Apparenza e realtà

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Testo

Apparenza e realtà
INDICE
• Luigi Pirandello ……………………………………………………. pag. 1
• Marcel Proust ……………………………………………………… pag. 5
• Henry James ……………………………………………………….. pag. 7
• Arthur Schopenhauer……………………………………………… pag. 9
• Il presidente della repubblica: poteri formali e sostanziali ……….. pag. 11
• La moneta: valore reale e valore nominale ………………………… pag. 13
• Le stelle: luminosità apparente e luminosità assoluta ………………. pag. 14
• Il paradosso dei gemelli ……………………………………………. pag. 16
• Asintoti verticali e forma indeterminata …………………………. pag. 18

LUIGI PIRANDELLO (1867 – 1936)

Ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello degli altri: a fronte della realtà esterna che si presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di ciascun personaggio, per cui la vera realtà è nessuna. Tra realtà e non-realtà ci sono due distinte dimensioni:
1) la dimensione della realtà oggettuale, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche ed è la non-realtà inafferrabile e non riconoscibile: ciò che resta nell'anima dell'individuo è la sua disintegrazione in tante piccole parti quante sono le possibilità concrete dell'individuo di vederla. Della realtà oggettuale esterna noi non cogliamo che quegli aspetti che sono maggiormente confacenti al particolare momento che stiamo vivendo, in base al quale riceviamo dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente individuali e non possono essere provate da tutti gli altri individui;
2) la dimensione della realtà soggettuale, che è la particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia individuali che sociali, ci sono tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo.
Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettuale, ma una realtà soggettuale, che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra e si disumanizza.
L'uomo però deve adeguarsi ad una legge imposta dalla società, egli si costruisce quindi una maschera. Siccome il personaggio non ha nessuna possibilità di mutare la propria maschera si verifica la disintegrazione fisica e spirituale dei personaggi che si può riassumere nella teoria della triplicità esistenziale:
1) come il personaggio vede se stesso;
2) come il personaggio è visto dagli altri;
3) come il personaggio crede di essere visto dagli altri.
Le conseguenze della triplicità sono tre:
1) il personaggio è uno quando viene messa in evidenza la realtà-forma che lui si dà;
2) è centomila quando viene messa in evidenza la realtà-forma che gli altri gli danno;
3) è nessuno quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non è la stessa cosa, quando la propria realtà-forma non è valida sia per sé che per gli altri, ma assume una dimensione per sé e un'altra per ciascuno degli altri.
La forma è la maschera, l'aspetto esteriore che l'individuo-persona assume all'interno dell'organizzazione sociale per propria volontà o perché gli altri così lo vedono e lo giudicano. Essa è determinata dalle convenzioni sociali, dalla ipocrisia, che è alla base dei rapporti umani.
Il concetto di forma nelle novelle e nei romanzi e di maschera nella produzione teatrale sono equivalenti. La maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell'individuo a recitare sempre la stessa parte, imposta dall'esterno, sulla base di convenzioni che reggono l'esistenza della massa.
Quando il personaggio scopre di essere calato in una forma determinata da un atto accaduto una sola volta e di essere riconosciuto attraverso quell'atto e identificato in esso cade in una condizione angosciosa senza fine, perché si rende conto che:
• la realtà di un momento è destinata a cambiare nel momento successivo
• la realtà è un'illusione perché non si identifica in nessuna delle forme che gli altri gli hanno dato.
È nella maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà, fra l'illusione che la propria realtà sia uguale per tutti e la realtà che si vive in una forma, dalla quale il personaggio non potrà mai salvarsi.
Nella società l'unico modo per evitare l'isolamento è il mantenimento della maschera: quando un personaggio cerca di rompere la forma, o quando ha capito il gioco, viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto nella massa in quanto si porrebbe come elemento di disturbo in seno a quel vivere apparentemente rispettabile. Tutta l'esistenza si fonda sul dilemma: o la realtà ti disperde e disintegra, o ti vincola e ti incatena fino a soffocarti.
Quando interviene l'accidente che libera il personaggio, tutti pensano che la diversità di comportamento sia dovuta all'improvvisa alienazione mentale del personaggio, a una sua forma di follia che scatena in tutti il riso, perché non è comprensibile da parte della massa. Solo la follia permette al personaggio il contatto vero con la natura (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo
forte il legame con le norme della società.
Così accade a Enrico IV, un nobile del primo Novecento fissato per sempre nella rappresentazione del personaggio storico da cui prende il nome, dopo aver battuto la testa per una caduta da cavallo. In Enrico IV troviamo l'esasperazione del conflitto fra apparenza e realtà, fra normalità e anormalità, fra il personaggio e la massa, fra l'interiorità e l'esteriorità. Per superare questo conflitto il personaggio tende sempre più a chiudersi in se stesso, per cui l’anormalità diventa sistema di vita.
La guarigione di Enrico IV dalla pazzia, improvvisa e fisicamente inspiegabile, proietta il personaggio nelle vicende quotidiane, ma lo rende anche consapevole di non poter più recuperare i 12 anni vissuti 'fuori di mente', per cui non gli resta che fingersi ancora pazzo dopo aver constatato che nulla era rimasto ormai della sua gioventù, del suo amore, e che molti lo avevano tradito.
Enrico IV assume una forma immutabile agli occhi di tutti, ma non di se stesso, rifugiandosi nel già vissuto e fingendo di essere ancora pazzo.
L’esempio più appropriato della frantumazione dell’io e del relativismo pirandelliano che evidenzia il contrasto tra apparenza e realtà è il romanzo “Uno, nessuno e centomila”.
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre di non essere per gli altri quell’UNO che è per sé. La moglie Dida, svelandogli che il suo naso pende verso destra, ha squarciato tutte le sue certezze, avviando una riflessione sull’intera esistenza. Ecco visualizzato lo sbriciolamento del reale che da univoco (UNO) diventerà poliedrico (CENTOMILA) e sfocerà nel nulla (NESSUNO).
Vitangelo allo specchio, simbolo dell’io davanti a se stesso, scopre di vivere senza "vedersi vivere". Si getta quindi all’inseguimento dell’estraneo inscindibile da sé che gli altri conoscono in centomila identità differenti. Il protagonista si stacca dal proprio "fantoccio vivente", per se stesso è ormai nessuno: la distruzione dell’io è consumata.
Maschera creata dagli altri, fantoccio della moglie, è il "caro Gengè", amato teneramente da Dida fino a trasformare Vitangelo in un’ombra vana. Il padre "banchiere – usuraio" lo ha ingabbiato nel ruolo di "buon figliuolo feroce": ecco un’altra marionetta nel "gioco della parti" della vita. La gente lo vede come uno spietato usuraio.
L’aspirazione di Vitangelo è rimanere al di là dello specchio, essere un "Un uomo così e basta". E’ possibile? Egli, alla ricerca di una via di fuga dai centomila estranei a sé che vivono negli altri, decide di uccidere le sue "marionette" ma, per aver voluto dimostrare di non essere ciò che si credeva, è ritenuto pazzo: la gente non vuole accettare che il mondo sia diverso da come lo immagina. Non c’è via di fuga: Vitangelo scopre che le marionette non si possono distruggere.
La decisione di vendere la banca del padre per uccidere l’usuraio Moscarda, fa sorgere una volontà che lo fa essere Uno. Questo atto, per tutti assurdo, crea attorno a lui un vuoto in cui si inserisce Anna Rosa, donna dalla psiche molto simile alla sua: frantuma la propria identità atteggiandosi davanti allo specchio, vorrebbe fermare la vita per conoscersi.
Vitangelo, presentandosi come una persona completamente diversa dal Moscarda che tutti hanno davanti agli occhi da anni, perderà la moglie, la ricchezza e la "faccia", ma saprà trovare nell'ospizio per poveri da lui stesso fatto costruire, il proprio vero io che gli era stato negato.
Egli, avvolto nella coperta verde "naufraga dolcemente" nella serenità della natura, senza passato né futuro. Estraniarsi da sé è l’unica via per fuggire alle centomila costruzioni che falsificano la realtà e la imprigionano in un nome immutabile.
La vita "non conclude" ed è un divenire palpitante: meglio, dunque, essere nessuno poiché l’essere uno si è rivelato un’illusione di fronte allo svelarsi delle centomila maschere.
Pirandello mette in rilievo non i fatti ma la vita interiore del "Fu Vitangelo Moscarda".
MARCEL PROUST (1871-1922)
Proust, dans le roman “À la recherche du temps perdu” (1913-27), divisé en 7 volumes où il raconte dans chaque volume un moment particulier de la vie du narrateur, introduit le concept des masques, qui soulignent la contrapposition entre apparence et réalité.
Touts les personnages qui font partie du roman sont présentés sous les yeux du Je du narrateur donc la focalisation est interne subjective.
Le roman du passé avait reconstruit un type humaine (Balzac) ou un héros (Stendhal); le personnage proustien conserve jusqu’à la fin ses petits tas de secrets, nous ne découvrons jamais les mobiles des actions déconcertantes de nos semblables, il existe une sorte d’incommunicabilité des êtres qui empêche toute connaissance véritable. Les personnages ont des masques qui se baissent lentement: des découvertes, des surprises, des révélations paraissent et remettent en question des observations précédentes.
Cette conception du personnage est liée aux intermittences du coeur: nous pensons que tous nos biens intérieurs, nos joies passées et nos douleurs sont perpétuellement en notre possession mais en réalité nous ne les retrouvons que par hasard grâce à la mémoire involontaire. Notre optique des faits se transforme à travers des surgissements successifs de sensations, d’impressions cachées et miraculeusement retrouvées.
La vision du monde et des gens change aussi en fonction du temps: les personnages évoluent à travers les yeux du narrateur qui passe de l’enfance à l’age adulte. Certains personnages assument des visages différents alors que le narrateur progresse dans son expérience et dans sa vision du monde.
Swann est l’exemple d’un personnage qui évolue et montre ses masques pendant l’histoire: on peu analyser cette attitude dans “Les masques de Swann”, un texte tiré du volume “Du coté de chez Swann” (1913) de la Recherche. Swann se dévoile et progresse sous nos yeux selon une évolution qui correspond au lent écoulement du temps et de la conscience.
Dans ce texte narratif et descriptif on voie l’opposition entre l’image que Swann a donné à l’extérieur et ce qu’il est en réalité.
La famille du narrateur a toujours ignoré que Swann menait une brillante vie mondaine, en partie à cause de la discrection de son caractère, en partie parce qu’on considérait que la société est composée de castes fermées où chacun se trouvait de sa naissance dans le rang occupé par ses parents. Swann a toujours caché cette partie de sa vie et on pensait qu’il avait une vie toute différente.
La perception du monde du narrateur a changé parce que le Moi n’a pas une seule certitude et la réalité est fragmentée.
HENRY JAMES (1843 – 1916)
The cumulative power of nuance and the search for an elusive secret are archetypally manifested in The Turn of the Screw (1898), a work which successfully embodies the union of opposites and the contrast between appearance and reality.
The short story is written mostly in the form of a journal, kept by a governess. She tries to save her two young charges, Flora and Miles, from the demonic influence of the apparitions of two former servants in the household, Peter Quint and the previous governess Miss Jessel.
Her employer, the children's uncle, has given strict orders not to bother him with any of the details of their education.
The children evade the questions about the ghosts but she certain is that the children see them. When she tries to exorcize their influence, Miles dies in her arms.
The apparition of the ghosts triggers a series of ambiguous and mysterious circumstances both related to the governess’ attitude and to the children’s innocence and unawareness. Many interpretations may be given to the story: either the governess really sees the ghosts and wants to protect the children and save their innocence, or the ghosts are just the projection of her sexual repressions and distorted mind. Are the children really innocent or do they side with demons?
There is a theological, not merely moral or psychological, concept of evil. The governess is an inquisitor as well as an exorcist. But the governess’ endeavours are doomed to failure, partially because of her own inadequacies and partially because Flora and Miles are not simply unwilling victims of demoniac possession, but have willingly subjected themselves to both demonic and pagan powers. Flora and Miles are definitely preternatural in their "angelic" beauty and "blessed" innocence, but this may all be a sham to hide their true natures.
The common denominator of these religious themes is ambivalence and ambiguity, or more precisely a sense of two-sidedness.
The governess is both a saviour and a cruel inquisitor; by attempting to save the children’s souls she may have lost them. The children are pure and simple, yet may hide complex natures behind a theatrical mask of innocence; they seem angelic but are perhaps demonic.
The story mixes Christian morality with pagan amorality.
Is the destruction of the children caused by the governess’ "infernal imagination" or by her lack of full comprehension? Is she neurotic or an inept exorcist?
The ambiguity with which the story ends arises as a result of the conflict of recognizing that the continued repression of this apparent evil was in itself destructive and it was the greater evil.
ARTHUR SCHOPENHAUER (1788 – 1861)
Schopenhauer analizza la contrapposizione tra realtà (volontà) e apparenza (rappresentazione) nella sua più grande opera: “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
La rappresentazione è ciò che noi vediamo, non ha alcun fondamento oggettivo quindi quello che noi riteniamo che sia la realtà è un semplice inganno, un’illusione.
La rappresentazione è come il velo di Maia: Maia era una divinità buddista che utilizzava il velo come strumento per far credere reali delle semplici illusioni. Schopenhauer vuole fuoriuscire dalla dimensione illusoria strappando il velo di Maia per giungere alla realtà. Per strapparlo, egli usa l’immagine del castello circondato dall’acqua con il ponte levatoio sollevato: il viandante può osservare il castello da tutti i lati ma ne rimarrà sempre fuori. Allo stesso modo noi possiamo esaminare la realtà da tutti i lati ma ne rimaniamo sempre fuori. Il cunicolo che ci consente di andare al di là delle illusioni è il nostro corpo, l’unica realtà che non ci è data solo come immagine poiché noi viviamo il nostro corpo anche dall’interno. La corporeità è il modo per andare al di là della rappresentazione e afferrare l’essenza delle cose. Schopenhauer non è interessato all’introspezione ma utilizza il corpo solo come un mezzo metafisico per arrivare alla realtà. Percorrendo questa strada si individua una realtà sostanziale: la volontà di vivere, che ha un valore universale.
La volontà di vivere è una forza tragica apportatrice di dolore, è il fondamento del reale, la brama, il desiderio di esistere, è la vera essenza delle cose. Essa presenta quattro caratteristiche:
1) è inconscia: non riguarda solo le creature dotate di coscienza ma riguarda tutto il mondo animato e inanimato;
2) è unica perché si colloca al di là della categoria dello spazio (cioè la prima categoria della razionalità), la divisibilità e la molteplicità comportano lo spazio;
3) è eterna perché è oltre il tempo (cioè la seconda categoria razionale), c’è sempre stata e sempre sarà;
4) è incausata e senza scopo: non ha né una causa né un fine, è oltre la causalità (cioè la terza categoria della razionalità).
Da ciò ne deriva che Schopenhauer ha un pensiero irrazionalistico: il fondamento della realtà è irrazionale, egli nega la presenza di qualunque realtà nelle cose, di qualsiasi carattere razionale nella realtà (contrariamente a Hegel, secondo il quale tutto è razionale), nega qualsiasi efficacia riconosciuta alla ragione. L’irrazionalismo è applicato alle categorie della razionalità: la razionalità non è in grado di cogliere la realtà quindi essa non può essere colta con le categorie della razionalità. Per afferrare la conoscenza bisogna fuoriuscire dal campo della razionalità.
Dalla concezione di Shopenhauer della volontà di vivere emerge un certo pessimismo: la volontà di vivere produce sofferenza perché volere significa desiderare, cioè mancare di qualcosa. Questo senso di mancanza produce sofferenza quindi la volontà di vivere è portatrice di sofferenza.
Alcuni desideri possono essere soddisfatti ma il soddisfacimento del desiderio è momentaneo perché poi si trasforma in noia, quindi si arriva alla medesima condizione di sofferenza a causa della noia. Ne consegue che il fondamento dell’esistenza è il dolore.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il presidente della repubblica ha un ruolo simbolico e formale, è una figura rappresentativa con pochi poteri. Questo accade perché la forma di governo italiana è parlamentare, al contrario, negli Stati Uniti il presidente della repubblica è una figura dotata di ampi poteri, limitati solamente dalle leggi vigenti poiché la forma di governo americana è presidenziale.
Il presidente della repubblica si colloca istituzionalmente al di sopra delle parti e rappresenta l’unità nazionale. Egli è dotato di molteplici funzioni, ma si tratta solo di un potere apparente perché in realtà la sua autonomia è molto ristretta.
La “formalità” della figura del presidente è dimostrata anche dal fatto che egli non è politicamente responsabile degli atti che compie. Infatti gli atti emanati dal presidente necessitano della controfirma ministeriale, altrimenti non sono validi. In questo modo i ministri proponenti se ne assumono la responsabilità: il ministro è il vero autore della decisione, il presidente si limita a emanarlo formalmente. Questo procedimento viene effettuato per una ragione storica: si pensava infatti che il re non potesse sbagliare.
Tuttavia il presidente ha anche dei poteri sostanzialmente presidenziali ovvero per alcune funzioni egli può prendere l’iniziativa e decidere in piena autonomia. Questi sono poteri che consentono al presidente di svolgere la funzione di garante dell’equilibrio politico e della continuità del sistema costituzionale. Anche questi però devono recare la controfirma ministeriale, ma la differenza sta nel fatto che il presidente si assume la piena paternità della decisione, mentre i ministri si limitano a permetterne la validità senza poter interferire nel merito.
I poteri (formali e sostanzialmente presidenziali) del presidente sono:
1) Rispetto al corpo elettorale:
• indice le elezioni alle camere,
• indice i referendum popolari;
2) Rispetto al parlamento:
• può sciogliere le camere,
• promulga le leggi (salvo rinvio),
• può nominare 5 senatori a vita,
• può inviare messaggi alle camere,
• può convocare le camere in via straordinaria,
3) Rispetto al governo:
• nomina il presidente del consiglio e su proposta di questo i ministri,
• emana gli atti deliberati dal consiglio dei ministri (decreti-legge, decreti legislativi, decreti del presidente della repubblica: regolamenti governativi, decreti di nomina dei funzionari dello stato, decreti di scioglimento dei consigli regionali o comunali),
• autorizza il governo a presentare i disegni di legge al parlamento,
• politica militare: ha il comando delle forze armate, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle camere,
• politica estera: riceve gli ambasciatori esteri, ratifica i trattati internazionali,
• conferisce le onorificenze della repubblica,
4) Rispetto alla magistratura:
• presiede il consiglio superiore della magistratura,
• può concedere la grazia e commutare le pene,
5) Rispetto alla corte costituzionale:
• nomina 5 giudici costituzionali.
LA MONETA: VALORE REALE E VALORE NOMINALE
La moneta è un mezzo di scambio grazie al quale possiamo acquistare beni o servizi.
Il valore della moneta può essere classificato in due modi:
a) valore nominale: ovvero il valore impresso sulla moneta,
b) valore reale: ovvero il potere di acquisto della moneta (cioè la quantità di beni e servizi che in un dato momento può essere acquistata con l’impiego della moneta).
Tra le due definizioni c’è una differenza fondamentale: spesso infatti valore reale e valore nominale non coincidono, poiché il valore nominale non è altro che un numero mentre il valore reale è l’effettivo quantitativo di ricchezza della quale disponiamo. Il fenomeno che influisce su questa diversità è l’inflazione, cioè un continuo aumento dei prezzi che provoca un deprezzamento della moneta: il valore nominale della moneta rimane uguale mentre il valore reale diminuisce. Di conseguenza se si dispone di una banconota di £ 100.000 (valore nominale) apparentemente si ha un potere di acquisto costante (dato che il valore nominale non cambia), ma questo valore non è il valore effettivo del bene e cambia nel tempo perché l’inflazione fa si che il valore reale non coincida più con quello nominale: con la banconota si potranno acquistare beni che costano £ 100.000 ma il loro prezzo prima che il tasso di inflazione aumentasse era minore, quindi a parità di banconota possiamo comprare una quantità di beni che ha un valore effettivo minore.
All’aumentare dei prezzi, il potere di acquisto della moneta diminuisce quindi per ricavare il valore monetario reale bisogna ricorrere agli strumenti per misurare il tasso di inflazione poiché in questo modo si può sapere a quanto ammonta l’aumento dei prezzi e il deprezzamento della moneta. L’entità dell’inflazione si misura attraverso:
1) l’indice dei prezzi all’ingrosso: transazioni commerciali tra imprese, rapporti tra produttore – grossista e grossista – dettagliante (è utile per stabilire la posizione dell’Italia verso l’estero);
2) l’indice dei prezzi al consumo: transazioni commerciali tra dettaglianti – consumatori cioè tra imprese e famiglie (è l’indice più usato);
3) l’indice del costo della vita: transazioni tra dettaglianti – consumatori (è molto simile al precedente ma se ne differenzia per la diversa ponderazione: entrambi gli indici devono essere diversamente ponderati quando la composizione del paniere dei beni subisce una variazione).
Una volta calcolata l’inflazione, il valore monetario si trova facendo il reciproco del livello generale dei prezzi:
1 1
Vm = POTERE DI ACQUISTO =
P INDICE DEI PREZZI
LUMINOSITÀ APPARENTE E LUMINOSITÀ ASSOLUTA
Con il termine magnitudine si intende la misura della quantità di luce che ci arriva da un corpo celeste (stelle, galassie, nebulose...). Questa quantità di luce dipende da molti fattori come la distanza dell'astro in questione, la sua grandezza e la sua temperatura.
Guardando il cielo si vede subito che alcune stelle sono più luminose di altre. Inoltre la luce che la stella emette, durante il tragitto fino alla Terra, deve attraversare una quantità di materia interstellare che ne assorbe una parte (assorbimento interstellare); la stessa atmosfera terrestre contribuisce a questo assorbimento.
Per cui una stella che magari è più luminosa ma più lontana di un'altra, ci appare più debole. Sorge allora la necessità di avere un metro valido in generale per misurare la luminosità di un astro.
La magnitudine (luminosità) si distingue in:
a) magnitudine apparente: la dicitura apparente è dovuta al fatto che ci si riferisce alle luminosità delle stelle così come appaiono viste dalla superficie terrestre. In realtà questa scala non ci permette di classificare e quindi confrontare correttamente le stelle tra di loro, in quanto non tiene conto né elle dimensioni effettive dell’astro né della sua distanza dalla Terra;
b) magnitudine assoluta: è la luminosità effettiva e reale della stella. Si è deciso di costituire un sistema di magnitudini assolute in cui si misura la luminosità che avrebbero gli astri se fossero tutti alla distanza (arbitraria) di 10 Parsec dalla Terra.
Il legame tra la magnitudine relativa ( m ) a quella assoluta ( M ) è dato dalla seguente relazione:
m
= d
M
dove d è la distanza della stella in Parsec.
Se si conosce la distanza di una stella se ne può determinare la magnitudine assoluta; viceversa se si conosce la magnitudine assoluta si può risalire alla distanza, e questo è quello che ci permettono di fare le variabili cefeidi.
La scala delle grandezze è progressiva all’incontrario, cioè più la massa della stella è grande e meno sarà luminosa la stella.
IL PARADOSSO DEI GEMELLI
Un gemello rimane sulla Terra e l’altro va nello spazio a una velocità prossima a quella della luce. Il gemello che rimane sulla Terra invecchia maggiormente perché il tempo sulla Terra passa diversamente.
Infatti secondo la dilatazione dei tempi il tempo dipende dal sistema di riferimento in cui è misurato, non è assoluto ma varia a seconda dell’osservatore:
specchio
d osservatore
(altezza cabine)
orologio luminoso
S S1
l’orologio luminoso emana un raggio di luce che lo specchio riflette e fa tornare indietro in un certo arco di tempo.
• L’osservatore della cabina S misura il tempo Lt che la luce impiega a salire e a tornare indietro.
• L’osservatore della cabina S1 misura il tempo t1 che la luce impiega a salire e a tornare indietro.
Per entrambi il tempo misurato nella propria cabina è uguale: Pt = tt1.
• L’osservatore in S (fermo) misura il tempo che la luce impiega a salire e a tornare indietro nel sistema di riferimento S1 (in movimento). L’osservatore in S vede un raggio di luce che si sposta verso l’alto e contemporaneamente verso destra:

S1 S1
Il disegno mostra un triangolo isoscele i cui lati sono maggiori dell’altezza.
Il tempo che misura l’osservatore S nel sistema di riferimento S1 sarà quindi maggiore del tempo che S1 avrebbe misurato nel suo sistema di riferimento, in quanto secondo i postulati della relatività ristretta la velocità della luce nel vuoto è una costante.
Di conseguenza per l’osservatore in S il tempo passa più velocemente.
Così avviene anche per i gemelli: per il gemello che rimane sulla Terra, l’altro gemello è in movimento quindi il tempo per lui passerà più lentamente e conseguentemente invecchierà di meno. Ma per il gemello che viaggia nello spazio è l’altro gemello che è in movimento quindi si domanda perché non è l’altro ad essere più giovane.
I gemelli non sanno quale dei 2 sistemi sia in movimento.
Sembrerebbe esserci un paradosso ma il paradosso è solo apparente. Infatti la relatività ristretta può essere applicata solo se gli osservatori si muovono sempre a velocità costante uno rispetto all’altro, ma in questo caso non è così: l’astronave del gemello che va nello spazio infatti per tornare indietro deve decelerare e poi di nuovo accelerare. In questo arco di tempo la teoria della relatività ristretta di Einstein non si può applicare.
ASINTOTI VERTICALI E FORME INDETERMINATE
Il dominio di una funzione fratta ci permette di trovare dei punti di discontinuità nei quali apparentemente c’è uno o più asintoti verticali. In realtà bisogna verificare se l’asintoto verticale c’è effettivamente, tale verifica si effettua con i limiti:
dove c è il punto di discontinuità trovato grazie al dominio della funzione.
Se i limiti danno come risultato c , significa che effettivamente c’è un asintoto verticale.
Se il risultato del limite è una forma indeterminata, può accadere che:
a) non ci sono asintoti verticali e la funzione presenta una discontinuità eliminabile, ovvero ha un limite finito, quindi l’asintoto verticale è solo apparente:
b) il limite tende a infinito quindi c’è realmente un asintoto verticale:
1

Esempio