Le Dolomiti

Materie:Appunti
Categoria:Architettura

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Testo

…Le valli ladine delle Dolomiti racchiudono in sé un patrimonio culturale unico ed inestimabile.
La forma del paesaggio agricolo-alpino, trasformato dal lavoro dell’uomo, e la forma degli insediamenti umani costituiscono impareggiabili reperti di un modello antichissimo di colonizzazione di un’area alpina tra le più impervie.
Una condizione storico-politica di separatezza, una tradizione secolare di orgogliosa autonomia e un ancestrale spirito di attaccamento alla propria terra hanno creato le condizione per la conservazione, ancor oggi vitale, delle forme più antiche ed originarie di rapporto tra l’uomo e la natura; in queste valli, malgrado poderosi processi di sviluppo turistico degli anni più recenti, è ancor oggi riconoscibile un peculiare equilibrio tra “naturale” ed “artificiale”, tipico di un processo di libera e spontanea lotta per la sopravvivenza dell’uomo in condizioni estreme.
Nel paesaggio si leggono tracce del lavoro di un popolo di contadini-allevatori, che dalla montagna ha tratto cibo e sostentamento e che alla montagna ha restituito l’operosità del proprio lavoro.
Il paesaggio agrario e l’architettura rurale delle valli ladine sono l’espressione fisica della vicenda millenaria di un popolo che ha colonizzato un territorio alpino, là dove le risorse non si offrono con facile prodigalità allo sfruttamento.
La natura ha imposto all’uomo l’assiduità della fatica necessaria a rendere fertili le terre incolte.
E’ stato costantemente necessario lo sforzo dell’intelligenza nell’interpretare le ricchezze nascoste e nel dominare l’ostilità delle stagioni.
Su queste basi si è sviluppata una cultura materiale capace di ricavare il necessario alla vita dal dominio della natura, con l’infinita saggezza di sfruttarne le risorse senza esaurirle, di usare la natura senza “snaturarla”.
Tracciare la storia dell’insediamento umano è impresa ardua.
Trattandosi di un’area relativamente marginale e, soprattutto, di un popolo di agricoltori, siamo nel campo della “storia minore”, assai povera di documenti.
La storia ufficiale, così presa dai re e dalle guerre, ha troppo trascurato lo studio dei fenomeni socio-economici apparentemente minori, che pure hanno segnato di sé le vaste aree territoriali e che hanno fornito ai re e alle guerre indispensabili risorse economiche ed umane.
L’esiguità di documenti storici aumenta enormemente l’importanza del paesaggio e dell’architettura spontanea delle valli ladine.
L’alto livello di conservazione delle forme storiche originarie attribuisce agli elementi paesaggistici e alle forme architettoniche il ruolo di autentici reperti di “un’archeologia sociale” ricca di spunti conoscitivi oltreché di grande suggestione.
L’edificare è un diretto rapporto alla residenzialità dell’uomo.
“Il modo di essere tuo e mio, la maniera in cui noi siamo uomini sulla terra, si manifesta nell’edificare” ( Martin Heidegger ).
La sua finalità è legata sin dall’inizio a forme ben determinate, che portavano l’impronta dei mezzi che si offrivano all’uomo, cioè fango e pietra, rami d’albero, canne ed erba.
Con questi materiali e specificamente con la loro utilizzazione, l’uomo ha costruito le proprie abitazioni, consistenti in intelaiature portanti, ricoperte di pelli.
La conoscenza dei materiali e della loro possibilità di impiego gli ha permesso di raggiungere in misura sempre crescente sviluppi nelle costruzioni e nell’uso dei materiali, che lo hanno portato a progredire nella lavorazione del legno, della pietra e del mattone.
La sua opera si è sganciata così dallo sviluppo delle strutture naturali, rimanendo però nello stesso tempo ad esse collegata, da una parte attraverso il materiale impiegato, dall’altra attraverso le misure e le proporzioni impressevi o adattate al rispettivo ambiente.
Dove l’uomo è intervenuto nel paesaggio oraganizzandolo, dove ha trasformato la sua fisionomia e dove lo ha coltivato, è sorta una struttura che nell’articolazione e connessione delle sue parti, come pure nella risposta a determinati fattori, mostra aspetti di un costruire che rispecchiano e concretizzano particolari esigenze residenziali ed economiche.
L’intervento dell’uomo nel paesaggio significa nello stesso tempo una fusione di tutte le parti con esso.
Da piccole aree ristrette ed adattate ad esigenze locali affiora un nuovo sistema di strutturazione, che si è sviluppato organicamente e nel quale si possono trovare punti di riferimento, che si integrano vicendevolmente.
Dall’intreccio a ciò connesso dell’uno con l’altro è sorto quello che noi chiamiamo “paesaggio culturale”.
Questo è potuto e può sorgere solo dove sedentarietà, tradizione ed ereditarietà di un determinato sapere, di esperienze e di autocomprensione ne sono le regole.
L’ambiente più ristretto, così determinato, costituisce una parte fra le molte altre, la cui continuità forma una più ampia area geografica, dando all’ambiente un’impronta scientifica, come una valletta, un altipiano, una ritmica sequenza di campi, di prati, di bosco con sentieri, recinti, mura, capitagne, capanne, fattorie e colonie.
Ovviamente, a seconda del tipo di coltivazione predominante, le strutture si modificano, in quanto la fase caratteristica della coltivazione cereo-agricola, dell’allevamento del bestiame, della coltura
Mista e della vite si inserisce nel rispettivo paesaggio di case e tra i suoi abitanti.
Le modifiche, che vengono impresse alla natura si riflettono di conseguenza nelle costruzioni medesime, nel loro assetto panoramico e geografico…

…La valle d’Ampezzo e la val Badia sono vallate che si distinguono dalle vicine Punteria, dal Cadore, dallo zoldano, ecc., e mantengono anche fra di loro caratteri distintivi.
La proliferazione degli insediamenti e delle infrastrutture turistiche ha irreparabilmente violato i caratteri strutturali di queste vallate, soprattutto di Ampezzo, in cui oggi è assai difficile decifrare le forme originarie degli insediamenti ladini e le espressoni più autentiche dell’antica cultura materiale di questa terra.
In questo quadro la val Badia costituisce il frammento geografico di migliore conservazione della cultura materiale ladino-dolomitica.
Differenziandosi nettamente dalle altre vallate sud-tirolesi contrassegnate dal tipico insediamento sparso del Paarhof, la val Badia è caratterizzata dalla presenza di particolari insediamenti: le viles.
Esse costituiscono un complesso sistema insediativi, vasto e omogeneamente diffuso, distribuito secondo delicatissimi equilibri antropici sulla fascia altimetrica compresa tra i 1200 e i 1700 metri di altitudine.
In primo luogo alla conservazione ha concorso la marginalità geografica e politica dell’area; la marginalità ha dunque creato la condizione, per così dire negativa, della salvaguardia.
Inoltre le condizioni di “appartenenza territoriale” e di “naturalità” a cui si aggiunge la condizione di “socialità” del modello insediativi, hanno ulteriormente contribuito.
Il miracolo della conservazione è dovuto anche all’influenza tecnica e artistica della città sull’architettura rurale che, soprattutto in Alto Adige, è stata minore che in altre regioni, non solo per il limitato sviluppo avutovi dall’urbanesimo fino al nostro secolo, ma anche perché i contadini, in quanto proprietari della terra, non erano, dal punto di vista economico e sociale, in soggezione alle città stesse.
Sotto il profilo giuridico, vanno ricordate, le norme relative alla tutela del paesaggio e quelle relative al “maso chiuso”.
In particolare sulle viles badiote vige una complessa normativa di salvaguardia accompagnata da programmi integrati di tutela e di rivitalizzazione e da esperienze campione di progettazione e di gestione esemplari.
Ben più delle norme di tutela paesaggistica ha però funzionato a favore della conservazione l’istituto del “maso chiuso”.
Esso agisce in termini profondamente strutturali sul mantenimento delle condizioni materiali di sopravvivenza della famiglia contadina.
Si tratta di una particolare forma di maggiorascato eretta a sistema giuridico dalla legislazione asburgica e riassunta a livello istituzionale dalla Provincia Autonoma attraverso la legge sugli usi civici.
Esso ha un triplice significato: economico, in quanto assicura la stabilità dell’economia regionale; politico, perché solo il suo mantenimento può consentire una ricolonizzazione del paese; sociale, dato che in dipendenza da esso la classe contadina gode di un giusto tenore di vita.
Fino ad alcuni decenni fa i paesi alpini avevano conservato il loro carattere originario che rispecchiava l’ambiente montano e le case erano in funzione dell’attività agricolo-pastorale.
Le relazioni con l’esterno erano scarse e si limitavano alle persone che trovavano temporaneamente lavoro, dove veniva richiesta manodopera disposta a far fronte a costruzioni di strade, di ferrovie e di opere pubbliche.
La vila come microcosmo sociale costituisce condizioni di vicinato e offre occasioni di solidarietà particolarmente utili alla vivibilità della montagna e delle sue condizioni estreme.
Ma dopo la prima guerra mondiale quel “modo di vita” perdurato per secoli è andato mutando.
La costruzione di nuove strade, la diffusione sempre maggiore dell’automobile, lo svilupparsi di più frequenti rapporti con la pianura e quindi la rottura dell’isolamento, hanno causato una rivoluzione nei paesi di montagna, che si è verificata con modalità diverse: tendenza a trasferirsi in centri più importanti, dotati di maggiori servizi; spopolamento dei centri lontani dalle arterie stradali; rinnovamento delle case, con tendenza a far scomparire la dimora rurale tipica, caratterizzata da ampio impiego di legname, tetti di scandole, scale esterne, ballatoi.
Allo scadere della vita rurale e all’esodo d’una parte degli abitanti, si contrappone un maggior interesse per la montagna da parte di persone fuori, soprattutto per la diffusione del turismo; di conseguenza, da un lato si sono moltiplicati i casi di abbandono di dimore rurali, dall’altro si sono intensificate la ristrutturazione di vecchie case e la costruzione di edifici nuovi, destinati a rispondere alle più avanzate esigenze delle plaghe economicamente favorite.
Il problema derivante dal turismo tocca da vicino la conca ampezzana; l’insediamento umano non aveva qui dato vita ad un solo centro, ne a poche grosse frazioni, come frequentemente è avvenuto nel vicino Cadore, ma a numerosi piccoli aggregati, disseminati sui terrazzi del fondovalle e sui pendii più dolci dell’ampia conca, tra un minimo di 1100 e un massimo di circa 1400 metri.
Inoltre, senza arrivare all’isolamento dei masi alto-atesini, per lo più le sedi ampezzane non conoscevano neppure la compattezza e la compressione edilizia dei vicini centri cadorini.
L’esiguità infatti di questi aggregati permetteva quasi sempre una assoluta autonomia alle costruzioni: la casa rurale tipica è dunque qui nata isolata dalle altre, libera di scegliere le sue dimensioni spaziali e la sua orientazione.
L’ascesa turistica ha portato non solo all’urbanizzazione della conca, ma anche il rapido abbandono della chiusa economia dei secoli passati, basata anche qui da una autarchica policoltura di fondovalle e sul pieno sfruttamento di tutte le risorse foraggere, sino ai limiti massimi concessi dalla natura.
La casa rurale è stat pensata, disegnata, costruita, da persone che forse parlavano solo il dialetto locale e a malapena conosceva la lingua nazionale e proprio per questo il sasso, e il muro, e la forma dell’edificio erano una parte del loro esistere…

IL RUSTICO AGRICOLO E I MANUFATTI MINORI

Nelle valli alpine di lingua tedesca si distingue “Feuerhaus” (la casa del fuoco) dal contiguo “Futterhaus” (la casa del foraggio), chiara diversificazione funzionale tra i due corpi di un maso.
Nel territorio alpino esiste la consuetudine della scissione delle due funzioni, ma circoscritto a singoli luoghi, e solo come eccezione compare nella forma pura di affiancamento dei due corpi di fabbrica, come avviene per il “Paarhof”, il maso pusterese a coppia.
Nelle nostre valli le combinazioni per scissione in fabbricati autonomi, non conosce regola se non quella delle più impensate soluzioni; l’osservazione riguarda i “rustici di casa”, ossia stallafienili della stabulazione invernale o permanente.
Inserendo nel discorso i “rustici secondari” (stallafienili) e i rustichetti (fienili) sparsi entro breve raggio o lontani sui prati di monte, ed ancora le esigenze edificatorie connesse con l’estivazione del bestiame, il quadro di questi svariati manufatti ausiliari, anche se riducibili ad un repertorio formale elementare, si rende pressoché indecifrabile nell’intreccio di pertinenze…
…Dettano legge anche alcuni condizionamenti della natura, sia nella collocazione che nell’uso, come nella dimensione e nel numero di questi manufatti.
Soprattutto la distanza, il dislivello reciproco, l’altitudine e la morfologia del suolo, tra luogo di produzione del foraggio e luogo di consumo dello stesso foraggio, ossia tra i prati falciabili e stalla.
Nell’ampezzano gli insediamenti rurali permanenti stanno a un’altitudine tra i 1200 e 1400 metri; i prati falciabili sono dislocati nell’immediato intorno, entro una fascia tra i 1200 e i 1500 metri; il fieno falciato viene trasferito, dopo una breve essiccazione in sito, direttamente nel “toulà”, il voluminoso fienile che sovrasta la stalla e fa parte integrante della casa.
La mortificazione estiva avviene per trasferimento diretto del bestiame dalla stalla al pascolo di monte.
Questo tipo di organizzazione dell’attività dell’allevamento richiede costruzioni ausiliari; quindi nella conca ampezzana sono assenti i fieniletti per il deposito temporaneo del foraggio e gli stavoli della tappa intermedia della transumanza primaverile ed autunnale.
Il paesaggio costruito ampezzano è perciò più povero di “forme” mancando in esso non solo i fienili e fieniletti dispersi su prati e pascoli, ma anche i “rustici di casa” essendo il “toulà” sempre costruito sul retro, in aderenza alla casa e mai come corpo autonomo.
Nella vallata badiota, a differenza di quella ampezzana, assieme alla casa, il rustico agricolo costituisce il corredo fondamentale degli edifici specializzati in dotazione a ciascun maso e, come la casa è espressione dell’economia agricola dell’area.
Esso risponde tipologicamente e morfologicamente alle esigenze determinate dalla particolare forma policolturale assunta dall’agricoltura di montagna in val Badia.
Nel rustico si riscontra una forte costanza tipo-morfologica, al contrario di quanto si verifica nell’edificio domestico caratterizzato da una notevole variabilità delle forme storiche.
La fissità storica del tipo edilizio è dimostrata dalla compresenza di vecchi manufatti di oltre duecento anni di vita con altri costruiti pochi decenni fa, molto simili fra loro e molto simili anche ai nuovi fienili che ancora oggi vengono spesso costruiti con il ricorso a tecnologie tradizionali.
E’ l’agricoltura ad avere conservato nei secoli le sue caratteristiche strutturali di fondo: coltura del fieno e allevamento bovino come economia di base e policoltura come economia integrata e autosufficienti di consumo.
Il rustico è un edificio dalla tipica forma a due volumi su semplice impianto planimetrico rettangolare.
Su uno zoccolo massiccio, in legno e in muratura, si eleva il volume centrale integralmente di legno a due piani, con un caratteristico sistema di ballatoi in aggetto con graticci lignei verticali.
Il tutto è sormontato dalla copertura a due falde, il cui timpano è sempre rivolto verso valle sfruttando la migliore esposizione solare.
L’uso intensivo del legno ne è la caratteristica fondamentale, di cui è significativa espressione il rapporto tra i graticci e i tavolati a tessitura verticale.
Significativa anche l’esigua presenza di aperture, costituite da piccoli fori traforati, destinati all’areazione del fieno, e dal grande boccaporto centrale del timpano, destinato talvolta a procedure di stoccaggio mediante teleferica.
Nel rustico sono contenute ed organizzate, su tre piani a destinazione specializzata, gli spazi funzionali della stalla, del fienile, dell’essiccatoio e dei magazzini rurali.
L’intero piano terra è occupato dalle stalle.
Il vano centrale, esposto verso valle e dotato di accessibilità frontale o laterale direttamente dal terreno circostante, è dedicato alla stalla dei bovini adulti; nella parte posteriore sono ricavati alcuni vani di dimensione minore variamente destinati al parto, allo svezzamento dei vitelli e all’allevamento dei suini; il piano terra è completato da altri corpi esterni, destinati a funzione accessorie di pollaio, ricovero per attrezzi, legnaia, ecc.
I due piani superiori sono interamente adibiti allo stoccaggio del fieno.
Si tratta di un unico grande vano a doppia altezza, aperto fino alla copertura, dotato al secondo livello di un soppalco, accessibile al carro mediante il tipico pontile esterno posteriore.
Interpretando in modo ottimale la natura del luogo, dal pendio a monte è facilmente raggiungibile con il carro carico di fieno il piano alto del fienile mediante un piccolo ponte.
Ciò permette uno stoccaggio del foraggio “per caduta”, cioè dall’alto verso il basso, secondo la più razionale procedura, in modo tale da permettere l’integrale riempimento del contenitore.
Il prelievo del fieno per la pasturazione degli animali avviene con altrettanta razionalità ergonomia, “dal basso”, cioè attraverso un foro ricavato nel soffitto della stalla.
I tavolati a “fuga aperta” e adeguate aperture “a traforo” garantiscono un’areazione naturale particolarmente congeniale al perfezionamento dell’essiccazione, al controllo dei processi di fermentazione e alla lunga conservazione del fieno.
Un elemento assai significativo, tanto sotto il profilo morfologico quanto sotto il profilo funzionale, è costituito dal graticcio che interessa il perimetro esterno del primo piano del rustico, sui tre lati di miglior esposizione.
Si tratta di una sovrastruttura lignea, costituita da un sistema di traversi orizzontali portati da ritti, a loro volta impostati sui ballatoi aggettanti dallo zoccolo.
La sua funzione è quella di essiccatoio: è spazio e “macchina” per il completamento del ciclo di maturazione del fieno autunnale, quando il clima è ormai sfavorevole alla completa essiccazione sul prato.
Accanto alle case e ai rustici sorgono numerosi edifici secondari e manufatti minori, che contribuiscono a configurare la vila come organismo complesso ed integrato di vita e di lavoro.
Tra gli edifici secondari possono essere individuate le legnaie spesso accorporate alla casa o al rustico, talvolta in semplici edifici autonomi; i granai costituiti da piccoli edifici lignei specializzati, di fogge simili al rustico ma di modeste dimensioni; le piccole cappelle devozionali o, più diffusamente, le edicole votive localizzate ai margini degli insediamenti e lungo i principali percorsi…
…Particolare attenzione meritano i forni del pane, la cui presenza è diffusa e tipica.
Si tratta di un manufatto importantissimo per il ruolo assoluto in passato, nell’economia familiare, espressione più alta di una delle economie di autosufficienza agroalimentare.
Oggi i forni restano come simulacro di una cultura materiale e di un’economia in via di sparizione, anche se non infrequente e in ripresa è il loro utilizzo per la panificazione almeno una volta o due all’anno.
Il forno ha caratteri tipo-morfologici costanti: il blocco murario archivoltato, contenente la camera di combustione, e la sovrastruttura lignea di copertura…
…Il ciclo del pane, oltre al forno, necessita del mulino, che seppur localizzato all’esterno della vila in prossimità del torrente, ne completa il corredo funzionale.
Si tratta di mulini ad acqua, spesso di proprietà o di uso collettivo, costituiti da piccoli edifici in legno su zoccolo in muratura…
…Tra i manufatti minori meritano di essere segnalati le fontane e gli abbeveratoi; si tratta, nelle forme originarie, di grossi tronchi scavati o di vasche comunque realizzate con grosse tavole di larice in cui viene convogliata l’acqua delle sorgenti…

MATERIALI E TECNICHE COSTRUTTIVE

Nelle vallate alpine c’era stata sempre una larga disponibilità sia della pietra che del legno; abbondava la pietra, che in forma di brecciame o di trovanti, doveva essere spesso rimossa per la riduzione a coltura del suolo; abbondava il bosco di alto fusto, fatto di resinose come il larice o il peccio, che era di impedimento più che altro a chi volesse allargare i prati falciabili e pascoli, e forniva quindi un ottimo legname da costruzione, lunghi tronchi di qualsiasi misura.
Quando entrambe i materiali sono a portata di mano si ricorre per consuetudine all’uso promiscuo, che ubbidisce però a un preciso criterio funzionale.
Per chiudere, per riparare il meglio possibile i vani abitabili e la stalla. Il materiale più idoneo e il più semplice da manipolare era fuori dubbio la pietra.
Di contro, per il fienile, ove una buona areazione era condizione essenziale ad impedire una fermentazione, il materiale ottimale era il legno, che consentiva agevolmente sia la formazione di un capiente involucro, sia la riduzione al minimo ingombro delle strutture verticali portanti interne, oltre che un razionale collegamento con la impalcatura del coperto, pure eseguito in legno…
…Manca nelle nostre vallate, qualsiasi indizio sull’esistenza, anche in passato lontano, di costruzioni rurali “tuttolegno”; anche i fienili hanno quasi sempre gli appoggi angolari in pietra per impedire il contatto diretto tra il legno e l’umidità della terra.
Il terzo materiale, il cui uso è però limitato e circoscritto è il ferro; compare quasi esclusivamente nelle chiodature del tetto e dell’impalcato, e neppure dappertutto…
…In tutto il nostro territorio, da nord a sud, da est a ovest, riscontriamo un identico modo di coprire un edificio: il manto ligneo a scandole.
Sono delle sottili assicelle di legno, di lunghezza variabile (quelle ampezzane sono lunghe una settantina di centimetri e larghe una quindicina, quelle badiate sono di grande dimensione e raggiungono lunghezze da ottanta a centoventi centimetri), sovrapposte a più strati sfalsati, che si stendono lungo le falde, dal colmo al filo di gronda.
La pendenza di un manto di scandole posata, in legno resinoso a fibra lunga, è ovunque nello spazio alpino del tutto identica, intorno ai 26 gradi, ovvero del 50%; minime le oscillazioni.
Con una pendenza maggiore la neve tenderebbe, per scaricamento spontaneo, a sfilare le scandole; con pendenza inferiore il manto perderebbe l’impermeabilità…
…La forma primigenia della tecnologia del legno è rappresentata dal sistema costruttivo a “Blockbau”.
Il Blockbau consiste in un’incastellatura massiccia ed integrale di tronchi tra loro sovrapposti e incastrati agli angoli.
Questa tipologia costruttiva ha le sue espressioni più antiche nelle rudimentali baite degli alpeggi, in cui il tronco viene usato a “tutto tondo” così come esce dal bosco.
Il blockbau si evolve nella sua forma matura con l’utilizzo di tronchi preventivamente squadrati, rettificati ed esattamente intagliati per la raffinata soluzione dell’incastro angolare.
La tecnologia del Blockbau è diffusa in tutta l’area e sopravvive ancor oggi in numerosi esemplari di rustico agricolo, la cui costruzione può in alcuni casi essere fatta risalire fino al XVIII secolo.
Questa tipologia costruttiva è stata applicata fino in tempi recenti per la realizzazione del piano terreno dei rustici, cioè del poderoso zoccolo in cui è contenuta la stalla e da cui si eleva il “secondo volume” del fienile…

MORFOLOGIA E DECORAZIONE

L’architettura alpino-rurale è per sua condizione storica e antropologica architettura povera.
La sua bellezza si coglie nell’equilibrio che essa stabilisce con la natura, nella autenticità con cui esprime la cultura materiale antica di un popolo radicato alla sua terra, nell’assoluta semplicità dei suoi impianti tecnologici, nella saggezza profonda delle sue interpretazioni tecnologiche, nella sua naturalità dei suoi materiali costruttivi.
Eppure anche in questa architettura “minore” trovano espressione alcune esigenze estetiche di ricerca del bello e di ornamento…
…Ciò vale in primo luogo per l’uso del “traforo” nell’architettura lignea.
I paramenti in legno della casa e del fienile sono sempre interessati da forature rispondenti all’esigenza funzionale di garantire la massima areazione ai vani destinati all’essiccazione e alla conservazione del fieno e di tutte le derrate alimentari e tessili…
…La tecnica è quella del taglio a traforo della assi e le forme sono le più svariate.
Nei parapetti più antichi erano costituiti lungo il fienile, da semplici tavole disposte in verticale e connesse senza fuga e prive di qualsiasi decorazione, oppure da stecche verticali distanziate in corrispondenza del corpo murato dell’abitazione; garantivano protezione ma in pari tempo lasciavano passare il sole.
Con l’Ottocento i disegni delle tavolette si fanno via via più complicati.
Trafori di significativo valore ornamentale interessano spesso gli essiccatoi domestici, posizionati agli angoli del ballatoio-solarium.
A questi si accompagnano, nelle case più antiche, le piccole finestrelle ad arco o a bifora che costituivano l’unica apertura di areazione e illuminazione delle stanze…
…Ma dove la cultura raggiunge momenti di significativa originalità o di più alto contenuto è nelle pirografie che ornano spesso la porta del fienile.
Si tratta di fregi, incisi a fuoco nel legno della porta, caratterizzati da una complessa morfologia.
Nei casi più originali ed antichi le pirografie propongono in varie forme un simbolo astrattamente geometrico avente forti riferimenti agli “intrecci a fiorone” tipici delle culture gotiche ed islamiche.
E’ un simbolo magico a cui è attribuita la forza ideale di rappresentare e tutelare l’unità e la prosperità della comunità insediata nel “recinto” del villaggio.

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