Corte Costituzionale

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Testo

La Corte Costituzionale

La giustizia costituzionale
L’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, di un sistema cioè diretto ad assicurare il rispetto della Costituzione da parte delle altre fonti normative è strettamente legato alla natura rigida o flessibile della Costituzione. Anzi, la garanzia giuridica della rigidità della Costituzione è rappresentata soprattutto dalla introduzione di un sistema di giustizia costituzionale.
La nostra Costituzione è rigida e perciò si richiede la necessità di introdurre nel sistema istituzionale un meccanismo di verifica della conformità delle leggi della Costituzione. Quest’organo è chiamato Corte Costituzionale.

Si può dire che solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale è divenuto, in Europa, un principio generalmente accolto: oltre che in Italia, è avvenuto così, ad es. in Germania, con la Costituzione del 1949; in Francia con la Costituzione del 1958; in Portogallo, con la Costituzione del 1976; in Spagna con la Costituzione del 1978.

Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti
Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida e si affronta il problema di assicurare il rispetto di questo principio attraverso l’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, sono due i modelli a cui si fa riferimento: quello “diffuso”, proprio della tradizione americana; e quello accentrato, proprio dell’esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito che si svolse su questo tema fu l’introduzione di un modello di giustizia costituzionale che, in qualche modo, tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Così del modello “accentrato” il Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello “diffuso” esso accolse il principio dell’estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni, attraverso il cosiddetto procedimento in via incidentale.
Quella che viene designata dal Costituente è un’alta magistratura che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell’attività che essa è chiamata a svolgere (giurisdizionale e politica insieme) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle Regioni, in relazione all’insorgere di conflitti la cui soluzione sia legata all’interpretazione di specifiche disposizioni costituzionali, quanto ai singoli cittadini, attraverso l’intermediazione del giudice, sempre nell’ipotesi che specifiche posizioni soggettive, loro riconosciute dalla Costituzione, siano state lese dal legislatore ordinario. Un’alta magistratura cui viene attribuito in esclusiva il potere di pronunciarsi su questo tipo di controversie e con decisioni inappellabili.

Struttura e funzionamento della Corte.
L’art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri dell’organo di giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti).
Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite; esiste una regola convenzionale che stabilisce che la designazione di questi cinque giudici venga riservata ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono.
Una regola in larga misura analoga ha finora guidato anche l’esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato, nel senso che, anche in questo caso, si tratta di nomine che spesso vengono ispirate prevalentemente da criteri di equilibrio della rappresentanza delle diverse aree politiche.
La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, e gli altri due dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta, si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti e tra questi viene eletto chi ottiene la maggioranza relativa. In caso di parità, risulta eletto il più anziano.
Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei membri eletto a maggioranza dai componente dell’organo. Il Presidente dura in carica tre anni ed è rieleggibile, sempre ovviamente entro i limiti del suo mandato novennale.
Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non solo in ordine allo svolgimento della discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del calendario della cause da decidere. Oltre ai poteri che gli spettano sul piano interno, esiste una funzione di rappresentanza esterna della Corte, che viene svolta dal Presidente e che egli esercita in numerosi modi, tra cui quello di un conferenza stampa annuale, con cui viene fatto il punto sugli sviluppi della giurisprudenza della Corte.
Non appena eletti, i giudici della Corte Costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Allo scadere del termine dei nove anni, i giudici costituzionali cessano dalla carica e dall’esercizio delle loro funzioni.
La composizione ordinaria della Corte muta nel caso in cui l’organo di giustizia costituzionale sia chiamato ad esercitare la sua competenza penale, in ordine ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione del Presidente della Repubblica; la composizione della Corte viene in questo caso integrata da 16 giudici non togati, estratti a sorte dalla lista predisposta dal Parlamento in seduta comune.
Come ogni altro organo costituzionale, la Corte e i suoi membri godono di particolari guarentigie volte a garantirne l’autonomia e l’indipendenza.
Le garanzie disposte a favore dell’organo sono:
- potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del possesso dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale;
- potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità;
- potere di decidere la rimozione dalla carica dei propri membri, con una maggioranza pari ad almeno i due terzi dei presenti, qualora si determinino situazioni di incapacità fisica o civile o si verifichino gravi mancanze nell’adempimento dello loro funzioni;
- autonomia finanziaria, da esercitarsi nei limiti del fondo stanziato da una legge del Parlamento per il funzionamento dell’organo di giustizia costituzionale;
- autonomia amministrativa, che consente alla Corte, nei limiti delle disponibilità, non solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione connessa a questi rapporti di impiego;
- autonomia regolamentare, attraverso la quale la Corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione, nonché dei procedimenti relativi all’esercizio delle sue funzioni;
- potere di polizia interna assegnato al Presidente della Corte;
- “giustizia domestica”, ossia potere di decidere le controversie in materia di impiego relative ai suoi dipendenti, le quali sono dunque sottratte al giudice amministrativo.
Le garanzie assicurate ai giudici costituzionali sono:
- l’inamovibilità;
- l’insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle proprie funzioni;
- la non sottoponibilità a limitazioni della libertà personale, salva l’autorizzazione della stessa Corte;
- una retribuzione.

I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della
- pubblicità: le sedute della Corte sono pubbliche, salvi i casi, per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, all’ordine pubblico o alla orale, o per turbative provenienti dal pubblico all’udienza, il Presiedente non decida che quest’ultima debba avvenire a porte chiuse; sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale;
- collegialità: stabilisce che la Corte operi alla presenza di almeno undici giudici e che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti.

Il controllo di legittimità costituzionale: l’oggetto
La prima e fondamentale funzione della Corte costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi.
Oggetto di tale controllo non sono solo le leggi approvate dal Parlamento, ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato (decreti legislativi, decreti legge, norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, gli statuti delle Regioni di diritto comune) e delle Regioni (le leggi regionali e le leggi di Trento e Bolzano).
Non sono stati compresi, invece nella categoria degli atti sottoponibili al giudizio della Corte i regolamenti, nella convinzione che essendo questi, in quanto fonti secondarie, subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione (ma questo non vale per i regolamenti indipendenti, il cui contenuto è slegato da una normativa precedente). Non rientrano tra gli atti sottoponibili al giudizio della Corte neppure i regolamenti parlamentari e degli altri organi costituzionali.
Vi rientrano, invece, sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari per il tramite della legge di attuazione dei Trattati.
Per ciò che attiene al referendum abrogativo esistono dei dubbi che riguardano non tanto la natura dell’atto, quanto i vizi che la Corte sarebbe chiamata a sindacare, posto che la stessa Corte interviene in via preventiva, in sede di giudizio di ammissibilità. Si tratterebbe qui, allora di vizi diversi e connessi o all’eventuale violazione delle regole procedimentali che disciplinano il ricorso al referendum o alla situazione normativa che si determina a seguito dell’effetto abrogante dell’istituto, la quale potrebbe presentare dei profili di illegittimità costituzionale. Nel primo caso, tuttavia, va ricordato che l’Ufficio centrale per il referendum ed il Presidente della Repubblica hanno già il compito di accertare l’avvenuto rispetto delle regole procedimentali, mentre nel secondo caso, risulta assai problematica l’individuazione puntuale dei profili di illegittimità dei quali la Corte si vedrebbe investita e, soprattutto, non è chiaro se, in questa ipotesi, ad essere sottoposto alla Corte dovrebbe essere l’atto conclusivo del procedimento referendario o non piuttosto la disciplina normativa di quella determinata materia, così come risultata amputata dall’effetto abrogante del referendum stesso.
Per ciò che attiene alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali , il problema nasce dal fatto che si ritiene che esse dono dotate di una particolare forza di resistenza passiva, nel senso che si ritiene che esse non possano essere abrogate da un’altra legge successiva, proprio per la connessione che le lega al trattato internazionali, i cui effetti nell’ordinamento interno potrebbero esser fatti cessare, in tutto o in parte, solo attraverso un’azione internazionale dello Stato diretta alla denuncia del trattato stesso. Di qui l’interrogativo circa la loro sottoponibilità o meno al controllo di legittimità della Corte, che potrebbe provocarne la caducazione totale o parziale, qualora il contenuto del trattato, cui la legge dà esecuzione, risultasse in contrasto con la Costituzione.
Sempre in ordine all’oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte o anche sulle norme che, in via interpretativa, se ne possono desumere. Oggi nessuno mette in discussione che il controllo di legittimità delle leggi investa tanto le disposizioni, quanto le norme da esse comunque desumibili.

I vizi sindacabili e le norme parametro
Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è innanzitutto un controllo formale: la Corte può cioè sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento che porta all’approvazione e all’entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di legge.
Ma il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne al conformità o meno rispetto alla Costituzione.
Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili della Corte sono di tre ordini:
- violazione della Costituzione, individua il contrasto tra una legge ed una specifica norma costituzionale;
- incompetenza, riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per Costituzione, sarebbe spettato adottarli
- eccesso di potere legislativo: in relazione agli atti amministrativi, indica l’adozione di un atto per conseguire finalità diverse da quelle previste dalla legge; in relazione alla legge, indica l’adozione di una legge che, per il suo contenuto, non risponde a certe finalità, previste dalla Costituzione, al cui raggiungimento essa è vincolata. Qui, si tratta di trovare volta per volta, quale si il limite costituzionale alla discrezionalità del legislatore che la Corte è tenuta a far rispettare in sede di sindacato sull’eccesso di potere legislativo: problema di non facile soluzione e che spesso ha dato adito a decisioni fortemente contestate dell’organo di giustizia costituzionale. La stessa Corte ha messo a punto, in via giurisprudenziale, alcuni criteri guida per orientare il suo sindacato su questo possibile vizio della legge: in concreto, esso potrà investire la palese contraddittorietà del contenuto della legge rispetto ai suoi presupposti, l’incongruità dei mezzi predisposti, rispetto al raggiungimento delle finalità e le ragionevolezza del contenuto della legge, sempre misurata alla luce delle sue finalità.

I parametri di controllo di costituzionalità della legge sono le norme espressamente prevista dalla Costituzione e i principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale. Vengono utilizzate come parametro anche le norme “interposte”, cioè quelle norme che si interpongono tra la norma costituzionale, di cui rappresentano una specifica attuazione e la norma di legge impugnata davanti alla Corte:
- leggi di delegazione, le quali devono necessariamente contenere, secondo quanto disposto dall’art. 76 Cost., tutta una serie di limiti cui il Governo deve attenersi nell’adottare i conseguenti decreti delegati: ove quest’ultimi non rispettino le indicazioni contenute nella legge di delegazione, possono essere impugnati davanti alla Corte e dichiarati incostituzionali per violazione della norma interposta, in quanto violazione indiretta dei limiti alla delegazione legislativa;
- norme internazionali generalmente riconosciute: la loro violazione da parte del legislatore nazionale si tradurrebbe in una violazione indiretta del principio affermato dall’art. 10, il quale, come abbiamo visto, consente una diretta operatività di tali norme nell’ambito dell’ordinamento interno, con conseguente obbligo di rispetto del loro contenuto da parte della legge nazionale;
- “legge cornice”, quelle destinate, secondo l’art. 117 Cost. a dettare i principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza legislativa concorrente delle Regioni e nel rispetto dei quali tale competenza deve essere esercitata: anche in questa ipotesi, dunque, l’eventuale violazione da parte della legge regionale dei principi fondamentali contenuti nella legge cornice è soggetta al sindacato della Corte, in quanto violazione indiretta dell’art. 117 Cost.
- norme comunitarie, il cui ingresso nell’ordinamento interno come norme direttamente applicabili, e quindi, non modificabili dal legislatore nazionale, è garantita dall’art. 11 Cost., sì che la loro eventuale violazione si tradurrebbe in una violazione indiretta della citata norma costituzionale.

L’accesso alla Corte in via incidentale e principale
Il giudice dal quale deriva la controversia di legittimità costituzionale viene chiamato giudice a quo. Può essere una delle parti del processo a quo a sollevare la questione, sostenendo che una norma che dovrebbe essere applicata in suo sfavore contrasta con la Costituzione; oppure lo stesso giudice chiamato a risolvere la controversia può essere in dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme legislative da applicare.
Per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell’organo di giustizia costituzionale bisogna fare riferimento alla legge cost. 1/1948. Tali regole danno vita a distinti procedimenti:
a. un procedimento in via incidentale. Nasce da una iniziativa di un giudice comune, la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel giudice si trovi a dover decidere: nel corso del giudizio può avvenire, infatti, che il giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per decidere quel processo, presenti dubbi di legittimità costituzionale. In questo caso egli sospende il processo e solleva la questione di legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla Corte costituzionale (ordinanza motivata di rinvio: atto che sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti alla Corte Costituzionale, che deve contenere: l’indicazione della disposizione in considerazione; l’indicazioni delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi cha hanno indotto il giudice a ritenere la questioni di legittimità costituzionale sottoposte alla Corte rilevante ai fini della decisione del processo, giudizio di rilevanza; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che la questione di legittimità non sia manifestamente infondata, ossia ritenere che esistano davvero i dubbi circa la conformità a Costituzione di quella disposizione, giudizio di non manifestata infondatezza). Si tratta, dunque, di un procedimento che coinvolge anche i giudici comuni nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi, con un ruolo non decisionale, ma di iniziativa e di filtro delle diverse questioni che possono nascere in sede di applicazione della legge nelle singole specifiche controversie.
b. un procedimento in via principale (o diretta). L’unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, rispettivamente, o una legge regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione, e, più in particolare, in contrasto con i criteri costituzionalmente fissati per il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti alla Corte.
• L’impugnazione da parte dello Stato di una legge regionale è una questione che può essere promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione dell’avvenuta riapprovazione della legge da parte del Consiglio regionale, in sede di riesame del testo già approvato, ma rinviato dal Governo alla Regione, nel corso della prima fase di controllo. I motivi che possono determinare questa situazione sono legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni. Questa è una forma di controllo di legittimità di tipo preventivi: esso precede, cioè, la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale.
Oltre che dallo Stato una legge regionale può essere impugnata da un’altra Regione, la quale ritenga tale legge invasiva della propria competenza costituzionale garantita; l’impugnazione va promossa, previa deliberazione della Giunta, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge e dà luogo, pertanto ad un controllo successivo.
• Sul versante regionale, legittimato a promuovere l’impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un’apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge. L’impugnazione da parte delle Regioni di una legge statale si basa sull’invasione della propria sfera di competenza costituzionalmente garantita.

L’esame della questione da parte della Corte
Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la Costituzione per la costituzione delle parti e indipendentemente dal fatto che tale costituzione sia o meno avvenuta, ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte.
L’esame della questione deve attenersi trattamento ai termini ei quali essa è stata posta dall’ordinanza di rinvio.
Tale esame inizia con una valutazione della rilevanza della questione per la decisione del processo “a quo”. Il giudizio di rilevanza, come si è visto, è riservato al giudice comune, sì che l’intervento della Corte deve limitarsi ad accertare l’esistenza di una motivazione. In caso di esito negativo di questo primo tipo di valutazione operato dalla Corte, essa adotterà una pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e, senza entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, rinvierà gli atti al giudice “a quo” (ordinanza di inammissibilità). Sempre con ordinanza, la Corte rinvia gli atti al giudice “a quo”, nel caso on cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestatamene infondata (ordinanza di manifesta infondatezza): siamo anche in questo caso, di fronte ad una valutazione preliminare.
Nell’ipotesi opposta, viceversa, la Corte dovrà valutare se i dubbi di legittimità costituzionale espressi nell’ordinanza di rinvio, e non ritenuti manifestatamene infondati, siano tali da portare o meno ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata.La decisione della questione avviene in Camera di Consiglio, ma può essere preceduta da un’udienza pubblica.
La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza.
Le modalità di conclusione del processo costituzionale:
a) in via incidentale
Le sentenze della Corte si compongono di tre parti:
1. in fatto, vengono riassunti i termini della questione, ed esposte le posizioni espresse nalla parti che si eventualmente costituite
2. in diritto, la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione prposta, sia in ordine alla sua fondatezza o meno
3. dispositivo, la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione
e possono essere:
- sentenze di accoglimento, che recano nel dispositivo la dichiarazione di incostituzionalità della norme impugnate. Producono l’annullamento delle norme dichiarate incostituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità ha effetti “erga omnes”. La portata di tali effetti riguarda i rapporti giuridici successivi alla sentenza di accoglimento che non siano giuridicamente esauriti, (tale retroattività incontra tuttavia un limite, dunque, nei cosiddetti rapporti giuridici esauriti). Un altro limite “mobile” alla retroattività delle sentenze di accoglimento è venuto affermandosi in una recente giurisprudenza della Corte, là dove essa ha deciso di disporre in ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo direttamente il momento da cui dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). Come per gli effetti retroattivi, così anche per quelli futuri la Corte ha messo a punto una serie di meccanismi decisori che consentono di differire nel tempo le conseguenze connesse all’accertamento dell’incostituzionalità della legge impugnata. Si pensi alle sentenze di rigetto precario o di incostituzionalità provvisoria, con le quali la Corte accerta l’incostituzionalità della legge, ma, in virtù della transitorietà della disciplina normativa sottoposta a giudizio, rinvia ad un momento successivo la declaratoria di incostituzionalità della medesima. Si pensi, ancora, alle cosiddette, sentenze di incostituzionalità differita, che sono invece delle sentenze di accoglimento, con le quali la Corte dichiara l’incostituzionalità della legge, me, contestualmente, decide di rinviarne gli effetti ad un “dies a quo”, futuro, che, in certi casi, viene lasciato indeterminato, in latri viene puntualmente determinato dalla stessa Corte.
- sentenze di rigetto, che recano nel dispositivo la dichiarazione dell’infondatezza dei dubbi di costituzionalità espressi nell’ordinanza di rinvio. Gli effetti si riverberano essenzialmente nei confronti del processo “a quo”: il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondatezza. Ed ovviamente le stesse norme potranno continuare ad essere applicare da latri giudici comuni, nonché dagli organi amministrativi. Il rigetto di una questione di legittimità costituzionale non esclude che la stessa possa essere riproposta alla Corte, accompagnata da diverse motivazioni e, che possa andare incontro ad un esito diverso.
Entrambe vengono depositate presso la cancelleria della stessa Corte, e il dispositivo delle sentenze di accoglimento viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Sentenze di accoglimento e di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte Costituzionale. Quest’ultima ha, infatti, messo a punto una apparato di strumenti decisori assai più articolato e complesso, che le ha permesso di impostare un rapporto con i soggetti istituzionali destinatati delle sue pronunce meno schematico di quello che il solo ricorso ai tipi di sentenze sin qui esaminati le avrebbero consentito:
- introduzione delle sentenze interpretative, con esse la Corte valuta la conformità delle norme desumibili rispetto alla Costituzione, sì che su queste e non sulle disposizioni scritte operano gli effetti della pronuncia adottata. Esistono sentenze interpretative di accoglimento con cui ad essere dichiarata incostituzionale è una certa interpretazione delle disposizione; sentenze interpretative di rigetto, che consente la sopravvivenza della disposizione impugnata, ma anche alla sua apllicazione dell’interpretazione datane dalla Corte;
- sentenze additive, ablative e sostitutive. Le sentenze di accoglimento possono essere:
• additive, con cui la Corte dichiara la incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui non prevede” un qualche cosa che invece dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di estendere la portata normativa della disposizione impugnata, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto,
• ablative, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa che non dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di eliminare dalla disposizione impugnata la parte ritenuta incostituzionale dalla Corte,lasciandone in vita la parte restante, cioè riducono l’ambito di applicazione della disposizione legislativa;
• sostitutive, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa anziché un’alta; L’effetto sarà quello di imporre al giudice comune l’applicazione della norma individuata dalla Corte in sostituzione di quella dichiarata illegittima, cioè si giunge a sostituire taluno dei suoi termini normativi.
- sentenze-delega e sentenze di incostituzionalità differita. Con le sentenze-delega, infatti, la Corte nel motivare la propria decisione, si preoccupa di indicare al legislatore quali dovrebbero essere, le linee generali della normativa della materia in oggetto. Con le sentenze di incostituzionalità,la Corte, nel riconoscere l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ne fa salva tuttavia, la applicazione, in attesa di un intervento riformatore del legislatore, chiamato ad intervenire in attuazione di precise indicazioni, direttamente fornite dall’organo di giustizia costituzionale.
b. la conclusione del processo in via principale
Assai più semplice, sotto il profilo dei possibili strumenti utilizzabili, risulta la conclusione del processo in via principale. Esso può portare o ad una sentenza di rigetto o ad una dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale, o della legge statale impugnata.
Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l’effetto sarà quello di impedire la promulgazione e quindi l’entrata in vigore della legge regionale o provinciale, o quello di determinare l’annullamento della legge statale impugnata.
Nel caso in cui la Corte adotti, invece, una sentenza di rigetto, l’effetto sarà quello di consentire la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale, o quello di consentire l’ulteriore applicazione della legge statale.
Un altro effetto delle pronunce della Corte, in sede di decisione del processo in via principale, è quello di definire implicitamente l’ambito materiale delle competenze normative tra Stato e Regioni in ordine alle singole questioni chele vengono prospettate, sempre ovviamente alla luce dei criteri generali fissati dalla Costituzione.

Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
La seconda funzione che l’art. 134 Cost. attribuisce alla Corte Costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni e Regioni. Il conflitto di attribuzione è una controversia con la quale si rivendica come proprio un compito che altri rivendicano come proprio.
Con riferimento al conflitto tra i poteri dello Stato, l’art. 137 della legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono” ed hanno ad oggetto “ la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”. Da questo derivano alcuni problemi:
- individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. Non vi è mai stato dubbio sul fatto che legittimati ad adire la Corte fossero non solo gli organi che impersonano i tre tradizionali poteri dello Stato (Parlamento, Governo e giudici), ma anche gli organi che abbiamo ricompreso nella categoria degli organi costituzionali (Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale stessa). A questi la Corte ha successivamente assimilato quegli organi che, pur non appartenendo allo Stato-apparato, ma essendo esterni ad esso, sono tuttavia titolari di “funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statali in senso proprio” (in particolare la questione riguardava il comitato promotore del referendum). L’art. 134 Cost. e l’art 137 della legge 87/1953 escludono che il conflitto tra organi appartenenti allo stesso potere non può essere portato davanti alla Corte.
Nella sentenza 7/1996, la Corte ha riconosciuto la legittimazione dei singoli Ministri a sollevare il conflitto di attribuzione nell’ipotesi di contestazione di una mozione di sfiducia individuale. In questa ipotesi, infatti, è l’atto contestato, secondo la Corte, che distingue ed isola la responsabilità individuale del Ministro, sì che non gioca più l’argomento relativo alla collegialità governativa, né l’argomento della necessaria attribuzione di specifiche competenze da parte della Costituzione al soggetto ricorrente (argomento che aveva già consentito alla Corte di riconoscere la legittimazione individuale del Ministro di Grazia e Giustizia)
Con ordinanza 226/1995, la stessa Corte ha. Invece, negato la stessa legittimazione al Garante per la radiodiffusione e l’editoria, sulla base di un duplice ordine di motivazioni (la natura ordinaria e non costituzionale della fonte attributiva dei poteri al Garante e l’impossibilità di poter riferire in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello Stato.
- Interpretazione di ciò che dovesse intendersi per organi “competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”. Col tempo ha finito per prevalere un’interpretazione estensiva e non formalistica dell’inciso, sulla base della quale l’individuazione degli organi abilitati a sollevare il conflitto va fatta caso per caso, alla luce delle norme costituzionali che disciplinano le caratteristiche organizzative del potere cui essi appartengono. Così la Corte ha riconosciuto, in alcuni casi, la legittimazione al ricorso per conflitto di attribuzione a ciascuna Camera del Parlamento, alle commissioni d’inchiesta parlamentari; così la stessa legittimazione è stata riconosciuta ad ogni singolo organo giurisdizionale.
- Definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva: si ritengono ammissibili non solo i conflitti determinati da atti invasivi della altrui sfera di attribuzioni, ma anche quelli determinati dall’esercizio o dal mancato esercizio di determinate competenze, da cui derivi un impedimento o un pregiudizio all’esercizio di competenza spettanti a un altro organo.
La Corte prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato, decide con ordinanza circa l’ammissibilità del medesimo (decide, cioè, se esso può farsi rientrare nell’ambito dei conflitti presentabili davanti alla Corte). Solo successivamente procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice effetto: innanzitutto essa determina a quale dei poteri in conflitto spettino le attribuzioni in contestazione e, in secondo luogo, essa può determinare l’annullamento dell’atto adottato in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze. Nel caso, invece, di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi,la pronuncia della Corte comporterà l’accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di azione all’organo chiamato a risponderne.

Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regioni
I conflitti di cui qui ci occupiamo nascono da interferenze dovute ad atti non legislativi: ad atti amministrativi, normativi o giurisdizionali. Vengono ritenuti ammissibili non solo i conflitti nascenti da un atto specifico di esercizio di un’altrui competenza, ma anche quelli nascenti da un uso (o non uso) illegittimo delle proprie competenze, con conseguenze negative in ordine al corretto esercizio di altre competenze, costituzionalmente assegnate rispettivamente allo Stato o alla Regione.

Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica
Alla Corte spetta anche di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione in relazione ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione.
In questo caso opera come giudice penale e assume una composizione dei 15 membri più altri 16, tratti a sorte da 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni 9 anni.
Quanto al procedimento, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase dibattimentale, diretta alla contestazione delle accuse, esso si conclude con una decisione presa in camera di consiglio. Nella votazione finale, non è ammessa l’astensione e, in caso si parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all’imputato.
La sentenza che conclude il giudizio d’accusa è soggetta alla pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale, è irrevocabile ma può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte, con ordinanza, nell’ipotesi in cui successivamente alla condanna, emergano fatti o elementi nuovi che provino l’estraneità dell’imputato ai fatti a lui addebitati. La revisione può essere chiesta dal comitato parlamentare perle accuse.

Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo
La Costituzione ha attribuito alla Corte anche il giudizio sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
Il giudizio che porta al giudizio di ammissibilità o inammissibilità del referendum abrogativo è l’unica ipotesi in cui la Corte decide in assenza di parti . La Corte decide in camera di Consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto.

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