L'idea di progresso

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Testo

Classe 5s2
A.S. 2004/2005

STORIA E FILOSOFIA
L’elemento caratterizzante dei primi cinquant’anni dell’ottocento fu costituito dallo sviluppo delle capacità produttive in Europa sostenuto dalle innovazioni tecnologiche e dalla forte espansione dei settori siderurgico e metallico. L’Europa e in particolare la Gran Bretagna si affermano come il centro produttivo dell’intero sistema e l’elemento chiave della superiorità del Vecchio Continente era da ricercare soprattutto nel suo patrimonio tecnologico e nel modello di sviluppo economico. Dal 1830 per un quarantennio circa il nostro continente conobbe un eccezionale sviluppo economico denominato “Seconda rivoluzione industriale” e caratterizzato da cambiamenti radicali nel settore dei trasporti, dalla diffusione della macchina a vapore, dalla meccanizzazione e parcellizzazione del lavoro, dalle nuove forme di finanziamento delle attività produttive, dall’incremento demografico, dall’urbanizzazione e dalla ricerca insistente di nuovi mercati. La Gran Bretagna si confermò come il Paese di gran lunga più industrializzato e nessuno degli altri Stati europei era in grado di competere con essa sul piano economico, poiché aveva accumulato un vantaggio di mezzo secolo nel processo di industrializzazione. Ma l’esempio dell’Inghilterra fu seguito dalla Francia, dal Belgio, dalla Germania e dall’Austria che nel giro di qualche decennio migliorarono incredibilmente le loro capacità produttive. Tutti i settori subirono grosse trasformazioni dovute al rapido rinnovamento tecnico e quindi aumentarono notevolmente la produzione di beni. La crescita straordinaria e l’espandersi del processo di industrializzazione in quasi tutta l’Europa ebbero nella rivoluzione dei trasporti un fattore determinante; infatti si costruirono circa 75000 km di strade ferrate favorendo cosi il sorgere della domanda di ferro e di carbone ed inoltre si potenziarono le comunicazioni via mare in cui furono impiegati giganteschi scafi d’acciaio. La tecnologia ferroviaria permise il trasporto più veloce di merci e di passeggeri, favorì il raggiungimento di nuovi mercati per la vendita dei prodotti industriali ed agricoli, determinò la crescita continua della domanda di materie prime necessarie per la costruzione di binari, locomotive e vagoni. Alla base di questo slancio economico vi fu la diffusione su vasta scala della macchina a vapore che costituiva quasi il simbolo stesso dell’industrializzazione e che conquistò progressivamente moltissimi settori sostituendo i vecchi metodi di lavorazione. La forte richiesta di forza motrice aumentò lo sviluppo del settore meccanico, concentrato nella produzione di macchinari che erano in grado di azionarne altri. Gli effetti della rivoluzione industriale si avvertirono anche nella vita quotidiana di una popolazione in continuo aumento in quanto le città di estesero a dismisura e l’agricoltura migliorò nella quantità e nella differenziazione delle colture grazie agli apporti della scienza e della tecnica. Non ci furono più crisi alimentari, le attività agricole si collegarono con quelle industriali e commerciali, il reddito nazionale aumentò, si sviluppò rapidamente un commercio internazionale di dimensioni mai raggiunte prima. In questo contesto cosi in continua evoluzione, il progresso evocò immagini immediate di fiducia e di benessere collettivo.
Tale sviluppo tecnologico ed economico fu la condizione storica della genesi e dell’affermazione del Positivismo, la corrente filosofica che egemonizzò la cultura e le idee del XIX secolo. Le conquiste della scienza e la grande fiducia riposta in essa spingono a muovere critiche inflessibili a tutto ciò che appaia come metafisica. All’idea viene contrapposto il fatto empirico, al noumeno il fenomeno, alla riflessione filosofica l’esperienza scientifica. Inoltre al metodo deduttivo viene sostituito quello induttivo che osserva i fatti singoli e per via di comparazione ne determina gli elementi costanti, i caratteri comuni risalendo infine alle leggi generali che li governano. Il Positivismo, richiamandosi al dato concreto perciò positivo e alla ricerca sperimentale, sostiene la superiorità della scienza, elabora classificazioni tra le scienze particolari che vede tutte legate tra loro in una scala ascendente verso un ultimo grado di conoscenza esaustiva e perfetta. Sicura del proprio trionfo la scienza si pone a fondamento di un indefinito ottimistico progresso invitando implicitamente ad affrontare in modo scientifico anche i problemi della vita sociale. Il padre del Positivismo Auguste Comte fu il primo che formulò l’idea di progresso in chiave positivistica. Comte applica l’idea di evoluzione alla storia umana e sostiene che lo sviluppo storico attraversa tre stadi ascendenti: quello teologico o fittizio, quello metafisico o astratto e quello positivo o scientifico. Nel primo stadio l’uomo spiega i fenomeni ricorrendo ad entità sovrannaturali e sul piano politico obbedisce ad autorità militari. Nel secondo stadio l’uomo sostituisce le identità sovrannaturali con le forme astratte della riflessione filosofica e si ribella alle autorità costituite. Nel terzo ed ultimo stadio spiega scientificamente i fenomeni individuandone le cause ed inoltre da vita ad un nuovo tipo di stato basato sull’industria ed il governo degli scienziati. L’ultimo stadio secondo Comte deve essere ancora portato ad uno sviluppo completo, ma esso determina la caduta dei vecchi pregiudizi ed il trionfo della scienza. Scienziati ed industriali sanno connettere la teoria con la pratica e possono perciò assumere la guida del mondo. La storia per Comte è un progresso necessario il cui motore è l’incremento della conoscenza ed il cui compimento è la realtà presente. Comte considera indici del progresso storico la scienza e la tecnica e propone perciò la sua concezione di progresso storico come lo sviluppo della scienza e della tecnica destinato a realizzarsi prevalentemente nell’età presente. La concezione comtiana della storia fu ripresa e rielaborata dal positivista inglese Herbert Spencer. La società umana per Spencer è un organismo composto da famiglie ed individui e come tale è soggetta alle leggi dell’evoluzione. L’idea di evoluzione trapassa dall’ambito biologico a quello della vita mentale dell’uomo e dell’organizzazione sociale: l’evoluzione avviene attraverso il continuo passaggio da uno stato caotico ed indefinito ad uno coerente ed ordinato, dall’istinto alla ragione, dalla totale subordinazione dell’individuo nei confronti delle circostanze ad un suo più equilibrato adattamento a queste. Poiché la legge dell’evoluzione agisce naturalmente dall’interno Spencer, a differenza di Comte, ritiene che il progresso sociale sia del tutto spontaneo e che l’intervento statale sia controproducente. La nuova civiltà industriale, in virtù della selezione del migliore a beneficio dell’insieme, è manifestazione di progresso: gli individui particolari si integrano totalmente nella sua unità armonica e finiscono per poter fare a meno delle stesse istituzioni dello stato. Nel corso della storia Spencer individua due fasi: quella del regime militare e quella del regime industriale. La prima è caratterizzata dal predominio del potere statale sugli individui, invece la seconda si basa sull’autonoma iniziativa degli individui ed il reciproco riconoscimento dei diritti. Il regime industriale è appena cominciato e deve essere portato a compimento, ma Spencer prefigura un futuro terzo modello di società improntato sempre sulla libera iniziativa individuale, ma non più mossa da interessi egoistici, bensì solo da fini altruistici.
ITALIANO
Dal Positivismo il Carducci riprese l’interpretazione generale del mondo dominato da leggi fisiche e l’idea che ragione e scienza dovevano servire all’uomo per comprendere la natura, distruggere le false credenze sovrannaturali e guidarlo alla conquista del progresso e della libertà. La prima importante affermazione di questa nuova ideologia è l’inno a satana composto nel 1863. Satana vi è celebrato come il simbolo del libero pensiero che guida gli uomini sulla via del progresso e della ribellione. L’inno, poeticamente mediocre, segna un netto distacco del Carducci dalla sua precedente poesia, rivolta soprattutto all’imitazione dei classici italiani e latini. L’inno che fu definito poi dallo stesso poeta una “volgare chitarrata” rappresenta il primo affermarsi polemico della personalità carducciana. Tanto è vero che vi appaiono quasi tutti i temi polemici del Carducci: l’esaltazione della vita, l’amore, il vino, l’odio all’ascetismo medievale, la celebrazione della storia umana, il vapore come simbolo della vita moderna, dell’industria e del lavoro. L’inno più che una lirica è tutto un programma polemico con il quale il poeta annuncia lo sforzo generoso di rigenerare la vita con la poesia. Satana è il progresso, la ribellione, la forza vindice della ragione, la gioia di essere liberi da ascetismi e rinunce. L’esaltazione del progresso, identificato con il treno e con satana, è contrapposto allo spirito clericale e costituisce un esempio del fervore aggressivo del poeta. Il treno è visto come “un bello e orribile mostro”, come un salutare antidoto alla reazione religiosa nemica del progresso. Già dopo una decina di anni la prospettiva è cambiata. Il treno è “empio mostro” che lo separa dalla donna da lui amata ed è considerato in opposizione radicale ai valori dell’intimità e della classicità, dell’amore e della bellezza. Nella lirica “Alla stazione una mattina d’autunno” il progresso tecnico e la vita moderna sono respinti in quanto sinonimi di vuotezza e di tedio. Venuto meno l’entusiasmo combattivo e polemico che nel 1863 induceva Carducci ad accettare la modernità assumendola come cavallo di battaglia contro le forze reazionarie, ora il poeta è tutto rivolto a difendere dall’industrializzazione avanzante un mondo interiore che sta per essere travolto da quel mostro metallico che sbarra gli occhi fiammeggianti, che va sbattendo le ali e trascina i carri del nero convoglio.
LATINO
Negli anni del ritiro quando Seneca ebbe il tempo di dedicarsi sistematicamente alla filosofia compose le “Naturales quaestiones”, un trattato di scienze naturali in sette libri dedicato a Lucilio. Gli antichi facevano rientrare nel campo della filosofia anche le scienze naturali, considerate pertinenti alla fisica e una delle parti della filosofia insieme alla logica e alla morale. Il trattato ha carattere spiccatamente dossografico: l’autore svolge i singoli argomenti riportando e discutendo le opinioni di vari filosofi e scienziati greci, attingendo ampiamente a manuali e a repertori scientifici. Nella vastità dei contenuti, Seneca, in coerenza con l’impostazione di fondo che subordina all’etica ogni altro interesse e considera degno di ricerca solo ciò che può risultare moralmente utile, si propone uno scopo essenzialmente morale; infatti il filosofo mira a liberare gli uomini dai timori che nascono dall’ignoranza dei fenomeni naturali e ad insegnare il retto uso dei beni messi a disposizione dalla natura. In molti passi Seneca deplora più volte che la stragrande maggioranza degli uomini trascura lo studio della natura per dedicarsi ad occupazioni moralmente inutili o nocive e inoltre l’autore non perde occasione per biasimare la tendenza ad utilizzare le conoscenze scientifiche e i ritrovati della tecnica in funzione di un accrescimento dei vizi e della corruzione. Viene esaltata più volte la ricerca scientifica considerata il mezzo con cui l’uomo può innalzarsi al di sopra di ciò che è puramente umano ed elevarsi fino alla conoscenza delle realtà divine. Il filosofo si augura che gli uomini si impegnino maggiormente nello studio dei fenomeni naturali ed esprime la certezza che in un futuro sia pur molto lontano il progresso scientifico porterà alla luce verità ancora ignote. Seneca è convinto che in ragione della ricerca, molte cose che noi ancora ignoriamo saranno conosciute dalla gente dell’evo futuro e molto è riservato a generazioni ancor più lontane da noi nel tempo. Nella chiusa dell’opera l’autore conclude affermando che il mondo sarebbe una ben piccola cosa se in esso tutto il mondo non trovasse materia per le sue ricerche. Il concetto di scienza per Seneca è subordinato alla morale, ma piena è la fiducia del filosofo nei progressi della scienza stessa che porterà alla luce verità sinora nascoste. L’uomo deve penetrare nei misteri della natura con animo improntato a grande modestia e con la coscienza del carattere provvisorio di qualsiasi nostra osservazione perché la natura non svela tutto insieme i suoi misteri e molti ne lascerà irrisolti. Resta comunque fondamentale la fiducia nelle conquiste progressive della scienza che consentirà di penetrare a fondo gli aspetti più straordinari e meravigliosi dell’universo.
MATEMATICA
Nel secolo XIX Gauss compì le prime ricerche riguardanti la geometria differenziale e in questo modo aprì la via verso la creazione delle geometrie non euclidee. Tali sistemi geometrici sono basati su postulati che contraddicono il V postulato di Euclide sulle rette parallele che è cosi formulato: in un piano, per un punto esterno a una retta passa una e una sola retta parallela a quella data. Molteplici furono i tentativi nel corso di due millenni di dimostrare il V postulato euclideo, ma solamente nel XIX il problema trovò una soluzione grazie al matematico russo Lobacevskij. Partendo dall’idea che lo spazio fisico potesse avere proprietà diverse rispetto a quelle presupposte da Euclide, Lobacevskij fondò una nuova geometria improntata non più sugli enti ideali ma su oggetti geometrici. Il matematico russo riuscì a costruire una geometria in cui una retta avesse più parallele per un punto esterno ad essa attraverso una serie di teoremi che resero tale teoria geometrica logicamente coerente e priva di contraddizioni. Tuttavia la geometria di Lobacevskij non è in contraddizione con quella euclidea, anzi ne costituisce una generalizzazione.
Nel 1854 Riemann costruì un altro tipo di geometria in cui il postulato delle parallele è sostituito dal seguente: dati in un piano una retta ed un punto che non vi appartenga, ogni retta che passa per il punto interseca la retta data. La teoria geometrica di Riemann è un sistema in cui cade il postulato di esistenza della parallela; infatti l’assioma della parallela di Euclide afferma sia l’esistenza che l’unicità della parallela. Riemann mette in discussione l’esistenza, mentre Lobacevskij mostra che si possono costruire geometrie in cui non vale l’unicità. Una sistemazione definitiva di tale argomento venne fatta da Klein che classificò le geometrie secondo tre classi fondamentali: la geometria euclidea, la geometria ellittica di Riemann e la geometria iperbolica di Lobacevskij.
Le geometrie non euclidee hanno importanti applicazioni in numerosi campi della matematica e della fisica e perciò devono essere accettate con lo stesso grado di veridicità logica della geometria di Euclide.
FISICA
Einstein si propose di rifondare da capo la fisica in quanto era in lui molto forte la volontà di risolvere le contraddizioni tra la meccanica e l’elettromagnetismo riguardo la velocità della luce basandosi sulla non esistenza del tempo assoluto. Lo scorrere del tempo è infatti “relativo” e dipende dal moto del sistema in esame rispetto ad un dato osservatore. La spiegazione e il superamento di queste contraddizioni vennero pubblicate dallo scienziato tedesco nel celebre scritto “Sull'elettrodinamica dei corpi in moto” (1905), in cui veniva enunciata la teoria della relatività einsteiniana. Tale teoria venne formulata in due riprese, la relatività ristretta e la relatività generale intesa come un’estensione della precedente. La relatività ristretta consta di due assiomi: il primo per cui le leggi e i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali; il secondo per cui la velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali in moto indipendente dal moto del sistema stesso o della sorgente da cui la luce è emessa. Il primo assioma era un’estensione del principio di relatività di Galileo, valido per i soli fenomeni meccanici, a tutti i fenomeni fisici. Il secondo assioma permise ad Einstein di spiegare nel modo più semplice il risultato negativo dell’esperimento compiuto da Michelson e Morley. I due studiosi si aspettavano di vedere sullo schermo i massimi ed i minimi della figura d’interferenza mentre invece l’esperimento non rivelò alcuna variazione nella figura in quanto la teoria dell’etere luminifero era inadatta a descrivere il comportamento della luce. Il secondo postulato è invece pienamente confermato dal risultato dell'esperimento di Michelson e Morley, secondo cui la velocità della luce è indipendente dal moto della sorgente. Successivamente Einstein estese il principio della relatività ristretta, grazie al principio di equivalenza, permettendo così anche la descrizione dei fenomeni gravitazionali. Secondo il principio di relatività generale le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento. La conseguenza di tale principio fu il superamento della costanza della velocità per cui la luce in un sistema di riferimento accelerato segue una traiettoria curva. La teoria della relatività generale si basa quindi su due idee fondamentali: la presenza di massa incurva lo spazio-tempo e sul fatto che i corpi soggetti alla forza di gravità si muovono seguendo le geodetiche dello spazio-tempo.
BIOLOGIA
La teoria dell'origine delle specie non fu suggerita a Darwin dalle più avanzate ricerche scientifiche, bensì dalle osservazioni eseguite nel corso del suo viaggio sui rapporti fra gli organismi e il loro ambiente naturale e in particolare dal fatto che appariva una sorta di parallelismo fra il variare dell'ambiente e il mutare delle forme animali. Risultava tuttavia che isole oceaniche aventi condizioni ambientali molto simili presentavano una fauna diversa ma affine a quella del continente più vicino. Fondamentale fu poi l'osservazione sulla fauna delle isole Galapagos che, pur essendo vicine l'una all'altra con clima e condizioni fisiche quasi identici, presentano ciascuna marcate differenze in uno stesso gruppo animale che le abita. Tutti questi dati, che in base al principio tradizionale della creazione indipendente di ogni singola specie non trovavano alcuna spiegazione, potevano invece essere interpretati ammettendo il principio che le forme animali si fossero prodotte attraverso una comune discendenza da forme più antiche. Dopo il suo ritorno in Inghilterra, Darwin si impegnò su questo problema cercando di stabilire il meccanismo che poteva aver dato luogo alla variazione delle specie. Determinante a questo proposito fu l'analisi delle pratiche dell'allevamento a opera dell'uomo per cui nel corso dei secoli si erano ottenute nuove forme negli animali domestici scegliendo per la riproduzione i soggetti dotati di particolari caratteristiche. Darwin teorizzò che, analogamente alla selezione artificiale operata dall'uomo, anche in natura dovesse agire un meccanismo simile per effetto di un fattore selettivo che, come gli suggerì la lettura del saggio di T.R. Malthus sull'incremento della popolazione, doveva essere individuato nella lotta incessante per la sopravvivenza all'interno di un dato ambiente. Gli individui di una specie non sono identici ma presentano innumerevoli differenze spesso difficilmente percepibili; alcuni saranno perciò meglio adattati alle loro condizioni di esistenza e sopravviveranno nella competizione con gli altri individui. Condizione necessaria per il sorgere di una varietà e quindi di una nuova specie è che gli individui più adattati possano trasmettere ereditariamente i caratteri vantaggiosi a discendenti e questi a loro volta potranno aumentare il loro grado di adattamento divergendo così notevolmente dai loro progenitori. In base all'ampio materiale raccolto in lunghi anni di lavoro svolse stringenti argomentazioni a sostegno della sua teoria, tra cui assumono particolare rilievo: la lotta per l'esistenza, legata alla reciproca dipendenza dei viventi e concernente non solo la vita degli individui ma anche il fatto che essi lascino una discendenza; la selezione naturale quale risultato di infinite interazioni, operante ovunque se ne offra l'opportunità a volte in modo sconosciuto; l'isolamento geografico e l'ampiezza di una regione geografica quali fattori di un più ampio processo evolutivo. Molti aspetti della geologia, della classificazione, della distribuzione geografica e dell'anatomia furono chiariti e discussi alla luce della nuova teoria. L'esistenza di organi rudimentali, attualmente privi di utilità, viene spiegata come residuo di organi più sviluppati e funzionanti in antichi progenitori, mentre l'assenza di una continuità nelle forme fossili viene interpretata sia ammettendo che molte forme di transizione siano state rapidamente eliminate dalla selezione lasciando scarse tracce di sé, sia riconoscendo la limitatezza delle nostre conoscenze geologiche. Fra i problemi affrontati da Darwin quello più complesso e discusso nei successivi decenni riguarda la natura e l'origine delle variazioni ed è strettamente legato al processo dell'ereditarietà. Non senza esitazioni Darwin accettò la tesi che le variazioni possono sorgere contemporaneamente in più individui dello stesso gruppo per effetto diretto delle condizioni ambientali. La nuova teoria di Darwin, oltre a rivoluzionare tutto il settore delle scienze biologiche, ebbe grande influenza in campo culturale e filosofico e rese possibile il graduale superamento del principio della creazione e della concezione della finalità dei processi biologici quale testimonianza di un disegno provvidenziale di Dio contrapponendo efficacemente il principio materialistico che l'ordine può sorgere dal disordine, che il caso, o meglio l'interazione necessaria dei processi, può produrre nuovi e più elevati livelli di organizzazione. La conseguenza più sconvolgente della nuova teoria era comunque la discendenza dell'uomo da un progenitore affine alle scimmie.
Il XX secolo, con le tragiche crisi storiche che ne hanno segnato lo svolgimento, ha coinciso con un netto declino della fortuna teorica dell'idea di progresso derivata dal positivismo determinando l’approdo al relativismo. Questa è stata messa in discussione non solo dalle varie correnti di irrazionalismo e di antistoricismo ma anche da alcuni suoi sviluppi: per l'essere spesso servita a imporre in modo distorto il problema del mutamento dei rapporti sociali, economici e culturali all'interno delle società moderne e tra forme di società diverse, o per aver fornito la copertura a ideologie mutuate dalle scienze biologiche come l'evoluzionismo di Darwin. Si tende così ora a considerare le teorie del progresso elaborate dalla fine del Seicento ai primi decenni del Novecento come uno dei più grandiosi e tenaci miti dell'età moderna, espressione di una fase specifica della civiltà europea, legata all'incrollabile fiducia dell'uomo nella capacità di controllare il mondo della natura e della società, di realizzare una rapida e apparentemente inarrestabile espansione economica e di imporre al mondo le forme rappresentative di governo come le migliori possibili.

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