanità rusticana e malattia cittadina 24
T202 - Impersonalità e regressione 24
T203 - I vinti e la fiumana del progresso 24
Il Decadentismo 24
L’origine del termine “decadentismo” 24
La visione del mondo decadente 25
La poetica del Decadentismo 25
Giovanni Pascoli 25
Le idee 26
La visione del mondo 26
La poetica 26
L’ideologia politica 26
Le raccolte poetiche 27
I temi della poesia pascoliana 28
Le soluzioni formali 28
Eugenio Montale 29
La parola e il significato della poesia 29
Scelte formali e sviluppi tematici 29
Umberto Saba 30
Caratteristiche formali della produzione poetica 30
I temi 30
Il Canzoniere come racconto 31
L’Illuminismo
Nasce in Inghilterra, ma si sviluppa specialmente in Francia (‘700). Spostandoci in là nel tempo possiamo farlo riferire al razionalismo cartesiano, che vedeva al centro del suo sapere la ragione, ma per riferimenti più vicini nel tempo si può guardare all’empirismo inglese di Locke e Hobbes. In Europa si diffonde nella seconda metà del ‘700. Alla base c’è il razionalismo, ed il Principio di causalità, il quale afferma che per ogni evento c’è una causa corrispondente.
L’illuminismo respinge ciò che la mente non può catalogare e da questo principio deriva un atteggiamento antireligioso, che porta a respingere tutte le religioni rivelate, perché non danno modo alla ragione di capirle, e da qui nasce della ragione, inoltre le religioni rivelate ed il cristianesimo in particolare sono tendenzialmente conservative, ed anche questo crea attrito con l’illuminismo, che è fortemente rivoluzionario e quindi innovativo. L’illuminismo, però, non rifiuta tutta la religione, e anzi ne suggerisce una di stampo naturalistico, perché la natura può essere studiata, e quindi capita dalla ragione, ma ovviamente alla base di tutto ci deve essere la ragione con R.
Dall’illuminismo scaturisce un atteggiamento decisamente ottimistico, perché si crede possibile la creazione di una nuova società basata sulla ragione, nella quale fossero dominanti le condizioni di uguaglianza, fraternità e progresso. Infatti, l’uomo e la società sono visti come perfettibili.
Altro aspetto dell’illuminismo è costituito dal cosmopolitismo, perché la ragione supera il concetto di stato e di appartenenza politica, gli illuministi, infatti, si sentono cittadini del mondo.
Gli illuministi sono fortemente antistorici, perché il loro movimento nasce come rottura con il presente e a maggior ragione con il passato: catalogano le epoche stoiche come negative o positive, e non considerano quelle da loro stimate come negative. Per esempio, il medioevo, durante il quale sono fortissime le influenze religiose e mistiche è considerato come epoca da dimenticare, al contrario della società umanistico rinascimentale, dove era presente una visione laica del mondo, e dove l’uomo veniva messo al centro, così come positivo era considerato il periodo classico, in particolare tra il I a.C. ed il II d.C.
Per quanto riguarda l’arte, che fino ad adesso aveva costituito una funzione ludica e solo per pochi, acquista funzione educativa, basti pensare all’enciclopedia di Diderot o al trattato Dei diritti e delle pene del nonno materno di Manzoni. In Italia l’illuminismo trova grande diffusioni in due città: Milano e Napoli, con particolare attenzione alla trasformazione della società (fratelli Verri e il loro studio su come migliorare l’apparato burocratico).
Tendenze letterarie
Nella prima metà del ‘700 si diffonde la corrente letteraria dell’arcadia che recupera i valori classici di armonia e di semplicità del linguaggio, ma non riscontriamo nulla di interessante, perché povera dal punto di vista del contenuto.
Nella seconda metà del ‘700 si supera il classicismo arcade con il neoclassicismo, dove si capisce che l’imitazione dei classici deve essere adattata alla realtà contemporanea.
Si pone l’accento sui greci, sull’onda delle scoperte archeologiche, quelle sui resti romani si stavano infatti esaurendo. L’illuminismo si pone quindi ad imitare il modello che considera il massimo, i romantici, invece credono che la poesia debba essere espressione della persona, e non imitazione.
I tratti caratteristici del neoclassicismo sono dunque il frequentissimo ricorso alla mitologia, la costruzione sintattica sul modello latino, il frequente utilizzo di figure retoriche, e un linguaggio aulico, che fa ricorso a latinismi e grecismi.
Neoclassicismo e Preromanticismo
Il neoclassicismo, nel corso del ’700 è sottoposto a diverse trasformazioni, è una corrente di pensiero che si rende duttili alle varie trasformazioni storiche che stanno avvenendo.
Si parte con il neoclassicismo arcadico, che alimentato anche dalle scoperte archeologiche, italiane greche, riscopre il piacere della mitologia, della chiarezza e dell’armonia.
Segue il neoclassicismo di Winckelmann, il quale era un grande archeologo, e sosteneva che l’arte greca aveva realizzato la bellezza assoluta ed eterna, che si basava su una “calma grandezza” ed “nobile semplicità”. W. Si fa quindi esaltatore della bellezza classica, ma è consapevole che si riferisce ad una perfezione passata ed inarrivabile, e per questo tinge i suoi scritti di una vena laconicamente malinconica.
La successiva trasformazione a cui il neoc. è sottoposto, è nota con il nome di rivoluzionario, perché viene adottato i rivoluzionari di Francia vedevano in Atene, Sparta e Roma esempi di vita repubblicana, per cui si identificavano in quel modello di società ideale proposto negli suoi scritti da Plutarco.
Si arriva poi al classicismo imperiale, che trova la sua espressione sotto il dominio napoleonico, dove non si viene più a celebrare le virtù della Roma repubblicana, bensì quelle della Roma imperiale.
Infine abbiamo il neoclassicismo foscoliano, che vede nell’epoca classica un mondo di armonia e di bellezza nel quale rifugiarsi, per sfuggire da un mondo visto come negativo, ed inerte, e alla base di questo c'è una predisposizione romantica.
Un esempio di poeta neoclassico è rappresentato dal Monti, il quale nasce come neoc. reazionario, infatti durante questo periodo è alle dipendenze del clero, e durante questo periodo scrive uno dei testi considerati più antirivoluzionario: Basvillana. Successivamente appoggia la rivoluzione, e scrive alcuni testi tra cui il Prometeo per esaltarne i valori. Poi asseconda gli ideali napoleonici, ed infine dopo la sua caduta, si fa portavoce degli interessi austriaci.
Negli ultimi decenni del ‘700 il preromanticismo affianca il neoclassicismo, questo nuovo movimento culturale nasce in Inghilterra ed in Germania, questo perché sono i due paesi dove le influenze classiche sono meno radicate, e perché qui l’egemonia napoleonica è meno influente, quindi qui è più forte il desiderio di indipendenza, anche in campo culturale.
Gli scritti del periodo preromantico sono caratterizzati da una particolare e innovativa attenzione per il sentimentale, questi testi si diffondono anche in Italia, in particolare, quelli di Rosseau (esaltava la natura in contrapposizione alla civiltà il mito del buon selvaggio) ed il romanzo di Ghoethe. Quest’ultimo, però e il risultato di un altro movimento, che è precursore del Romanticismo: Sturm und Drang (tempesta ed impeto), il movimento si sviluppa in Germania sotto l’inluenza del filosofo Herder, il quale, in polemica con il razionalismo e con la letteratura classica francese esalta il genio e la poesia popolare. Caratteristiche del movimento era la passionalità primitiva e selvaggia, desiderio di libertà. Dal punto di vista letterario nasce il rifiuto di ogni regola, vista come limitazione del genio, e l’idea di arte diventa espressione dell’individuo, evidente l’opposizione con il classicismo.
Nel preromanticismo si sviluppa anche un’altra corrente, che si sintetizza nel gusto per l’orrido ed il tenebroso, passa sotto il nome di poesia “cimiteriale”, fu molto popolare anche n Italia, ed in parte influenzò anche alcuni scritti del Foscolo quali i “sepolcri”.
Neoclassicismo e Preromanticismo sembrano correnti culturali completamente antitetiche, ma sono spesso individuabili nella poetica di uno stesso autore (Foscolo: l’Ortis, le grazie), questo perché i due movimenti hanno la stessa origine: sono sintomi di grandi sconvolgimenti sociali (rivoluzione Francese e rivoluzione industriale), e sono entrambi strumenti di fuga, che però corrono in direzioni diverse.
Il Romanticismo
Due modi di intendere Romanticismo: categoria storca o movimento culturale, la seconda è più ampia, perché integra autori che nonostante non facessero parte di movimenti romantici possono ugualmente essere considerati romantici, es. Foscolo, Leopardi e Carducci.
Profilo storico
Il periodo nel quale il Romanticismo i sviluppa è un periodo molto complesso, sul piano sociale è sconvolto dalle due rivoluzioni: americana prima e soprattutto francese poi, crolla la monarchia ed il diritto divino, la sovranità diventa del popolo, e prendono piede le idee di uguaglianza, e libertà.
Dal punto di vista economico arriva la rivoluzione industriale, che si dimostra essere la più deleteria, perché più lenta e meno evidente, le continue innovazioni, gli sconvolgimenti che si succedono nella vita quotidiana danno l’impressione di non essere più controllabili, si verificano crisi economiche, dovute all’impossibilità di una costante espansione del mercato, invece pretesa dal sistema industriale, e questo clima trova la sua espressione nella letteratura nera (Frankestein di Mary Shelley). Ulteriore elemento di minaccia per la società è la presenza del neonato gruppo proletario, che in seguito alla rivoluzione industriale è cresciuto esponenzialmente, e sta pian piano acquistando la propria coscienza di classe. Ed ancora, le fabbriche producono inquinamento, violentando così la Natura, che fino ad allora era restata illibata.
La figura dell’intellettuale
La sua figura all’interno della società perde notevolmente di prestigio, non esistono più gli intellettuali che vivono nell’otium non provengono più dal clero o dall’aristocrazia, ma è costretto a lavorare per guadagnarsi da vivere, e generalmente non sono lavori di poco prestigio, e questo gli consente un maggior contatto con la realtà, ed una visione più critica della società. Inoltre l’artista, cultore del bello fine a stesso, è rifiutato dalla stessa classe da cui lui proviene (borghesia), perché improduttivo, e per questo inutile nel sistema industriale, per questo sempre più spesso l’artista si ribella alla società stessa. Inoltre l’opera dell’artista diventa oggetto di mercato, e per questo chi la scrive ne deve assecondare i gusti, che vengono ritenuti grezzi ed insensibili al bello.
Il Romanticimo è molto legato al cristianesimo, perché l’artista romantico è continuamente alla ricerca del superamento dei limiti terreni, con un grande bisogno di infinito, che gli viene offerto dal cristianesimo appunto. Percezione del caduco, mortale, quindi peccato. Rifiuto del principio causa effetto.
Le caratteristiche dell’eroe Romantico sono state delineate da “i romanzi del giovane Werther” di Goethe, che in futuro sarà modello per molti altri romanzi romantici (“Iacopo Ortis”). Il romanzo di Goethe si basa sulla storia d’amore tra il giovane Werther e Carlotta, la quale si sposerà con Albert, questo non viene rappresentato come un personaggio negativo, ma è espressione della mediocrità borghese: incapace di esprimere i propri sentimenti, equilibrato, razionale, privo di dubbi, in una parola mediocre. La sua figura è in stridente opposizione con Werther caratterizzato da: grande enfasi emotiva ed oratoria (capacità di comunicare), irrazionale, intuitivo, trascende la logica, disposizione al gesto eroico. Lo Iacopo del Foscolo è molto simile all’eroe di Goethe: di fronte al fallimento delle sue idee politiche (tradimento di Napoleone),
Tratti distintivi del romanticismo europeo
• II Romanticismo nasce in Germania e in Inghilterra alla fine del Settecento. In Italia la discussione sul Romanticismo inizia dopo la pubblicazione (1816) di un articolo di Madame de Stael: “Sulla maniera e t'utitita dette traduzioni”. L'articolo determinò la formazione di due schieramenti contrapposti, quello dei “classici” (Giordani Leopardi) e quello dei romantici (di Breme, Borsieri, Berchet, Visconti).
• Lo sfondo storico in cui il Romanticismo si sviluppa è quello dell’età della Restaurazione, dei movimenti di indipendenza e delle rivoluzioni liberali e democratiche culminate nei grandi moti del 1848-49. Il 1848 costituisce dunque, a livello europeo, un momento netto di rottura. In Italia e in Germania, la data che segna un cambiamento profondo va spostata di qualche decennio e coincide con quella del raggiungimento dell'unita nazionale: il 1861 per l'ltalia, il 1871 per la Germania.
• Il movimento romantico si presenta con una forte identità anti-illuministica e anti-classica. Infatti, Sul piano filosofico oppone al sensismo l'idealismo. Sul piano religioso propone il ritorno al Cristianesimo sul piano politico respinge iI cosmopolitismo in nome dell'esaltazione dei valori nazionali; sul piano artistico contrappone all'equilibrio del Neoclassicismo e al razionalismo illuministico una nuova sensibilità volta a valorizzare i sentimenti, la passione, gli elementi irrazionali la "genialità". Questi caratteri non si diffondono tutti nello stesso modo nei diversi paesi, anzi il Romanticismo assume coloriture molto diverse da nazione a nazione.
• L'immaginario romantico nasce da una scissione: da una parte l'eroe, dall'altra il mondo borghese; da una parte la natura e la poesia, dall'altra la società e la prosa del mondo. La scissione io-mondo può essere vissuta in due modi: come contrasto storico tra l’ideale e irreale, valori e società; oppure come dissidio ontologico (cioè eterno) dipendente dalla condizione stessa degli uomini. II primo modo produce un atteggiamento realistico, il secondo un atteggiamento lirico-esistenziale. Dalla modalità realistica di vivere il contrasto “ideale-reale”' nascono il romanzo storico e sociale, la novella in versi. Dalla modalità ontologica ed esistenziale, che privilegia poetiche di tipo simbolico, si sviluppa la grande poesia romantica, ma anche un nuovo spazio di ricerca narrativa, quello del romanzo fantastico. In Italia prevale la modalità storico-realistica: Romanticismo e poetica del vero" finiscono col coincidere.
• I generi letterari principali del Romanticismo sono la lirica che subisce un profondo rinnovamento sostanziale e formale, e il romanzo. Anzi il vero grande fenomeno nuovo del secolo e il trionfo del romanzo, che è complementare al parallelo trionfo della borghesia.
• Il Romanticismo prevede il rifiuto di ogni regola classica: separazione degli stili, regole stilistiche per creare armonia, brutto non artistico…

NEOCLASSICO
ROMANTICO
Eroe vincente, invulnerabile, sicuro che pure nelle sventure riesce (Ulisse)
eroe fragile, in contrasto con la realtà comunque perdente Foscolo (paragone con Ulisse non ritornerà a casa)
stile misurato, ricercato, il difficile è preferito al semplice riferimenti mitologici raffinati, amore per le forme, armonia, calma serenità
si esce dagli schemi, arte come fine a se stessa espressione dell’animo del poeta immediata e non controllata, passionale, amore per il primitivo, barbarico esotico infantile.
Pubblico elitario: nobili ed intellettuali
diversa concezione di pubblico, tutti i borghesi che sanno leggere e scrivere (ricordare lettura di Giovanni Berchet poesia popolare)
classicismo modello da imitare fuori dal tempo e dallo spazio
romanticismo si adatta alla storia e alla realtà di ogni singolo stato (Italia-Francia\\inghilterra-Germania)
natura come paesaggio idilliaco, ideale di vita, Virgilio bucoliche e georgiche
natura soffre o compiange il poeta, si rende partecipe del dramma, vista in chiave soggettiva.

Tra le figure più importanti di questo periodo abbiamo Ugo Foscolo. Di epoca napoleonica, poeta neoclassico, ma con forti tratti preromantici: forma classica, evidente soprattutto nei riferimenti mitologici, e romantico nelle tematiche, nell’immedesimazione coi sui personaggi (Ortis) e nelle sue poesie, frequenti sono i riferimenti alla patria che non rivedrà mai più.
La sua produzione, seppure non molto vasta è molto varia, comprende infatti teatro(L’Aiace), odi e sonetti (I sepolcri e le Grazie), romanzi(le ultime lettere di Jacopo Ortis), è un grande traduttore di latino, francese, ma soprattutto greco, fa giornalismo e critica letteraria, per un periodo insegna anche all’università di Pavia.
Il Foscolo scrive di sé, quando parla dell’esilio (I.O. …fuggir di gente in gente…), del suo intenso rapporto con i familiari (I.O. legame con la madre, non si ammazza subito per il dolore che provocherebbe alla madre), oltre ai temi della morte e del suicidio.
La sua poetica è caratterizzata da strutture complesse richiami latini e classici (ipotattici), il Foscolo rappresenta perfettamente l’ideale dell’eroe romantico, che viene sconfitti e che come gesto di protesta estremo si toglie la vita.
Il Romanticismo in Italia
La polemica classico-romantica in Italia si sviluppò a partire dal 1816 di un articolo di Madame de Stael, in cui si deprecava la decadenza della cultura italiana e si invitavano i nostri letterati a uscire dal loro culto del passato, aprendosi alle nuove correnti del resto d’Europa. Gli intellettuali si divisero in 2 schieramenti: i classicisti (Giordani, Botta, Londonio), pronti a difendere la cultura classica e a proporla come massima espressione artistica e i romantici, che diedero ragione alla De Stael, sostenendo la validità delle nuove correnti artistiche europee.
I romantici, in sostanza, affermavano il bisogno di una cultura rinnovata e moderna, che non si rivolgesse solo alla cerchia chiusa di letterati, ma ai borghesi; per fare ciò era necessaria una variazione dei temi trattati, con l’abbandono dei riferimenti mitologici e anche una variazione stilistica, con l’utilizzo di uno stile più comprensibile al popolo. Il romanticismo italiano, insomma, si proponeva come un genere letterario che si ispirava al vero e la cui rappresentazione della realtà fosse di utilità alla borghesia che si stava sviluppando soprattutto nel nord Italia.
Le profonde differenze con il romanticismo europeo sono date dall’arretratezza dell’Italia nei confronti di nazioni come la Francia o la Germania; da quest’arretratezza deriva il fatto che il romanticismo italiano non presenta tutte le tematiche negative di quello europeo e non è nemmeno in netto contrasto con l’Illuminismo, come invece accadeva in altre nazioni.
Tendenze letterarie
Il romanzo
Nell’età illuministica si afferma in Italia un genere nuovo, il romanzo, che ben presto divenne il genere più letto. Gli ambienti letterari tradizionali lo guardarono sempre con profondo disprezzo, considerandolo un genere inferiore. Questo avveniva soprattutto perché il romanzo non rispondeva ai canoni letterari classici ed era “moralmente pericoloso” per via di una rappresentazione troppo viva della realtà. In Italia si diffuse solo all’inizio dell’Ottocento per via dell’arretratezza socio-politica che caratterizzava il nostro paese. I Romantici moderati riconobbero che il Romanzo era un genere inferiore, ma anche che uno scrittore molto abile si potesse cimentare in quel genere. A capire l’importanza del romanzo per primo è Manzoni, che già nel 1821 si dimostra convinto che il romanzo abbia dignità pari a quella degli altri generi e che sia necessario introdurlo in Italia per colmare una lacuna culturale e avviare un processo di svecchiamento della cultura.
Il romanzo storico
Il romanzo si afferma in Italia come romanzo storico. Il modello era dato dai romanzi dello scozzese Walter Scott (a partire dal 1814). Il romanzo storico si propone di dare il quadro completo di una determinata epoca del passato, illustrando sia i grandi avvenimenti sia le cose di tutti i giorni. I grandi avvenimenti storici vengono però lasciati da sfondo alle vicende dei protagonisti, in modo da meglio rappresentare le vicende della vita quotidiana.
Il grande successo del romanzo storico si spiega con lo storicismo che, in controtendenza rispetto all’antistoricismo degli Illuministi si andava diffondendo in Europa e con lo spirito nazionalistico, anch’esso in rapida diffusione.
In Italia si ebbe un’esplosione intorno al 1827, quando uscirono diversi romanzi, tra cui i Promessi Sposi di Manzoni. Questa comparsa improvvisa indica comunque che un processo produttivo era già in atto da tempo. Nel nostro paese cerano diverse esigenze che invocavano il romanzo e la produzione romanzesca non fa altro che soddisfarle. Questo soprattutto perché il romanzo era un genere che coinvolgeva i lettori e finalmente poteva essere letto da un pubblico piuttosto ampio per la sua prosa molto comprensibile.
All’interno del genere vi erano diverse scuole : gli “scottiani” e i “manzoniani” sono le più note. Un discorso a parte merita Domenico Guerrazzi, che rappresenta una corrente antitetica rispetto a quella del Manzoni : in lui ritroviamo una passionalità esasperata, tesa fino all’estremo limite.
Il romanzo epistolare (M2)
Il romanzo epistolare si è sviluppato nel Settecento, ed è sopravvissuto per una parte dell’Ottocento.. la narrazione delle vicende si compie attraverso la raccolta di una serie di lettere di colui che, nella finzione narrativa, è il destinatario. Si possono individuare tre tipi di strutture : lo scambio di lettere tra più personaggi o la narrazione risultante dalle lettere del solo protagonista. Nel primo caso c’è una molteplicità di punti di vista, nel secondo la lettera diventa quasi un diario intimo.
Caratteristiche comuni a tutti i romanzi epistolari sono : i narratori che sono i personaggi stessi e la narrazione al presente. Da questa ultima caratteristica scaturiscono molte conseguenze : il lettore vive l’azione nello stesso momento in cui la vive il personaggio, e questo dà una maggior immediatezza drammatica e consente di seguire i processi interiori. Il romanzo epistolare, inoltre, è la forma più adatta di esprimere il sentimentalismo.
Il romanzo “sociale”
Su questo terreno il romanzo europeo stava offrendo i suoi capolavori, con Stendhal, Balzac e Dickens. In Italia i romanzo “sociale” o contemporaneo aveva poca diffusione, forse per l’immaturità della società.
I più famosi esempi italiani di questo genere sono : Ginevra, l’orfana della Nunziata, di Ranieri e l’Angiola Maria di Carcano, quest’ultimo più di stampo manzoniano.
La narrativa “rusticale”
Protagonisti di questi romanzi sono soprattutto i contadini. Alle origini, come modello letterario, si colloca Manzoni, che eleva a livello di protagonisti due contadini. Influenze derivano anche dalla francese Sand, autrice di romanzi campestri di ispirazione democratica. La scrittrice italiana più famosa è Caterina Percoto. Non mancano spunti di denuncia sociale, ma l’atteggiamento dominante è il filantropismo paternalistico ; presenti alcune tendenze all’idillio campestre.
Il romanzo psicologico
L’opera principale è Fede e Bellezza di Niccolò Tommaseo, lontano dal clima culturale italiano e più vicino semmai a quello francese.
Verso il romanzo contemporaneo
Una svolta, nella seconda metà del secolo, è rappresentata dai Cento Anni di Giuseppe Rovani, di impianto storico ed ascendenza manzoniana. Nel Preludio il romanzo viene citato come genere letterario per eccellenza, dove confluiscono tutti gli altri : testimonia quindi la fine di ogni pregiudizio. Un disegno simile è dato da Le confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo, in cui si rievocano le vicende di ottant’anni di storia italiana. Questo romanzo segna veramente la fine dello schema del romanzo storico scottiano, in quanto le tematiche psicologiche individuali si collegano agli eventi storici e sociali
M5 - Le forme principali del romanzo nel primo ‘800
Il romanzo nasce in Inghilterra nel ‘700. I grandi romanzieri inglesi inaugurano le forme del romanzo ereditate nell’800. Queste sono :
• Romanzo epistolare (Samuel Richardson, vedi sopra)
• Romanzo pseudo-autobiografico : si presenta come un memoriale, contenente il racconto della propria vita e delle proprie esperienze fatto dal protagonista (Defoe, Robinson Crusoe)
• Romanzo in forma epica :racconta apertamente storie d’invenzione. Esponente principale è Henry Fielding con Tom Jones, racconto di avventure e quadro di costume e satira. La storia è raccontata da una voce fuori campo, che interviene continuamente con commenti e digressioni.
Per quanto riguarda la situazione italiana, nell’800 si ha l’Ortis di Foscolo come romanzo epistolare, mentre in seguito la forma destinata a dominare è la terza, a partire da Manzoni. In Inghilterra l’opera più importante è La fiera delle vanità di Thackeray, mentre in Francia abbiamo gli esempi di Balzac e Stendhal.
M6 - Il romanzo nero
Il romanzo nero si è diffuso in Inghilterra nella seconda metà del ‘700. Il termine sta a significare un gusto antitetico a quello luminoso del classicismo, un gusto per l’orrido e il tenebroso, che si collega alla teoria sul “sublime” di Edmund Burke. Questo gusto per l’orrido ha radici storiche ben precise : in quel periodo le grandi rivoluzioni non potevano lasciare altro che un senso di smarrimento e di angoscia, data la distruzione di gran parte dell’assetto secolare, sia nella vita spirituale sia in quella materiale. L’insistenza sul terrore può essere vista da un’altra angolatura : la crisi spirituale induceva ad abbandonare le impalcature della ragione che sino ad allora avevano sistemato nella loro struttura ogni aspetto della realtà, aprendo la strada ad un’esplorazione più approfondita della propria coscienza. L’iniziatore del genere è Horace Walpole, con Il castello di otranto (1764). Altri rappresentanti illustri sono stati Ann Radcliffe e Matthew Lewis. Con il Frankestein di Mary Shelley il genere dà una rappresentazione simbolica ai terrori dell’età. Le tematiche dell’orrore e del mistero sono state affrontate ai massimi livelli da Edgar Allan Poe. In Sade il racconto è piegato alla dimostrazione di tesi filosofiche.
Elementi di “nero” possono essere riscontrati anche nei Promessi Sposi. Manzoni aveva già letto questi tipi di romanzi e pensato di scrivere un romanzo fantastico. Le tracce di quest’opera mai scritta si possono ritrovare nelle peripezie di Lucia, che va prima in un monastero dove trova una monaca assassina, con la cui complicità viene rapita e chiusa in un castello, circondato da un alone di mistero. Anche i malvagi che perseguitano Lucia, l’Innominato e Gertrude, hanno tratti che li avvicinano ai protagonisti dei romanzi neri.
Ugo Foscolo
Nasce nel 1778 a Zante (isola Ionia) da madre greca. Risulterà molto importante l’origine greca, dato che si sentirà molto legato alla tradizione classica e suo ideale erede. Orgoglioso di essere povero, fermo sostenitore della rivoluzione francese liberale ed egalitario, vedrà in Napoleone il liberatore e si arruolerà nel suo esercito. Dopo che Foscolo era tornato a Venezia e aveva partecipato attivamente alla vita politica della città, Napoleone firmerà il Trattato di Campoformio (Napoleone cede la repubblica veneta all’Austria); questo fu un tradimento che scosse profondamente la vita del Foscolo, cancellando tutte le sue speranze politiche. Tuttavia, pur non credendo più in lui continuerà ad operare all’interno del suo sistema perché lo considera il male minore, passaggio indispensabile per arrivare all’Italia moderna.
A Milano conobbe il Parini, per lui modello d’intellettuale. Nella spedizione militare contro l’Inghilterra conobbe Ippolito Pindemonte, suo fraterno amico. Grazie al Monti ottenne la cattedra all’università di Pavia, ma per le sue contestazioni al regime napoleonico (l’Aiace) fu cacciato. Soggiornò due anni a Firenze, molto tranquilli e proprio in questo periodo scrisse le Grazie. Ritornò a Milano e gli si offrì la direzione della “Biblioteca Italiana”, che doveva essere un nuovo giornale di regime, ma lui rifiutò e poi andò in esilio volontario a Ginevra e a Londra. Visse gli ultimi anni in miseria, morì a 49 anni e nel 1871 i suoi resti verranno riportati in Italia a Santa Croce, vicino agli uomini da lui cantati nei sepolcri.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
È il primo importante romanzo che viene scritto da Foscolo, si tratta di un’opera giovanile, ma viene più volte ripresa da Foscolo perché la sente come fondamentale nella sua produzione, infatti per quanto piena di difetti, contiene al suo interno tutte le tematiche fondamentali del Foscolo stesso. È un romanzo epistolare che fa chiaro riferimento a “I dolori del giovane Werther” di Goethe, ma differisce da quest’ultimo perché si sviluppa in un contesto diverso: Goethe scrive prima della rivoluzione ed all’interno di una società, quella tedesca, aristocratica; Foscolo al contrario scrive dopo la rivoluzione, con l’Italia sotto l’influenza di un dominatore straniero e, quindi, si sente la mancanza di una vera patria, e non tanto l’incapacità di amalgamarsi con la società borghese come era per Werther. Il dramma di Ortis è il fallimento politico, per Werther la disperazione che nasce dal bisogno di un mondo diverso, ma per entrambi l’unica via possibile è la morte, il nulla eterno, che permette di uscire da una situazione insostenibile ed immutabile.
Pur con il finale tragico, l’Ortis presenta al suo interno la ricerca dei valori positivi, la famiglia, il classicismo, la poesia, tutti temi poi ripresi da Foscolo nelle opere posteriori.
La storia parla di Jacopo, giovane patriota che dopo il trattato di Campoformio si rifugia sui colli Euganei per fuggire le persecuzioni. Qui si innamora di Teresa, la quale però è già stata promessa sposa ad Odoardo, uomo simbolo della società borghese, freddo e razionale, opposto di Ortis, impetuoso e passionale. La disperazione amorosa e il fallimento dell’ideale politico lo spingono ad un pellegrinaggio, durante il quale conoscerà il Parini, finché saputo del matrimonio di Teresa, torna nel veneto, saluta l’amata, visita anche la madre e poi si dà la morte.
Odi e sonetti
Il giovane Foscolo accompagna alla produzione dell’Ortis, una di odi e sonetti, di carattere squisitamente neoclassico e nel di tutta questa produzione lo stesso Foscolo fa una selezione molto accurata che nel 1803 pubblica “le Poesie” contenenti 2 odi e 12 sonetti. Le 2 odi A Luigia Pallavicini e All’amica risanata hanno come teme la bellezza, seppure in termini diversi mentre la prima descrive una bellezza ideale di carattere settecentesco, la seconda è un discorso filosofeggiante sulla bellezza, e sulla funzione eternatrice della bellezza che la canta.
I sonetti sono più autobiografici, con un forte impulso soggettivo pur conservando numerosi riferimenti ai poeti latini; tra i sonetti Alla sera, In morte al fratello Giovanni, a Zacinto, costituiscono gli apici, dove Foscolo reinventa la struttura sintattica, la ritmica e la metrica. Sono presenti nei sonetti i temi fondamentali dell’Ortis, quali il conflitto tra il reo tempo ed il nulla eterno, l’impossibilità di rifugiarsi nella famiglia e la compianta terra materna.
I Sepolcri
Rappresentano un carme sotto forma di epistola poetica, indirizzata all’amico Ippolito Pindemonte. L’occasione della stesura è l’editto di Saint Clou (seppellire i morti lontano dalla città), Foscolo si schiera in principio a favore dell’editto, ma poi viene a dire che il culto dei morti è simbolo di amor patrio e va quindi valorizzato alla maniera classica ed inglese.
I Sepolcri rappresentano per il Foscolo un punto di svolta perché supera il concetto della morte come semplice nulla eterno, e sebbene Foscolo non sappia ancora pensare ad altre alternative, qui contrappone almeno l’illusione di una sopravvivenza oltre la morte, tale sopravvivenza è data dalle tombe appunto. I Sepolcri si differenziano dalla poesia cimiteriale perché come lo stesso Foscolo tenne a precisare sono essenzialmente poesia civile, è quindi una riflessione filosofico politica presentata attraverso esempi e figure mitiche.
Le immagini che Foscolo presenta sono quelle della terra madre che raccoglie il corpo del defunto, delle tombe come indice di civiltà ed esempio britannico, e la poesia nel suo ruolo eternatore, ed esempio di Ettore.
Il carme si presenta con una rigorosa struttura sintattica, ma non essendo argomentativo, alcuni passaggi logici sono omessi, rendendo ardua la lettura.
Lo spazio ed il tempo sono molto vasti, si passa dalla piccolezza di una singola tomba alla grandezza di tutto il mondo, e dal punto di vista temporale, lo stesso, si va dalle vicende ti troia ai giorni nostri. Il linguaggio è aulico, il verso è l’endecasillabo sciolto, verso classico per eccellenza.
Le Grazie
Le grazie sono un’opera incompiuta, alla quale il Foscolo, vennero scritte nel 1812-13, durante il soggiorno a Firenze, sono anni felice per l’autore. Il progetto dell’opera ci viene fornito dal Foscolo stesso, il progetto originario prevedeva un unico inno, poi invece c'è ne saranno tre: uno a Venere “dea della natura”, a Vesta “custode del fuoco dei cuori gentili”, e a Pallade “dea degli ingegni”. Le grazie sono dee intermedie tra cielo e terra che anno il compito di ingentilire e portare alla civiltà gli uomini. Questo dell’ingentilimento è un tema tipico del neoclasicismo.
L’idea è quella di scrivere un complesso disegno concettuale basato sulla bellezza e l’armonia, i versi tendono a evocare immagini vive, plastiche ed armoniche, significativo è il fatto che l’opera sia dedicata a Canova, massimo rappresentante dell’arte scultorea neoclassica. In quest’opera Foscolo rivaluta l’allegoria, affermando che la verità della poesia rimarrebbe vuota se non fosse per le immagini che gli vengono associate.
Rispetto alle opere precedenti le Grazie rappresentano un’opera evasiva per il Foscolo, la fuga da una realtà che non lo soddisfa. Ciò nonostante le Grazie hanno senso se si contrappone l’ideale del bello che loro stanno a significare con la realtà imperfetta e quindi diventano critica implicita al presente. La poesia per il Foscolo non perde mai completamente la sua funzione civile.
Testi
T19 - Alla sera
Sonetto composto tra il 1802 e il 1803, in rima alternata.
Componimento diviso nettamente in due parti, di 2 strofe ciascuna. La prima parte è descrittiva, statica: descrive lo stato dell’io lirico davanti dinanzi alla sera. La seconda parte è più dinamica, in quanto rappresenta alcuni processi di trasformazione, e, al suo interno, si chiarisce perché la sera, come immagine della morte, è più cara al poeta. La morte è infatti vista come fine delle sofferenze.
Sempre nella seconda parte abbiamo una duplice opposizione: il “reo tempo” si vanifica dinanzi all’immagine del “nulla eterno”, lo “spirto guerrier” si placa dinanzi alla “pace” della sera.
In questo sonetto abbiamo l’esplicitazione della tematica dell’Ortis: lo scontro dell’eroe generoso ed appassionato con una realtà storica negativa, al quale vi è un’unica soluzione: la morte.
T 20 - In morte del fratello Giovanni
Sonetto, scritto nel 1802 e dedicato al fratello Giovanni Dionigi, suicidatosi per debiti di gioco nel 1801.
Tutto ruota intorno all’opposizione di due motivi fondamentali: l’esilio e la tomba. Il tema dell’esilio va visto anche oltre al suo significato letterale: rappresenta anche una condizione di precarietà, di sradicamento, di rifiuto della società. Il tema della tomba, invece, richiama quello della madre, con la quale il ricongiungimento è possibile soltanto con la morte o con la veglia alla tomba del fratello. Il ricongiungimento con la madre e con la terra natale è l’unico punto fermo nella vita di Foscolo; questa unione però è impossibile. Tutto questo avviene nelle prime tre strofe. L’ultima, invece, rappresenta uno stacco netto: viene invocata la morte come salvezza dalle “tempeste” della vita terrena. La conclusione sembrerebbe simile a quella di “Alla sera”, ma in realtà non è così: se nell’altro sonetto la morte era il nulla eterno, la negazione totale della vita, in questo la sepoltura lacrimata consente ancora un contatto con la vita terrena, rendendo inoltre possibile il ricongiungimento con la madre.
T21 - A Zacinto
Sonetto, composto nel 1802-3 e dedicato all’isola in cui Foscolo nacque, Zante, nel Mar Ionio.
Divisa in due parti: prime 3 strofe poi ultima. Nelle prime tre strofe c’è un unico periodo, che rende ancor di più l’idea di un flusso appassionato. Il discorso è circolare (il concetto del primo verso appare nell’ultimo) e la sintassi tortuosa rispecchia l’errare dei due eroi, Foscolo e Ulisse. I due sono però contrapposti, nel risultato delle loro imprese: se Ulisse raggiungerà l’amata Itaca, invece il Foscolo fallirà il suo tentativo di ricongiungimento con Zante. Zacinto in relazione con Venere: sorgono dalle stesse acque, evocano l’idea di fecondità e maternità. Il paradiso perduto dell’infanzia richiama alla mente il paradiso greco. Acqua-maternità, no acqua-morte. Tutte le rime dei primi 11 versi hanno suoni che richiamano quello dell’acqua.
T22 - Dei Sepolcri
Carme di 295 endecasillabi, composto nel 1806 e indirizzato a Ippolito Pindemonte.
Sequenze principali:
a- (vv.1-22) I riti funebri e il pietoso affetto dei viventi non modificano la condizione negativa del defunto. Quando si è privati della bellezza della natura, della speranza nel futuro e degli affetti familiari, il fatto che esista o no il sepolcro non modifica lo stato di negatività del defunto. In questa parte abbiamo una visione di tipi illuministico, in cui la ragione prevale sul sentimento e la morte viene vista come distruzione totale dell’individuo e l’ipotesi di una vita ultraterrena non viene nemmeno presa in considerazione .
b- (vv.23-50) Perché l’uomo si dovrebbe negare la speranza di conquistarsi la sua sopravvivenza ? È tramite la tomba che si perpetua il ricordo e si realizza un colloquio tra vivo e defunto; all’annientamento fisico si contrappone l’intensità del ricordo dei vivi che assicura al defunto una sorta di immortalità. Questa sezione, invece, contiene una visione diametralmente opposta, quella romantica, nella quale viene sottolineata invece l’importanza che le tombe rivestono come simbolo attraverso cui eternarsi nel mondo dei vivi anche dopo la morte.
c- (vv.51-90) Ad onta del valore e della funzione delle tombe, ora, purtroppo, una strana legge intende sottoporle a norme inumane; e per questo le ossa del Parini sono andate disperse e Milano, dominata da vuoti interessi mondani, non ha sentito il dovere di dedicare a questo poeta né una tomba né un’iscrizione. In questo passaggio si ha un’esemplificazione negativa della tesi illuministica. Viene criticato l’editto di St. Cloud (che comunque con il Parini non c’entra, essendo questi morto diversi anni prima) e viene criticato l’atteggiamento di Milano, città indegna di un tanto grande artista e capace di ammirare solo gli “evirati cantori”. Il corpo di Parini giace ora in balia di animali notturni e vandali, invece di essere sepolto nel luogo dove egli creava la sua divina poesia (incontro con Jacopo Ortis).
d- (vv.91-150) Il poeta, passando dal presente al passato, sottolinea la funzione storica e sociale che le tombe hanno svolto nel corso del secolo e passa in rassegna le varietà dei culti delle tombe che il mondo ha avuto: culto classico (+), medievale (-), anglosassone (contemporaneo,+). L’Inghilterra viene assunta come modello di società civile, in quanto nei giardini le ragazze pregano non solo sulla tomba dell’innnamorato, ma anche su quelle dei grandi del passato. In Italia, invece, la società è incivile, e i ceti dirigenti non sono degni della posizione che occupano. A questa situazione si contrappone il poeta, il quale auspica nella morte un approdo dopo una vita di tormenti. Questa parte, stilisticamente, è differente dalla prima, in quanto propone un tono solenne ed è puramente argomentativa.
e- (vv.151-212) Sottolinea la funzione civile delle tombe e le differenze delle tombe dei grandi che servono a celebrare la grandezza della nazione atta ad emulare la grandezza dei defunti. La funzione privata si esaurisce in un ambito prettamente affettivo, la funzione pubblica testimonia la grandezza passata di una nazione, incitamento per i vivi ad operare altamente e luogo da cui trarre stimolo nel presente e far ricrescere gli antichi fasti nazionali. Esempio di funzione pubblica: Santa Croce a Firenze, con le tombe di Machiavelli, Michelangelo e Galileo. In questo passo, a differenza dell’Ortis, l’azione politica non è esclusa, ma è data come possibile. La funzione politica assegnata alle tombe presuppone anche un distacco del Foscolo dalle posizioni della poesia cimiteriale, che affermava il valore delle tombe anche degli uomini più sconosciuti. Parini → poeta civile. Alfieri → poeta politico e profetico, in quanto nelle sue opere lancia la profezia di un futuro riscatto della nazione. Lo stile è ancora solenne, ma più dinamico rispetto alla 2° sequenza (periodo di S.ta Croce)
f- (vv.213-234) La memoria delle vicende degli uomini pervade i luoghi che ne sono stati teatro (battaglia di maratona o vicenda di Aiace laddove è stato sepolto). Tuttavia è soprattutto la poesia quella che vince l’azione distruttrice del tempo e rende immortali le grandi azioni.
g- (vv.235-295) Esemplificazione del ruolo della poesia. Viene presentata l’opera di Omero grazie alla quale la vittoria dei Greci e il dolore degli sconfitti e l’eroismo sfortunato di Ettore saranno ricordati finché esisterà l’umanità. In queste ultime due sezioni, si ha ancora una variazione di stile: subentra un taglio narrativo ed epico, con la scena che si trasferisce completamente nel mondo classico. È evidente in questo tratto la volontà di riprodurre il modello omerico.
Giacomo Leopardi
Nasce nel 1798 a Recanati, nello Stato Pontificio, da una famiglia nobile. Il fatto di essere nato in una zona periferica di uno stato già di per sé arretrato è un grande svantaggio, perché Leopardi non viene subito a contatto con le nuove esperienze della cultura europea. Dotato di un’intelligenza precoce, fu istruito da precettori ecclesiastici e, sul piano politico, seguì gli orientamenti reazionari del padre. Tra il ’15 e il ’16 avviene il passaggio dall’erudizione al bello, cioè dalle minuzie filologiche alla passione per i grandi poeti (Omero, Virgilio, Dante). Con la lettura della De Stael viene a contatto con la cultura romantica e fa amicizia con P. Giordani. Sente però il bisogno di esperienze nuove e, dopo il tentativo fallito di fuga nel 1819, entrò in crisi e qui avvenne un altro passaggio: quello dal bello al vero, dalla poesia d’immaginazione a una poesia nutrita di pensiero. Nel ’19 comincia lo Zibaldone, scrive l’Infinito. Nel ’22 va a Roma, nel ’25 a Milano e poi a Bologna, Firenze. Nel ’28 comincia i Grandi Idilli. Dopo un anno a Recanati torna a Firenze ed entra in polemica con l’ottimismo progressistico dei liberali. Conosce la delusione amorosa e scrive il Ciclo di Aspasia. Nel ’33 si trasferisce a Napoli, dove muore nel ’37, dopo aver scritto La ginestra.
Il pensiero
Al centro della meditazione di Leopardi si pone il motivo dell’infelicità dell’uomo. La felicità viene identificata con il piacere materiale, ma l’uomo desidera un piacere infinito → nasce un senso di insoddisfazione, un vuoto incolmabile nell’anima. In questa prima fase (pessimismo storico), Leopardi pensa che la natura abbia voluto offrire all’uomo il riparo dell’illusione. Per questo gli uomini antichi, vicini allo stato naturale erano felici, in quanto ignoravano il loro stato di infelicità. Il progresso della ragione, quindi, ha aperto gli occhi agli uomini sul loro reale stato di infelicità.
Ben presto questa concezione di natura benigna e provvidenziale entra in crisi, in quanto Leopardi si rende conto che questa non mira al bene dei singoli uomini, ma alla conservazione della specie, e per questo fine può anche sacrificare il singolo individuo per la felicità di altri. Questa visione della natura come entità maligna emerge nel Dialogo della natura e di un islandese (1824): essa diventa un cieco meccanismo indifferente alla sorte delle sue creature. Al pessimismo storico della prima fase subentra quindi il pessimismo cosmico, che vede l’uomo come vittima innocente della crudeltà della natura. Il modello di Leopardi non diventa più quindi l’eroe antico, ma il saggio antico, specialmente quello stoico, la cui caratteristica era l’atarassia (il distacco imperturbabile dalla vita.
La poetica del vago e indefinito
Nello Zibaldone, Leopardi passa in rassegna tutti gli aspetti della realtà sensibile che possiedono la forza di farci costruire una realtà parallela, in cui trovare un illusorio appagamento alle sofferenze della vita reale. Viene così a formarsi una teoria della visione: è piacevole tutto ciò la cui vista risulta ostacolata da un oggetto qualunque, tutto ciò che è vago, poiché stimola l’immaginazione. Parallelamente alla teoria della visione vi è anche una teoria del suono, che analogamente cataloga come suggestivi dei suoni vaghi, ad esempio suoni che si dissolvono gradatamente o che si diffondono da un luogo che non è possibile identificare con precisione. Queste cose vaghe costituiscono, per Leopardi, il bello poetico, che si deve quindi basare non su cose precisamente definite, bensì su cose vaghe, che lascino all’immaginazione del lettore spazio sufficiente. Queste immagini sono suggestive anche perché rievocano la fanciullezza; in questo senso la poesia diviene un recupero della visione fanciullesca attraverso la memoria. I maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi e quindi viene ripresa la distinzione di Schiller tra poesia d’immaginazione e poesia sentimentale.
Leopardi e il Romanticismo
Leopardi, data la sua formazione classicistica, inizialmente prese le parti dei classicisti italiani contro il Romanticismo, e lo fece in 2 lettere indirizzate alla Biblioteca Italiana, nel 1816 e nel 18, lettere che però non furono pubblicate. Le sue posizioni, in realtà, furono diverse da quelle dei classicisti italiani: criticò sì i romantici per la loro eccessiva artificiosità nella ricerca dell’orrido, ma, d’altra parte, lancia delle frecciate ai classicisti per la loro pedissequa imitazione di schemi classici e il rigido attenersi a regole stilistiche predefinite (cose che contrastavano con la sua concezione di poesia come espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore fantastico. Vede però i classici antichi come esempio mirabile di poesia spontanea e li propone come modelli da imitare con uno spirito diametralmente opposto a quello dei neoclassicisti, con uno spirito romantico → si può parlare per la sua poetica di classicismo romantico.
Dalla sua concezione della poetica vaga, Leopardi verrà a privilegiare soprattutto la lirica, intesa come espressione immediata dell’io, della soggettività e dei sentimenti. È quindi evidente la contrapposizione alla scuola poetica lombarda, che tende invece ad essere soggettiva, realistica. È invece palese la sua vicinanza con il Romanticismo europeo in generale, per una serie di grandi motivi che ricorrono nelle sue opere: la tensione verso l’infinito, l’esaltazione dell’io e della soggettività, il titanismo…
Il primo Leopardi: le Canzoni e gli Idilli
Il periodo compreso tra il passaggio “dall’erudizione al bello” (1816) e la crisi del 1819 è ricco di esperimenti letterari, in direzioni diverse: idilli pastorali, elegie, canzoni su argomenti moderni, un romanzo autobiografico. Dopo questo periodo vengono alla luce due importanti lavori: le Canzoni e gli Idilli.
Le Canzoni furono composte tra il 1818 e il 1823 e pubblicate nel 1824. Sono di impostazione classicistica e adottano un linguaggio aulico. Le prime cinque (All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone) affrontano una tematica civile e la base del pensiero è il pessimismo storico. Sono caratterizzate da polemica contro l’età presente, incapace di azioni eroiche. Caratteristiche diverse hanno il Bruto minore e l’Ultimo canto di Saffo. In queste il pessimismo storico giunge ad una svolta: si delinea l’idea di un’umanità infelice per condizione assoluta e vengono incolpati di questa condizione gli dei e il fato. Alla Primavera è una rievocazione nostalgica alle favole antiche. Minori: Alla sua donna, Inno ai Patriarchi.
Gli Idilli furono composti tra il 1819 e il 1821. Tra gli Idilli abbiamo L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, Lo spavento notturno, La vita solitaria. Questi componimenti non hanno alcuna attinenza con la tradizione bucolica classica, che rappresentava una realtà idealizzata, bensì sono definiti dallo stesso Leopardi come espressione di “sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo”. La rappresentazione della realtà esterna è tutta in funzione soggettiva. I componimenti più importanti sono: L’infinito, in cui lo scenario iniziale da idillio classico fa da preludio a una meditazione lirica sull’idea di infinito creato dall’immaginazione; Alla luna, che affronta il tema della “ricordanza”; La sera del dì di festa, che parte dall’infelicità personale del poeta per giungere a una meditazione sul tempo che cancella ogni traccia.
I grandi idilli
Nel maggio 1828 il periodo di silenzio poetico si conclude, con la composizione di A Silvia. Nell’autunno del ’29 compaiono Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, a cavallo tra il ’29 e il ’30 abbiamo il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Questi componimenti riprendono temi, atteggiamenti, linguaggio degli Idilli del ‘19-’21, anche se non sono la semplice prosecuzione dei componimenti di 10 anni prima : tra i primi e questi si collocano esperienze decisive, come la fine delle illusioni giovanili e l’acquisita consapevolezza del vero. Perciò, se recupera dal passato l’illusione e la speranza, a questo riaffiorare si accompagna sempre la consapevolezza del vero. Per questo i grandi idilli sono sì percorsi da immagini liete, ma queste immagini sono come rarefatte, assottigliate, create dalla memoria ; si accampano sullo sfondo del nulla, sono accompagnate dalla consapevolezza del dolore. Che però non esercita un potere distruttivo su quelle immagini di vita, in quanto il vero è richiamato con delicatezza. La fondamentale differenza tra i grandi e i piccoli idilli è che non compaiono più gli slanci, i fremiti, gli impeti di disperazione e di rivolta. Nuova rispetto ai primi idilli è anche l’architettura metrica : non usa più l’endecasillabo sciolto, ma strofe di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente, senza alcuno schema preciso. Questa libertà metrica asseconda perfettamente la vaghezza e indefinitezza delle immagini.
L’ultimo Leopardi
Presupposto filosofico di Leopardi resta sempre quello del pessimismo assoluto. Dopo il distacco rassegnato e ironico dalla fase delle operette, Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini. L’apertura si verifica anche sul piano umano : nasce a Firenze l’amicizia con Ranieri e la prima esperienza amorosa, non più un amore adolescenziale, ma un’autentica passione, per Fanny Targioni Tozzetti. La delusione subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine dell’inganno estremo, l’amore. Dalla passione e dalla delusione nasce il cosiddetto Ciclo di Aspasia, che consta di 5 componimenti. Si tratta di una poesia profondamente nuova, lontanissima da quella idillica : un poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili. Soprattutto, in questo periodo si instaura un rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo. Leopardi critica tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso : bersaglio polemico sono le tendenze di tipo spiritualistico e neocattolico. A queste ideologie Leopardi contrappone le proprie concezioni pessimistiche. Allo spiritualismo di tipo religioso, che cerca consolazione nell’aldilà, Leopardi contrappone il duro materialismo che esclude ogni speranza in un’altra vita. Questa polemica è condotta attraverso varie opere : la Palinodia al marchese Gino Lapponi è una sorta di satira nei confronti della società moderna ; Ad Arimane, in cui adombra la natura nemica ; I nuovi credenti, satira di certi ambienti culturali napoletani.
La Ginestra è il testamento spirituale di Leopardi, la lirica che idealmente chiude il suo percorso poetico. Ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa, anche se non nega la possibilità di un progresso civile. La filosofia di Leopardi si apre qui a una grande utopia, basata sulla solidarietà fraterna degli uomini.
Testi
T144 - L’infinito
Composto nel 1819, 15 endecasillabi sciolti.
In quest’opera abbiamo la rappresentazione di uno dei momenti privilegiati di contemplazione del vago e dell’indefinito di cui Leopardi parla nello Zibaldone. Diviso in due parti:
a- (vv.1-8) Sensazione visiva apre composizione, ma la siepe che nasconde visione fa scattare l’immaginazione e fa sì che la mente costruisca una sorta di infinito “virtuale”.
b- (v.8-15) Sensazione uditiva, stormire del vento fra le piante. La voce del vento paragonata ai silenzi della prima parte → idea di un infinito temporale (eternità) a cui si associano le epoche passate
Il passaggio dalla prima alla seconda parte avviene a metà del verso 8, che è spezzato da una forte pausa, che ha appunto la funzione di distinguere i due momenti. Sono presenti diverse simmetrie, sia sul piano lessicale, sia sul piano sintattico che contenutistico. Sul piano lessicale abbiamo parole lunghe nella prima parte (+ senso di paura), corte nella seconda (rilassamento).
Nel componimento non è comunque ravvisabile alcun riferimento a una dimensione trascendente o spirituale: l’infinito non è un infinito divino o spirituale; non è oggettivo, ma soggettivo, creato dall’immaginazione dell’uomo, ed evocato a partire da sensazioni fisiche, non spirituali. Non si può comunque escludere una componente mistica, ma bisogna pensare che essa è radicata negli strati più profondi della personalità di Leopardi.
T145 - La sera del dì di festa
Composto a Recanati nella primavera del 1820, pubblicato nei Grandi Idilli (1825).
Poesia si apre con notturno lunare, una delle immagini vaghe e indefinite care a Leopardi; questa immagine suggestiva entra in conflitto con quanto vi è dopo: nella prima sequenza (vv.4-24) si ha la contrapposizione tra la figura della fanciulla ignara di pene ed affanni che tormentano gli uomini e quella del poeta, creato per essere infelice. Proprio in questa parte viene esplicitata la diversità del poeta dal mondo comune e la sua violenta ribellione. Nella seconda parte (vv.24-46) si presenta il tema del passare di tutte le cose, con l’allegria e la festosità del giorno festivo che si sono già dissolte nella quiete della notte: il tempo viene quindi visto come un fattore che fa precipitare prima o poi ogni cosa nell’oblio.
I due temi sono legati (evidenziato dalla collocazione a metà verso) e il legame può essere: i giorni del poeta sono orrendi ma questa infelicità à nulla, è destinata a svanire nel tempo. E, se per alcuni, il motivo del vanificarsi di ogni umano accidente riprende il motivo dell’indifferenza della natura, per altri, la considerazione della vanità di tutto annulla la disperazione iniziale.
T147 - Ultimo canto di Saffo
Composto a Recanati nel 1822, pubblicato nelle dieci canzoni del 1824. Monologo lirico messo in bocca a Saffo, che si sarebbe uccisa per amore di Faone.
Tema centrale: infelicità come destino individuale dell’io lirico, che un errore del caso ha dotato di un animo nobile e di un corpo brutto. Quest’idea si allarga all’infelicità universale, con il passaggio dall’io iniziale a noi. È evidente l’appartenenza del brano al periodo del cosiddetto pessimismo cosmico, in quanto Leopardi riconosce che l’infelicità è appartenuta non solo ai moderni ma anche agli antichi. Questa concezione è legata al fatto che la natura viene vista ora non più come benigna, ma come malvagia.
Stilisticamente, il linguaggio è aulico, sono presenti diverse metafore, e c’è un equilibrio di linguaggio del vero e dell’immaginar.
T149 - Dialogo della Natura e di un Islandese
Operetta scritta nel 1824. Spunto da un’opera di Voltaire, che parlava delle condizioni terribili degli Islandesi.
L’opera segna una fondamentale svolta nel pensiero leopardiano: il passaggio da un pessimismo esistenziale a un pessimismo cosmico: l’infelicità, che nelle opere precedenti appariva di tipo psicologico-esistenziale, ora dipende da mali esterni, a cui l’uomo non può sfuggire. L’islandese ne fa un elenco: i climi avversi, le tempeste, i cataclismi, le bestie feroci, le malattie, la decadenza fisica, la vecchiaia. Vengono attribuite alla natura le qualità che in precedenza erano state riservate e dei e fato. Mondo come ciclo eterno di produzione e distruzione.
Alessandro Manzoni
Nacque a Milano nel 1785 da Pietro e Giulia Beccaria, figlia di Cesare. Trascorse la giovinezza in alcuni collegi, retti da ecclesiastici, in cui sviluppò un’avversione nei confronti del formalismo religioso di quegli ambienti. Uscito dal collegio conobbe a Milano alcuni intellettuali, tra cui Monti e Foscolo. Nel 1805, dopo la morte di Carlo Imbonati (sulla quale scrive un carme, intitolato appunto In morte di Carlo Imbonati), compagno della madre, la raggiunse a Parigi, dove entrò in contatto con un gruppo di intellettuali eredi dell’Illuminismo (Fauriel, Cabanis, Thierry) che esercitarono un peso notevole nella formazione delle idee del Manzoni. La conversione, che avvenne intorno al 1810, fu provocata anche dall’influsso della seconda moglie Enrichetta Blondel, convertitasi dal calvinismo al cattolicesimo. Da quel momento, Manzoni, tornato a Milano, si dedicò alla scrittura degli Inni sacri, che aprivano la strada ad una successiva serie di opere storico-religiose. Nel 1827 pubblicò i Promessi Sposi. Approfondì gli studi storici, filosofici e linguistici. Durante le 5 giornate seguì con grande passione gli eventi e in seguito scrisse Marzo 1821, nel 1860 venne nominato senatore. Morì a Milano nel 1873.
Prima della conversione : le opere classicistiche
Tra il 1801 e il 1810, Manzoni compone opere allineate con il gusto classicistico, opere quindi in linguaggio aulico e retoriche. Alcuni esempi sono Il trionfo della libertà (1801), in cui si inneggia a Napoleone, L’Adda, poemetto idilliaco e quattro Sermoni. Se nelle prime due opere il modello è Monti, nell’ultima il Manzoni si ispira a Parini. Del 1805 è il carme In morte di Carlo Imbonati, personaggio da lui ammirato come un padre. Nel 1809 compone un altro poemetto, Urania. Scrivendo a Fauriel, uno dei suoi più cari amici, sente il bisogno di una letteratura nuova e per tre anni non scrive niente.
Dopo la conversione : gli Inni sacri e altre liriche
La conversione fu per Manzoni un fatto totalizzante ; ne sono prova eloquente Osservazioni sulla morale cattolica (1813). Dalle argomentazioni di Manzoni traspare una fiducia assoluta nella religione. È perciò inevitabile che la svolta interiore giochi un ruolo determinante nella svolta letteraria. In primo luogo, ciò può essere verificato nella concezione della storia. L’adozione di una prospettiva cristiana induce il Manzoni ad un atteggiamento decisamente anticlassico : i Romani furono un popolo violento, feroce e oppressore. La nuova concezione cristiana del mondo influenza anche la concezione della letteratura. Diviene centrale il problema del male radicato nella storia e della miseria dell’uomo. Nasce il bisogno di una letteratura che guardi al vero ; ne deriva il rifiuto del formalismo retorico. La prima opera dopo la conversione è Inni sacri, che fornisce l’esempio concreto di una poesia nuova,in cui compare il rifiuto della materia mitologica e classica. Il poeta si propone quale semplice interprete corale della coscienza cristiana. Cioè, nella forma poetica, ricorre a metri dal ritmo agile e popolare, versi dal ritmo incalzante ; anche il linguaggio si adatta alle forme classiche del cristianesimo. Nel progetto iniziale gli inni erano 12, ma solo 5 furono scritti : La resurrezione, Il Natale, La passione, Il nome di Maria ; il quinto, La Pentecoste, ebbe una gestazione più complessa e fu terminato nel 1822. I primi 4 hanno uno schema costante : enunciazione del tema, rievocazione dell’episodio, commento. Una forma analoga caratterizza la lirica patriottica e civile. Dopo Aprile 1814 e Il proclama di Rimini sono composti anche Marzo 1821 e Il 5 maggio. Anche i cori inseriti nelle tragedie rientrano nella poesia lirica.
Le tragedie
Le tragedie di Manzoni si collocano in una posizione di rottura nei confronti della tradizione. Manzoni, con il suo teatro tragico, vuole collocare i conflitti dei suoi personaggi in un determinato contesto storico, ricostruito con fedeltà. Manzoni afferma che il poeta deve essere fedele al “vero” storico ; ciò che lo contraddistingue dallo storico è il fatto che egli completa i fatti tramandati, investigando con l’invenzione poetica. Proprio questo culto del vero esclude l’osservanza delle regole classiche di unità. Da questo nasce il falso della tragedia classica, ciò che Manzoni chiama il romanzesco. Il conte di Carmagnola ha come protagonista un capitano di ventura del ‘400, che ottiene molte vittorie, ma, sospettato di tradimento, viene condannato a morte. Lo stesso conflitto è al centro dell’Adelchi. La tragedia mette in scena il crollo del regno longobardo sotto l’urto di Carlo Magno e i personaggi principali sono Desiderio, Adelchi, Ermengarda e Carlo. Nelle tragedie, il Manzoni introduce il coro, novità nel teatro tragico moderno. Però assegna a questo una nuova funzione : costituisce un momento lirico in cui il poeta esprime la propria visione dei fatti.
I Promessi Sposi
Il problema del romanzo
Il romanzo è lo strumento ideale per mettere in atto i principi romantici che prevedevano un rinnovamento della cultura. Esso risponde alla poetica del vero, consente di rappresentare la realtà senza astrazioni e si rivolge non solo alla casta chiusa dei letterati, ma ad un pubblico più vasto. Il romanzo, essendo un genere nuovo, permette allo scrittore di esprimersi in piena libertà ; infatti, egli sceglie di rappresentare una realtà umile, ignorata dalla letteratura classica. Il personaggio non è più posto su uno sfondo astratto, ma rappresentato in rapporto con un dato ambiente e in un dato momento. Manzoni rappresenta individui dalla personalità unica, rivelando quella tendenza all’individuale e al concreto, tipica della cultura borghese moderna
I “Promessi Sposi” e il romanzo storico
Il romanzo storico, in quel momento, gode di un’ottima fortuna presso il pubblico europeo, a causa del successo dei romanzi di Walter Scott. Esso si propone di offrire un quadro di un’epoca passata, ricostruendo tutti gli aspetti della società del tempo. I grandi avvenimenti e i personaggi famosi costituiscono lo sfondo delle vicende vissute da questi personaggi. Manzoni si documenta con lo scrupolo di un autentico storico, leggendo opere storiografiche, biografiche, ecc. Secondo lui, personaggi e fatti storici devono essere affrontati nel modo più rigoroso possibile e questo scrupolo del vero lo induce a respingere il romanzesco, evitando di stabilire dei rapporti interessanti e inattesi tra i vari personaggi.
Il quadro politico del ‘600 e l’ideale manzoniano di società
La società è quella lombarda del ‘600, sotto la dominazione spagnola. Il seicento lombardo, agli occhi di Manzoni, appare come il trionfo dell’ingiustizia, dell’arbitrio e della prepotenza. Ma questa ricostruzione critica del passato ha anche precise valenze in relazione alla società contemporanea. Le esigenze essenziali del ‘600 si ripropongono anche nell’800, quando il settentrione si trova sotto la dominazione austriaca : saldo potere statale, legislazione razionale, politica economica oculata, organizzazione sociale giusta. Nel sistema di personaggi del romanzo, don Rodrigo e Gertruderappresentano la funzione negativa dell’aristocrazia ; il cardinale Federigo Borromeo rappresenta il modello positivo, e l’Innominato il passaggio esemplare della nobiltà dalla funzione negativa a quella positiva. Per quanto riguarda i ceti popolari, l’esempio negativo è rappresentato dalla folla durante i tumulti di Milano, il positivo dalla rassegnazione cristiana di Lucia, il passaggio dal negativo al positivo da Renzo. Per i ceti medi, negativi sono Don Abbondio e l’Azzeccagarbugli, positivo Fra Cristoforo. Il modello di una società giusta ma senza conflitti tra classi, secondo Manzoni si trova solo nel Vangelo.
L’intreccio e la struttura romanzesca
La vicenda comincia in una situazione iniziale di quiete ; in realtà, questa situazione iniziale è solo apparente : la condizione dei due giovani è insidiata da Don Rodrigo. La loro vicenda si configura come un’esplorazione del negativo della realtà storica : Renzo sperimenta il male nel campo sociale e politico, Lucia soprattutto nel campo morale. Ma, attraverso quest’esperienza, si compie la loro maturazione. I percorsi di formazione dei due protagonisti sono però diversi : Renzo ha tutte e virtù che per Manzoni sono proprie del buon contadino ; in più, c’è in lui una componente ribelle. Il suo percorso di formazione consiste perciò nel giungere ad abbandonare ogni velleità d’azione e a rassegnarsi alla volontà di Dio. Al contrario di Renzo, Lucia sembra possedere sin dall’inizio, per dono divino, quella consapevolezza della vanità dell’azione che Renzo conquista solo alla fine. In lei c’è uno spontaneo rifiuto della violenza ; per questo è vista di solito come un personaggio statico ; in realtà anche Lucia attraversa un suo percorso di formazione.
Il lieto fine, l’idillio, la provvidenza
Nella conclusione sono presenti i cardini stessi della visione manzoniana. Innanzitutto c’è il rifiuto dell’idillio, inteso come rappresentazione di una vita quieta e senza scosse. Manzoni ha una visione tragica del reale ; di conseguenza, ogni rappresentazione idillica ella realtà è assolutamente difforme dalla verità. Anche se la vita dei due sposi è sostanzialmente felice, non è immemore della realtà esterna, grazie all’esperienza del male da essi compiuta. Per questo, la loro vita non è finalizzata a “star bene” ma a “far bene”. È stato osservato dalla critica che l’interpretazione provvidenziale della realtà è enunciata dai soli personaggi. Ciò non significa ovviamente che Manzoni non abbia una visione di questo tipo ; la sua concezione è diversa da quella dei suoi umili protagonisti. Nella visione teologica di Manzoni, virtù e felicità possono coincidere solo nella prospettiva dell’eterno.
Il Fermo e Lucia : un altro romanzo ?
Del suo romanzo, Manzoni ci ha lasciato 3 redazioni : la prima, inedita, Gli sposi promessi, poi il Fermo e Lucia e due edizioni dei Promessi Sposi. Tra le ultime due edizioni vi sono essenzialmente differenze linguistiche. Con il Fermo e Lucia, le differenze sono sostanziali : ci sono sequenze narrative distribuite diversamente, per prima cosa. Inoltre, ci sono personaggi che hanno una fisionomia diversa ; ci sono anche interi episodi impostati in modo diverso. In generale, l’impostazione del romanzo è sensibilmente diversa. Nel Fermo, Manzoni ricorre in più larga misura al documento storico e realistico. Tutto questo materiale non narrativo è fortemente ridotte nell’ultima edizione. Inoltre, nel Fermo, c’è una più netta contrapposizione tra bene e male, positivo e negativo.
Il problema della lingua
Per un tipo di opera come quella che Manzoni concepiva, non poteva essere usata la lingua della tradizione letteraria, comprensibile solo a chi fornito di un’adeguata cultura. Manzoni lamenta le difficoltà che oppone la lingua italiana alla stesura di un romanzo. Alla soluzione del problema Manzoni arriverà per gradi. Dopo il suo viaggio a Firenze nel 1827 giunge alla soluzione per lui definitiva del problema della lingua la lingua dell’Italia unita deve essere il fiorentino usato dalle persone colte. In base a questo principio lo scrittore conduce la revisione del romanzo. Manzoni si preoccupa in seguito di esporre le sue tesi con scritti teorici. Nel 1847 scrive Sulla lingua italiana, nel 1856 comincia il Saggio di vocabolario italiano secondo l’uso di Firenze. Lavora anche al trattato Della lingua italiana, tra il 1830 e i 1859.
Dopo i “Promessi Sposi” : il distacco dalla letteratura
La pubblicazione dei Promessi Sposi nel 1827 segnò praticamente la fine della produzione di Manzoni. Questo atteggiamento è chiarito teoricamente nel Discorso del romanzo storico… edito nel 1850. Manzoni giunge alla conclusione chela mescolanza tra invenzione e realtà è illegittima ; auspica quindi una netta separazione tra opere di invenzione e opere storiche, ed è per questo che non scrive più opere poetiche o narrative. Due tentativi di lirica religiosa rimasero incompiuti e nella 2° metà della sua vita ci furono soltanto opere a carattere storico e filosofico. Come appendice ai Promessi Sposi scrisse nel 1840 la Storia della colonna infame
Testi
T128 - Il dissidio romantico di Adelchi
Anfrido annuncia ad Adelchi che i Franchi stanno per levare le tende, Adelchi si lamenta di non poter affrontare in campo aperto il suo nemico, Anfrido tenta di consolarlo.
Dal colloquio con lo scudiero emerge il dissidio interiore che caratterizza il personaggio di Adelchi : egli aspira alla gloria, ma è costretto ad assalire i territori della Chiesa, trasformandosi in un ladrone. Questo contrasto esprime il pessimismo di Manzoni e questo conflitto colloca Adelchi in un clima romantico, pur non essendo un ribelle. Il suo rifiuto del negativo rimane chiuso nel suo animo. Il personaggio appartiene quindi alla categoria degli eroi-vittime, a cui non si prospetta altra alternativa che la morte. La morte è il riscatto in un’altra dimensione ; il conflitto romantico tra ideale e reale si risolve sul piano dell’eterno.
T129 - La morte di Adelchi : la visione pessimistica della storia
Adelchi, alla notizia della resa di Pavia e della prigionia del padre, pensa al suicidio, ma poi fugge dall’Imperatore d’Oriente, ma è sorpreso dai Franchi. Mentre Desiderio implora la salvezza per il figlio, Adelchi muore.
Manzoni riscatta in termini cristiani il suo eroe romantico. Adelchi muore enunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica. Non esiste il mondo di diritto, non vi è spazio per azioni magnanime, e non vi è modo di porre rimedio a questa condizione. La condizione del potente è totalmente negativa. Il male del mondo è ineliminabile e l’unica alternativa è la dimensione ultraterrena ed eterna.
T131 - L’amor tremendo di Ermengarda
Ermengarda, tornata dal padre dopo essere stata ripudiata da Carlo Magno, si è rifugiata in un monastero di Brescia, dove è badessa Ansberga, per cercare di dimenticare l’esperienza.
Nella tragedia, Ermengarda vive soprattutto in questa scena. L’eroina appare distaccata da tutte le cose del mondo, protesa verso la liberazione che le verrà dalla morte. In realtà, la passione per il marito e il trauma del ripudio non vengono cancellati, ma solo momentaneamente rimossi. Difatti, l’amore riaffiora attraverso numerosi indizi, tra cui il desiderio da parte di Ermengarda di essere sepolta con la fede nuziale. Il sogno di Ermengarda è dissolto dall’intervento di Ansberga → nuovo trauma. Il delirio consente che esca in piena luce il fondo segreto dell’anima di Ermengarda. La scena è impostata su un conflitto psicologico di grande forza drammatica. La drammaticità si fonda su una visione nuova, moderna e romantica della psiche. La grande novità introdotta da Manzoni è quella di aver scoperto la tragicità che può essere vista anche in una passione normale e pienamente legittima come l’amore coniugale.
Il Realismo
M7 - Il romanzo realistico
Le opere di Stendhal e Balzac sono la realizzazione più alta del romanzo realistico moderno. Un tentativo in questo senso era stato fatto nella narrativa inglese del 700, ma questi due autori raggiungono livelli di profondità mai visti fino ad allora. Le caratteristiche del romanzo realistico sono :
• Vita quotidiana di persone mediocri rappresentata in maniera seria, tragica, mentre nel 700 ciò avveniva in maniera comica o moralista o patetica.
• Personaggi non più collocati su sfondo generico, ma c’è una connessione organica indissolubile tra l’individuo e il suo ambiente. Questo collegamento era già stato proposto nel romanzo storico da Scott e Manzoni, ma in Stendhal e Balzac vi è un passo avanti in quanto anche il presente viene trattato come storia. La realtà contemporanea non è vista solo in superficie, ma nella sua profondità : dietro ad ogni particolare si scorgono le grandi forze che determinano i processi.
• Non vengono dati quadri parziali della società, ma essa viene vista nel suo complesso ; tutti i meccanismi che muovono la vita sociale sono visti nella loro connessione organica.
• L’individuo ha sempre un carattere tipico, rappresenta cioè le caratteristiche di un certo tipo sociale. Queste caratterizzazioni conservano però una propria individualità concreta. Con questo Balzac intendeva “far concorrenza alla stato civile” : creare individui che avessero la complessità di quelli reali.
• La rappresentazione della realtà non è fotograficamente neutra, ma porta alla luce in modo critico le tendenze proprie dell’autore.
• Il modulo narrativo adotta il modulo dominante dell’Ottocento : il narratore esterno onniscente, che fornisce al lettore un quadro completo della situazione e si immedesima di volta in volta nella coscienza dei singoli personaggi. Questa scelta è quasi ovvia, infatti solo il narratore esterno onniscente può descrivere questa totalità di legami. Questo rivela la fiducia di poter dominare il mondo circostante con la mente. Il romanzo del secondo ottocento ricorrerà a soluzioni diverse, che metteranno in crisi il narratore onniscente.
M8 - Il romanzo di formazione
Il romanzo di formazione è uno dei generi più attivi all’interno della tradizione del romanzo moderno : al suo centro vi è la figura del giovane che, attraverso le sue esperienze, compie un processo di maturazione. Possiamo dire che la figura del giovane sia diventata centrale con le rivoluzioni del 7-800 : il senso di dinamismo e irrequietudine generati da quelle sono caratteristiche da sempre attribuite ai giovani, assunti quindi come simbolo della modernità.
IL capostipite del romanzo di formazione può essere considerato Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe : la formazione del protagonista è una sintesi armonica di autonoma realizzazione della propria individualità e di inserimento nella società. Questo schema verrà ripreso da Stendhal in Il rosso e il nero e in La certosa di Parma, da Balzac in Illusioni perdute, da Flaubert in L’educazione sentimentale.
Nel caso di Stendhal, la restaurazione è già avvenuta e, in qualche modo, va accettata. Gli ideali dei personaggi li rendono però insofferenti ai compromessi con l’assetto esistente ; in questo modo, ne nasce un eroe estremamente problematico ed intimamente contraddittorio, e l’inserimento nella società non è più possibile. Nelle Illusioni perdute il protagonista non ha più conflitti interiori, in quanto ha una totale capacità di adattamento. Nell’Educazione sentimentale l’eroe tende alla passività invece di affrontare il mondo esterno e vuole protrarre indefinitamente la gioventù. Se la gioventù non è preparazione per la maturità, il romanzo di formazione finisce e infatti questo romanzo pone fine al genere.
Un caso a parte è il romanzo inglese : la gioventù diviene simbolo di una società non bene assestata, in trasformazione. Nel romanzo di formazione inglese la gioventù viene svalutata : è solo passibile di sbagliare e le esperienze più significative sono quelle che confermano la scelta dell’infanzia.
In Italia, invece, il giovane eroe dei Promessi sposi non è un borghese, ma un proletario e la sua vicenda si svolge in un tempo lontano dalla modernità. Tuttavia in Renzo vi sono gli ideali di giustizia che verranno smentiti dalla realtà ; l’accettazione rassegnata del reale non è una sconfitta, ma una vittoria, una piena realizzazione. Renzo, abbandonandosi alla Provvidenza e rinunciando ad ogni tipo di lotta individuale, ottiene la serenità dell’anima, oltre ad una discreta promozione sociale.
A28 - Stendhal
Henry Beyle nasce a Grenoble nel 1783, da una famiglia borghese. Fino al 1814 fece parte dell’esercito napoleonico e, dopo quest’esperienza si trasferì a Milano, da dove fu cacciato nel 21 nel clima di rappresaglia dei moti. Tornò a Parigi e vi restò fino al 30, quando tornò in Italia, a Civitavecchia, come console. Morì a Parigi nel 1842.
Aveva una concezione di vita particolare, definita in seguito “beylismo”; un’ideale di vita intensa, tesa alla ricerca del piacere e della felicità, solo per se stesso. Questo culto dell’io è però diverso da quello dei romantici: è gioioso, vitale. Stendhal ama il temperamento energico, appassionato, coraggioso, e per questo è innamorato dell’Italia, dove secondo lui, sopravvivono certe caratteristiche della vita rinascimentale, come la gioia di vivere e il senso estetico. L’ideale Stendhaliano è tipico del romanticismo (culto della passione intensa, individualismo, scontro tra aspirazioni e realtà), ma in lui sopravvivono elementi tipici dell’Illuminismo, quali il lucido spirito analitico e il rifiuto di ogni sentimentalismo.
Questo ideale di vita si trasferisce anche sulle opere di Stendhal: in Il rosso e il nero, il protagonista Julien Sorel è entusiasta ammiratore di Napoleone, ma si deve adattare al clima della restaurazione. Nella certosa di Parma Fabrizio del Dongo segue le imprese napoleoniche. Entrambi questi eroi sono destinati ad una fine tragica. La restante produzione di Stendhal è vasta e multiforme; infatti scrive saggi teatrali, dedica vari libri all’Italia e scrive diversi romanzi.
Il rosso e il nero
Scritto tra il 29 e il 30, uno dei primi romanzi di Stendhal. Protagonista un giovane provinciale di modesta famiglia, Julien Sorel, dominato dall’ambizione. Ammiratore delle imprese napoleoniche, si rende conto che l’unica possibilità di affermazione è la carriera ecclesiastica (nero) e compie questa scelta a discapito di quella militare (rosso). Il suo temperamento, tutt’altro di quello di un freddo calcolatore, lo spinge ad azioni impulsive che lo condurranno alla rovina.
Entra nella casa del sindaco del paese, ne seduce la moglie (Madame de Renal), e per lo scandalo viene cacciato in un seminario. Di qui va a Parigi, come segretario di un marchese. La figlia di quest’ultimo (Matilde) si innamora di Julien, ma il padre non consente le nozze, perché aveva avuto informazioni non buone sul suo conto dalla sua ex-amante. Spinto da una rabbia incontenibile, torna al suo vecchio paese e le spara, senza ucciderla. Nonostante l’abbia solo ferita, viene condannato a morte. A questo punto scoppia di nuovo l’amore per la Renal, che lo conforta negli ultimi giorni di vita. Affronta la ghigliottina con coraggio, e Matilde ne seppellise il capo.
T54 - Le contraddizioni di un giovane ambizioso (da Il rosso e il nero)
Julien ha messa da parte i suoi ideali e si è adattato alla restaurazione e, in questo episodio, mostra tutta la sua abilità nel recitare la sua parte, ma, nel suo animo, è pieno di risentimento verso il cinismo della gente con cui è a contatto. La sua tragedia è solo quella die essere nato troppo tardi, nella Restaurazione e non nell’epoca napoleonica, ed in questo è già scritta la soluzione tragica della sua vicenda.
L’episodio è interamente imperniato su di lui, con i vari personaggi visto attraverso il suo punto di vista.
A29 - Honoré de Balzac
Nasce nel 1799, da una famiglia borghese. Rappresenta, come Scott, la figura nuova dello scrittore inserito nell’industria culturale, in quanto collabora con diverse riviste e accetta di scrivere diversi testi “di consumo”. L’incredibile mole di lavoro a cui fu costretto dalla povertà ne minò il fisico, e Balzac morì a soli 51 anni.
Nel 42, raccolse i romanzi già scritti e quelli che pensava di scrivere sotto il titolo di Commedia Umana. In questi romanzi voleva dare un quadro completo della società dei suoi tempi, in tutti i suoi aspetti. Nella prefazione a quest’opera, si traccia una similitudine tra gli uomini e gli animali, e questo sta a significare che si vuole studiare la varietà delle specie sociali, che differiscono tra di loro come specie di animali. L’intento di questa raccolta è pertanto quello di dare una ricostruzione esaustiva ed enciclopedica della società; ed infatti vengono descritti con precisione quasi maniacale l’aspetto fisico, la psicologia ed i comportamenti di ogni singolo personaggio. Questi sono mossi da grandi passioni, raffigurate in modo elementare: ambizione, amore, smania di successo si intrecciano dando vita a trame complesse e intrighi misteriosi. Per questa sua minuzia nei particolari, Balzac è considerato il più tipico rappresentante del romanzo realista. Il realismo di Balzac è stato anche apprezzato da Engels, nonostante le idee politiche contrastanti (trionfo del realismo sull’ideologia)
Illusioni perdute
Sotto questo titolo sono raccolti 3 romanzi: I 2 poeti, Un grand’uomo di provincia, Le sofferenze di un inventore. La prima parte si svolge in una cittadina, in cui vivono 2 poeti (David Sechard e Lucien Chardon). Chardon conquista una nobildonna, che, in seguito allo scandalo suscitato dalla loro relazione, si trasferisce a Parigi, dove il poeta la segue. Qui viene respinto dalla nobildonna perché figlio di un farmacista, anche se ottiene un discreto successo come giornalista. Viene ridotto di nuovo alla miseria dopo loschi intrighi e la sua fidanzata del tempo muore; decide allora di tornare a casa. Qui Sechard ha sposato la sorella di Chardon e ha inventato un nuovo procedimento per fabbricare la carta, ma è sopraffatto dagli intrighi di un’azienda concorrente e costretto a nascondersi. Però Lucien rivela il suo nascondiglio e ne provoca l’arresto. David riesce a riprendersi e a condurre una vita normale, Lucien torna a Parigi e comparirà in un romanzo successivo.
T55 - Una discesa negli Inferi nel mercato delle lettere (da Illusioni perdute)
Lucien è un giovane pieno di ideali, ma di carattere debole, pronto a qualunque cosa pur di avere il successo. Più forte della ripugnanza per il mondo è quindi il bisogno di successo. In questo passo, Lucien, condotto adl nuovo amico Lousteau, esplora un mondo nuovo per lui, quello della cultura parigina: è una sorta di discesa agli Inferi, e il denaro è rappresentato come una divinità a cui si sacrifica tutto (Lousteau-Mefistofele, Lucien-Faust)
Il Naturalismo
Gli scrittori veristi italiani hanno preso ispirazione soprattutto dal Naturalismo francese, sviluppatosi negli anni ’70.
Il suo fondamento filosofico è il Positivismo, movimento che si diffonde a partire dalla metà dell’800, espressione ideologica della nuova organizzazione borghese della società. È caratterizzato soprattutto dal rifiuto di ogni visione di tipo religioso, metafisico o idealistico e dalla convinzione che il reale sia tutto un gioco di forze regolato da leggi meccaniche ; si crede quindi soprattutto nei fatti dimostrabili scientificamente e sperimentalmente e la scienza moderna viene vista come unico strumento per dominare la realtà e di dominarla. Da qui anche la fede nel progresso, garantito dalle conquiste scientifiche.
Il pensatore da cui il movimento trasse i fondamenti filosofici fu Hippolyte Taine, la cui concezione, ispirata ad una rigoroso determinismo materialistico, affermava che i fenomeni spirituali erano prodotti della fisiologia umana e determinati dall’ambiente fisico in cui l’uomo vive. Tali concezioni vennero poi applicate anche alla letteratura, infatti affermava ”il romanzo è una grande inchiesta sull’uomo ... e si avvicina alla scienza”. Il suo modello di scrittore scienziato era Honorè Balzac, insieme a Gustave Flaubert ; inoltre vi erano i fratelli Edmond e Jules de Goncourt, che con Germinie Lacertaux cominciarono a rappresentare anche le classi sociali più deboli.
A71 - Gustave Flaubert
Flaubert nacque in Normandia nel 1821, da una famiglia borghese (padre medico). La gioventù fu caratterizzata da una spiccata sensibilità romantica, che, seppur rinnegata, rimase una componente fondamentale della sua personalità. La prima produzione letteraria significativa si colloca tra i 18 e i 22 anni ed è caratterizzata da un’incontrollata passionalità giovanile. Flaubert si trasferisce a Parigi e lascia l’Università per gravi disturbi nervosi. Nel ’46 va in campagna, sulle rive della Senna. Qui si delinea la sua poetica: rifiuta ogni lirismo romantico e scrive con uno stile sorvegliato e perfetto. Tra il ‘48 e il ‘49 scrive la Tentazione di S. Antonio e nel ‘51 comincia Madame Bovary, storia di quotidianità provinciale, ispirata ad un fatto di cronaca. A queste opere ne aggiunge altre di carattere storico. Nel ’69 scrive la seconda Educazione sentimentale, storia di giovani velleitari e mediocri, sullo sfondo delle delusioni politiche del ’48. Flaubert è ormai popolare e di grande fame, tanto che viene ricevuto da Napoleone. Nel ’77 pubblica I tre racconti, in cui si alternano un registro quotidiano e uno “storico”. Muore nel 1880 a Croisset.
L’opera di Flaubert è ricca di sfaccettature: in lui non vi è mai il semplice intento documentaristico. I suoi libri sono pregevoli costruzioni stilistiche e dalle sue pagine affiorano architetture simboliche . È uno scrittore ancora del tutto attuale, che resta vivo e stimolante ancora alla fine del 900.
Madame Bovary
Il romanzo è la storia di una ragazza di provincia, Emma Rouault, che ha sposato Charles Bovary, uomo di mediocre personalità, ottuso e comune. Emma soffre molto la monotonia della vita coniugale e la mediocrità delle persone che la circondano, fino a quando trova il Leon, giovane praticante di un notaio, l’anima gemella. Leon è costretto a partire ed Emma cade così tra le mani di Rodolphe, che la delude. Torna Leon e i due fuggono; Emma comincia a condurre una vita dispendiosa e si indebita con un usuraio, dopodichè si suicida. Il suicidio getta nella disperazione Charles, il quale morirà poco tempo dopo con in mano una ciocca di capelli della moglie.
Emma rappresenta, con i suoi sogni e le sue aspirazioni ad una vita più intensa, la contestazione alla stupidità dell’ambiente borghese di provincia e ha quindi, oggettivamente, una funzione critica. Soggettivamente, però, è anch’essa partecipe di quella stupidità: i suoi sogni da libro si tramutano in luoghi comuni e, in questo senso, Emma non si discosta molto dalla mediocrità del farmacista Homais.
Madame Bovary rappresenta una svolta fondamentale nel romanzo ottocentesco: con quest’opera tramonta il romanzo fondato su un narratore onnisciente, alla Scott, e viene introdotta la narrazione soggettiva, con la vicenda presentata non dal punto di vista oggettivo, ma da uno soggettivo e parziale che varia da personaggio a personaggio: all’inizio e alla fine prevale il punto di vista di Charles, in mezzo quello di Emma. Per questo si fa ampio uso del discorso indiretto libero, che partire da Flaubert diviene dominante nella narrativa ottocentesca.
La trama è ricca di simbologie; ad esempio, Emma appare spesso affacciata alla finestra, che viene associata al vagabondare del pensiero che si accompagna a quello dello sguardo, unico momento di evasione dalla routine quotidiana.
L’educazione sentimentale
Protagonista è Frederic Moreau, giovane provinciale che sogna passioni da libro. Su di un battello incontra Madame Arnoux, moglie di un mercante d’arte e si innamora di lei. A Parigi fa amicizia con il marito dell’amata e scopre chela tradisce con una prostituta, Rosanette. Conosce anche degli intellettuali e viene introdotto nei salotti di banchieri. Grazie ad un’eredità diviene benestante, ma viene rifiutato da Madame Arnoux, seppur elle lo ami. Allaccia una relazione con Rosanette, che però presto abbandona. Sconsolato dagli eventi politici (repressioni degli operai) e incapace di operare, si allea con i conservatori. Una sera, ormai vecchio, riceve la visita di Madame Arnoux e insieme a lei rievoca i tempi passati. Il romanzo termina con Madame Arnoux che si allontana lasciando a Frederic una ciocca di capelli ormai bianchi.
A72 - Edmond e Jules de Goncourt
I due fratelli costituiscono un caso singolare di collaborazione letteraria. Essendo nati in una famiglia agiata, si dedicarono per tutta la vita all’attività letteraria. Scrissero opere di storia, arte e costume, con il Settecento e l’oriente come temi predominanti. Scrissero anche numerosi romanzi, come Germinie Lacertaux, Suor Philomene, Madame Gervasais. Dopo la morte di Jules, Edmond continuò da solo a produrre romanzi. Nelle loro opere ripresero le idee più realistiche di Balzac e Flaubert, unendole ad una curiosità per il morboso e il brutto. Furono pertanto iniziatori della narrativa naturalistica. L’opera più importante è il loro Diario, che Edmond continuò anche dopo la morte del fratello.
T192 - Prefazione a Germinie Lacertaux (manifesto del naturalismo)
Da questo manifesto possiamo ricavare le caratteristiche principali del naturalismo:
• Rifiuto della letteratura di consumo ed il perseguimento di finalità serie, senza curarsi dei gusti del pubblico
• Temi riguardanti anche le classi inferiori
• Letteratura con rigore metodologico e fini della scienza, come prescriveva la mentalità positivistica
• Studio sociale, in nome di una visione umanitaria.
Ciò che spingeva i naturalisti a rappresentare il popolo era soprattutto la ricerca del nuovo e del raro. In particolare, in Germinie Lacertaux, ciò che muove glòi scrittori è un’attrazione morbosa per il brutto, che non ha nulla a che vedere con l’obiettività scientifica, ma rivela tendenze decadenti.
A73 - Emile Zola
Figlio di una francese e di un italiano, nasce a Parigi nel 1840. Trascorre l’infanzia in campagna e si lega con Cezanne. Si dedica, dopo aver lavorato come spedizioniere, al giornalismo, che non abbandonerà mai. All’inizio scrisse opere romantiche, ma passò al naturalismo con Therese Raquin del 67. Cominciò il suo vasto ciclo romanzesco, i Rougon-Macquart (71-93). Divenne celebre grazie a L’Assommoir, per lo scandalo dovuto alle descrizioni della degradazione umana degli operai. Attorno a lui si raccolgono diversi scrittori che lo considerano come un maestro. Da questa ‘scuola’ scaturisce una raccolta di novelle, tra cui Le serate di Medan, manifesto collettivo della scuola naturalista. Dopo L’Assommoir, altri romanzi di successo furono Nana, Germinal, La bestia umana. Allo scoppio dell’”affare Dreyfus”, Zola si schierò contro la condanna e per questo si dovette rifugiare in Inghilterra (1898). Tornato in Francia nel 1899, intraprese un altro ciclo, dopo Rougon.Macquart e Le tre città (contro Fede, a favore della Ragione): I quattro Evangeli, dove espresse le sue idee umanitarie. Morì nel 1902 in circostanze poco chiare, presumibilmente legate all’affare Dreyfus.
Egli riprese le esigenze di trasformare il romanzo in un testo scientifico e diede la sistemazione più compiuta alle teorie naturalistiche e le espose nell’opera Il romanzo sperimentale. Egli sosteneva che il mondo sperimentale delle scienze dovesse essere applicato anche alla sfera spirituale e agli atti intellettuali e passionali dell’uomo ; anche la filosofia e la letteratura dovevano pertanto far parte delle scienze e adottare il metodo sperimentale. Il presupposto di questa convinzione è quindi che le qualità spirituali siano in qualche modo conseguenza di determinate condizioni fisiche.
Alla base del romanzo sperimentale sta una concezione progressista della realtà : l’uomo, conoscendo le cause dei fenomeni, è in grado di dominarli e controllarli, favorendo così il progresso, che viene quindi visto positivamente. Per quanto riguarda l’ideologia, Zola ha un atteggiamento violentemente polemico nei confronti della corruzione delle classi sociali più elevate e di interesse per i ceti subalterni, di cui sono denunciate le condizioni terribili di vita. Lo scrupolo dello scienziato gli impedisce però di dare una rappresentazione idealizzata e di maniera degli ambienti popolari, ma lo induce a riprodurre con fedeltà anche gli aspetti più crudi e ripugnanti.
Dietro alla facciata dei pretesti scientifici, si può riconoscere anche un certo temperamento romantico di Zola, che si rivela in alcuni episodi o nelle descrizioni di oggetti materiali che assumono proporzioni gigantesche o visionarie, o ancora nell’attribuzione a determinati oggetti di un valore simbolico. In altri passi si arriva anche a squisitezze perverse e decadenti. Oltre a questi elementi, sono spesso presenti scene apocalittiche. Il suo stile è spesso ridondante e ricco di colore.

T193 -La Prefazione: letteratura e scienza (da Therese Raquin)
Anche questo brano costituisce uno dei primi manifesti naturalisti. I principali punti sono:
• Intento scientifico
• Visione materialistica e deterministica
• Volontà di rappresentare la vita con minuziosa esattezza
T194 - La Prefazione ai Rougon-Macquart: ereditarietà e determinismo
Zola espone i propositi che lo ispirano nella costruzione del ciclo :
• Intento scientifico di studiare le leggi dell’ereditarietà
• Materialismo
• Determinismo
• fattore biologico dei caratteri ereditari che si combina con fattore sociale
• ricostruzione del movimento delle classi basse
• Atteggiamento politicamente impegnato
T195 - Lo scrittore come operaio del progresso sociale (da Il romanzo sperimentale)
Il Romanzo sperimentale è un testo teorico , in cui Zola va a fondo nell’elaborare il proprio programma. Egli ritiene che il romanzo debba far proprio il metodo sperimentale delle scienze come la fisica, la chimica, ecc. applicandolo al campo della psicologia e egli atti intellettuali dell’uomo. La finalità del romanzo sperimentale è quella di padroneggiare i fenomeni intellettuali e morali per dirigerli nel senso migliore, cioè per guarire certi mali della società → impegno politico dello scrittore.
Il verismo italiano
Il verismo in Italia nasce dallo studio e dalla reinterpretazione degli scritti di Zola: tali opere vennero molto apprezzate dalla sinistra italiana (si esaltava di Zola le caratteristiche più radicali: repubblicano in politica, materialista in filosofia e realista in arte), la quale però non fu in grado di trasformarle in una teoria artistica organica e coerente, cosa che invece riuscì a due intellettuali meridionali: Verga e Capuana.
Capuana che all’epoca lavorava per il Corriere della Sera ebbe il merito di diffondere i testi del naturalismo francese e di zola in particolare, verga invece non scrisse articoli o saggi propagandistici delle proprie teoria letterarie, ma si mise al lavoro, per metterle in pratica scrivendo novelle raccolte nel 1880 sotto il titolo di “Vita dei campi”, e nel suo primo romanzo del ciclo dei vinti “I Malavoglia”. Ecco cosa dice capuana nel recensire il romanzo:
“l’elemento scientifico è parte del romanzo, ma a differenza di zola in verga c’è arte, infatti se un romanza ricalcasse esattamente le teorie di zola esso dovrebbe fare della filosofia o della patologia o una qualunque scienza, con il risultato di essere né vello né grande. Nel romanzo contemporaneo (quello di verga) invece le teorie naturalistiche e positivistiche influenzano soltanto la forma con il risultato di ottenere l’impersonalità. La scientificità insomma non deve trasformare il romanzo in esperimento, ma si manifesta solo nella forma. L’impersonalità soppianta in Italia lo sperimentalismo.
Verga, a proposito dell’impersonalità dice che la narrazione deve avere la forza dell’essere stato, ma non basta che il racconto sia reale e documentato, serve inoltre che il lettore sia messo faccia a faccia con gli avvenimenti, e per fare questo è necessario togliere il filtro del narratore, per far questo il narratore deve eclissarsi e vedere le vicende con gli occhi dei personaggi mettersi nella loro pelle parlare con le loro parole. L’impressione sarà dunque che la storia si sia fatta da se, ed il lettore avrà l’impressione di essere nel mezzo della vicenda e non di assistere ad un racconto.
Nel racconto di Verga vengono quindi omesse presentazioni e introduzioni, lasciando che i personaggi si presentino da soli con le loro opere. Verga non nega mai la presenza dell’autore nel libro e non ipotizza una completa separazione tra autore e testo, ed è per questo che parla sempre di illusione e di impressione dell’assenza del narratore. Termine fondamentale per identificare il narratore verghiano è regressione, regressione nel mondo di cui si sta parlando, è come se a raccontare fosse uno di loro che resta anonimo.

Chiedendosi perché verga creda a tal punto nella necessità di eclissarsi possiamo trovare la risposta in uno scritto dello stesso verga dove afferma che nessuno ha il diritto di giudicare la lotta per la sopravvivenza, tanto meno l’autore che ne descrive i meccanismi.
A74 - Luigi Capuana
Nato in provincia di Catania nel 1839, fu un agiato possidente agrario. Fu critico letterario e teatrale e diresse i più prestigiosi fogli letterari dell’epoca ; contribuì alla divulgazione del naturalismo francese e collaborò con Verga all’elaborazione del verismo italiano. Per quanto riguarda le sue opere, le più importanti sono :Giacinta (79), in cui voleva studiare un caso di psicologia patologica sulle orme di Zola. ; Profumo (91), incentrato su un caso di isteria e numerosi volumi di novelle, raccolte in le Appassionate e le Paesane. A partire dal volume Per l’arte (1895) si allontanò progressivamente dal naturalismo rifiutando il legame tra arte e scienza, sino ad accogliere la corrente antipositivista della fine del secolo. Morì nel 1915.
T213 - Scienza e forma letteraria : l’impersonalità
Capuana prende le distanze dal romanzo sperimentale di Zola, in quanto ritiene che, perseguendo gli obiettivi del francese, l’arte si snaturerebbe. Egli sostiene l’autonomia dell’arte, con la letteratura che non deve diventare scienza ma restare tale. Impersonalità dell’autore, come scomparsa dell’autore stesso dall’opera.

Giovanni Verga
Testi
T200 - Il progetto dei vinti…
Aprile 78 lettera al Verdura: Verga espone il suo progetto di scrivere un ciclo di Romanzi, i vinti che nella lettera chiama La marea, in cui ogni romanzo tratti di una parte della popolazione, la lotta per il pane quotidiano di “Padre ‘ntoni”, per arrivare all’avidità alla vanità di “Mastro don Gesualdo”. I racconti in totale sono 5, e il linguaggio si deve adeguare al contesto, in un contesto povero il linguaggio sarà grezzo, e così via.
In questa fase della poetica di verga però convivono ancora due tendenze, quella romantica, e quella verista. Il lato romantico lo riscontriamo nella mitizzazione del popolo rurale in antitesi al mondo borghese, verga vagheggia la pace del villaggio di pescatori parla dei sentimenti semplici, miti, al contrario la sua parte verista lo porta a vedere la realtà in tutta la sua crudezza senza più mitizzazioni.
Nella lettera è presente anche l’immagine che verga ha del progresso come un’onda dalla forza immensa che trae spunto da tutti li aspetti della vita, dai più semplici ai più raffinati, il progresso ha anche il compito di portare alla verità.
T201 - Sanità rusticana e malattia cittadina
lettera a capua 79 importante perché qui verga esprime alcuni aspetti della sua poetica: l’opposizione campagna città vista come serenità contro turbamento e autenticità contro falsità. Questo a testimonianza di una visione romantica che però viene accantonata per essere sostituita da una visione distaccata di quel mondo, lui però non vuole semplicemente fare una fotografia della realtà, ne vuole dare una ricostruzione intellettuale, criticamente vigile della vita popolare siciliana.
T202 - Impersonalità e regressione
in questo testo che rappresenta la prefazione di un racconto, viene scritto sotto forma di lettera a Farina, intellettuale non convinto della bontà del verismo, come tentativo di convincerlo. Possiamo quindi trovare alcuni punti fondamentali della poetica di verga: l’impersonalità, intesa come eclissi dell’autore, la storia deve sembrare come fattasi da sola. Con l’impersonalità, però, verga non vuole negare il rapporto che c'è tra l’artista e la sua opera, verga propone l’impersonalità come mezzo, come scelta stilistica per ottenere alcuni effetti.
Secondo punto che emerge è la regressione del narratore, che non è più quello classico, ma deve essere sostituito con un’anonima voce che abbia la stessa visione del mondo e lo stesso linguaggio dei personaggi.
L’eclissi dell0’autore porta con se anche una scarnificazione del racconto all’essenziale: il punto di partenza e quello d’arrivo, dove l’aspetto psicologico dei personaggi deve essere ricavato dalle loro azioni e non fornito dall’autore.
T203 - I vinti e la fiumana del progresso
e la prefazione ai malavoglia e poi servirà da prefazione a tutto il ciclo dei vinti. 81 il primo paragrafo si riferisce ai malavoglia in particolare e indica il tema dell’opera: la rottura di un equilibrio l’insoddisfazione per lo stato attuale, l’avanzare della modernità. Di conseguenza il secondo argomento trattato dalla lettera è il progresso, descritto come una fiumana, in un’Italia che dopo l’unificazione si dà un’organizzazione moderna. Verga propone un’immagine materialistica del progresso, come spinto da bisogni materiali, e anche l’agire dell’uomo è visto come frutto di perfetto meccanismo
Il Decadentismo
L’origine del termine “decadentismo”
Nel maggio 1883 Paul Verlaine pubblica su un periodico francese un sonetto dal titolo “Langueur”, in cui affermava di identificarsi con l’atmosfera di stanchezza spirituale che ha contraddistinto la decadenza dell’Impero Romano, quando questo era ormai incapace di grandi imprese e teso solo ad oziose esercitazioni letterarie. Nei contemporanei una sensazione simile era diffusa, soprattutto nei circoli d’avanguardia, che si ispiravano al modello maledetto di Baudelaire (idea di un crollo prossimo, di un cataclisma epocale). La critica ufficiale usò quindi il termine “decadentismo” a designare atteggiamenti del genere, in accezione negativa e dispregiativa, anche se quei gruppi di intellettuali lo assundsero polemicamente come proprio. Il movimento trovò il suo portavoce in un periodico, Le Decadent (1886→). Come un vero e proprio manifesto di queste tendenze si offrì il romanzo di Huysmans, A rebours (controcorrente), che esercitò poi influenze su Wilde e D’Annunzio. Se inizialmente il termine Decadentismo indica solo un movimento letterario sorto in Francia negli anni 80, ora si tende a riferirlo a tutta una corrente culturale, di dimensioni europee che si colloca negli ultimi 2 decenni del’800, con propagazioni nel primo 800.
La visione del mondo decadente
La base di questa visione del mondo è un irrazionalismo misticheggiante, che esaspera le posizioni romantiche. Viene quindi nettamente rifiutato il Positivismo: il decadente crede che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, perché l’essenza di esso è al di là delle cose, per cui solo rinunciando alla razionalità si può tentare di avvicinarsi all’ignoto. Inoltre, se per la visione comune le cose possiedono una loro oggettiva individualità, per i decadenti tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra di loro da analogie e corrispondenze che possono essere individuate solo irrazionalmente. Portando alle estreme conseguenze la visione romantica, che negava consistenza autonoma alla realtà oggettiva, i decadenti propongono l’identità tra uomo e mondo, tra soggetto e oggetto, che si confondono in un’arcana realtà. Quest’unione avviene sul piano dell’inconscio, la cui scoperta è il dato fondamentale della cultura decadente. Senza questa scoperta non si capirebbe nulla delle concezioni del Decadentismo. A fine secolo, Freud comincerà a dare una sistemazione scientifica a questa conoscenza, secondo un impianto positivistico. Lo stesso Freud ammetterà in seguito di non aver fatto nulla di nuovo, ma di aver solo ordinato scientificamente qualcosa che era già stato scoperto.
Come strumenti privilegiati della conoscenza sono considerati tutti gli stati irrazionali dell’esistere: malattia, follia, la nevrosi, il delirio, il sogno. Questi stati, che si sottraggono al controllo della ragione, aprono prospettive ignote alla nostra immaginazione e fanno vedere il mistero che è al di là di ogni cosa. Possono essere provocati artificialmente (fumo, droghe… già presente nel romanticismo – Coleridge).
Vi sono anche altre forme di estasi: l’individuo non può annullarsi e, attraverso questo annullamento, può potenziare la propria parola, renderla come divina (PANISMO). Un altro stato di grazia è costituito dalle EPIFANIE: un particolare qualunque della realtà si carica di un misterioso significato, che affascina il decadente come un messaggio quasi proveniente da un’altra dimensione.
La poetica del Decadentismo
Tra i moemnti della conoscenza vi è soprattutto l’arte: gli artisti, infatti, vengono considerati non solo come abili artefici, ma dei sacerdoti di un vero e proprio culto, veggenti capaci di spingere lo sguardo dove l’uomo comune non vede nulla e di rivelare l’assoluto: l’arte appare il valore più alto, che va collocato al di sopra di tutti gli altri e deve assorbirli. Questo culto religioso dell’arte dà origine all’ESTETISMO. L’esteta è colui che assume come principio regolatore della propria vita non i valori morali, il bene e il male, ma solo il bello, ed esclusivamente in base ad esso giudica la realtà; in questo modo si colloca al di sopra della morale comune, in una sfera di eccezionalità rispetto agli uomini mediocri. Anche gli atti comuni della sua vita sono trasformati in opere d’arte, anzi, tutta la sua vita è un’opera d’arte. Questa concezione del bello fine a se stesso si trasmette anche alla poesia: essa non deve avere nessun fine, ma deve essere pura.
Anche il linguaggio utilizzato nelle poesie deve essere adattato a questa concezione dell’arte. Quindi, alle immagini nitide si sostituisce il vago, capacve di provocare ulteriori suggestioni. La parola recupera quindi quella ancestrale funzione di formula magica.
Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli nasce nel dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia rurale, di condizione abbastanza agiata. La vita serena della famiglia viene sconvolta il 10/8/1867, quando il padre, che tornava a casa dal mercato, viene ucciso e i colpevoli, sebbene i diversi sospetti, non sono scoperti. Questa scomparsa crea vari problemi economici alla famiglia e in seguito muoiono al Pascoli anche la madre, la sorella maggiore e il fratello Luigi. Nel 1862 entra nel collegio degli Scolopi ad Urbino, dove ha una formazione classica. Nel ’71 lascia il collegio ma riesce a terminare gli studi a Firenze. Negli anni universitari, frequentati grazie ad una borsa di studio, subisce il fascino dell’ideologia socialista, e viene anche arrestato durante una manifestazione contro il governo nel 79. Quest’esperienza è per lui traumatica, tanto che datermina il suo distacco dalla politica militante, anche se resta fedele agli ideali socialisti. Si laurea nel 1882, con una tesi su Alceo, e nel 1884 comincia la carriera di insegnante liceale, prima a Matera, poi a Massa, poi a Livorno, dove si stabilisce fino al 95 con le sorelle. Due momenti importanti sono sicuramente il nido e il ricordo dei morti e, per quanto riguarda la sessualità, Pascoli conserva una visione adolescenziale, fatta di turbata attrazione e di ripugnanza. Le sue esigenze affettive sono, a livello conscio, soddisfatte dale sorelle, che rivestono una funzione materna.
Nel 1895, con il matrimonio della sorella Ida, Giovanni rimane solo con l’altra sorella, Mariù, con la quale trascorre una vita appartata, lontana dalla città, a Castelvecchio. Insegna nel frattempo a Pisa, a Messina e a Bologna.
Nel 1891 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Myricae, poi nel 1897 i Poemetti, nel 1903 i Canti di Castelvecchio, nel 1904 i Poemi conviviali. Vince per ben 12 colte la medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Muore il 6/4/1912 a Bologna.
Le idee
La visione del mondo
La formazione di Pascoli fu principalmente positivistica, dato il clima culturale che dominava negli anni 70. Tale matrice è visibile nella precisione con cui nei suoi versi usa la nomenclatura tecnica (botanica…) e nella presenza di soggetti astrali. In Pascoli si riflette anche quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo: in lui sorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e di ordinamento del mondo: al si là dei confini raggiunti dall’indagine scientifica si apre l’ignoto, l’inconoscibile. Questa tensione verso ciò che trascende l’esperienza sensibile non si esplica in un senso religioso positivo: il fascino che su di lui esercita il cristianesimo non attinge mai la verità rivelata, ma rimane nei limiti di messaggio morale di fraternità e mansuetudine evangelica.
Al dissolversi dei moduli del Positivismo non subentra un sistema concettuale alternativo: il mondo appare frantumat, disgregato e le sue componenti si allineano con una pereczione casuale ma non si compongono mai in un disegno unitario. Non esistono neppure gerarchie d’ordine tra gli oggetti, ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande, il particolare minimo può essere ingrandito fino a divenire enorme e viceversa. I particolari fisici sono filtrati attraverso l’occhio del poeta e quindi assumono sempre valori simbolici senza mai arrivare alla descrizione di tipo naturalista. Anche la precisione botanica e ornitologicaassume diverse valenze: il termine preciso diviene come la formul magica che permette di andare al di là dell’apparenza delle cose e di scoprirne la vera essenza. Il mondo viene visto attraverso il velo del sogno e le cose si mescolano l’una con l’altra: in questo modo, si instaurano legami segreti tra le cose che possono essere colti solo abbandonando le convenzioni della visione corrente.
La poetica
Da questa visione del mondo segue una perfetta corrispondenza con la poetica, che trova la sua formulazione nell’ampio saggio Il fanciullino, pubblicato nel 1897. L’idea centrale è che il poeta coincide con il fanciullo che sta in fondo ad ogni uomo, un fanciullo che vede le cose come per la prima volta, con ingenuo stupore e meraviglia, come dovette vederle il primo uomo il giorno dopo la creazione. Al pari di Adamo, anche il poeta fanciullino dà un nome alle cose (novella parola-nuovo linguaggio) e utilizza un linguaggio che vada all’intimo delle cose, scoprendole nella loro freschezza originaria. Dietro a questa visione sta una concezione della poesia come conoscenza alogica, simile in un certo modo a quella romantica ma che Pascoli piega in direzione decadente: il poeta fanciullo, grazie al suo modo di vedere le cose, ci fa sprofondare nell’abiss della verità, facendoci cogliere l’essenza delle cose, senza mediazioni e scoprendo le somiglianze e le relazioni più ingegnose. Il poeta, in conclusione, appare come un veggente, dotato di una vista più acuta di quella degli altri uomini.
In questo quadro si collaca anche la visione della poesia pura: per Pascoli la poesia non deve avere fini pratici: il poeta canta solo per cantare. Tuttavia, la poesia può ottenere effetti di utilità morale e sociale (Virgilio che insegna ad amare la vita in cui non si fosse né la miseria né la ricchezza). Il sentimento poetico, proprio perché risveglia il fanciullino che c’è in noi, induce alla bontà e alla fratellanza e quindi alla fine della lotta di classe.
Il rifiuto della lotta di classe si trasferisce allo stile: Pascoli ripudia il principio del classicismo che rivendica la separazione degli stili. Per lui sono ricchi di poesia anche gli argomenti più umili e dimessi: la poesia è anche nelle piccole cose, che hanno al loro interno quel “sublime” particolare. In tal senso, Pascoli porta ad estreme conseguenze la visione romantica: tra umile ed aulico può esservi convivenza, le due cose non si escludono a vicenda. Pascoli si pone in definitiva sia come cantore di cose umili sia come celebratore delle glorie nazionali ed evocatore dei miti classici.
L’ideologia politica
Pascoli ha una concezione di tipo socialista, di un socialismo umanitario e utopico che disprezza la lotta di classe e affida alla poesia la missione di difendere l’amore e la fratellanza. Durante gli anni universitari, il giovane Pascoli subisce l’influenza delle idologie anarchico-socialiste, soprattutto per il fascino esercitato da Andrea Costa. l’adesione alla corrente anarco-socialista da parte degli intellettuali piccolo-borghesi era un fenomeno diffuso al tempo e c’era ancora una matrice romantica, anche se avevano motivazioni sociali più concrete (cultura umanistica perde terreno a vantaggio di quella tecnologica; declassiazione a cui il ceto medio tradizionale era stato sottoposto dall’organizzazione moderna della produzione). Pascoli, proveniente dalla piccola borghesia rurale, declassato e impoverito, trasforma in rabbia contro la società l’emarginazione di cui è vittima. Aderisce all’Internazionale nel 1876.
All’inizio il movimento non aveva grandi progetti, ma agiva più “col cuore” che “con la mente” e di questo genere fu anche l’adesione di Pascoli. Arrestato per una manifestazione antigovernativa, venne tenuto per mesi in carcere e processato: questa fu per lui un’esperienza traumatica. Infatti, quando uscì assolto dal processo, abbandonò definitivamente ogni forma di militanza attiva. Questo distacco è anche imputabile dalla trasformazione del socialismo al tempo: dalla concezione utopistica si stava passando ad una più “scientifica”, più vicina a quella di Marx: era inevitabile quindi che una persona che, come Pascoli, aveva obbedito più al cuore che alla mente, non potesse seguire il movimento in questa sua trasformazione. Il concetto marxista, inoltre si fondava sul concetto di lotta di classe, ripudiato da Pascoli, il quale sognava un affratellamento di uomini. Infatti gli ideali socialisti, pur non essendo rinnegati, vennero trasformati in una generica fede umanitaria impregnata di elementi del Cristianesimo, del francescanesimo, del pacifismo di Tolstoj. Per lui, il socialismo era un appello alla fratellanza, alla solidarietà, alla diffusione della pace.
Alla base della sua concezione politica vi era un radicale pessimismo e la convinzione che la vita umana fosse fatta solo di sofferenza: per questo gli uomini, vittime della loro infelice condizione, devono cessare di farsi del male tra di loro e amarsi a vicenda dinanzi alle dure prove dell’esistenza. Pascoli trae un valore morale dalla sofferenza, che purifica ed eleva e, per questo, di fronte ai soprusi e alle ingiustizie, non bisogna abbandonarsi agli odi, ai rancori e al desiderio di vendetta, ma il dolore deve insegnare il perdono.
Si può ora capire come il poeta non potesse accettare i conflitti di classe: ogni classe, secondo la sua idea, doveva accettare la sua collocazione nella scala sociale e collaborare con le altre. Il mondo dei piccoli proprietari terrieri è il mondo che Pascoli mitizzava, proprio per i suoi valori di solidarietà.
Il fondamento di tutto il pensiero di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare e questa concezione si allarga progressivamente fino a comprendere l’intera nazione, da qui il nazionalismo pascoliano. È sentito particolarmente anche il problema dell’emigrazione: l’italiano strappato dal suolo della patria è come colui che viene strappato dal nido, dove ci sono le radici più profonde del suo essere. Secondo Pascoli ci sono nazioni capitaliste e nazioni proletarie, tra cui l’Italia, che non riescono a sfamare i propri figli e i cui emigranti vengono maltrattati e sfruttati nelle altre nazioni. Le nazioni proletarie hanno il diritto di difendersi dagli attacchi delle nazioni più potenti e conquistare nuove terre per evitare l’emigrazione: in quest’ottica si viene a celebrare la guerra di Libia (1911) come un momento di riscatto per la nazione italiana.
Le raccolte poetiche
I componimenti del Pascoli, comparsi originariamente su periodici, vennero raccolti in una serie di volumi pubblicati tra il 1891 e il 1911; tuttavia, l’ordine di uscita non rispecchia l’ordine di composizione.
La prima raccolta pubblicata fu Myricae (1891), comprendente 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Nel 1892 venne ampliata e comprendette 72 componimenti, ma cominciò a raggiungere la fisionomia definitiva nel 1897 (4° ed.-116) fino a giungere alla 5° ed. (1900-156). Il titolo è una citazione di Virgilio (4° Bucolica). Pascoli assume le piccole piante come simbolo delle piccole cose che vuole proporre on la sua poesia. Si tratta di componimenti molto brevi, ritratti con un gusto impressionistico, con rapide annotazioni che colgono un particolare, una linea, un colore. In realtà i particolari su cui si fissa il poeta non sono dati oggettivi, colti naturalisticamente, ma si caricano di sensi misteriosi e sembrano alludere ad una realtà ignota che risiede al di là di essi (spesso la morte dei familiari). Compaiono anche soluzioni formali che costituiscono l’originalità della poesia pascoliana: l’insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico dei suoni, la sintassi frantumata, metrica inedita.
Una fisionomia diversa hanno i Poemetti, pubblicati prima nel 1897, poi con aggiunte nel 1900, poi divisi in 2 raccolte distinte: Primi Poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909). Sono componimenti più ampi di quelli di Myricae, che sostituisono all’impianto lirico un taglio narrativo, diventando dei veri e propri racconti in versi. Ai versi subentrano le terzine dantesche. All’interno delle due raccolte si delinea un vero e proprio “romanzo georgico”, con la narrazione spezzata secondo veri e propri cicli. Questa raffigurazione della vita contadina si carica di intenti ideologici e vuole celebrare la piccola proprietà come condizione di vita ideale e depositaria di valori tradizionali ed autentici (solidarietà, laboriosità, bontà, blabla). La vita del contadino, chiuso nel nido domestico, appare al poeta come un rifugio rassicurante, un baluardo contro l’incombere di una realtà storica minacciosa. La rappresentazione assume quindi la forma di un’utopia regressiva, nel senso che Pascoli proietta il suo ideale nel passato, in forme di vita che stanno scomparendo. È evidente che questa rappresentazione della campagna non abbia punti di contatto con Verga: il mondo rurale pascoliano è idealizzato e idillico, quello di Verga è crudo. Pascoli mette in risalto soprattutto le piccole realtà scoprendo anche in quelle più umili aspetti poetici. Al di fuori di questo ciclo “georgico” si collocano numerosi poemetti che offrono temi più inquietanti e torbidi o anche sociali.
I Canti di Castelvecchio (1903) sono definiti dal poeta come la continuazione di Myricae: infatti anche qui ritornano i temi della prima raccolta, immagini della vita di campagna,… I componimenti si susseguono secondo il succedersi delle stagioni: l’immutabile ciclo naturale si presenta come un rifugio dal dolore e dall’angoscia del mondo esterno. Ricorre con frequenza il motivo della tragedia familiare e dei cari morti che si stringono intorno al poeta. Vi è anche il ricordo continuo dell’infanzia trascorsa in Romagna, quasi a costituire un legame con il nuovo nido costruito a Castelvecchio. Nemmeno in questa raccolta mancano temi morbosi: il sesso, affascinante e ripugnante insieme, e la morte.
I Poemi conviviali (1904) hanno un clima estetizzante: sono poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito antico, dalla Grecia fino alla diffusione del cristianesimo. L’estetismo si rivela nel linguaggio e nell’assaporamento quasi sensuale dei bei nomi, resi nella grafia greca originaria. In questa raccolta si ritrovano comunque tutti i temi della poesia pascoliana.
Ai Poemi Conviviali possono essere accostati i Carmina latini: 30 poemetti e 71 componimenti più brevi scritti per i concorsi di poesia latina di Amsterdam. Sono dedicati agli aspetti più marginali della società romana e hanno come protagonisti personaggi umili (gladiatori, schiavi…). Il latino di Pascoli è una ligua interamente rivissuta, che rivela profonde affinità col linguaggio delle poesie in italiano, soprattutto per il linguaggio spezzato.
Le ultime raccolte Pascoli assume le vesti del poeta ufficiale, celebratore delle glorie nazionali e inteso a propagandare principi morali e civili. Da ricordare i saggi e gli studi su Dante e le antologie.
I temi della poesia pascoliana
Pascoli è l’esatto contrario del “poeta maledetto”; egli incarna esemplarmente l’immagine del piccolo borghese, appagato dalla sua mediocrità di vita. Dal punto di vista letterario, Pascoli si presenta programmaticamente come il celebratore della realtà piccolo-borghese e dei suoi valori. Una parte della sua poesia è destinata proprio alla funzione di proporre quella determinata visione della vita, che è la celebrazione del piccolo proprietario rurale. In questo ambito di poesia ideologica e pedagogica rientra la costante esaltazione delle piccole cose quotidiane. A questo filone appartiene quindi anche la produzione sociale ed umanitaria. Questa predicazione si avvale anche di miti, che trovano immediata eco in un pubblico di lettori appartenenti allo stesso ambito sociale:
Il fanciullino che è dentro tutti noi
Il “nido” famigliare caldo e protettivo
Anche qui però l’ossessione privata è assorbita entro l’intento predicatorio e pedagogico: la tragedia famigliare è trasformata da Pascoli in una vicenda esemplare. Come si vede, Pascoli può allargare la sua predicazione a temi più vasti. Affrontando in poesia questi temi Pascoli interpretava la visione della vita e i sentimenti di larghi strati della popolazione italiana; egli radicava nel pubblico le sue convinzioni più profonde. La prova di questa sintonia instauratasi tra il poeta e il pubblico è la sua fortuna scolastica: per tanti anni il Pascoli presente nei libri di testo fu proprio questo poeta predicatorio e sentimentale. Egli stesso nei suoi scritti indicava esplicitamente i fanciulli come suo uditorio ideale; questa immagine di Pascoli fu accolta anche dalla critica. È questo il Pascoli che oggi gode di minor credito; le trasformazioni del clima culturale e del gusto, hanno portato alla luce un Pascoli tutto diverso, inquieto, tormentato, morboso, visionario, che ben si inserisce nel decadentismo europeo. È in perenne auscultazione del mistero che al di là delle cose più usuali, proietta nella poesia le sue ossessioni profonde. Egli traduce nel simbolo della pianta parassita la consapevolezza della duplicità della psiche, sa esprimere le sconfitte esistenziali e le delusioni, il fascino dell’irrazionale, sente ovunque in ciò che lo circonda la presenza della morte. Al di là del poeta pedagogo, si delinea un grande poeta dell’irrazionale. In questo Pascoli è ben più radicale di D’Annunzio. I due Pascoli individuati, hanno quindi una radice comune.
Le soluzioni formali
Il modo nuovo di percepire il reale si traduce in soluzioni formali fortemente innovative. L’aspetto che forse colpisce più immediatamente è quello sintattico. La sintassi di Pascoli è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana; nei suoi testi poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione. Inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto o del verbo; la frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza. È una sintassi che traduce perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione “fanciullesca”, alogica. La conseguenza è che gli oggetti più quotidiani e comuni presentano una fisionomia stranita, appaiono come immersi in un’atmosfera visionaria. Al livello del lessico, Pascoli non usa un lessico “normale”: mescola tra loro codici linguistici diversi. Non nascono tuttavia scontri di livelli; troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici,, termini gergali e dialettali, terminologia botanica ed ornitologica, parole provenienti da lingue straniere. Questa pluralità di codici linguistici costituisce una vistosa infrazione alla norma dominante nella poesia italiana. Grande rilievo hanno poi, nella poesia pascoliana, gli aspetti fonici; quelle che più colpiscono sono le espressioni che si situano al di sotto del livello strutturato della lingua e non hanno un valore semantico. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche di versi d’uccelli o suoni di campane. I suoni usati possiedono un valore fonosimbolico. La metrica pascoliana è apparentemente tradizionale, ma in realtà questi materiali sono piegati dal poeta in direzioni personalissime. Pascoli sperimenta cadenze ritmiche inedite; anche il verso è di regola frantumato al suo interno, interrotto da pause, interpunzione, incisi, parentesi, puntini. Al livello delle figure retoriche, Pascoli usa la metafora, accostando in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia.
Eugenio Montale
La parola e il significato della poesia
Le poesie degli Ossi di seppia si segnalano per la notevole originalità che nasce da una rielaborazione della tradizione. Se Ungaretti parte dalla distruzione del verso tradizionale per riscoprire la forza della parola e fa di essa uno strumento di liberazione, capace di attingere alle fonti dell’assoluto. Secondo Montale, però, si tratta di una soluzione ottimistica, essendoci tra l’uomo e l’assoluto una realtà ineliminabile. La parola non può quindi aspirare a raggiungere direttamente l’assoluto, ma deve prima confrontarsi con il reale, che costituisce l’unica barriera in cui è impigliata. La parola di Montale indica con precisione oggetti indefiniti e concreti, stabilendo tra essi rapporti complessi.
La poesia di Montale è una poetica delle cose, e leggendo la prima poesia di Ossi di seppia è evidente l’atteggiamento polemico nei confronti dei “poeti laureati” che usano nomi astratti e un linguaggio ricercato. A differenza di Pascoli, però, non guarda gli oggetti con gli occhi del fanciullino, ma essi diventano degli emblemi in cui è già scritto il destino dell’uomo, nell’infelicità di una condanna esistenziale che non può offrire certezze o illusioni. Di conseguenza, la natura conserva quel senso di aridità e di paralisi che Montale attribuisce alla vita umana in genere.
A differenza dell’analogia ungarettiana, Montale utilizza il “correlativo oggettivo”, in quanto anche gli oggetti più astratti trovano la loro definizione in oggetti concreti. Ad esempio, in Spesso il male di vivere ho incontrato, il male di vivere non viene rappresentato come una figura astratta, ma come un incontro che si fa lungo il cammino della vita e anche le immagini presenti nella poesia sono concrete. L’espressine è ripresa anche da T.S. Eliot. Il simbolismo di montale potrebbe anche essere visto come una forma nuova di allegoria, in cui elementi della natura rappresentano condizioni spirituali.
Per quanto concerne la dimensione religiosa Montale sostituisce alla Provvidenza di Manzoni e Dante la “divina Indifferenza” che resta passiva di fronte alle sofferenze degli uomini.
Il tono è sempre discorsivo e colloquiale, e presuppone la presenza di un lettore, dati i continui verbi alla 2°sing o i ripetuti “tu”. Questo rapporto indica la volontà di trovare un’intesa, in modo da coinvolgere il lettore nelle sofferenze dell’autore. Però, proprio perché riflette queste realtà esistenziali inconoscibili, secondo Montale la poesia non può comunicare nulla → rifiuto dell’immagine del “poeta-vate” e di ogni concezione della poesia come forma di elevazione spirituale. La poesia viene invece proposta come conoscenza in negativo, priva di certezze. La sua funzione è quella di indagare la condizione dell’uomo del novecento, assumendo il valore di testimonianza. Questo ruolo deriva dall’atteggiamento assunto da Montale nel suo rapporto con la crisi di valori della società: anche se senza speranza, resta intatta la fiducia nella ragione.
Scelte formali e sviluppi tematici
Rifiutate le soluzioni d’avanguardia, Montale resta fedele ad una nozione di stile identificata con la lucidità della ragione e la dignità dell’uomo. Non viene rifiutato il verso libero, ma viene concesso spazio ai versi tradizionali e viene reintrodotto l’endecasillabo sciolto. La rima è formalmente rifiutata ma viene spesso usata, il linguaggio è comune ma spesso si “eleva”, con termini più rari e preziosi. La sua è una scelta plurilinguistica (Dante) che si oppone al monolinguismo di Ungaretti (Leopardi-Petrarca). L’equilibrio cercato da Montale rappresenta l’esigenza di un controllo dell’intelligenza contro l’irruzione del caos. Tutte queste caratteristiche comuni le ritroviamo nelle 3 principali raccolte di Montale, che comunque presentano spiccati tratti distintivi.
Ossi di seppia: simboleggiano l’aridità dell’universo montaliano, attraverso la traccia che resta dopo l’azione di logoramento della natura; alludono al carattere volutamente povero dell’ispirazione, concentrata sul brullo e spoglio paesaggio ligure. Questo è arido, tormentato dal sole, che en rende quasi irreali i contorni, caricandoli di valenze metafisiche ed esistenziali. Le cose però non svelano il segreto della loro presenza e neppure la memoria riesce a recare conforto, cancellata dallo scorrere del tempo.
Le occasioni: il titolo allude a degli eventi che avrebbero potuto essere importanti per il poeta, ma che lui non è riuscito a sfruttare. A lui non resta che affidare a delle figure femminili la sua speranza. Ora la poesia, che prima si risolveva nel rapporto uomo-natura, abbraccia orizzonti più ampi. L’attesa è ancora deludente , in quanto, nel complicarsi delle relazioni umane, anche i simboli di vita gioiosa vedono offuscare la loro luce. Si approfondisce ancora di più il solco che la memoria ha scavato con il passato.
La bufera e altro: raccolta in cui si conclude la ricerca poetica montaliana. Il titolo allude allo sconvolgimento della guerra, che, pur distruttiva e quant’altro è stato sempre un avvenimento, tra i tanti che sconvolgono il destino doloroso dell’uomo. Il poeta conferma la visione pessimistica della storia e ritiene che essa non possa recare speranze di salvezza. Piccolo testamento esclude ogni compromesso con la partecipazione e l’impegno politico. La poesia non è altro che testimonianza, la sola consentita nel mondo dominato dall’incertezza e dalla contraddizione.
In particolare, nelle ultime due raccolte abbiamo una sintassi che si complica ulteriormente in quanto deve accogliere i nessi sempre più difficoltosi tra le parole, la simbologia degli oggetti si fa oscura ed indecifrabile. L’oggetto si trasforma in un talismano a cui spetta il compito di mediare il rapporto tra il mondo sensibile e l’inconoscibile. Al “tu” generico interlocutore si sostituisce la figura femminile, che diventa il destinatario privilegiato della poesia, e assume quasi una connotazione divina.
Umberto Saba
Nasce a Trieste, allora dell’Impero austro-ungarico, ma ha la cittadinanza italiana per via del padre. La madre è di discendenza ebraica. Privo della figura paterna (il padre abbandona la madre), trascorre un’infanzia difficile e malinconica. È impiegato in una ditta triestina e il solo sfogo gli è offerto dalla poesia. La formazione lettreria è sui testi di Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Foscolo, Manzoni, Pascoli, D’Annunzio. Come Svevo, sconta il fatto di essere legato alla cultura mitteleuropea più che a quella italiana. Nel 21 esce la prima edizione del Canzoniere, di cui usciranno in seguito altre edizioni. Nel 28 intraprende una cura psicanalitica con un allievo di Freud e si accosta direttamente alla psicanalisi che gli offre strumenti più raffinati per “smascherare l’intimo vero”. Colpito dalle leggi razziali, lascia l’Italia. Nel 45 viene pubblicata la seconda edizione del Canzoniere e nel 61 quella definitiva.
Caratteristiche formali della produzione poetica
Scorrendo la biografia si ricavano alcuni tratti essenziali: la povertà di avvenimenti esteriori, da cui comunque Saba ricava suggerimenti per alimentare la sua vena poetica. La sua poesia è quella di un autodidatta, che ha ignorato tutte le sperimentazioni del 900 → la crisi della parola che investe la poesia del primo 900 non trova un benchè minimo riscontro in Saba, che usa il linguaggio casalingo e familiare, mescolato a volte a quello della tradizione letteraria (questo elemento non è dovuto ai toni alti del linguaggio, ma alla comunione con le cose di tutti i giorni. La predilezione è per la parola che nomina rispetto a quella che allude. Per quanto riguarda la metrica non esita ad adottare versi classici, mentre la poetica dell’ermetismo gli rimarrà estranea. L’incontro con il verso libero di Ungareti gli servirà per per affinare la sua ispirazione, ma la metrica classica non viene mai abbandonata. La poesia di Saba è sempre caratterizzata da una chiarezza del dettato che usa modi semplici e immediati e un linguaggio comune.
I temi
Saba muove spesso da una situazione autobiografica, che si confronta con una realtà concreta e non ha nulla di astratto. Il poeta, comunque, inserisce nelle sue opere elementi simbolici associati ad elementi concreti (La capra). L’umanità di Saba è sempre espressione di un’intima e sofferta moralità. Il suo “realismo” poetico non si restringe mai alle esperienze superficiali, ma cerca i sensi riposti e segreti delle cose. È una ricerca che non si arresta al “negativo” dell’esistenza, anche a costo di metterne a nudo gli aspetti più crudi. In Saba si avverte l’influenza di Nietszche (non di quello del superuomo) e di Freud. Il rapporto di Saba con la vita è tutt’altro che semplice: egli non ignora l’ambitguità profonda dell’esistenza e le stesse aperture cordiali dei suoi versi nascono dallo sforzo di superare un individualismo che conserva tracce di angoscia e dolore; la città è amata in se stessa e nei luoghi in cui il poeta può isolarsi. La gioia e l’angoscia possono sostituirsi a vicenda in qualsiasi momento. La vita è un ossimoro di gioia e dolore, un ossimoro non esasperato nelle sue componenti antitetiche, ma composto nelle forme di una discrezione che resta la testimonianza di partecipazione civile e di impegno umano.
Il Canzoniere come racconto
Il Canzoniere è caratterizzato da un urgenza di sollecitazioni autobiografiche. La poesia viene vista come confessione e racconto di momenti e ragioni particolari della vita del poeta. Difficilmente sacrifica i testi composti e questo atteggiamento è simbolo del suo modo di concepire la poesia, come una confessione; di questo si deve tenere conto anche nell’analizzare anche i versi meno riusciti, bisogna guardare alle motivazioni che hanno spinto il poeta a scriverli.

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Esempio



  


  1. Jonida

    saggio breve la polemica classico-romantica

  2. an la

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