L'era del progresso

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Testo

ESAME DI STATO A.S. 2006/2007
Tesina multidisciplinare:
L’ERA DEL PROGRESSO XIX-XX sec.

CANDIDATO: STEFANELLI MARCELLO V F
PERITO MECCANICO
INDICE
• STORIA 2
• ITALIANO 6
• INGLESE 12
• SISTEMI 13
• TECNOLOGIA 15
• GESTIONE PROGETTI 18
STORIA
LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
L’industria si diffonde e diventa il settore trainante dell’economia
Il fenomeno più importante della seconda metà dell’Ottocento, denominato “il secolo dell’industrializzazione", fu appu-nto il diffondersi dell’economia industriale. L’Inghilterra, che alla fine del Settecento aveva dato inizio alla rivoluzione industriale, era l’unico Paese in cui l’industria si era sviluppata sensibilmente, mentre in tutti gli altri Stati europei prevaleva un’economia di tipo agricolo. L’industrializzazione portò un grande cambiamento nella società e nell’economia dei Paesi che toccò: l’industria divenne il settore trainante dell’economia che, da agricola che era, si trasformò in economia industriale, e venne introdotto un nuovo metodo per stabilire la ricchezza degli Stati, a seconda delle tonnellate di acciaio prodotte e dell’energia impiegata nelle fabbriche. I Paesi così misurati venivano poi suddivisi in Paesi ricchi (grado di industrializzazione alto) e Paesi poveri (produzione industriale bassa).
L’industria si trasforma e si sviluppano nuovi settori
Nella seconda metà dell’Ottocento l’industria non solo si diffuse, ma si trasformò; per questo gli storici indicano questo fenomeno come seconda rivoluzione industriale, per distinguerla da quella avvenuta in Inghilterra alla fine del Settecento.
Se l’industria tessile era stata il motore della prima rivoluzione, nella seconda presero questo ruolo due nuovi settori: la siderurgia e la chimica. Questo fu un fatto importante in quanto: l’industria tessile produce beni di consumo, merci cioè che sono destinate ad un consumo rapido e che poi vengono sostituite; l’industria siderurgica e chimica invece producono merci (come l’acciaio, i fertilizzanti, la soda) che non vengono consumate direttamente, ma che vengono trasformate prima di essere immesse sul mercato.
Alcuni prodotti derivati dall’acciaio: macchine industriali, binari, scafi navali e impalcature per grattacieli. Prodotti chimici: coloranti artificiali, materie plastiche (tra cui, importante, la celluloide, che permise la nascita del cinema), fibre artificiali, concimi, dinamite e soda, impiegata in grandi quantità nell’industria chimica, del vetro e nei detersivi.
La diffusione del sistema industriale americano fece decollare il “sistema di fabbrica” in risposta all’aumento della domanda; significativo nel determinare, da parte della produzione industriale, l’esigenza di un’accelerazione produttiva, soddisfatta dalla catena di montaggio, dai processi di meccanizzazione e di razionalizzazione del lavoro in fabbrica propri del sistema di produzione americano; si imponevano quei procedimenti e problemi che nel primo ‘900 saranno teorizzati dall’ingegnere Federick W. Taylor nella sua opera "Principi di organizzazione scientifica del lavoro". Lo studio scientifico e sistematico del lavoro in fabbrica condotto da Taylor, portò alla creazione di un innovativo metodo di produzione basato sulla riduzione del lavoro dell’operaio ad operazioni semplici, misurabili e programmabili. La meccanizzazione del lavoro portò a tangibili progressi nel campo della produzione per quanto riguarda l’efficienza, la produttività e la velocità. La dottrina Taylor fu adottata per la prima volta a Detroit, nel 1913, quando la fabbrica Ford produttrice di automobili installò la prima catena di montaggio: secondo questo nuovo metodo di lavoro, il processo produttivo era frammentato in una serie di operazioni che venivano assegnate ai singoli operai, che si ritrovavano così a dover ripetere la stessa operazione per tutto l’orario di lavoro. Il Taylorismo, se da una parte portò alla riduzione dei tempi e ad un incremento della produzione, e quindi ad un conseguente aumento dei salari, contribuì d'altro canto alla sostituzione dell’operaio di mestiere specializzato con l’operaio di massa dequalificato ed intercambiabile, e alla perdita di autonomia da parte del lavoratore, che si vide divenire un suddito dell’automatismo delle macchine.
Conobbe quindi un periodo di notevole sviluppo l’ingegneria civile, che grazie anche all’incremento della produzione del cemento armato, generò una vera e propria esplosione edilizia, che riempì le metropoli dei paesi industrializzati, di porti, grattacieli ed edifici imponenti (la Torre Eiffel a Parigi e il Tower building a New York).
Petrolio ed energia elettrica favoriscono l’industrializzazione
Un impatto ancor più dirompente nella società, fu quello provocato dall’invenzione del motore a scoppio (1876) decisiva per l’impulso dato all’estrazione del petrolio, che comunque rimarrà, per molti anni ancora secondo al carbone ( più accessibile economicamente visti i bassi costi e l’abbondante offerta) che fu installato su un’automobile per la prima volta nel 1880 da Daimler, e che venne in breve a sostituire il vapore; e dal sempre più diffuso utilizzo dell’elettricità, che pian piano va sostituendo l’illuminazione a gas delle città (dall’invenzione della lampadina ad incandescenza: T. Edison 1879),
I trasporti e le comunicazioni favoriscono lo sviluppo industriale
Nella seconda metà dell’Ottocento si espanse la rete stradale e vennero resi navigabili numerosi fiumi e canali. Le nuove locomotive, inventate verso il 1850 per sostituire il primo modello a vapore di Stephenson, viaggiavano a 50 chilometri orari, che divennero poi 80 alla fine del secolo. La rete ferroviaria più sviluppata era quella britannica, ma, dopo la metà del secolo, le ferrovie si diffusero rapidamente anche in Germania, in Francia e negli Stati Uniti.
Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni fu molto importante per l’industria, per due motivi: in primo luogo perché permetteva alle fabbriche di commerciare i loro prodotti in breve tempo e a grandi distanze e analogamente di ricevere le materie prime rapidamente; in secondo luogo perché per costruire le ferrovie erano necessari l’acciaio e la ghisa, che venivano richiesti in grandi quantità alle industrie siderurgiche, le quali incrementavano la produzione e, di conseguenza, i guadagni.
Ma lo sviluppo delle comunicazioni non interessò solamente le ferrovie; dopo il 1870 i battelli a vapore sostituirono le navi a vela, gli scafi in metallo presero il posto di quelli in legno e l’elica subentrò alle ruote a pale.
Vennero costruiti dei canali navigabili che ridussero le distanze tra i continenti: il canale di Suez, inaugurato nel 1869, permise di andare dal Mediterraneo al Mar Rosso e all’oceano Indiano senza dover circumnavigare l’Africa, mentre il canale di Panama, aperto nel 1913, collegò l’oceano Atlantico all’oceano Pacifico.
Nella seconda metà dell’Ottocento altre due invenzioni contribuirono a far diventare il mondo sempre più piccolo: il telegrafo (1851) e il telefono (1876), con cui si poteva comunicare da una parte all’altra del globo dapprima con impulsi elettrici, poi con la voce.
Tutte le invenzioni sopra citate non rivoluzionarono solo il mondo economico e il mondo degli affari, ma anche la vita quotidiana di ogni persona.
Il mercato e il libero scambio
L’espansione dei trasporti e delle comunicazioni ebbe anche altre conseguenze, ad esempio l’estensione e l’unificazione del mercato, ovvero l’insieme della domanda e dell’offerta delle merci. Il mercato si ampliò enormemente grazie ai nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, che permisero a ogni città, paese o villaggio di partecipare intensamente al commercio mondiale e contribuirono alla creazione di un mercato globale.
Tra il 1850 e il 1870 la quantità di merci commerciate nel mondo si triplicò, espansione dovuta anche al fatto che in questo periodo prevalsero le idee economiche del liberalismo.
I liberali sostenevano che il commercio mondiale dovesse diventare totalmente libero e che le merci, quando attraversavano le frontiere degli Stati, non dovessero essere soggette a tasse doganali (dazi), così da arricchire le nazioni e migliorare la vita di tutti.
I dazi erano delle tasse che gli Stati applicavano sulle merci straniere per aumentarne il prezzo e favorire quindi i prodotti nazionali. I liberali invece pensavano che la libera concorrenza, conseguenza dell’abolizione dei dazi, avrebbe migliorato il commercio, in quanto ogni produttore avrebbe dovuto immettere sul mercato merci di eguale qualità di quelle della concorrenza, ma a minor prezzo; per far questo avrebbe dovuto sperimentare mezzi di produzione nuovi e tecnologie più avanzate e meno costose, migliorando così la produzione e il commercio mondiale.
Secondo i liberisti, infine, lo Stato non deve intervenire nella vita economica, se non costruendo strutture che possano favorire il commercio. I prezzi dei prodotti devono essere dettati interamente dalla domanda e dall’offerta.
Gli industriali furono favorevoli al liberalismo, in particolare quelli inglesi, tedeschi e dei Paesi economicamente e tecnologicamente più avanzati, perché potevano vendere le loro merci, prodotte con tecnologie più avanzate e meno costose, sui mercati stranieri a minor prezzo di quelle locali, battendone così la concorrenza.
A mano a mano che si sviluppavano anche le altre nazioni europee seguirono l’esempio inglese e abolirono i dazi doganali; per questo motivo il periodo che va dal 1850 al 1870 è detto “l’età d’oro del libero scambio”.
1873 - 1896: la “grande depressione” dell’economia mondiale
Da come ne ho parlato fino ad ora, l’economia ottocentesca sembrerebbe quasi perfetta, ma ciò nn è vero; nell’Ottocento, infatti, più volte si ebbero crisi economiche.
Per quanto riguarda l’agricoltura, le crisi erano causate da eventi naturali come siccità o, al contrario, piogge troppo abbondanti, neve o grandine. Quando si verificavano questi fenomeni, i raccolti di frumento, granturco, patate, che costituivano la principale alimentazione della maggior parte della popolazione, andavano distrutti e intere regioni rimanevano senza cibo. Una crisi agricola di questo tipo colpì l’Europa nel 1846-47: a causa del cattivo raccolto di grano e di patate, centinaia di migliaia di persone morirono, soprattutto nelle regioni agricole più povere come l’Irlanda; altrettante dovettero emigrare all’estero in cerca di un posto in cui poter sopravvivere.
L’industria fu soggetta fin dall’inizio della rivoluzione industriale, periodicamente, a frequenti crisi economiche. L’alternarsi di periodi di sviluppo ad altri di crisi era ritmico: prima si aveva un lungo periodo di rapido sviluppo, con aumento dei guadagni degli industriali e, seppur in forma minore, degli operai; poi sopraggiungeva una breve ma disastrosa crisi che portava alla chiusura di numerose fabbriche e, di conseguenza, alla disoccupazione e alla miseria.
La più grande crisi economica dell’Ottocento fu quella che durò, in varie fasi, dal 1873 al 1896 e che colpì sia l’economia europea sia quella statunitense. La crisi prese inizio dal settore agricolo: a causa dello sviluppo dei trasporti l’Europa venne invasa dal grano americano, prodotto a minor costo e quindi più economico di quello europeo. Per battere la concorrenza statunitense allora i produttori europei diminuirono il prezzo del loro grano, diminuendo anche la percentuale del guadagno che andava agli agricoltori. Nello stesso periodo le fabbriche di tutto il mondo immisero sul mercato grandi quantità di merci, molto superiori alla domanda. In questo modo una parte di quelle merci rimase invenduta e gli industriali, come avevano già fatto gli agricoltori, abbassarono i prezzi per far sì che tra le merci vendute ci fossero le loro. Molti stabilimenti, di tutti i settori, fallirono, gettando sul lastrico migliaia di operai.
A quel punto lo Stato, che con il liberalismo era stato estromesso dalle faccende economiche, intervenne pesantemente nell’economia. Vennero attuate politiche protezionistiche, vennero cioè aumentati in maniera esorbitante i dazi doganali per far diventare più care le merci estere e favorire quelle interne. Inoltre gli Stati europei appoggiarono le industrie con commesse e appalti. Le commesse sono degli acquisti che lo Stato opera presso privati di prodotti che gli sono utili (navi, armi...); gli appalti invece sono concessioni che lo Stato dà alle industrie per la costruzione e la gestione di servizi e opere pubbliche (ferrovie, porti...).
Il capitalismo cambia: dalla libera concorrenza ai monopoli
La crisi del 1873 provocò il fallimento di molte industrie. Furono soprattutto le piccole industrie a chiudere, in quanto non disponevano di grandi capitali e quindi non erano in grado di rinnovarsi e di modernizzare i sistemi di produzione. Le industrie maggiori invece diventavano sempre più potenti ed erano avvantaggiate dalla diminuzione della concorrenza.
Si verificò un fenomeno di concentrazione industriale: molte aziende si fusero insieme e crearono grosse compagnie dirette da un’unica direzione. In questo modo si riusciva ad eludere la concorrenza, facendola diminuire e ad ottenere la supremazia su alcuni settori.
Negli ultimi venti anni dell’Ottocento quindi il capitalismo cambiò profondamente: dalla libera concorrenza si passò al monopolio di alcune aziende in dati settori. Più frequente del monopolio è però l’oligopolio (dal greco oligos = poco), in cui il mercato è controllato da poche industrie.
I trust decidevano liberamente i prezzi delle merci che esponevano, senza dover più tenere conto della concorrenza, ma solo regolandosi in base ai costi di produzione e alla convenienza.
Quanto più le industrie si sviluppavano e si concentravano, tanto più avevano bisogno di denaro per i loro investimenti. Soprattutto nel settore meccanico e chimico, in cui le innovazioni si susseguivano senza sosta, le imprese necessitavano di capitali per rinnovarsi.
All’inizio della rivoluzione industriale le industrie nascevano coi finanziamenti dei proprietari; poi però, con lo sviluppo dell’industria, furono necessari i finanziamenti delle banche, le uniche che disponevano del denaro necessario per aprire un’industria. Per questo motivo le banche divennero sempre più importanti, fino a diventare comproprietarie delle fabbriche; questa dipendenza si accentuò con la crisi di fine secolo, in quanto l’unico mezzo che avevano le industrie per ottenere dei capitali era chiederli alle banche.
ITALIANO
GIACOMO LEOPARDI
La vita
Nato a Recanati il 29 giugno 1798 Leopardi crebbe in un ambiente retrivo e conformista. Il giovane si applicò da autodidatta imparando la lingua ebraica, greca, il latino e le altre lingue moderne.
Frutto di questa applicazione che lui stesso definì matta e disperata furono tragedie e traduzioni, opere poetiche ed erudite tra cui spiccano Storia dell’astronomia e un Saggio sugli errori degli antichi. Leopardi pativa in modo acuto le incomprensioni fra familiari e dei concittadini, cosicché maturò una profonda crisi destinata a sfociare nel 1819 nel progetto di fuggire da Recanati.
Ottenuto nel 1922 il permesso di lasciare Recanati si recò a Roma dove rimase lì per alcuni mesi ospite di alcuni parenti materni finche deluso e amareggiato ritornò a Recanati. Nel 1825 si trasferì a Milano dove lo portarono poi a Pisa dove scrisse i versi di A Silvia e del Risorgimento.
Nella primavera del 1830 lasciò definitivamente Recanati e si trasferì a Firenze. Dopo aver scritto le sue definitive opere come le Operette morali e i Canti morì il 14 giugno 1837.
Il pensiero
Tutta l’opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente meditate e sviluppate, il cui processo si può seguire attraverso le migliaia di pagine dello Zibaldone.
Al centro della meditazione di Leopardi si pone subito un motivo pessimistico, l’infelicità dell’uomo. Egli identifica la felicità con il piacere, sensibile e materiale. L’uomo desidera un piacere che sia infinito. Pertanto, siccome nessuno dei piaceri particolari goduti dall’uomo può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua, un vuoto incolmabile dell’anima. Da questa tensione inappagata per un piacere infinito che gli sfugge nasce l’infelicità dell’uomo, il senso della nullità di tutte le cose.
La natura, che in questa prima fase è concepita come una madre benigna, ha voluto sin dalle origini offrire un rimedio all’uomo con l’immaginazione e le illusioni, che velano gli occhi dell’uomo dalle sue effettive condizioni. Per questo gli uomini primitivi, essendo più vicini alla natura, e quindi capaci di illudersi e di immaginare, erano felici e ignoravano la loro reale infelicità. Il progresso della civiltà ha messo crudamente sotto i suoi occhi il vero e lo ha reso infelice. La prima fase del pensiero leopardiano è fondata sull’antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni. Gli antichi erano nutriti di generose illusioni, e quindi erano più magnanimi, più forti fisicamente e moralmente, la loro vita era più attiva e intensa, e ciò contribuiva a far dimenticare il vuoto dell’esistenza. Perciò essi erano più grandi di noi sia nella vita civile che nella vita culturale. Il progresso della civiltà e della ragione, spegnendo le illusioni, ha spento ogni slancio magnanimo o eroico, e ha generato viltà, meschinità e corruzione dei costumi. L’uomo è quindi colpevole dei propri mali.
Leopardi vede la civiltà moderna, e soprattutto quella italiana, dominata dall’inerzia. Da ciò scaturisce un atteggiamento titanico: il poeta si erge solitario a sfidare il fato maligno che ha condannato l’Italia a tanta abiezione. Egli esprime così il suo pessimismo storico: la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, di una decadenza da una condizione originaria di felicità e pienezza vitale (anche se illusorie).
Leopardi concepisce la natura non più come madre amorosa e provvidente, ma come meccanismo cieco e crudele, in cui la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale per la conservazione del mondo. E’ una concezione non più finalistica, ma meccanicistica e materialistica. La colpa dell’infelicità non è più dell’uomo, ma della natura. Adesso muta anche il senso dell’infelicità umana, che da assenza di piacere ora è dovuta soprattutto ai mali esterni a cui nessuno può sfuggire.
Se la causa dell’infelicità è la natura stessa, anche gli antichi erano vittime di quegli stessi mali. Al pessimismo “storico” subentra così un pessimismo “cosmico”: l’infelicità non è più legata ad una condizione storica e relativa dell’uomo, ma ad una condizione assoluta e permanente. Al titanismo e alla poesia civile subentra un atteggiamento contemplativo, ironico, distaccato e rassegnato. Suo ideale non è più l’eroe antico, ma il saggio stoico, caratterizzato dall’atarassia (distacco imperturbabile dalla vita). E’ l’atteggiamento che caratterizza le Operette morali.
In momenti successivi tornerà all’atteggiamento di protesta e di sfida, di lotta titanica, finché al termine della sua vita, con la Ginestra, egli arriverà a costruire una nuova concezione della vita sociale e del progresso.
La poetica del vago e dell’indefinito
Nello Zibaldone Leopardi elabora una vera e propria teoria della visione: è piacevole, per le idee vaghe e indefinite che suscita la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero ecc. perché al posto della vista lavora l’immaginazione e il fantastico subentra al reale. Lo stesso effetto hanno: un filare di alberi che si perde all’orizzonte, una fuga di stanze, il gioco della luce lunare tra gli alberi, sull’acqua ecc. Contemporaneamente viene a costruirsi anche una teoria del suono. Leopardi elenca una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che si disperde in lontananza, un canto che giunge all’esterno dal chiuso di una stanza, lo stormire del vento tra le fronde.
A questo punto della meditazione leopardiana avviene una svolta: la teoria filosofica dell’indefinito si aggancia alla teoria poetica. Il bello poetico per Leopardi consiste nel vago e nell’indefinito, e si manifesta nelle immagini elencate. Queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene quindi essenziale al sentimento poetico. Poetica dell’indefinito e poetica della rimembranza si fondono: la poesia non è che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria.
Gli antichi erano maestri della poesia vaga e indefinita: essi, perché più vicini alla natura, erano immaginosi come fanciulli. I moderni hanno perso questa capacità immaginosa e fanciullesca. Egli riprende la distinzione tra poesia d’immaginazione e poesia sentimentale: ai moderni la poesia d’immaginazione è ormai preclusa e non resta loro che una poesia sentimentale, nutrita di idee, filosofica, che nasce dalla consapevolezza del vero e dall’infelicità.
Leopardi stesso segue puntualmente la poetica del vago e dell’indefinito, quindi, pur essendo conscio di appartenere all’età moderna, non si rassegna a escludere il carattere immaginoso dai suoi versi, così come non si rassegnerà a rinunciare alle illusioni, ma continuerà a nutrire di esse la sua poesia.
Leopardi e il Romanticismo
La formazione del Leopardi era stata rigorosamente classicistica, per cui il Leopardi doveva prendere inevitabilmente posizioni anti-romantiche. Lo fece in due scritti, una Lettera ai compilatori della «Biblioteca italiana» (1816), e un Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica (1818), che non furono pubblicati e rimasero sconosciuti ai contemporanei.
In realtà le sue posizioni sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti. Per lui, la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore immaginoso e fantastico, proprio dei primitivi e dei fanciulli. Per questo è d’accordo con i romantici nella critica al classicismo, al principio d’imitazione, alle regole rigidamente imposte dai generi letterari, all’abuso ripetitivo della mitologia classica. Proprio i classici antichi sono per lui un esempio mirabile di poesia fresca, spontanea, immaginosa. Leopardi ripropone dunque i classici come modelli, ma con uno spirito assolutamente romantico. Si può parlare perciò di un classicismo romantico.
Da questa concezione della poesia come recupero del mondo immaginoso dell’infanzia, che si fonda sul vago, l’indefinito e la rimembranza, discende il fatto che, tra le varie forme poetiche, Leopardi privilegia soprattutto quella lirica, intesa come espressione immediata dell’io, della soggettività e dei sentimenti, come canto. Leopardi si contrappone alla scuola romantica lombarda, che tende a una letteratura oggettiva, realistica, fondata sul vero e animata da un’utilità morale e sociale, ma appare più vicino allo spirito della poesia romantica d’oltralpe. Egli è separato dalla cultura romantica dal suo retroterra filosofico (illuministico, sensistico e materialistico), mentre presupposto del Romanticismo europeo è una visione del mondo idealistica e spiritualistica. Ma è comunque vicino ad esso per una serie di motivi ricorrenti: la tensione verso l’infinito, l’esaltazione dell’io e della soggettività, il titanismo, l’enfasi posta sul sentimento, il conflitto illusione-realtà, l’amore per il vago e l’indefinito, il culto della fanciullezza e del primitivo come momenti privilegiati dell’esperienza umana, il senso tormentato del dolore cosmico.
Il primo Leopardi: le Canzoni e gli Idilli
Il periodo successivo alla conversione «dall’erudizione al bello» del 1816, fino alla grande crisi del 1819, è ricco di esperimenti letterari, che si rivolgono in direzioni molto diverse, molti dei quali rimangono puri progetti o abbozzi presto abbandonati. Da questo fermento di prove nascono due soli gruppi di poesie mature, che vengono pubblicate: le Canzoni e gli Idilli.
Le Canzoni furono composte tra il 1818 e il 1823, e pubblicate a Bologna nel 1824. Si tratta di componimenti di impianto classicistico, scritte nel linguaggio aulico e sublime della tradizione, nei quali è evidente l’influenza di Alfieri e Foscolo. Le prime cinque (All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone), affrontano una tematica civile. Alla loro base vi è il pessimismo storico, la polemica contro l’età presente, alla quale si contrappone l’esaltazione delle età antiche.
La più significativa è Ad Angelo Mai (1820), una vera e propria summa dei temi leopardiani di questo periodo: oltre alla polemica contro l’età presente e l’esaltazione dell’antichità, vi compare il motivo del «caro immaginar» e dei «leggiadri sogni», che sono dissolti dalla conoscenza razionale del «vero», che accresce solo il senso del nulla e della noia.
Caratteristiche diverse hanno il Bruto minore e l’Ultimo canto di Saffo. Leopardi non vi parla più in prima persona, ma tramite due personaggi dell’antichità, entrambi suicidi, Bruto e Saffo. Il pessimismo storico giunge a una svolta: si delinea l’idea di un’umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Non incolpa ancora la natura, ma gli dei e il fato. Ad essi si contrappone l’eroe, che si ribella alla forza crudele che l’opprime esprimendo la propria libertà con il gesto estremo del suicidio (titanismo eroico).
Alla Primavera è una rievocazione nostalgica delle «favole antiche», di quella visione fanciullesca e immaginosa che era propria dell’antichità, e che i moderni hanno perduto definitivamente.
L’Inno ai Patriarchi, l’unico degli Inni cristiani portato a compimento, è una rievocazione dell’umanità primitiva, felice nella sua ingenuità.
Alla sua donna è dedicata a un’immagine ideale, platonica, della donna, creata dalla sua mente.
Gli Idilli presentano un carattere molto diverso, sia nelle tematiche, intime ed autobiografiche, che nel linguaggio, che è più colloquiale e semplice. Con quel titolo Leopardi designò alcuni componimenti, scritti tra il 1819 e il 1821 (L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, Lo spavento notturno, La vita solitaria) e pubblicati nel 1825 sulla rivista «Il Nuovo Ricoglitore» e nel 1826 con il nome di Versi. Questi idilli non hanno più nulla a che fare né con la tradizione bucolica classica né con la moderna definizione di idillio, inteso come rappresentazione di scene della vita quotidiana di personaggi di mediocre condizione, segnate da una tranquilla serenità. Leopardi definì gli idilli come espressione di «sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo». Negli idilli, dunque, la rappresentazione della realtà esterna, delle scene di natura serena, è tutta in funzione soggettiva: Leopardi vuole rappresentare i momenti essenziali della propria vita interiore.
Esemplare è l’Infinito (1819), in cui compare una situazione che può ricordare l’idillio classico, ma non è lo scenario di una semplice quiete contemplativa e rasserenante, ma lo spunto per una meditazione lirica sull’idea di infinito nata dall’immaginazione, a partire da sensazioni visive e uditive.
Alla luna (1820) affronta il tema della ricordanza che, con l’immaginazione, trasfigura il reale e l’abbellisce, anche se la realtà è triste e angosciosa.
La sera del dì di festa (1820) prende l’avvio da un notturno lunare, ma poi trapassa ad una confessione disperata dell’infelicità e dell’esclusione dalla vita patite dal poeta, per approdare ad una vasta meditazione sul tempo che cancella ogni traccia umana.
La vita solitaria (1821) è un componimento folto di motivi, che culmina in un momento di «estasi» negativa, in cui l’io individuale si annulla nella contemplazione di una natura assolutamente immobile e silenziosa.
Il sogno (1821) è un colloquio con una fanciulla morta, e affronta il motivo della giovinezza spezzata e delle illusioni non realizzate.
Le Operette morali
Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico che durerà fino alla primavera del ’28. Egli stesso lamenta la fine delle illusioni giovanili, lo sprofondare in uno stato d’animo di aridità e di gelo, che gli impedisce ogni moto dell’immaginazione e del sentimento.
Le Operette morali quasi tutte composte nel 1824 sono prose di argomento filosofico. Leopardi vi espone il “sistema” da lui elaborato attraverso una serie di invenzioni fantastiche, miti, allegorie, paradossi, apologhi, canti lirici in prosa. Molte delle operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono creature immaginose, personificazioni, personaggi mitici, altre volte sono personaggi storici mescolati con esseri bizzarri o fantastici. In alcune operette l’interlocutore principale è proiezione dell’autore stesso. Altri dialoghi hanno forma narrativa, oppure sono racconti filosofici, prose liriche, raccolte di aforismi paradossali, o discorsi che si rifanno alla trattatistica classica.
Da questa rassegna risulta la varietà dell’invenzione fantastica di Leopardi, che si concentra intorno ai temi fondamentali del pessimismo: l’infelicità inevitabile dell’uomo, l’impossibilità del piacere, la noia, il dolore, i mali materiali che affliggono l’umanità. Con tutto questo non si ha un’impressione di cupezza, grazie allo sguardo fermo e lucido e al distacco ironico con cui Leopardi contempla il «vero».
I grandi idilli
Nell’aprile del 1828 Leopardi assiste a un «risorgimento» delle sue facoltà di sentire, commuoversi e immaginare, e lo saluta con un componimento, Il Risorgimento. Pochi giorni dopo nasce A Silvia. Successivamente compone Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, il Passero solitario.
Questi componimenti riprendono temi, atteggiamento, linguaggio degli “idilli” del 19-21: le illusioni e le speranze, proprie della giovinezza, le rimembranze, quadri di vita borghese e di natura serena e primaverile, la suggestione di immagini e suoni indefiniti, il linguaggio limpido e musicale. Questi componimenti non sono la semplice ripresa della poesia di dieci anni prima, ma nel mezzo si collocano esperienze decisive, la fine delle illusioni giovanili, l’acquisita consapevolezza del «vero», la costruzione di un sistema filosofico fondato su un pessimismo assoluto. I grandi idilli sono percorsi da immagini liete, ma queste immagini sono come rarefatte, assottigliate, e perdono ogni corposità fisica e materiale; create dalla memoria, si accampano sullo sfondo del nulla, sono accompagnate costantemente dalla consapevolezza del dolore, del vuoto dell’esistenza, della morte. Il poeta non usa più l’endecasillabo sciolto, ma una strofa di endecasillabi e settenari che si susseguono liberamente.
L’ultimo Leopardi
L’ultima stagione leopardiana, che si colloca dopo il ’30, segna una svolta di grande rilievo rispetto alla poesia precedente. Dopo il distacco rassegnato e ironico della fase delle Operette, dopo il ripiegamento sull’io e il recupero dell’età giovanile proprio dei grandi idilli, Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini e i problemi del suo tempo.
L’apertura si verifica anche sul piano umano. Nasce a Firenze l’amicizia con Antonio Ranieri, e la prima vera esperienza amorosa di Leopardi, un’autentica passione per una dama fiorentina, Fanny Targioni Tozzetti. La delusione cocente subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine dell’«inganno estremo», che aveva creduto eterno: l’amore. Dalla passione e dalla delusione nasce il “ciclo di Aspasia”. Il ciclo è costituito da cinque componimenti, scritti fra il 1833 e il 1835: Il pensiero dominante, Amore e Morte, Consalvo, Aspasia e A se stesso. Se si esclude Consalvo (novella sentimentale in versi), si tratta di una poesia profondamente nuova, lontanissima da quella idillica: si ha una poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili, fatta di puro pensiero; vi compaiono atteggiamenti energici, eroici; il linguaggio si fa aspro, antimusicale, la sintassi complessa e spezzata.
In questo periodo si instaura un rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo. E’ una nuova forma di impegno, negativo e polemico. La critica leopardiana si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento della vita umana grazie ad esso; si scaglia inoltre contro le tendenze di tipo spiritualistico e neocattolico che inneggiano al posto privilegiato destinato da Dio all’uomo nel cosmo. A queste ideologie Leopardi contrappone le proprie ideologie pessimistiche che escludono ogni miglioramento della condizione umana, essendo l’infelicità e la sofferenza dati immutabili ed eterni. Allo spiritualismo di tipo religioso, che cerca consolazione nell’aldilà, egli contrappone il suo duro materialismo che esclude ogni speranza in un’altra vita.
Questa polemica è condotta attraverso varie opere:
La Palinodia al marchese Gino Capponi (1831), inclusa nei Canti, è una sorta di satira di sapore pariniano nei confronti di una società moderna fiduciosa nel progresso.
Una svolta essenziale si presenta con la Ginestra (1836), il testamento spirituale di Leopardi, la lirica che idealmente chiude il suo percorso poetico. Il componimento ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa, ma qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile: la consapevolezza della reale condizione umana, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi per combattere la sua minaccia; e questo legame può far cessare le sopraffazioni e le ingiustizia della società. La filosofia di Leopardi si apre qui ad una generosa utopia, basata sulla solidarietà fraterna degli uomini, che nasce a sua volta dalla diffusione del «vero». La Ginestra, sul piano letterario, è anche la massima realizzazione di quella nuova poetica antidillica sperimentata dal ’30 in poi.
INGLESE
CHARLES DICKENS
Charles Dickens is one of the most popular writers of all time. His life is rather like one of his books, full of happy and sad situations. He was born near Portsmouth, England in 1812, and then the family moved to London. He was one of eight children. His father was a clerk, so they were very poor. Charles was taught to read by his mother. He loved books, but his parents did not have enough money to send him to school for long. At the age of twelve he went to work in a factory, and he hated the job. Then his father was sent to prison because he owed people money. Dickens wrote about these unhappy times later, in many of his stories. He did not want to stay poor for ever. He taught himself shorthand and became a reporter in Parliament.
Dickens had his first success as a writer with The Pickwick Papers. By the age of twenty-four he was already famous; he stayed famous until he died. In 1836 he married Catherine Hogarth, and they had ten children. They found it more and more difficult to live together, though, so in 1858 they moved to different homes. As well as his writing, Dickens had a number of other interests. He gave a lot of time to things that he believed in. He fought, for example, for changes to laws and to prisons. In the end his health suffered, and he died in 1870.
Dickens wrote different kinds of books, fiction and no-fiction. His fictional works are above all great stories, but they also show clearly the problems of poorer people at that time. One of his most famous early books is Oliver Twist, which tells of the adventures of a small boy in London’s criminal world. It also tells of the terrible places where poor people had to live. Nicholas Nickleby paints a memorable picture of bad schools which made their owners rich. A Christmas Carol is one of Dickens’s “Christmas books”, about a rich man who cannot spend money. Scrooge learns, by the end, about the message of Christmas and becomes happy by giving money away. Great Expectations is the story of a boy growing up and his dreams for the future. These books are both funny and sad, but Dickens’s later works are much darker. In Hard Times, Little Dorrit and Our Mutual Friend we see people at their worst. Bleak House shows us the cruelty and stupidity of the law.
Dickens began writing David Copperfield in 1849. It is the story of David’s adventures as a child and as a man. It also shows people’s suffering- the suffering of children, for example, in schools and at work. many of the situations are taken straight from Dickens’s own young life. From the start the book was very popular with readers.
The story begins happily. David Copperfield grows up in a loving home with his mother and their servant and friend, Peggotty. But David’s life changes when his mother marries Mr Murdstone, who does not like him and is cruel to him. At school David finds more cruelty. Here he becomes friends with the proud, good-looking Steerforth. David finds some happiness in Yarmouth, staying with Peggotty’s brother and his relatives. Other people also become important in David’s life: Mr Micawber, who always owes money, the “very humble” Uriah Heep, beautiful Dora, and sweet Agnes Wickfield.
SISTEMI
L’AZIENDA E L’ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE
Sino al 1700 le innovazioni furono orientate sostanzialmente all’aumento della produttività mentre le tecniche di produzione non variarono. Le attività industriali (tessili, siderurgiche e meccaniche) avevano luogo nelle botteghe artigiane che erano basate sul lavoro manuale (poco produttivo) e dotate di strumenti molto semplici di antica concezione.
La rivoluzione industriale mutò notevolmente il panorama. La moltiplicazione delle invenzioni accrebbe la produzione per operaio facendo diminuire i costi; iniziava così, l’era dei consumi di massa.
L’ottocento allargò i settori produttivi andando al di là di quelli tradizionali e operò il collegamento tra i rami più avanzati dell’industria e la scienza pura.
Grande impulso venne pure dalla scoperta dell’elettricità che fu applicata con un elevato rigore scientifico. Così pure l’industria chimica, avendo ereditato un elevato bagaglio di esperienze, cominciò a svilupparsi in diversi settori: concimi, coloranti, medicinali, fibre sintetiche, materie plastiche ecc..
Ai giorni nostri si assiste allo stravolgimento del concetto di fabbrica a cui si era abituati. Questi processi legati ad innovazioni scientifiche e tecnologiche portano a mutazioni paragonabili a quelle verificatisi nella rivoluzione industriale. L’insieme di queste innovazioni è definito automazione.
Per automazione s’intendono tutti quei dispositivi e mezzi che rendono automatico il funzionamento di un processo.
Il termine organizzazione industriale viene associato alla razionalizzazione del sistema produttivo con lo scopo di renderlo più efficiente. Un concetto così esteso finisce per comprendere tutti gli elementi che costituiscono l’impresa cioè la sua struttura generale.
La sua nascita risale alla fine del secolo XIX quando la diversificazione delle fonti energetiche diffuse nelle aziende la presenza delle macchine. Le varie attività produttive si incrementavano senza diminuzione dei costi di produzione.
Il problema si manifestò nella sua ampiezza quando raggiunto l’equilibrio tra la produzione e la domanda, si presentò la necessità del confronto con la concorrenza e con l’esportazione. A questo punto per sopravvivere bisognava divenire competitivi e questo era possibile riducendo i costi di produzione, era necessario cioè riorganizzarsi.
E’ questa l’esigenza che fa innalzare l’organizzazione industriale al ruolo “Scienza dell’organizzazione del lavoro” con i vari studi di Federich W. Taylor, Henry Fayol ed Henry Ford.
Secondo Taylor i fattori che influenzano la produzione possono essere riassunti in mezzi di lavoro e uomini. Egli inoltre, studiò approfonditamente i mezzi, occupandosi tra l’altro dei parametri che influenzano la durata degli utensili e della razionale utilizzazione delle macchine. Per quanto riguarda gli uomini analizzò i movimenti necessari ad eseguire le diverse operazioni, misurò la durata di ogni movimento, ottimizzò i movimenti, eliminando quelli inutili, riducendone così il numero e i tempi di operazione.
Gli operatori scelti in funzione delle attitudini, devono essere educati mediante un’istruzione professionale. La suddivisione delle mansioni prevede l’individuazione delle funzioni base presenti in azienda e l’assegnazione di un esperto a ciascuna di esse.
L’opera di Fayol è complementare a quella di Taylor. Mentre Taylor si occupò dell’ottimizzazione dei processi produttivi Fayol teorizzò la scienza dell’amministrazione propugnando la sua diffusione mediante l’insegnamento. Individuò nell’attività di un’azienda di tipo industriale sei funzioni: tecnica, commerciale, finanziaria, di sicurezza, contabile e amministrativa. Essa non competeva solo al capo, già responsabile della guida dell’impresa, ma doveva essere diversamente distribuita ai componenti dell’azienda proporzionalmente alla posizione occupata nella scala gerarchica. Un’altra regola, tra le più importanti proposte da Fayol, dice che l’autorità deve essere sempre presente o rappresentata nell’azienda, cioè in qualsiasi momento nell’azienda ci deve essere una persona che sia in grado di prendere delle decisioni.
Ford si occupò soprattutto di produzione di automobili. I principi fondamentali che ispirarono la sua attività possono essere sintetizzati nel modo seguente: le attività produttive devono essere finalizzate a favore della collettività; i dipendenti devono percepire una retribuzione tale da garantire loro la tranquillità sociale; tutto il pubblico è un consumatore, anche il dipendente.
La sua opera principale, nell’organizzazione industriale, consiste nell’introduzione del lavoro a catena: con questo sistema il prodotto viene assemblato in più stazioni di lavoro disposte in serie. La particolarità consisteva nel fatto che il semilavorato non sostava in alcuna stazione di lavoro ma, mentre passava in ciascuna di queste, l’operatore esplicava il suo intervento. I pezzi, sistemati su dei pallets, erano movimenti da un opportuno trasportatore.
Tale innovazione ridusse la durata dei processi di produzione ed ottenne la massima utilizzazione del capitale.
In conclusione si può dire che le sue principali intuizioni siano consentite nel mettere in relazione: la produttività dell’azienda con il guadagno del dipendente e l’allargamento del mercato con l’elevazione dei salari e la riduzione dei costi di produzione.
TECNOLOGIA
MACCHINE UTENSILI A CNC
Il progresso delle tecnologie elettroniche ha rivoluzionato l’industria metalmeccanica.
Grazie alla macchina utensile a controllo numerico è stato possibile ridurre notevolmente i tempi di preparazione della macchina per la lavorazione di pezzi diversi con la semplice sostituzione di un preciso programma memorizzato su supporti magnetici.
La continua evoluzione della tecnologia elettronica non ha risparmiato la macchina utensile, passata dalle prime semplici lavorazioni da punto a punto all’esecuzione di qualsiasi profilo, anche il più complesso, grazie alla delega di tutte le operazioni di calcolo e verifica a un computer: si è così ottenuto il CNC (Controllo Numerico Computerizzato).
Ulteriori passi avanti sono stati fatti correlando all’unità di governo un video che permette di verificare le passate di lavorazione dell’utensile e dei suoi movimenti nel campo di lavoro, il profilo finale, le eventuali collisioni utensile-pezzo, il controllo delle tolleranze, la visualizzazione, all’occorrenza, di eventuali malfunzionamenti di qualche unità.
E’ opportuno illustrare le differenze strutturali tra una macchina utensile tradizionale e una macchina utensile a controllo numerico.
In una macchina utensile tradizionale, quale il tornio, possiamo distinguere 3 sistemi principali:
• sistema di sostentamento, composto da basamento, bancale e relative guide;
• sistema di azionamento a mandrino: motore trifase, cinghie e gruppo testa motrice che racchiude tutti i meccanismi di sostentamento dell’albero del mandrino autocentrante;
• sistema di posizionamento dell’utensile: carro portautensili e relativi volantini di accostamento (con nonii graduati), vite madre e barra scanalata per il movimento uniforme per l’esecuzione della filettatura, per la sgrossatura o per la finitura e varie leve per il cambio di velocità del mandrino e degli avanzamenti dell’utensile.
Con la macchina utensile a controllo numerico computerizzato i primi due sistemi sono rimasti invariati; hanno invece subito una trasformazione elettronica e funzionale tutti i componenti elencati nel terzo.
La macchina utensile a CNC ha subito, cioè, una trasformazione elettromeccanica di tutto il sistema di posizionamento e di controllo dell’utensile e di controllo della rotazione del mandrino.
Il controllo numerico è una tecnica che consente di produrre pezzi finiti e/o semi-finiti utilizzando macchine utensili asservite a un elaboratore di segnali: tale controllo è comunemente detto CNC.
Le funzioni principali di tale elaboratore di segnali sono:
• comando;
• controllo;
• regolazione
Il comando è rappresentato da una sequenza logica di codici alfanumerici che permettono agli organi di lavoro della macchina utensile di eseguire alcuni movimenti necessari alla lavorazione del pezzo. L’insieme ordinato dei comandi determina un programma di lavoro.
Il CNC non ha rivoluzionato il modo di operare delle macchine utensili tradizionali e dei rispettivi utensili, ma ne ha notevolmente migliorato le prestazioni a vantaggio della precisione, della rapidità di posizionamento degli utensili specifici, dell’aumento della produttività e della ripetitività delle operazioni.
I codici a cui fanno riferimento i programmatori sono definiti dalla normativa ISO e sono riportati nelle tabelle seguenti:
SIGNIFICATO
A
Coordinata angolare attorno all’asse X
B
Coordinata angolare attorno all’asse Y
C
Coordinata angolare attorno all’asse Z
F
Velocità di avanzamento
G
Funzione preparatoria
M
Funzione ausiliare
N
Numero di blocco
S
Velocità di rotazione del mandrino
T
Utensile
%
Inizio programma
X
Dimensione del diametro
Z
Dimensione della lunghezza
FUNZIONI AUSILIARI
M00
Arresto programmato
M01
Arresto opzionale
M02
Fine programma
M03
Rotazione mandrino in senso orario
M04
Rotazione mandrino in senso antiorario
M05
Arresto mandrino
M08
Avvio refrigerante
M09
Arresto refrigerante
M19
Orientamento mandrino
M30
Fine programma
M98
Richiamo sottoprogramma
M99
Fine sottoprogramma o ritorno a inizio programma
Codice
FUNZIONI PREPARATORIE
G00
Posizionamento in rapido assi
G01
Interpolazione lineare (a velocità di avanzamento)
G02
Interpolazione circolare in senso orario
G03
Interpolazione circolare in senso antiorario
G04
Sosta temporizzata
G10
Impostazione dati
G17
Selezione piano di lavoro XY
G18
Selezione piano di lavoro ZX
G19
Selezione piano di lavoro YZ
G20
Programmazione in pollici
G21
Programmazione in millimetri
G22
Attivazione zone di controllo
G23
Disattivazione zone di controllo
G25
Disattivazione controllo di velocità mandrino
G26
Attivazione controllo di velocità mandrino
G27
Controllo del ritorno al punto di riferimento
G28
Ritorno al punto di riferimento
G30
Ritorno al secondo punto di riferimento
G31
Salto della lavorazione
G33
Movimento di filettatura
G34
Movimento di filettatura a passo variabile
G36
Compensazione automatica lunghezza utensile in X
G37
Compensazione automatica lunghezza utensile in Z
G40
Cancellazione correzione raggio utensile
G41
Compensazione raggio utensile a sinistra (pezzo a destra)
G42
Compensazione raggio utensile a destra (pezzo a sinistra)
G92
Limitazione velocità massima mandrino
G52
Impostazione sistema di coordinate locali
G53
Selezione coordinate macchina
G54
Cancellazione correzione raggio utensile
G55
Compensazione raggio utensile a sinistra (pezzo a destra)
G56
Compensazione raggio utensile a destra (pezzo a sinistra)
G57
Limitazione velocità massima mandrino
G58
Impostazione sistema di coordinate locali
G59
Selezione coordinate macchina
G65
Richiamo macro
G66
Richiamo macro modale
G67
Cancellazione richiamo macro modale
G68
Attivazione specularità asse Z (seconda torretta)
G69
Disattivazione specularità asse Z (seconda torretta)
G70
Ciclo di finitura
G71
Ciclo di sgrossatura in tornitura (direzione Z)
G72
Ciclo di sgrossatura in sfacciatura (direzione X)
G73
Ciclo di ripetizione del profilo
G74
Foratura a tratti lungo asse Z
G75
Foratura a tratti con utensili motorizzati lungo asse X o gole
G76
Ciclo di filettatura in più passate
G80
Cancellazione cicli fissi
G83
Ciclo fisso di foratura frontale
G84
Ciclo fisso di maschiatura frontale
G86
Ciclo fisso di alesatura frontale
G87
Ciclo fisso di foratura laterale
G88
Ciclo fisso di maschiatura laterale
G89
Ciclo fisso di alesatura laterale
G77
Ciclo di lavorazione diametrale esterno/interno
G78
Ciclo di filettatura
G79
Ciclo di tornitura frontale
G96
Velocità di taglio costante
G97
Velocità di rotazione costante
G94
Avanzamento in unità al giro
G95
Avanzamento in unità al minuto
G90
Programmazione in coordinate assolute
G91
Programmazione in coordinate relative
G98
Ritorno al livello iniziale
G99
Ritorno al livello R
GESTIONE PROGETTI
LEGGE 10/91
“Norme in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”
Al fine di migliorare i processi di trasformazione dell'energia, di ridurre i consumi di energia e di migliorare le condizioni ambientali, le norme della legge 10/91 favoriscono ed incentivano, in accordo con la politica energetica della Comunità economica europea, l'uso razionale dell'energia, il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell'utilizzo di manufatti, l'utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia.
Ai fini della presente legge sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali.
Al fine di incentivare la realizzazione di iniziative volte a ridurre il consumo specifico di energia, il miglioramento dell'efficienza energetica, l'utilizzo delle fonti di energia nella climatizzazione e nella illuminazione degli ambienti, anche adibiti ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico, sportivo ed agricolo, nell'illuminazione stradale, possono essere concessi contributi in conto capitale nella misura minima del 20 per cento e nella misura massima del 40 per cento della spesa di investimento ammissibile documentata per ciascuno dei seguenti interventi:
• installazione di nuovi generatori di calore ad alto rendimento;
• installazione di pompe di calore per riscaldamento ambiente o acqua sanitaria o di impianti per l'utilizzo di fonti rinnovabili di energia;
• installazione di apparecchiature per la produzione combinata di energia elettrica e di calore;
• installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica;
• installazione di sistemi di illuminazione ad alto rendimento anche nelle aree esterne
Al fine di raggiungere quegli obiettivi nel settore agricolo, possono essere concessi alle imprese agricole singole o associate, a consorzi di imprese agricole, contributi in conto capitale per la realizzazione di impianti con potenza fino a dieci megawatt termici o fino a tre megawatt elettrici per la produzione o il recupero di energia termica, elettrica e meccanica da fonti rinnovabili di energia, nella misura massima del 55 per cento della spesa ammessa, elevabile al 65 per cento per le cooperative.
Entro il 30 aprile di ogni anno i soggetti operanti nei settori industriale, civile, terziario e dei trasporti che nell'anno precedente hanno avuto un consumo di energia rispettivamente superiore a 10.000 tonnellate equivalenti di petrolio per il settore industriale ovvero a 1.000 tonnellate equivalenti di petrolio per tutti gli altri settori, debbono comunicare al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato il nominativo del tecnico responsabile per la conservazione e l'uso razionale dell'energia.
La mancanza di tale comunicazione esclude i soggetti dagli incentivi della legge.
Sono regolati dalle norme della presente legge i consumi di energia negli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d'uso.
Il proprietario dell'edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare in comune, in doppia copia, insieme alla denuncia dell'inizio dei lavori relativi alle opere, il progetto delle opere stesse corredate da una relazione tecnica, sottoscritta dal progettista o dai progettisti, che ne attesti la rispondenza alle prescrizioni della presente legge.
Nel caso in cui la denuncia e la documentazione non sono state presentate al comune prima dell'inizio dei lavori, il sindaco, fatta salva la sanzione amministrativa ordina la sospensione dei lavori sino al compimento del suddetto adempimento.
La documentazione deve essere compilata secondo le modalità stabilite con proprio decreto dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
Una copia della documentazione è conservata dal comune ai fini dei controlli e delle verifiche.
La seconda copia della documentazione deve essere consegnata a cura del proprietario dell'edificio, o di chi ne ha titolo, al direttore dei lavori ovvero, all'esecutore dei lavori. Il direttore ovvero l'esecutore dei lavori sono responsabili della conservazione di tale documentazione in cantiere.
L'inosservanza dell'obbligo è punita con la sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 2.500 euro.
Il proprietario dell'edificio nel quale sono eseguite opere difformi dalla documentazione depositata è punito con la sanzione amministrativa in misura non inferiore al 5 per cento e non superiore al 25 per cento del valore delle opere.
Nei casi di compravendita o di locazione il certificato di collaudo e la certificazione energetica devono essere portati a conoscenza dell'acquirente o del locatario dell'intero immobile o della singola unità immobiliare.
Il proprietario o il locatario possono richiedere al comune ove è ubicato l'edificio la certificazione energetica dell'intero immobile o della singola unità immobiliare. Le spese relative di certificazione sono a carico del soggetto che ne fa richiesta.
Durante l'esercizio degli impianti il proprietario, o per esso un terzo, che se ne assume la responsabilità, deve adottare misure necessarie per contenere i consumi di energia, entro i limiti di rendimento previsti dalla normativa vigente in materia.
Il proprietario, o per esso un terzo, che se ne assume la responsabilità, è tenuto a condurre gli impianti e a disporre tutte le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria secondo le prescrizioni della vigente normativa UNI e CEI
Il proprietario o l'amministratore del condominio, o l'eventuale terzo che se ne è assunta la responsabilità, che non ottempera tali regole e' punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 2.500 euro.
Qualora soggetto della sanzione amministrativa sia un professionista, l'autorità che applica la sanzione deve darne comunicazione all'ordine professionale di appartenenza per i provvedimenti disciplinari conseguenti.
Il sindaco, con il provvedimento mediante il quale ordina la sospensione dei lavori, ovvero le modifiche necessarie per l'adeguamento dell'edificio, deve fissare il termine per la regolarizzazione. L'inosservanza del termine comporta la comunicazione al prefetto, l'ulteriore irrogazione della sanzione amministrativa e l'esecuzione forzata delle opere con spese a carico del proprietario.
L’ERA DEL PROGRESSO: XIX-XX sec
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