Da Kierkegaard a Nietzsche

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Testo

SCHEMA DI FILOSOFIA: Kierkegaard – Schopenhauer – Nietzsche
• KIERKEGAARD: - Schema introduttivo
- Gli pseudonimi come maschere della verità
- Il rapporto essenza \ esistenza
- L’importanza di scegliere e le tipologie umane
- La vita estetica
- La vita etica
- La vita religiosa
- La dialettica dell’esistenza
• SCHOPENHAUER: - Schema introduttivo
- Fenomeno e cosa in sé (da Kant)
- Razionalità, istinto e dolore (da Leopardi)
- Il mondo della rappresentazione e quello della volontà
- La Liberazione nell’arte
- La libertà e la morale
- La soluzione finale: pessimismo e ascesi
• NIETZSCHE: - Schema introduttivo
- La periodizzazione dei suoi scritti
- La fase giovanile
- La concezione tragica del mondo
- Il prospettivismo
- La concezione del tempo e della storia
- La fase illuministica
- La morte di Dio
- Il nichilismo
- Il Superuomo: la filosofia di Zarathustra
- La dottrina dell’eterno ritorno
- La volontà di potenza
- La critica della morale e della religione
- Le interpretazioni
• TESTI: - Don Giovanni e il desiderio; Kierkegaard (pag. 196)
- Il silenzio di Abramo; Kierkegaard (pag. 201)
- La comprensione dell’esistenza; Kierkegaard (pag. 203)
- Con Kant, oltre Kant; Schopenhauer (pag. 184)
- Natura e funzione dell’intelletto; Schopenhauer (pag. 186)
- Affermazione e negazione della volontà; Schopenhauer (pag. 188)
- L’utilità e il danno della storia per la vita; Nietzsche (pag. 232)
- Come il mondo vero divenne una favola; Nietzsche (pag. 235)
- La morte di Dio e il Superuomo; Nietzsche (pag. 237)
- Le tre metamorfosi; Nietzsche (pag. 241)
- L’eterno ritorno dell’uguale; Nietzsche (pag. 244)
- La morale dei signori e la morale degli schiavi; Nietzsche (pag. 249)
KIERKEGAARD
Schema introduttivo

Gli pseudonimi come maschere della verità
Kierkegaard ha in odio la filosofia accademica, la considera un pensiero astratto e morto, lui intende invece il filosofare come esercizio finalizzato a produrre mutamenti nell’atteggiamento verso la vita e nei comportamenti. Ha per modello Cristo in campo religioso e Socrate in campo filosofico.
Egli stesso divide la sua opera sulla base delle diverse modalità comunicative da lui utilizzate: alla comunicazione diretta appartengono gli scritti di carattere religioso pubblicati a sua firma; alla comunicazione indiretta appartengono tutte le grandi opere pseudonime.
Infatti Kierkegaard utilizza una serie di maschere e pseudonimi nelle sue opere. Fa dialogare le sue maschere fra loro da un’opera all’altra, crea un teatro di “maschere“ in quanto ritiene questo tipo di comunicazione, l’unica in grado di realizzare una comunicazione d’esistenza e trasmettere la verità. Lo schermo degli pseudonimi non gli serve dunque per proteggersi dal giudizio esterno ma per distanziare il suo punto di vista da quelli espressi dalle sue maschere: in questo modo ciascuna maschera acquista l’autonomia necessaria a rappresentare una possibilità di esistenza.
Il rapporto essenza \ esistenza
Mentre gli autori precedenti si focalizzavano su storia e politica, Kierkegaard pone la sua attenzione sulla dimensione della vita: in particolare pone l’accento sul rapporto essenza/esistenza, riprendendo il detto Berkeliano “…il reale è razionale e il razionale è reale…”, lui afferma che ciò che conta non è l’umanità ma il singolo individuo, posto di fronte al problema esistenziale: l’uomo è perennemente angosciato da una scelta, vivendo nella dimensione dell’esistenza, non ha alcun riferimento rassicurante a livello universale. Ma, a fianco a ciò, dice anche che la realtà non è razionalmente giustificabile, le ideologie non esistono come non possono esistere concezioni oggettive della realtà: l’individuo da senso alla sua vita solamente attraverso delle scelte, giuste o sbagliate. L’esistenza rappresenta la concretezza della realtà e le scelte sono simbolo di libertà contro ogni determinismo.
Kierkegaard afferma che per eseguire una comunicazione d’esistenza è necessario costringere gli uomini a diventare attenti, ad auto-appropriarsi della verità e a compiere scelte.
L’importanza di scegliere e le tipologie umane
Riprendendo quanto detto sul rapporto tra esistenza ed essenza, l’uomo è obbligato a compiere una “scelta”: egli si trova solo di fronte ad essa, e ciascuna rappresenta un salto nel vuoto, scegliendo, infatti, l’uomo assume un ruolo e rinuncia a tutte le altre possibilità di esistenza. Tale scelta è sempre accompagnata da un sentimento di angoscia in quanto l’uomo non saprà mai se ha fatto la scelta giusta. Kierkegaard stesso non sa che ruolo assumere, non vuole fare il pastore come suo padre perché non vuole assumere la fede come professione, rompe più fidanzamenti per non sposarsi, rifiuta qualsiasi condizionamento, non accetta la cultura accademica, diventa un intellettuale ai margini della società ed è in forte contrasto con la religione luterana.
Kierkegaard non risolve il problema della scelta, secondo lui qualunque ruolo si assuma sarà certa la sconfitta in quanto la realtà è indefinita e incerta. Dunque Kierkegaard non traccerà mai la strada per essere felici in quanto per lui la vita si riduce alle varie alternative tra cui l’uomo può scegliere e ai vari ruoli che può assumere.
Per lui tre sono i fondamentali stadi sul cammino della vita: l’estetico, l’etico e il religioso; a ciascun stadio corrispondono diversi ruoli e figure tra cui l’uomo può scegliere: Don Giovanni, Faust, Johannes, Wilhelm e Abramo.
Kierkegaard descrive questi ruoli nell’opera “Aut Aut”.
La vita estetica
L’esteta ricerca la perfezione artistica, vive immediatamente il rapporto con la vita come godimento. La sua sfera è il gioco, l’immaginazione e la sua esistenza è vissuta come un teatro. Kierkegaard presenta tre modelli di esteta: Don Giovanni, Faust e il seduttore Johannes.
Il Don Giovanni rappresenta il potere e il piacere della seduzione immediata: è la pura forza dell’eros, egli si realizza nel conquistare e possedere il maggior numero di amanti.
Il Faust incarna invece il gioco della conoscenza, il potere dissolutore del dubbio. Il patto demoniaco stretto tra Mefistofele e Faust obbliga quest’ultimo ad una ricerca interminabile della conoscenza assoluta: dubita di tutto e vive nell’insicurezza più totale.
Il seduttore Johannes, infine, si colloca la polo opposto rispetto al Don Giovanni. Egli non gode del possesso dell’amata ma unicamente della rappresentazione della conquista: la riuscita della seduzione implica la fine del piacere; il suo godimento sta dunque nella seduzione stessa.
Johannes rappresenta la vita estetica nel suo grado più raffinato; egli non compie mai alcuna scelta perché non ha mai scelto se stesso nella realtà; egli vive nell’orizzonte della possibilità infinita, non getta mai la sua maschera, la sua vita è priva di durata perché si esaurisce in una successione infinita di istanti vissuti.
La vita etica
La vita estetica è dominata dalla disperazione: l’esteta infatti può essere tutto ma in realtà non è niente perché non opera alcuna scelta. Scegliendo si passa nella sfera dell’etico. Operando una scelta si istituisce un sistema di valori e la persona diventa assoluta, l’”IO” diventa “SÉ”. L’illusione di libertà che caratterizza l’estetico rivela la sua inconsistenza, all’etico è chiaro che solo tramite una scelta divengono possibili l’esperienza e la conoscenza di sé.
Un’altra cosa che caratterizza l’etico rispetto all’estetico è un diverso rapporto con il tempo: mentre l’esteta vive nell’attimo, la vita etica ha consistenza temporale, durata e sviluppo; l’esteta non ha memoria perché non ha storia, l’etico ha fissato un punto di riferimento che da senso al passato, al presente ed al futuro.
Il giudice Wilhelm rappresenta il punto di vista etico, egli difende appassionatamente il valore del matrimonio; mentre l’esteta cerca disperatamente in ogni donna diversa il primo amore e per questo, mai soddisfatto, prova disperazione, chi ha operato la scelta del matrimonio ha trovato un fine e vive felice la sua vita.
La vita religiosa
Lo scacco all’etica nasce dal fatto che essa presuppone che l’uomo sia in grado di raggiungere un’idealità nel vivere. Ma l’uomo è gravato dal peso del peccato che lo riguarda come singolo e come specie dunque solo attraverso il pentimento sarà in grado di compiere un altro passo nel cammino della vita. Infatti attraverso il pentimento, che è espressione dell’amore per Dio, l’uomo passa nella sfera religiosa.
L’uomo di religione è incarnato da Abramo. Quando Dio gli chiede di sacrificare il figlio Isacco, Abramo si trova di fronte ad una contraddizione che non si può mediare fra la morale del suo popolo (non uccidere) e la volontà di Dio. Che cosa assicura ad Abramo che alzando su Isacco il coltello compirà un atto di fede e non un assassinio? Nulla, egli prova l’angoscia della scelta; si tratta però di una scelta nell’assurdo e nel paradosso. Quella che Abramo compie è una scelta di fede, obbedisce la comando divino quindi riavrà Isacco e sarà infine riconciliato con Dio. Questo episodio manifesta la collisione tra etica e religione.
Il peccato originale è rottura di una condizione di innocenza, l’innocenza è ignoranza, è la condizione della naturalità nella quale l’uomo non è ancora consapevole del bene e del male. Il primo peccato di ogni uomo non è dunque scelta del male poiché egli non è ancora in grado di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. La libertà di scegliere tra bene e male, ma l’impossibilità di discerne l’uno dall’altro, è la fonte dell’angoscia umana.
La dialettica dell’esistenza
Kierkegaard vede nell’esistenza il superamento dell’immediatezza. Le categorie fondamentali di questa dialettica sono la decisione e la ripresa. Nella decisione il singolo compie un salto, una scelta in favore di ciò che non conosce; nella ripresa egli realizza la sua vera essenza trasportandola nella dimensione dell’esistenza.
Per l’esteta, che non conosce la decisione, la ripresa è impossibile dunque non realizzerà mai se stesso e vivrà nella disperazione nel vano tentativo di vivere nel presente ogni istante.
Per l’etico vi è scelta e vi è ripresa, ma la dimensione del peccato e il paradossale conflitto tra etica e religione rappresentano il limite che gli è posto.
Per il religioso, dunque nella decisione in favore della fede, la ripresa si configura come una nuova nascita, si genera un uomo nuovo che ha scelto sino in fondo la propria esistenza e quindi ritrova la propria essenza.
SCHOPENHAUER
Schema introduttivo

Fenomeno e cosa in sé (da Kant)
La filosofia di Schopenhauer si rifà direttamente a quella di Kant. Infatti imposta un dualismo basato sulla distinzione tra rappresentazione (ciò che Kant chiamava fenomeno) e volontà (ciò che Kant chiamava noumeno). Il suo obbiettivo non sarà però quello kantiano di fondare una scienza, ma quello di rispondere alle domande esistenziali che già Kierkegaard si era posto.
Schopenhauer riconosce a Kant il merito di aver distinto fenomeno e “cosa in sé” (noumeno), così infatti aveva posto una barriera invalicabile tra il conoscere obbiettivo e il pensare meramente soggettivo e arbitrario. Secondo lui però, l’errore di Kant è stato il ritenere che la cosa in sé sia assolutamente inconoscibile. Infatti Schopenhauer impostando il dualismo volontà/rappresentazione distingue un mondo della rappresentazione e un mondo della volontà. Quando l’uomo è orientato verso l’esterno conosce infatti il mondo come rappresentazione (mediante le categorie intellettive di spazio, tempo e causa), mentre quando si orienta verso l’interno, scopre il proprio intimo e coglie lo stesso mondo, che esteriormente appare come fenomeno, come volontà. I primi due libri del “Mondo” definiscono appunto la differenza tra mondo come rappresentazione e mondo come volontà.
Il mondo della rappresentazione e quello della volontà
Il mondo della rappresentazione è per Schopenhauer ciò che Kant chiamava fenomeno. È la dimensione dell’empirismo nella quale è possibile una conoscenza. Viene ammessa l’esistenza delle cose in sé ma se ne limita la conoscenza al solo aspetto fenomenico. Inoltre Schopenhauer tende ad esasperare in direzione scettica la nozione Kantiana di fenomeno: per lui diventa sinonimo di parvenza, sogno ed illusione, mentre per Kant era empirico ma non per questo illusorio.
Come abbiamo detto in precedenza, all’uomo che rivolge la proprio attenzione verso l’interiorità appare una nuova esperienza del mondo: la volontà.
Nell’autocoscienza prende significato la proposizione “il mondo è la mia volontà”; questa nozione consente di gettare un ponte tra mondo della rappresentazione e mondo della volontà. Ma la “cosa in sé” è raggiungibile solo attraverso la conoscenza dei fenomeni ed è identificabile con la volontà stessa.
A mediare tra l’assoluta e inconoscibile unità della volontà e le molteplici forme naturali attraverso le quali essa si manifesta ci sono le idee: queste costituiscono i gradi di oggettivazione della volontà oltre che il modo attraverso il quale diamo un senso alla realtà stessa.
Razionalità, istinto e dolore (da Leopardi)
C’è poi un ritorno alla corporeità e al concreto che lo riavvicina alla sua epoca: secondo lui a renderci concreti sono la nostra appartenenza alla natura e la nostra istintualità; la psiche infatti non è completamente razionale, c’è una parte irrazionale che deriva dal nostro essere “animali”. Il termine “volontà” è tradotto dal tedesco wille che vuol dire anche voglia di vivere, istinto di sopravvivenza; con questo termine Schopenhauer voleva indicare la nostra istintiva tendenza a preservare la vita.
Riprendendo la dimensione umana dell’istintualità Freud darà origine alla psicanalisi.
Negli scritti di Leopardi si vedono animali che sono felici in quanto non possiedono razionalità e autocoscienza; noi che invece siamo razionali siamo destinati ad essere infelici. Inoltre l’animale dimentica il passato, l’uomo invece è schiacciato dal suo peso.
L’uomo poi è un essere desiderante: al momento del soddisfacimento di un desiderio se ne sostituisce subito un altro; questo provoca una continua insoddisfazione.
Per queste ragioni l’uomo è condannato a vivere nel dolore, nella noia che viene dal continuo soddisfacimento di desideri e in lotta con gli altri individui per la sopravvivenza.
La Liberazione nell’arte
Nell’arte Schopenhauer riconosce un valore metafisico: essa sa esprimere e rendere intuitivo l’aspetto vero delle cose, in quanto manifestazione della volontà, oltre che del semplice fenomeno. Nella sue diverse forme, dall’architettura, alle arti figurative , alla musica, alla poesia, etc, … l’arte consegue un atteggiamento puramente contemplativo in cui il soggetto diventa “puro essere conoscente”.
Schopenhauer riprende poi il concetto di bello come “l’oggetto di un piacere disinteressato”, e il concetto di sublime come sensazione mista di piacere ed orrore. Inoltre afferma che tra le arti quella che realizza il massimo livello di sublime è la musica: essa infatti esprime tramite ritmo ed armonia i moti intimi della volontà.
Si può dare quindi all’arte una funzione catartica, ossia di purificazione e momentanea liberazione dell’intelletto dal servizio della volontà; l’arte dà allo spettatore la sensazione piacevole e liberatoria di un distacco momentaneo dalla sofferenza del vivere, dall’obbligo di compiere scelte e dal desiderio di conoscenza, dunque dallo stesso dolore.
La libertà e la morale
L’arte è dunque liberazione: l’essere umano si libera superando gradualmente i condizionamenti del mondo fenomenico e approfondendo il senso della propria appartenenza al mondo noumenico. L’uomo è dunque libero solo identificandosi nella volontà; ma la volontà è, come abbiamo detto in precedenza, sinonimo di “voler vivere”. L’alternativa diventa quindi l’affermazione o la negazione della volontà di vivere.
I due comportamenti moralmente possibili sono quindi quello di chi, avendo compreso che il mondo è solo fenomeno, accetta di identificarsi con la realtà, afferma la vita e vive secondo il vitalismo che sarà proprio di Nietzsche, oppure quello che alla vita dice “NO”: colui che rinuncia progressivamente alla volontà di vivere, nega i desideri e la sua stessa volontà, ha orrore della realtà e pur continuando a vivere, sospende il proprio assenso alla volontà. Questa persona è l’asceta.
La soluzione finale: pessimismo e ascesi
Per lui la vita è un processo di continua creazione e distruzione; la sofferenza muta del mondo vegetale e quella inconsapevole del mondo animale giungono nell’uomo alla coscienza della verità fondamentale che “ogni vivere è per essenza soffrire”.
Il pessimismo schopenhariano afferma che la vita si rivela una perenne oscillazione tra il dolore per non poter conseguire un desiderio e la noia per averlo conseguito. Tale dolore cessa solamente nella morte.
Per questo suo pessimismo Schopenhauer trova come soluzione finale e razionalmente preferibile l’ascetismo. Per lui questo si traduce in una morale della compassione, che consiste nella capacità di patire-con-l’atro. Inoltre la rinuncia ad ogni desiderio risparmia all’uomo dolore. L’ascesi non mira all’annullamento nichilistico dell’uomo e dei suoi valori, ma piuttosto alla sua trasformazione; il termine “noluntas” sta infatti ad indicare la condizione della volontà liberata, non più il cieco istinto di sopravvivenza, ma catarsi. L’uomo tramite l’ascesi arriva ad eliminare il proprio dolore.
NIETZSCHE
Schema introduttivo

La periodizzazione dei suoi scritti
La riflessione nietzscheana aveva avuto inizio nei primi anni ’70 con “la nascita della tragedia”; l’autore è poi passato ad una fase caratterizzata da una grande produttività, poi dodici anni prima della sua morte entra in un periodo di follia: non scrive alcuna opera e la sorella pubblica raccolte e rielaborazioni dei suoi scritti in chiave nazionalistica. Attualmente la periodizzazione della opere accettata dalla maggioranza degli studiosi è la seguente:
- Le opere giovanili del periodo in cui Nietzsche insegna filologia classica a Basilea sono “La nascita della tragedia” e “Le considerazioni inattuali” (tra cui il famoso saggio “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”).
- Gli scritti della fase illuminista, tra cui “Umano troppo umano” e “La gaia scienza”. In questa fase recupera l’atteggiamento privo di pregiudizi che era stato proprio del periodo seicentesco nel quale la scienza era nata ed era poi stato perso con l’avvento del positivismo e della metafisica.
- L’ultima parte della sua produzione fino agli anni della follia è caratterizzata da un marcato profetismo; Nietzsche scrive le sue opere più famose tra cui “Così parlò Zarathustra” e “Al di là del bene e del male”.
La fase giovanile
In questa fase Nietzsche contesta l’immagine della grecità di impronta filologica secondo la quale i greci crearono opere armoniose perché il loro stesso spirito era armonioso, secondo lui invece l’attualità ha perso la capacità di produrre opere armoniose come quelle greche perché ha smarrito le radici vitali del periodo classico.
Il tema della vita è infatti considerato la chiave delle opere giovanili di Nietzsche ed è in questo periodo che si avverte più forte l’influenza di Schopenhauer. Da quest’ultimo Nietzsche raccoglie l’immagine di un mondo governato dal principio del dolore rispetto a cui l’esistenza umana non è che un istante destinato alla morte. Alla noluntas Schopenhariana tuttavia Nietzsche oppone un’accettazione del dolore e un forte vitalismo.
L’accettazione coraggiosa del dolore è ciò che caratterizzava infatti gli eroi della tragedia greca. Da ciò Nietzsche teorizza una concezione tragica del mondo.
La concezione tragica del mondo
Nietzsche, nell’opera “La nascita della tragedia”, espone la sua interpretazione della cultura greca. Per lui i greci non incarnavano la massima armonia tra corpo e anima ma erano in grado di accettare il dolore. Secondo lui nella civiltà ellenica si incontravano due grandi forze: lo spirito apollineo e quello dionisiaco. Lo spirito apollineo (dal dio Apollo) incarnava la luce, la chiarezza, la luminosità, l’inclinazione e la tensione alla forma perfetta; l’apollineo è l’illusione, il sogno che rende sopportabile una vita fatta di dolore; lo spirito dionisiaco (dal dio Dioniso) invece era la notte, le brezza, il caotico, lo smisurato, l’eccesso, l’abbandono; il dionisiaco è l’esperienza del caos, il perdersi nella vita, esso esprime il senso del dolore ma anche quello della gioia. Se lo spirito apollineo era la ragione umana, lo spirito dionisiaco rappresentava invece la dimensione istintuale e l’irrazionalità.
Il mondo greco era, secondo Nietzsche, armonico perché accettava entrambe le componenti di questa forza e non fuggiva l’istintualità come fanno coloro che seguono la tesi ascetica di Schopenhauer. All’ascetismo Nietzsche oppone infatti il vitalismo, la capacità di vivere ogni istante e accettare tutti gli aspetti dell’esistenza umana; la disperazione e il dolore causati dall’esistenza devono essere vissuti tramite la produzione di “bellezza”, cosa possibile solo tramite la tragedia che ha origine dallo stesso spirito dionisiaco.
Infine secondo Nietzsche la rottura dell’armonia presente nella civiltà ellenica che ha causato la decadenza del mondo attuale, è stata provocata dallo spirito socratico, un demone che, introducendo il dualismo anima-corpo e l’ascesi che porta al sacrificio della vita di un uomo in nome della conoscenza, ha comportato un contrasto tra interiorità ed esteriorità causando un’ involuzione che continua tutt’ora.
Gli autori contemporanei a Nietzsche, considerati da lui rappresentazione del tragico erano Goethe e Wagner. Goethe sottolineava la celebrazione positiva della vita nella concezione dell’uomo come misura di tutte le cose mentre Wagner, tramite la sua musica era per Nietzsche la massima espressione della tragedia.
Il prospettivismo
Il prospettivismo è teorizzato da Nietzsche nell’ epoca giovanile e verrà sviluppato in una fase più matura. Rappresenta il contrario dell’oggettivismo della cultura accademica del periodo: secondo questa teoria il linguaggio è convenzionale, provvisorio, risultato dal prevalere a livello individuale e collettivo di determinati criteri ed interessi; secondo il prospettivismo non esistono fatti ma solo interpretazioni, non esistono verità né falsità ma solo diverse prospettive e punti di vista sulla realtà; la conoscenza è di conseguenza un conoscere prospettico al di là del vero e del falso, del giusto e dello sbagliato. Lo stesso soggetto è, secondo questa teoria, un complesso conflittuale di diversi punti di vista senzienti e attivi secondo una loro propria istintualità.
La concezione del tempo e della storia
Nietzsche non ha la concezione lineare del tempo utilizzata dallo storicismo. Questa concezione derivava dalla cristianità secondo cui la storia comincia con la creazione e finisce con il giudizio universale; quando poi lo storicismo si laicizza la concezione del tempo viene basata si un’ideologia del progresso che porterà necessariamente ad un miglioramento nel futuro.
Su di una ipotetica linea del tempo lo storicismo afferma che ogni tratto, istante, è necessario a costruire il successivo, dunque la sofferenza dell’uomo è necessaria a costruire un futuro migliore. Inoltre, secondo lo storicismo, la storia va necessariamente verso il bene e tutto ciò che viene fatto nel presente, compresi i crimini, sono giustificabili in vista di un bene futuro (di qui le ideologie nazionaliste).
Secondo Nietzsche invece non ci sono leggi, regole e teorie che regolano l’andamento della storia ma solo punti di vista tramite i quali la possiamo osservare. Lui stesso dà quattro diverse concezioni di storia, tre nel saggio intitolato “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” e una nello scritto “Così parlò Zarathustra”; queste sono:
- La storiografia monumentale: considera gli “eroi” che sono stati in grado di cambiare il corso della storia andando contro ogni determinismo. Ciò corrisponde all’atteggiamento di chi è attivo, ha aspirazioni e si proietta nel futuro; la meta di costui è la felicità propria e dell’umanità intera. Il rischio nel quale incorre la storiografia monumentale è tuttavia quello di falsare il passato, di mitizzarlo per renderlo degno d’imitazione.
- La storiografia antiquaria: considera le collettività che guardando al proprio passato cercano di contrastare la direzione evolutiva della storia, aggrappandosi alle tradizioni; appartiene dunque ad una specie umana conservatrice che assume come compito la tutela della memoria, dei valori e della tradizione. Questa concezione tuttavia degenera nel momento in cui si mostra incapace di generare qualcosa di nuovo esasperando l’aspetto conservatore;
- La storiografia critica: per cui la storia non è un insieme di tappe necessarie e positive che tendono al progresso, ma sono anche presenti epoche buie e criticabili e non tutto il passato è giustificabile.
- L’eterno ritorno: formulata negli scritti appartenenti alla fase profetica simboleggia la concezione ciclica del tempo per cui non c’è progresso ma si vive in un istante che si ripete continuamente; il superuomo sarà colui che è in grado di vivere e realizzarsi in questo istante.
Per Nietzsche il danno della storia per la vita è rappresentato dal fatto che man mano che passa il tempo l’uomo si trova sempre più oppresso dal peso del passato: secondo quest’autore la vita ha bisogno di oblio, l’uomo deve imparare a dimenticare il passato in modo da essere in grado di agire nel presente senza essere oppresso, passivo e avere paura schiacciato dl peso del passato (depotenziamento).
La fase illuministica
Questo periodo è segnato dalla rottura di Nietzsche con gli eroi della propria giovinezza: Schopenhauer, Wagner e Goethe; inoltre egli adotta lo stile dell’aforisma.
All’arte e alla tragedia subentra come via di comprensione del mondo la scienza. Essa è analisi critica, esercizio del dubbio, diffidenza metodica che porta ad un’immagine del mondo più vera di quella offerta dall’arte. Il buon filosofo è critico e storico; critico perché assume il sospetto come criterio di analisi e storico perché non crede a verità assolute e realtà eterne ma vede l’uomo come risultato delle circostanze storiche: Nietzsche diventa così un illuminista.
Ciò viene esposto nell’opera “Umano troppo umano” nella quale Nietzsche condanna anche il romanticismo, perché espressione di uno spirito pessimista, estetizzante e decadente, l’idealismo, perché assurdamente totalizzante, il positivismo, in quanto ingenuamente ottimista, e la morale, in quanto riduce la vita a valori trascendenti non considerando che essa è in realtà una lotta per la sopravvivenza.
In questo periodo Nietzsche scrive anche “La gaia scienza”. In quest’opera Nietzsche teorizza un’umanità libera da illusioni con la forza di vivere in modo autentico: lo “spirito libero” (o freigeist) non crede ciecamente alla ragione ma diffida e pone interrogativi, è scettico, il suo mondo è basato sulla gaia scienza, libero dall’ignoranza e dalla paura. L’etica dello spirito libero è costituita da coraggio e responsabilità; egli è caratterizzato da una forte serenità interiore, è sottratto al dominio della religione, della morale e della metafisica; egli non è in ginocchio sotto il peso del passato ma vive liberamente la grandezza dell’esistenza e dà alla vita dell’uomo un valore.
La morte di Dio
Nello scritto “Così parlo Zarathustra” il mitico profeta persiano annuncia la morte di Dio. Questa frase non va fraintesa, non ha infatti alcun significato psicologico: non significa che gli uomini non credono più in Dio né rappresenta una tesi metafisica circa la non esistenza di Dio stesso. Con questa frase Nietzsche intende semplicemente il processo di secolarizzazione secondo il quale l’uomo ha perso valori e punti di vista religiosi che sono diventati laici passando ad ambiti scientifici, economici, ecc.. Metaforicamente Dio è stato ucciso dagli uomini in quanto il mondo moderno è sprofondato in una crisi morale: oltre gli uomini sta solo il nulla e il mondo moderno viene dominato dal Nichilismo. Agli occhi di un’umanità che non crede più ai suoi fini ed ai suoi valori la morte di dio rappresenta la totale perdita di un centro e di una sicurezza anche se apparente.
Il nichilismo
Con la morte di Dio i valori diventano di carattere relativista, si perde sicurezza, c’è nostalgia per gli ormai superati valori oggettivi e assoluti; c’è inoltre la consapevolezza che questi valori perduti non si possono più recuperare. La condizione psicologica del nichilismo comporta dunque nostalgia e insicurezza. La nostalgia del passato poi impedisce all’uomo di essere attivo, si ha un suo depotenziamento che impedisce il progresso. Non si accetta alcun nuovo valore e si è nostalgicamente passivi.
L’uomo nel Nichilismo si avvicina la nulla, all’assenza totale di qualsiasi valore e punto di riferimento.
Il Superuomo: la filosofia di Zarathustra
Nel prosequio della sua opera profetica di Nietzsche si trovano i suoi insegnamenti più importanti: il superuomo, la dottrina dell’eterno ritorno e la volontà di potenza.
Il superuomo, dal tedesco “ubermensch”, è traducibile anche con “oltreuomo”, non è dunque una specie di superman ma è colui che è andato oltre, che è riuscito a superare il Nichilismo approdando al vitalismo nietzscheano. Ha ottenuto la capacità di improvvisare, di danzare, la capacità di stupirsi di un bambino, la capacità di vivere in equilibrio precario tra passato, presente e futuro come un funambolo, la capacità di lanciarsi nel vuoto senza protezioni, come un trapezista che si lancia senza le reti. Il passaggio dell’uomo al superuomo non è dunque da intendersi come evoluzione in una razza superiore ma come processo psicologico che rende l’uomo libero dal dolore dell’esistenza. Il superuomo si caratterizza infine per il suo essere oltre la morale, poiché Dio è morto, l’espressione “Dioniso contro il crocifisso” sta a rappresentare l’opposizione tra religione, moralità ed il suo modo di agire.
La dottrina dell’eterno ritorno
La dottrina dell’eterno ritorno mette capo ad una nuova concezione dell’agire umano. Mentre nella visione lineare del tempo ogni istante acquistava significato solo in relazione a quelli che lo precedevano e che l’avrebbero seguito, in una concezione ciclica il tempo non si muove verso un fine, è una ripetizione continua degli stessi eventi. Vi è dunque un primato dell’attimo e dell’istante: la vita vince la morte poiché una volta morti si ritornerà a vivere. In particolare la dottrina dell’eterno ritorno, oltre ad affermare la concezione ciclica del tempo afferma che l’individuo deve sempre vivere pienamente l’attimo in quanto affidato non al destino o alla casualità ma alla sua volontà; inoltre tale attimo va vissuto in modo che tale individuo debba desiderare di riviverlo.
Non si tratta di essere in grado di costruire attimi di esistenza così intensi da meritare di essere desiderati come eterni ma di riuscire, aderendo alla legge dell’eterno ritorno, a diventare superuomo, quindi ad arrivare alla felicità.
La volontà di potenza
La nozione di volontà di potenza è il tratto distintivo del superuomo. Anche qui non bisogna fraintenderne il significato: non si fa riferimento alla volontà di potere, dominio e violenza sugli altri, ma attraverso questo concetto Nietzsche esplica la volontà dell’individuo di affermarsi come volontà.
La morte di Dio diventa la resurrezione dell’uomo responsabile e padrone del proprio destino la cui volontà è ora libera di affermare se stessa. Soggetto della volontà di potenza, di conseguenza, è colui che ha la forza per afferrare la propria prospettiva sul mondo. La volontà di potenza è infine la tendenza affermativa ed espansiva, l’impulso continuo ad oltrepassare se stessi (attenzione non può essere identificata con il vitalismo ne con il voler-vivere di Schopenhauer).
La critica della morale e della religione
Nietzsche critica fortemente i concetti di morale e religione perché li considera formulazioni dell’uomo che gli permettono di vivere meglio e con più sicurezza la propria esistenza. Secondo lui tramite queste ideologie l’uomo cerca di fuggire al dolore e all’insicurezza esistenziale; ma facendo ciò egli allontana da sé il passaggio al superuomo: il superuomo infatti è colui che, affrontando la propria angoscia, è riuscito ad andare oltre al Nichilismo.
A fianco a ciò Nietzsche critica anche il socialismo e l’ideale aristocratico: ad essi rimprovera l’ottimismo che promette un domani migliore per rendere agli uomini più sopportabile il dolore dell’oggi.
Secondo Nietzsche tutte queste ideologie si basano su una legge di funzionamento della storia, dunque su un determinismo contro il quale egli si scaglia.
Le interpretazioni
Uno dei problemi ancora aperti è quello delle interpretazioni dei suoi scritti. Non essendo un autore sistematico, avendo scritto molto e avendo influenzato la cultura moderna spesso si è utilizzato il suo pensiero per scopi personali, interpretandolo in modo distorto. Infatti termini quali “superuomo” e “volontà di potenza” si prestano facilmente ad essere interpretati come giustificazione del dominio di una razza superiore su tutte le altre.
Nei suoi ultimi dodici anni di vita infatti Nietzsche viene accudito dalla sorella Elizabeth, la quale pubblicando delle rielaborazioni del pensiero di suo fratello sostiene la corrente ultranazionalistica alla quale partecipava il marito: il modello di superuomo razzista utilizzato nella seconda guerra mondiale dai nazisti e il fatto che Nietzsche venne adottato come il filosofo del regime nazionalista derivano proprio da queste rivisitazioni operate dalla sorella.
Questi fatti hanno contribuito a dare un’immagine negativa di Nietzsche stesso; la sua immagine venne riabilitata da Montinari, dopo la seconda guerra mondiale, tramite un’analisi critica ed un’interpretazione il più oggettiva possibile di tutti i suoi scritti, che viene tuttora accettata dalla maggior parte degli studiosi.

Esempio