Rinascimento italiano e fiammingo

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Testo

Coniugi Arnolfini Van Eyck in quest'opera oltre ad essere l'artefice del dipinto è anche il "celebrante" di un matrimonio, in sostanza sostituisce il prete. Chiariamo: i due personaggi ritratti sono il ricco mercante lucchese, stabilitosi nelle Fiandre, Giovanni Arnolfini e la moglie, che vengono immortalati in posa solenne ed elegante in un ambiente insolito, la loro camera da letto. Appare evidente che l'uomo e la donna stiano pronunciando una sorta di giuramento matrimoniale (per quanto qualcuno abbia supposto che l'Arnolfini stia leggendo la mano alla moglie), come si vede dall'unione delle mani e dai gesti; inoltre il concetto è sottolineato dal letto alle spalle dei protagonisti, dall'unica candela accesa sul lampadario (simbolo matrimoniale) e dal cagnolino ai loro piedi, simbolo della fedeltà. Per fugare poi ogni sospetto basta osservare lo specchio attaccato alla parete di fondo, sopra il quale sta scritto: "Johannes de Eyck fuit hic" (Jan Van Eyck era presente), che infatti riflette la stanza dove si vedono, oltre gli sposi, altri due personaggi, dei quali uno è sicuramente l'artista.
Qual è il significato di tutto ciò? Il concetto è semplice, qui il pittore ha una duplice funzione; fa quello che al giorno d'oggi farebbe un qualunque fotografo, ovvero ritrae con precisione e chiarezza uno sposalizio, ma soprattutto è come se fosse il celebrante o meglio una sorta di notaio: certifica che la cerimonia è avvenuta realmente, non a caso nella firma non scrive "Jan Van Eyck ha fatto questo" come solitamente si usava, ma "Jan Van Eyck era presente".
Rinascimento fiammingo Il fiammingo percorse un'altra strada: l'impressione del vero, la riproduzione della realtà esatta, le raggiunse con uno studio attento e meticolosissimo delle cose. Nei suoi dipinti e in quelli dei pittori nordici del tempo, le persone, gli oggetti, l'ambiente sono ritratti con una cura maniacale per il dettaglio, con una riproduzione lenticolare del soggetto raffigurato; in sostanza i loro quadri sono come specchi che riflettono il mondo reale.
Naturalmente per una resa così precisa del soggetto la pittura a tempera, in uso al tempo, era inadatta perché asciugava troppo velocemente e non permetteva troppi ritocchi; fu proprio in Fiandra infatti che venne "inventata", la tecnica ad olio molto più adatta all'uopo per la brillantezza dei colori, per la lenta asciugatura che consentiva rielaborazioni e per la possibilità di eseguire velature. In breve poi questa tecnica, aborrita da Michelangelo perché dava la possibilità di correggere i propri errori, prese piede sino a soppiantare quasi del tutto la tempera. Anticamente si pensava che fosse stato proprio Van Eyck a scoprire la pittura ad olio, probabilmente non fu così, l'importante però è sapere che ebbe origine in quel tempo e in quei luoghi.
Leon Battista Alberti fu architetto, letterato e scrittore d'arte e di tecnica artistica. Alberti giunge all'architettura solo dopo i quarant'anni da diverse esperienze letterarie e scientifiche nelle quali si afferma una diversa intuizione dell'uomo, riconosciuto ora come artefice del proprio destino e capace, dall'indagine della natura, di conoscere il vero e creare il bello, di fondare la propria dignità su una base razionale. Per questo, mentre divide la fase di progettazione da quella dell'esecuzione, eleva l'aspetto pratico-artistico a operazione intellettuale "separata da ogni materia" (segnando una netta svolta rispetto a Brunelleschi per il quale l'architettura è ancora "arte di costruire", fatto sperimentale di tecniche e materiale) e la fa entrare in circolo con l'umanesimo letterario, filosofico, scientifico, con l'etica della nuova vita civile; egli procede a una sistemazione teorica e a una fondazione filologica del classicismo, che incide nella storia della cultura al di là delle alterne fortune delle sue opere architettoniche. Ritenuto ottimo disegnatore e prospettico, i suoi disegni sono andati perduti. Seguono le opere fiorentine: il progetto per palazzo Rucellai, dalla facciata elegantemente scandita dall'intelaiatura lineare delle cornici e delle lesene grandiosamente sonoro, perfettamente intonato, pur nella sua solennità, alla misura umana.
Artisti e bottegheLa formazione dell’artista avveniva nelle botteghe presso un maestro riconosciuto. In bottega non si apprendeva solamente l’arte nel suo aspetto di mestiere, ma l’allievo si procurava una vera e propria formazione culturale. Spesso il discepolo affiancava l’apprendistato in bottega con la frequentazione della scuola dell’abaco (come fu, ad esempio, il caso di Leonardo). Era questo un ordine di studi solitamente riservato ai figli dei commercianti in quanto, oltre a leggere e a scrivere, si apprendeva soprattutto a far di conto. Era una scuola di “avviamento al lavoro” distinta dall’eletta formazione universitaria frequentata dagli umanisti. Come tutti sappiamo dipingere, scolpire, e così via, si può benissimo imparare. È la tecnica che infatti può essere trasmessa. Quello che è impossibile insegnare è il talento: con quello, si dice, si nasce e dunque non si apprende. È quel dono che gli dei solo ad alcuni riservano facendoli partecipare un poco della loro follia, permettendo così a qualche mortale di produrre il prodigio della creazione e di oltrepassare i secoli attraverso la sua opera.
Piero della Francesca L’impersonalità è il dono con cui Piero ci incanta; è la sua virtù più tipica, ed egli la condivide con due soli altri artisti: l’anonimo scultore dei frontoni del Partenone, e Velazquez, che dipinse senza mai tradire neppure un’ombra di sentimento. (…) non fu impersonale soltanto nel metodo, come tutti i grandi artisti. Fu, come si dice comunemente, impassibile; cioè poco emotivo nelle sue stesse concezioni. Gli piaceva l’impersonalità, l’assenza di emozioni manifeste, come qualità delle cose. Avendo prescelto, per motivi artistici, tipi virili al più alto grado e, forse per motivi analoghi, un paesaggio della maggiore severità e dignità, combinò e ricombinò tali elementi, e questi soltanto, come esigevano i vari temi: in modo che le figure solenni, le azioni calme, i paesaggi severi esercitassero su di noi il loro massimo potere. Piero non si domanda mai che cosa sentano i suoi personaggi: le loro emozioni non lo riguardano
BATTESIMO DI CRISTO È stato recentemente accertato che il dipinto proviene dalla Badia camaldolese di Sansepolcro, dalla cappella di San Giovanni Battista, di patronato della famiglia Graziani. Dopo diversi passaggi, nel 1861 il dipinto è entrato nel museo londinese. Come la maggior parte dei dipinti di Piero, anche il Battesimo presenta delle difficoltà interpretative del soggetto. L’ipotesi più avvalorata sembra essere quella della tematica del dogma trinitario in un probabile collegamento tra il Vecchio e il Nuovo testamento: i tre angeli visibili sulla sinistra, prefigurazione della Trinità, apparvero ad Abramo, mentre il battesimo di Cristo è la manifestazione evangelica del medesimo dogma. La luce zenitale nella quale è immersa la scena allude alla rigenerazione dell’anima attuata dal sacramento del battesimo. Secondo un’altra interpretazione i tre angeli che si tengono per mano sarebbero simbolo di concordia tra la chiesa romana e la chiesa greca, rappresentate dal catecumeno e dai personaggi in abiti orientali sul fondo: unità sostenuta dall’attività di Ambrogio Traversari, che fu abate dell’ordine camaldolese, per una chiesa del quale fu realizzato il dipinto.
Federico da MontefeltroNel realizzare questo ritratto Piero si ispira alla ritrattistica delle medaglie, con il personaggio ritratto di profilo, posa che conferisce una maggiore astrazione e di conseguenza un tono più ufficiale. Vi è ritratto il duca di Urbino Federico da Montefeltro e a tergo il suo Trionfo, ossia un carro allegorico guidato dalle Virtù cardinali - Prudenza, Temperanza, Fortezza e Giustizia - sul quale siede il duca in armatura incoronato da un angelo. Sia il ritratto che il Trionfo si aprono sullo sfondo di magnifici paesaggi ripresi a “volo d’uccello” con una minutezza e naturalezza che derivano a Piero dalla conoscenza della pittura fiamminga, della quale lo stesso Federico era un appassionato collezionista. Una grande naturalezza è presente anche nel volto, ritratto da questo lato per motivi di decoro: egli infatti aveva perduto l’occhio destro nel 1450 in un incidente di torneo. Il dipinto costituiva un dittico con quello raffigurante il ritratto della moglie del duca, Battista Sforza, con il quale si chiudeva lasciando all’esterno i due rispettivi Trionfi.
LA FLAGELLAZIONE DI PIERO DELLA FRANCESCATra i tanti splendidi dipinti di Piero della Francesca, La Flagellazione è quello che più di ogni altro continua ad esercitare un singolare fascino magnetico. E ciò non solo per il raffinatissimo impianto architettonico che inquadra la rappresentazione prospettica, quand’anche (e direi soprattutto) per la moltitudine di significati addensati nella piccola superficie di questa celebre tavoletta (cm. 58x81), oggi custodita nel Palazzo Ducale di Urbino
Innanzitutto, La Flagellazione è una paradigmatica dimostrazione della perfezione matematica della perpectiva artificialis, introdotta da Filippo Brunelleschi e teoricamente definita da Leon Battista Alberti nel De Pictura del 1435. Pittori e scultori, da Masaccio a Donatello in scultura, seguiti poi dalle generazioni di Paolo Uccello e di Piero Della Francesca esaltarono tutte le potenzialità espressive dischiuse dal piano “mentale” della prospettiva.
La Flagellazione , tuttavia, non è una mera ostentazione prospettica di forme “divinamente misurate”, ma è anche una “rappresentazione simbolica”, affollata di enigmi. A prima vista il contenuto rappresentativo del quadro è evidente. La scena del martirio di Cristo dentro la loggia di Ponzio Pilato è immediatamente riconoscibile, benché si svolga in secondo piano. Più misteriosa è la presenza dei tre personaggi in primo piano. Chi sono? Perché volgono le spalle al racconto evangelico? Perché una così marcata distanza “prospettica” tra le due scene? In ogni icona si addensano almeno due significati o, per meglio dire, una pluralità di sensi. Ad esempio, l’analogia cromatica tra il cilindro marmoreo della colonna e il corpo bianco di Cristo rinvia concettualmente all’unione mistica con l’Antico. Ma, al tempo stesso, il turbante di può alludere al trauma della Chiesa d’Oriente flagellata dai Turchi con la conquista di Costantinopoli del 1453. Quel che più conta è che ogni allegoria si traduce in poesia pittorica. Alla luce naturale diffusa all’esterno dall’azzurro del cielo sullo scenario urbano tardomedioevale si contrappone la luce soprannaturale diffusa da Cristo sul cassettonato dell’interno corinzio della loggia “antica” e al tempo stesso “moderna”. Il fuori e il dentro, il vicino e il lontano, il presente e il passato: queste apparenti dicotomie convergono nell’unità strutturale dello spazio prospetticamente misurato. In tal senso, vero soggetto protagonista della rappresentazione è il Tempo.
La sacra conversazione Quello che salta subito all’occhio, guardando l’opera, è che l’architettura rappresentata svolge un ruolo fondamentale nell’intera composizione, dando un’idea di realismo (riprende l’architettura reale della chiesa a cui era destinate l’opera) e racchiudendo armoniosamente le figure, disposte simmetricamente attorno alla madonna, in un unico spazio compositivo.
Attorno alla vergine sono disposti i santi più importanti (San Pietro, San Giovanni Battista, Sant’Antonio), mentre sopra di essa, e del bambino che le dorme in grembo, vi sono la conchiglia e l’uovo, simboli di nascita e di vita futura.
Inginocchiato vi è Federico da Montefeltro, il committente, ritratto in armatura e con le mani giunte in preghiera. E’ lì non solo in quanto committente, ma anche perché la madonna richiama Battista Sforza, moglie del duca, e il bambino richiama loro figlio Guidobaldo. La struttura compositiva, come tipico di Piero della Francesca, è equilibrata alla destra e alla sinistra dell’asse centrale, dove c’è la figura principale.
La profondità è resa in modo superbo, e la luce accentua questa sensazione di realismo.
La linea è principalmente curva nella definizione delle figure umane, mentre si presenta spesso dritta nelle decorazioni architettoniche.
L’illuminazione viene da sinistra, ma si crea una luce tale da essere al contempo realistica e non nascondere parti del corpo o dell’architettura di sfondo.
La gamma dei colori è ricca di colori puri, quali il rosso, il blu e il verde.
La stesura del colore è precisa e dettagliata.
Palazzo Rucellai Eseguito, a partire dal 1446, per iniziativa di Giovanni Rucellai, su progetto di Leon Battista Alberti, questo edificio ha una rilevante importanza storica, perché fissa il tipo del palazzo signorile, che secondo le teorie esposte nel trattato De architectura dello stesso Alberti, deve imporsi più per il prestigio delle proporzioni che per l'ostentazione del fasto. La facciata e caratterizzata dal bugnato nella parte inferiore e dalla superficie liscia nella parte superiore, scandita proporzionatamente dalle lesene che intercalano le finestre, modellate da archetti e colonnine bifore.
La prospettiva da cui ha origine la riflessione sull’architettura s’inserisce a pieno titolo all’interno dell’attività di Alberti: il De re aedificatoria dimostra in che modo l’organizzazione architettonica dello spazio sia il centro nevralgico di ogni attività umana. L’intelletto è portato spontaneamente a costruire, a edificare; il mondo è stato sottoposto a numerosi mutamenti grazie a questa spinta positiva connessa con l’indole dell’uomo, atta a scoprire le leggi della Natura e ad interpretarle in maniera funzionale. Principi generali che costituiscono i cardini su cui poggia l’intera opera sono la mediocritas, ovvero la ricerca di un modulo costruttivo che rifugga l’apparenza fine a se stessa, e la concinnitas ("eleganza e simmetria"), che, mutuata dall'Orator di Cicerone, diviene sinonimo di armonia e di equilibrio. Lo studio dell’architettura, che diviene studio sull’uomo a partire dalle coordinate spaziali alle quali costantemente si riferisce, si definisce attraverso un processo di conoscenza che affianca all’indagine analitica le capacità selettive necessarie alla progettazione della città ideale, oggetto di esame nel IV libro del trattato.
Il De re aedificatoria muove dall’esigenza di un ordine, di una razionalità che possa guidare l’opera dell’architetto, sentito, in questo senso, affine all’uomo politico o al padre di famiglia: la dimensione urbana è l’espressione visibile della vita sociale. L’assetto della città è dunque leggibile attraverso la disposizione degli edifici, collocati strategicamente in funzione della loro importanza e del loro ruolo all’interno delle istituzioni.
Mantegna Modesta luce tenue, che in realtà allude alla fragilità, alla sottigliezza, all'impalpabilità. Al centro del soffitto, impreziosito dai monocromati ritraenti imperatori romani, si apre un occhio di cielo racchiuso da una balaustra attorno la quale si affacciano puttini, fanciulle, un negro e un pavone blu. Nella camera la ricerca stilistica di M. fu indirizzata sia verso un colorismo intenso che, accostato a forme piene, tenta di superare la prospettiva. Nel 1460 Mantegna si trasferì a Mantova. Qui divenne il pittore ufficiale della famiglia Gonzaga, che mise a sua disposizione una casa e una bottega. Capolavoro di questo periodo è la decorazione della Camera degli Sposi (1465-1474, Palazzo Ducale, Mantova), dove l’arte della prospettiva illusionistica toccò uno dei più alti vertici espressivi. Al centro del soffitto, l'Oculo dipinto è delimitato da una balaustra, anch’essa finta, dalla quale si sporgono otto putti alati, cinque donne, un pavone; al di sotto corre una fascia di ghirlande di fiori e nastri. Sulla parete settentrionale è affrescata la Corte di Mantova, con Ludovico III Gonzaga in trono, mentre nell’adiacente parete ovest si susseguono le immagini di famigli con cavallo e cane, l’intermezzo decorativo dei putti alati che sostengono una targa (con la dedica di Mantegna a Ludovico Gonzaga e alla sua consorte Barbara di Brandeburgo) e la scena dell'Incontro tra il marchese e il figlio secondogenito, il cardinale Francesco. Il paesaggio dello sfondo conferisce unità ai diversi momenti raffigurati. Grazie ai pilastri e ai tendaggi dipinti illusionisticamente sulle restanti pareti, l'osservatore ha l'impressione di trovarsi all'interno di un padiglione costruito all'aperto, in mezzo alla natura. La novità di questo impianto spaziale, accompagnata dalla resa efficace dei volumi e della profondità e dall'invenzione dell'Oculo in trompe-l'oeil.

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