Soren Kierkegaard

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia
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Testo

Soren Kierkegaard
Sui compiti della filosofia
Periodo storico Kierkegaard vive nella prima metà dell’Ottocento. Fu un filosofo cristiano, fatto inusuale per quel periodo. La sua filosofia fu più stravagante di quella di Schopenhauer. Visse e morì sconosciuto, ma fu il precursore dell’esistenzialismo. Inoltre fu un filosofo poeta, non scrisse mai trattati filosofici, ma le sue teorie vanno ricercate nei suoi testi.
Il compito della filosofia La prima tesi di Kierkegaard riguarda il compito della filosofia. Egli rifiuta la dottrina hegeliana e in generale tutte le dottrine classiche perché finora questa hanno affrontato i problemi dell’uomo da un punto di vista generale, dell’umanità, delle sue caratteristiche comuni. Egli afferma l’istanza del singolo, dell’essere umano che non deve essere assorbito nell’umanità. Il singolo è il fulcro di quello che deve essere lo studio filosofico e per questo uno studio oggettivo dell’uomo è sbagliato. Il compito della filosofia è quello di comprendere i problemi dell’uomo soggettivamente, perché soltanto così si può arricchire la vera conoscenza del genere umano.
Le scelte e la fede Alla base della vita di ogni singolo essere umano stanno le scelte, le possibilità. Kierkegaard è il primo filosofo che mette in luce il carattere negativo e paralizzante che possono avere le scelte su un uomo. Infinite sono infatti le scelte che l’uomo compie nella sua vita, anche inconsapevolmente e per ognuna di queste scelte l’uomo non può avere una visione completa delle conseguenze, in quanto le conseguenze di tutte le sue scelte sono influenzate dalle scelte di tutti. Le scelte possono essere quindi un fattore paralizzante nella vita di un uomo, quando questi non riesce a compierle non potendo avere una visione completa delle conseguenze. Le scelte hanno inoltre un carattere negativo in quanto vengono effettuate senza la consapevolezza degli effetti, che possono essere positivi e negativi, che possono essere rivoluzionarie per la vita del singolo. Questa paralisi di fronte alle scelte è descritta da Kierkegaard come il “Concetto dell’Angoscia”.
Nell’analisi della vita Kierkegaard cerca di chiarire le scelte fondamentali che si offrono all’uomo e le alternative dell’esistenza che si delineano in base alle scelte compiute dai soggetti. Chi però non riesce a compiere delle scelte, come si ritiene Kierkegaard, rimane al di fuori di queste alternative ed assume un valore contemplativo della vita.
Basilare nella sua dottrina è la fede cristiana, nell’aiuto soprannaturale della quale vede l’unico modo di sottrarre l’uomo dall’Angoscia, dall’incapacità di scegliere, dalla disperazione.
Egli quindi riconduce la vita di ogni essere umano a tre modelli fondamentali:
➢ vita estetica (goditi la vita): sul modello edonista essa si basa sul raggiungimento del piacere.
➢ vita etica (scegli il bene): sul modello kantiano essa si basa sull’essere buono.
➢ vita religiosa (abbi fede)
Ogni uomo, per quanto poco intelligente o socialmente discriminato, ha bisogno di dare un senso alla propria vita e quindi ricondursi ad una di queste tre alternative di esistenza.
Sulla concezione estetica della vita
Concezione estetica della vita Le nostre scelte e quindi la vita che conduciamo dipendono dallo scopo che diamo alla vita. Chi segue una vita estetica ha deciso dentro di sé che il fine ultimo dell’uomo è quello di “godersi la vita”. Esistono naturalmente molti tipi di vita estetica che Kierkegaard divide in stadi, poiché “godersi la vita” può assumere significati diversi:
➢ I° stadio: salute e bellezza fisica; secondo questa concezione della vita la salute è il bene più prezioso e quindi la bellezza fisica con essa.
➢ II° stadio: ricchezza, onore, nobiltà o amore; secondo questa concezione il fine della vita è la ricchezza o l’onore o la nobiltà o l’amore.
➢ III° stadio: sviluppare i propri talenti naturali; il fine ultimo è quello di sviluppare i propri talenti naturali.
➢ IV° stadio: appagare i propri desideri; questa concezione pone il fine supremo non nella realizzazione di un desiderio particolare come negli stadi precedenti, ma nell’appagamento di tutti i molteplici desideri di una persona.
➢ V° stadio: godere se stessi; nella vita bisogna sapere apprezzare e ricevere piacere da se stessi.
Critica agli stadi della vita estetica Tre sono principalmente le critiche che Kierkegaard agli stadi della vita estetica:
➢ I° stadio: lo scopo della vita è posto all’interno dell’individuo stesso, ma ciò che genera godimento è un bene molto labile, che non è posto dall’individuo.
➢ II°, III°, IV° stadio: lo scopo della vita è posto all’esterno dell’individuo, quindi il godimento non dipende strettamente dall’individuo ma dalle circostanze esterne che egli non può controllare. Nel caso particolare del IV° stadio, lo scopo della vita non è basato soltanto su un desiderio, ma su una molteplicità, e per questo è ancora più difficile raggiungere il godimento. Inoltre il godimento è assolutamente momentaneo, quindi lo scopo della vita si esaurisce non appena vengano appagati i desideri.
➢ V° stadio: Ogni individuo può godere se stesso soltanto nel godimento. Apparentemente lo scopo della vita è posto all’interno dell’individuo. Ma in realtà per godere di se stessi è necessario godere per qualcosa che è posto al di fuori dell’individuo. Il godere di se stessi è quindi soltanto un godimento riflesso e non immediato
La vita estetica come disperazione Alcuni uomini possono riuscire anche conducendo una vita estetica a raggiungere lo scopo della loro vita. La maggior parte di essi però non riesce e quando se ne rende conto dispera. Essi disperano perché si sono resi conto che la loro vita è effimera, volta cioè verso traguardi difficilmente raggiungibili e comunque labili e fini a se stessi. Da questo nasce la loro disperazione. Ma non vi è alcun cambiamento dell’effimero quando viene presa coscienza di esso. Quindi non c’è ragione perché nasca la disperazione. Ma poiché noi possiamo osservarla negli uomini, vuol dire che essa era già presente prima della presa di coscienza della condizione effimera. Dunque la vita estetica, anche se non se ne ha coscienza, è una vita disperata.
L’opposizione tra etica ed estetica
Aut-aut Una volta che l’uomo prende coscienza della sua disperazione si trova davanti ad una scelta estetica, ma una scelta estetica non è una scelta. Scegliere è soprattutto una espressione rigorosa ed effettiva dell’etica. La scelta estetica o è completamente spontanea, e perciò non è una scelta, o si perde nella molteplicità.
Scegliere l’etica significa scegliere tra il bene e il male La scelta tra la vita estetica e la vita etica non è un dilemma perfetto, perché solo un termine può venire scelto e l’altro sorge dal fatto di non scegliere. Con questa scelta non scelgo tra il bene e il male, ma scelgo se sottopormi o meno al contrasto tra bene e male. È vero che chi sceglie, sceglie il bene, ma ciò appare dopo; poiché l’estetica non è il male, ma l’indifferenza. Perciò non importa tanto volere il bene o il male, quanto di scegliere il fatto di volere; ma in questo modo vengono posti di nuovo il bene e il male. Chi sceglie l’etica, sceglie il bene, ma è un bene completamente astratto e non ne consegue affatto che chi sceglie non possa di nuovo scegliere il male. La scelta ha nuovamente un’importanza fondamentale.
Due concezioni della vita La distinzione tra estetica ed etica per l’uomo è che:
a) l’estetica è quello per cui l’uomo è quello che è, l’uomo diviene solo ciò che è spontaneamente;
b) l’etica è quello per cui l’uomo diventa quello che diventa; chi considera la personalità eticamente, pone subito una differenza assoluta tra il bene e il male, e se trova in sé più male che bene, il male deve essere soffocato e il bene deve avere il sopravvento. Pertanto quando l’individuo evolve eticamente, diviene ciò che diviene.
Dalla concezione estetica alla concezione etica della vita
La disperazione della vita estetica Nella vita estetica gli uomini disperano, anche se non ne sono coscienti, poiché non vi è continuità nella loro vita. Le attività vengono odiate e vengono svolte senza alcuno scopo. L’uomo se ne sta tranquillo nella sua disperazione e sembra che la sua vita abbia perso la propria realtà, nulla gli fa impressione.
Per uscire dalla disperazione bisogna scegliere la disperazione Una volta presa coscienza che la vita estetica è disperazione non resta altro da fare che disperare. Ma la disperazione non è una consolazione o uno stato in cui si debba rimanere, ma è la missione per la quale occorre tutta la forza, la serietà e la coerenza dell’anima. Chi non assapora l’amarezza della disperazione, non comprende il significato della vita.
Scegliere la disperazione significa scegliere se stessi e la libertà Si deve scegliere la disperazione poiché la disperazione stessa è una scelta; e mentre si dispera si sceglie se stessi, non nella propria immediatezza, non come questo individuo casuale, ma nel proprio eterno valore. Così mentre l’uomo si dispera, dispera anche di se stesso; ma si dispera dell’io finito, mentre sceglie l’io assoluto. Scegliere se stessi significa scegliere la cosa più astratta di tutte, che nello stesso tempo è la più concreta, è la libertà.
Scegliere eticamente significa scegliersi come individuo determinato Chi sceglie se stesso eticamente si sceglie concretamente, come individuo determinato, con queste doti, queste tendenza, queste passioni, questi ardori, influenzato da questo determinato ambiente, come questo determinato prodotto di un mondo circostante determinato. Ma mentre diventa cosciente di sé, egli assume tutto sotto la sua responsabilità. La sua scelta come prodotto è la scelta della libertà, così che mentre sceglie se stesso come prodotto, produce se stesso.
Chi vive eticamente sceglie se stesso come proprio compito Chi vive esteticamente vede continuamente possibilità che rappresentano il contenuto del futuro; mentre chi vive eticamente vede unicamente compiti. Chi ha scelto e trovato se stesso eticamente, ha se stesso come compito, che consiste nel raggiungere nell’anima un equilibrio, un’armonia che è frutto delle virtù personali. Lo scopo della sua attività è quindi lui stesso, ma non secondo il suo arbitrio, bensì come un compito che gli è stato posto, anche se è diventato suo poiché l’ha scelto.
Il posto dell’individuo nel mondo Chi vive eticamente, nella libertà sceglie il suo posto nel mondo, cioè questo stesso posto che egli ha. Questo dà all’individuo etico una sicurezza assente allo stato estetico, dove si attende tutto da fuori. Mentre l’individuo etico trae gioia dall’aver trovato il proprio posto nel mondo, quello estetico parla con terrore malsano dell’orrore di non averlo trovato.
Il pentimento di fronte a Dio L’io scelto dall’individuo etico ha una storia nella quale egli riconosce la sua identità con se stesso. Questa storia presenta diversi aspetti e contiene qualche cosa di doloroso. Eppure egli è ciò che è solo attraverso questa storia, perciò ci vuole coraggio a scegliere se stessi. Ciò desta preoccupazione, ma quando l’ardore della libertà si risveglia in lui, egli sceglie se stesso e la lotta per questo possesso, che è la propria suprema salvezza. L’espressione di questa lotta è il pentimento, con il quale l’individuo ritorna in se stesso, nella famiglia, nella stirpe, finché trova se stesso in Dio. L’individuo si pente anche del peccato del padre, perché soltanto così può scegliere se stesso, scegliersi in modo assoluto. Se non ci si sa pentire del passato, la libertà è irraggiungibile.
L’individuo è determinato anche in base alle influenze ricevute dalla società, eppure non si pente per amor proprio, ma solo perché così può scegliere se stesso. Il bene più alto egli solo lo può fare a se stesso.
Grandezza della vita etica Quando l’anima si trova sola in mezzo al mondo, di fronte ad essa appare l’eterna potenza stessa e l’io sceglie se stesso, o piuttosto riceve se stesso. L’anima ha visto l’altezza suprema, ciò che nessun occhio mortale può vedere e ciò che non sarà mai dimenticato. L’uomo non diventa diverso da quello che era prima, diventa solo se stesso raccogliendo la sua coscienza. La più ricca personalità non è nulla prima di aver scelto se stessa e anche la più misera personalità è tutto quando ha scelto se stessa. La grandezza, infatti, non consiste nell’essere questo o quello, ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole.
La concezione etica della vita
Che cosa è la vita etica La concezione della vita etica è improntata al criterio “scegli il bene”. Analizziamo meglio questo concetto:
1. il concetto di scegliere il bene:
a) secondo Kant scegliere il bene significa voler essere buoni, ovvero obbedire alle leggi morali e fare il proprio dovere; secondo Kierkegaard tale risposta è insufficiente poiché l’essere buoni non va inteso in modo astratto, bensì all’interno di una posizione nel mondo. Si è buoni nelle relazioni concrete, all’interno di certi ruoli nella vita sociale (in questo si avvicina alla teoria di Hegel);
b) non si hanno doveri estratti da una legge morale, bensì i doveri sono collegati al ruolo assunto dal singolo, sono relativi in rapporto a qualcuno;
c) l’essenza della vita morale è il concetto di responsabilità e di corresponsabilità, non presenti nella vita estetica:
• esistono responsabilità nei confronti degli altri poiché si hanno doveri nei loro confronti;
• passando alla vita etica, insieme alle responsabilità, si assume anche la corresponsabilità degli atteggiamenti della società nei confronti di terzi, una corresponsabilità anche legale che dipende pure dalle influenze ricevute dalla società;
• si è responsabili e corresponsabili delle azioni delle comunità passate;
2. La vita etica è quella concezione di vita che dà un valore eterno e assoluto alle azioni dell’individuo; le azioni non sono mezzi per raggiungere i fini poiché in questo modo avrebbero un valore unicamente strumentale, un valore che si esaurirebbe una volta raggiunto il fine; le azioni si compiono in quanto buone in sé;
chi agisce eticamente sceglie se stesso, cioè le azioni che sceglie di fare e che costituiscono la propria vita, hanno un valore assoluto ed eterno; così si sceglie di essere in un certo modo e le scelte sono un fine in sé, con le quali si determina la propria vita.
Sulla concezione religiosa
La vicenda di Abramo Non c’è continuità tra la vita etica e quella religiosa. Tra esse c’è un’opposizione più radicale che tra l’estetica e l’etica.
Kierkegaard chiarisce questa opposizione in Timore e tremore, raffigurando la vita religiosa nella persona di Abramo.
Vissuto fino a 70 anni nel rispetto della legge morale, Abramo riceve da Dio l’ordine di uccidere il figlio Isacco e di infrangere così la legge per la quale è vissuto. Il significato della figura di Abramo sta nel fatto che il sacrificio del figlio non gli è suggerito da una qualsiasi esigenza morale ma da un comando divino che è in contrasto con la legge morale e con l’affetto naturale. L’affermazione del principio religioso sospende l’azione del principio morale. Tra i due principi non c’è possibilità di conciliazione, e la scelta non può essere facilitata o decisa in base a nessuna regola.
L’uomo che ha fede opterà (come Abramo) per il principio religioso, seguirà l’ordine divino anche a costo di andare contro alla morale.
Ma la fede non è un principio generale: è un rapporto privato tra l’uomo e Dio, un rapporto assoluto con l’Assoluto. Questo è il dominio della solitudine, in quanto nella fede non si entra !in compagnia”. Da qui deriva il carattere incerto e rischioso della vita religiosa.
Il pentimento di fronte a Dio Kierkegaard sostiene che la vita etica non è realizzabile se non si è affrontata anche una vita religiosa, che consiste nell’avere fede in Dio e nella propria salvezza. “Avere fede” significa obbedire ciecamente a Dio indipendentemente da quale sia la sua volontà.
Per lui la vita etica è un “sottoinsieme” della vita religiosa, e ne deriva quindi che l’uomo non vive eticamente se non ha fede in Dio.
Nel momento in cui scegliamo la vita etica, diventiamo portatori delle colpe di tutta la comunità presente e passata; ma se fosse veramente così la scelta del bene sarebbe impossibile, poiché la vita dell’uomo sarebbe senza un fine umanamente raggiungibile, e in questo caso nessuno potrebbe essere considerato “buono”. Così, la vita etica sarebbe insensata.
Però secondo Kierkegaard non è così, infatti basta pentirsi e ottenere il perdono di Dio. Perché l’uomo diventi veramente buono è necessario l’intervento di qualcuno che lo salvi e lo perdoni di tutti i peccati compiuti nella propria vita.
Le contraddizioni della vita religiosa La vita etica non coincide con la vita religiosa. Infatti se Dio volesse una cosa, per quanto malvagia possa essere, l’uomo religioso la deve compiere senza considerare l’aspetto etico. In questo caso la scelta compiuta dall’uomo non sarebbe etica.
Secondo Kierkegaard quando si sceglie l’etica, la vita ha senso solo se si accettano le cose assurde, e facciamo “il salto nella fede”, rinunciando pienamente alla ragione umana. In questi discorsi troviamo delle contraddizioni:
1. L’uomo sceglie la vita etica per dare un senso alla propria vita, ma per fare questo devo scegliere di essere scelto da Dio. Questa è una contraddizione in quanto la propria vita la deve scegliere lui e non Dio;
2. L’uomo sceglie il bene, ma per farlo deve avere fede in Dio, e per averla deve essere pronto a fare anche cose che non riguardano il bene, ma il male. Quindi l’uomo sceglie il bene, ma deve essere pronto anche a scegliere il male.
Per lui la vita ha senso solo se si accettano le contraddizioni. L’aut-aut di Kierkegaard consiste quindi:
• Nella scelta di una vita razionale che non ha senso (estetica)
• Nella scelta di una vita piena di senso basata su principi irrazionali (religiosa)
Schema riassuntivo
LE TRE POSSIBILITA’ DI VITA
Stadio
Caratteristiche
Simboli
Estetico
(immediatezza)
Novità
Avventura
Non-scelta
Dispersione
Noia
Disperazione
Don Giovanni
Etico
(scelta della scelta)
Scelta
Fedeltà
Ripresa
Normalità
Continuità
Pentimento
Il marito
Religioso
(rapporto assoluto con l’Assoluto)
Fede
Solitudine
Paradosso
Scandalo
Abramo
Terminologia Termini fondamentali di Kierkegaard:
➢ Esistenza: E’ lo specifico modo d’essere dell’uomo nel mondo. Modiche risulta definito dai concetti di singolo, possibilità, scelta, angoscia, disperazione e fede
➢ Singolo : Il singolo è per Kierkegaard, la categoria propria dell’esistenza umana. Il singolo è la categoria attraverso la quale devono passare, dal punto divistareligioso, il tempo, la storia, l’umanità. Nel mondo animale la specie è la cosa più alta; solo nel genere umano, a causa del cristianesimo, l’individuo è più alto del genere.
➢ Possibilità: Secondo Kierkegaard l’esistenza non è un’entità necessaria e garantita, ma un insieme di possibilità che pongono l’uomo di fronte ad una scelta e che implicano una componente ineliminabile di rischio
➢ Scelta: Secondo lui esistere significa scegliere. Infatti la scelta non è una semplice manifestazione della personalità, ma costituisce o forma la personalità stessa, che sceglie vivendo o vive scegliendo. L’individuo non è quel che è, ma ciò che sceglie di essere. Infatti anche la rinuncia alla scelta è una scelta.

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