La storia della vita sulla terra

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Testo

Da tante “palline organiche” nacque forse la vita

L’origine della vita sulla Terra è ignota all’uomo che cerca di formulare ipotesi su questo avvenimento.
Negli ultimi dieci anni si è stabilito che l’origine della Terra risale a circa quattro miliardi e mezzo d’anni fa, mentre l’origine della vita circa a 3.8 miliardi d’anni fa.
Rimane però un grande divario fra la formazione del primo miscuglio di molecole organiche e il passaggio alla prima forma di vita.
Nel dipartimento di Biologia dell’Università di Padova si è confermata un’ipotesi avanzata da un gruppo di ricercatori dell’Alabama nel 1958.
I biologi considerano l’ipotesi della comparsa di molecole organiche terrestri, ma anche quella che esse potessero essere giunte da un corpo estraneo al nostro pianeta.
Negli esperimenti condotti a Padova, è stato utilizzato il presunto clima dell’epoca e si è sfruttata una miscela di composti organici (formata da amminoacidi e ossiacidi) rinvenuta anche in alcuni meteoriti. Questa miscela è stata riscaldata a 180° e si sono prodotte così sostanze più complesse (proteinoidi) che, a contatto con acqua di mare, hanno generato microsfere. Essi hanno costatato che queste piccole strutture presentano una lieve attività enzimatica, cioè sono in grado di attivare reazioni chimiche.
Quindi esse potrebbero avere prodotto delle sostanze che avrebbero portato successivamente alla vita.

Oggi sappiamo che la vita ha avuto origine in seguito ad un particolare processo chimico, ancora sconosciuto all'umanità. Nell’antichità, invece, l’idea che gli esseri viventi potessero avere origine dalla materia non vivente era molto diffusa.
Ad esempio, si pensava che dai cadaveri potessero avere origine mosche e “vermi”. Era un’ipotesi non fondata, ma che si basava sull’osservazione, su ciò che si vedeva succedere, anche se in modo grossolano.
Idee come questa erano alla base della teoria della generazione spontanea.
Redi, tuttavia, dimostrò la falsità di questa teoria: egli mise un pezzo di carne in un barattolo aperto ed un altro in un barattolo sigillato. Osservò, quindi, che vermi e mosche comparivano soltanto nel barattolo aperto ed allora cercò la causa reale di ciò: il fatto che le mosche deponevano le loro uova sulla carne. Le conclusioni di Redi non vennero però accettate da tutti come regola generale. Si continuò ancora a credere che la generazione spontanea fosse una spiegazione accettabile.
Altri scienziati, tra cui Lazzaro Spallanzani, si occuparono della questione nel XVIII secolo e giunsero alle stesse conclusioni di Redi, cioè che ogni generazione apparentemente spontanea avesse una causa biologica.
Fu Louis Pasteur che nel 1861 dimostrò che la teoria della generazione spontanea non era valida neppure per i microrganismi: Pasteur usò dei palloni di vetro che avevano un lungo collo a doppia curva che permetteva all'aria di entrare, ma intrappolava le spore responsabili della riproduzione di alcuni microrganismi. Poi fece bollire degli infusi in grado di uccidere tutti i microrganismi già all’interno dei palloni. Verificò quindi che, senza la possibilità di ingresso di altri microrganismi, nell’infuso non se ne svilupparono.

Sulla base dei risultati ottenuti dai ricercatori noi oggi siamo in grado di affermare che un essere vivente si può sviluppare soltanto da esseri viventi dello stesso tipo. Questo processo si chiama biogenesi.
La domanda che tutti si pongono è, però questa.” Quando, dove e come hanno avuto origine sulla Terra le prime forme di vita?”
Con l’utilizzo degli isotopi radioattivi si è stabilito che la Terra ha circa 4-5 miliardi di anni, mentre le prime forme di vita si possono far risalire a circa 3 miliardi di anni fa.
Le prime forme di vita apparvero su un pianeta che era ben diverso da quello che noi conosciamo. Esistevano le terre emerse, gli oceani e l’atmosfera, ma con caratteristiche chimiche differenti.
L’atmosfera primitiva era composta da un miscuglio di azoto, monossido di carbonio, anidride carbonica, ammoniaca, metano, idrogeno e vapore acqueo.
Nessun essere vivente era in grado di vivere, prima che fosse presente l’ossigeno.
L’energia era rappresentata sia dal calore, sia dalle scariche elettriche dei fulmini.
Nel 1924 lo scienziato russo Oparin formulò l’ipotesi che, in quelle condizioni, alcune molecole di composti abbiano reagito fra loro dando luogo a molecole organiche: negli anni ’50 lo scienziato americano Stanley Miller fece scoccare delle cariche elettriche in una miscela di gas simile alla primitiva atmosfera terrestre e costatò che si potevano ottenere delle sostanze organiche, tra cui gli amminoacidi, costituenti essenziali delle proteine.
Ipotizzò quindi che sostanze di questo tipo, trasportate dalla pioggia nei mari, abbiano costituito il “brodo primordiale” di sostanze nutritive da cui avrebbero avuto origine le prime cellule viventi.
Sfruttando l’energia del Sole alcune di queste cellule, attraverso la fotosintesi clorofilliana, avrebbero prodotto l’ossigeno che sarebbe andato a costruire, nel tempo lo scudo di ozono negli strati alti dell’atmosfera. L’ozono filtra i raggi ultravioletti. Ciò avrebbe prodotto i cambiamenti nell’atmosfera e permesso la creazione di condizioni favorevoli alla vita sulla Terra.

La vita sulla Terra ha avuto certamente origine dalla vita nel mare, perché l’acqua assorbe i raggi ultravioletti.
Le acque poco profonde, che permettono il passaggio della luce, sono state l’ambiente più adatto alla nascita delle prime forme di vita, organismi autotrofi, soprattutto alghe, in grado di produrre ossigeno attraverso la fotosintesi clorofilliana, ossigeno da cui si è formato l’ozono. Una volta che le condizioni ambientali si sono modificate per la presenza dell’ossigeno, anche sulle terre emerse è stato possibile l’evolversi della vita.

Siamo in grado di ricostruire la storia e i cambiamenti della Terra grazie a dei documenti: i fossili.
Quando un organismo muore, la parte organica del suo corpo è decomposta dai batteri e di questa non resta alcuna traccia.
Quando, però, l’organismo è ricoperto da sedimenti immediatamente dopo la morte dello stesso, esso può essere conservato o può lasciare un’impronta.
Questo processo di fossilizzazione interessa più frequentemente gli organismi che possiedono un endoscheletro o esoscheletro.
I fossili si trovano quindi nelle rocce sedimentarie: gli strati e quindi i fossili più antichi si trovano di sotto, negli strati più profondi.
Poiché la superficie della Terra si è molto modificata nel tempo, a causa delle forti spinte verso l’alto, imposte al suolo dalle forze che agiscono al di sotto della crosta, avviene che fossili marini siano trovati in montagna, come capita, ad esempio, sulle nostre Dolomiti. Ritrovamenti di questo tipo fanno capire che quelle montagne un tempo erano terre basse, sommerse dal mare.

La scienza che si occupa dello studio dei fossili si chiama paleontologia,
Lo studio dei fossili permette di stabilire l’ordine di comparsa dei vari organismi sulla Terra, ma anche consente di comprendere come si è modificata la superficie del pianeta, fino ad assumere l’aspetto attuale.

Per far ciò è importante arrivare a datare i fossili con sufficiente precisione.
Il metodo attualmente usato per datare i fossili è quello degli isotopi radioattivi.
Gli scienziati hanno stabilito che, per ciascun isotopo, occorre un certo tempo perché esso si trasformi in un altro elemento. Questo tempo è chiamato tempo di dimezzamento.
Solitamente, per datare i fossili, si adopera il carbonio–14 che tende a convertirsi in azoto-14. Infatti, tutti gli organismi viventi, per sopravvivere, prendono il carbonio dall’anidride carbonica presente nell’aria. Quando l’organismo muore, non prende più il carbonio dall’aria, ma il C-14 che esso contiene continua a trasformarsi. Col passare del tempo, la quantità di C-14 diminuisce e, poiché si conosce il suo tempo di dimezzamento, si può calcolare quanto tempo è trascorso dalla morte dell’organismo.
Altri isotopi radioattivi sono l’uranio, il potassio e il rubidio.

La geologia è la scienza che studia la struttura della Terra e la sua storia.
Gli scienziati dividono quest’ultima in due eoni: il criptozoico e il fanerozoico. Questi sono stati divisi a loro volta in ere geologiche.
Durante il primo eone, la Terra è stata sconvolta da cataclismi per i quali non è possibile ampliare le conoscenze in seguito alla distruzione dei reperti. In questo arco di tempo iniziò a comparire la vita. Esso iniziò 5 miliardi di anni fa e terminò 580 milioni di anni fa.

Il fanerozoico, o era proterozoica, è diviso in cinque ere geologiche: l’era paleozoica, l’era mesozoica, l’era cenozoica e l’era neozoica.

L’era paleozoica inizia 580 milioni di anni fa e termina 245 milioni di anni fa. Tutti i continenti erano uniti in un’unica massa chiamata Pangea ed esisteva un solo mare, la Tetide. Si cominciavano a delineare le spaccature che poi portarono alla separazione dei continenti. L’atmosfera incominciò ad arricchirsi di ossigeno e si ebbero grandi sconvolgimenti geologici: la vita esplose improvvisamente e si estese anche sulle terre emerse che si ricoprirono di muschi e si popolarono di invertebrati e dai primi anfibi e rettili. Gli organismi più diffusi di questo periodo erano le Trilobiti che furono poi sostituite, alla fine dell’era, da nuovi organismi marini; comparvero i primi vertebrati.

L’era mesozoica inizia 245 milioni di anni fa e termina 68 milioni di anni fa. I continenti cominciarono a prendere la forma attuale e il clima era caldo – umido. È un periodo caratterizzato dalla grande diffusione di rettili tra i quali i dinosauri. Le terre erano ricoperte da felci che, in seguito alla lenta trasformazione in carbone, furono poi soppiantate dalle foreste di conifere e dalle piante con i fiori.
I dinosauri scomparvero alla fine di questo periodo per cause non ancora ben definite; a loro si sostituirono gli uccelli e i mammiferi e i fossili guida di questo periodo sono le Ammoniti.

L’era cenozoica iniziò 68 milioni di anni fa e terminò 2 milioni di anni fa. I continenti e i mari presero la forma attuale e si accentuarono le differenze climatiche. Inoltre si verificarono fenomeni orogenetici, ma anche eruzioni vulcaniche e terremoti, che portarono alla formazione delle catene montuose. Ebbero uno sviluppo particolare gli insetti, grazie alla diffusione di fiori, gli uccelli e i mammiferi.

L’era neozoica inizia 2 milioni di anni fa e dura tuttora. Gli avvenimenti più importanti furono le glaciazioni, che durante il disgelo portarono alla formazione di pianure e valli, e la comparsa dell’uomo. Fra le piante si svilupparono quelle con i fiori e fra gli animali si diffusero i felini, gli ippopotami, i rinoceronti, le zebre e i cavalli.

La suddivisione delle ere e la loro delimitazione grazie ai fossili guida è possibile in relazione all’evoluzione della vita sulla Terra.

Per molti secoli, però, si è creduto che tutte le specie viventi fossero presenti sulla Terra dal momento di una loro contemporanea creazione. E’ la teoria del creazionismo. Anche Linneo, che classificò piante ed animali in modo meticoloso, era convinto che le specie fossero immutabili nel tempo. E’ la teoria del fissismo.

Dal XVIII secolo, grazie allo studio dei fossili, si è cominciato a comprendere che le specie sulla Terra sono scomparse, apparse e cambiate. Tutto ciò ha portato ad ipotizzare che da poche specie molto semplici presenti inizialmente sulla Terra si sono originate, con mutazioni progressive, le innumerevoli, differenziate e complesse forme attuali. E’ la teoria oggi sostenuta in modo molto diffuso dell’evoluzione, una teoria che ha il supporto di molte prove.

Il primo ad ipotizzare l’evoluzione degli esseri viventi è stato il naturalista francese Lamarck. Egli osservò che le condizioni degli ambienti cambiano con il tempo, costringendo anche le specie a cambiare per adattarsi.
Un certo organo – osservò Lamarck - si rafforza e si sviluppa se viene molto usato, mentre si riduce fino a scomparire se non lo si usa. E’ la legge dell’“uso e non uso”. Questi caratteri, acquisiti per adattarsi all’ambiente, secondo Lamarck si trasmettono ereditariamente da una generazione all’altra, finché una serie di piccoli cambiamenti, in 8un tempo lungo, diventa un grande cambiamento per la specie.
Un classico esempio della concezione dell’evoluzione secondo Lamarck è la spiegazione del perché le giraffe hanno il collo lungo. Esse hanno allungato il collo, generazione dopo generazione, per brucare sempre più in alto le foglie degli alberi, trasmettendo questo carattere del collo più lungo da una generazione all’altra.
Oggi l’evoluzione basata sulla ereditarietà dei caratteri acquisiti non è più accettata.
Fu l’inglese Darwin che, nel secolo scorso, formulò una spiegazione più fondata dell’evoluzione.
Tramite l’osservazione di molte specie allevate e d esistenti allo stato libero egli costatò che, in una stessa specie, esistono piccole differenze. Queste piccole differenze rendono gli individui di una stessa specie più o meno adatti a sopravvivere nel loro ambiente. Gli individui che posseggono caratteri più vantaggiosi sopravvivono e si riproducono. Trasmettendo geneticamente i loro caratteri ai discendenti. Gli individui meno adatti hanno meno probabilità di sopravvivere e di arrivare a riprodursi. Così, nel tempo, si realizza un processo di selezione naturale. Sopravvivono i caratteri più vantaggiosi e sono questi che si trasmettono da una generazione all’altra, determinando l’evoluzione.

Darwin basò le sue teorie sugli elementi forniti dalla paleontologia, dalla zoologia e dalla botanica.
Prove dell’evoluzione si possono però ottenere anche confrontando fra loro strutture simili di organismi differenti.
Si può rilevare così, ad esempio, che le ali degli uccelli, gli arti anteriori di rettili e mammiferi sono strutture omologhe, differenziate per il diverso uso, ma sostanzialmente simili. E’ un’ulteriore conferma del fatto che questi animali hanno antenati comuni e si sono evoluti, adattandosi a muoversi in ambienti diversi.
Altri animali, invece, assai differenti tra loro, come insetti ed uccelli, dovendo muoversi nello stesso spazio, l’aria, hanno sviluppato strutture analoghe, in questo caso le ali. Ciò perché la struttura di un organo è il risultato di un adattamento, è legata alla funzione che deve svolgere.

Anche Darwin cercò di spiegare la particolarità delle giraffe, cioè il loro lungo collo.
Secondo Darwin, nella stessa popolazione di giraffe erano naturalmente presenti individui col collo più lungo ed altri col collo più corto. Quelle col collo più lungo erano avvantaggiate nel raggiungere le foglie più alte e si potevano nutrire meglio anche nei periodi di maggior siccità. Di certo maggiore fu il numero di giraffe dal collo lungo che si garantì la sopravvivenza ed arrivò a riprodursi, trasmettendo le proprie caratteristiche genetiche ai figli.
Questo processo, ripetendosi un gran numero di volte nel tempo, di generazione in generazione, ha selezionato naturalmente giraffe col collo sempre più lungo, determinando questa caratteristica così evidente nella specie attuale.

Un altro esempio di evoluzione è quello osservato nella farfalla delle betulle. L’osservazione è stata condotta in Inghilterra e si è osservato che esse, fino al 1849, avevano tutte le ali chiare. Da quell’anno si è cominciata a notare la comparsa di farfalle dal colore scuro. Col passare del tempo le farfalle di colore scuro sono diventate sempre più tante, fino a diventare la maggior parte.
Che cosa ha determinato questa mutazione?
Le farfalle delle betulle si posano sui tronchi chiari delle betulle. In una popolazione naturalmente formata da individui più chiari e più scuri, in questo caso si mimetizzano meglio gli individui più chiari, mentre quelli più scuri sono più visibili da parte dei predatori e vengono sterminate.
A partire dal 1849, con l’apertura di numerose miniere di carbone, le betulle divennero più scure perché le polveri di carbone distrussero progressivamente i licheni chiari che ne ricoprivano il tronco. In questa situazione, furono gli individui più scuri a potersi mimetizzare più facilmente, riuscendo a garantirsi meglio la sopravvivenza e la possibilità di arrivare a riprodursi. A poco a poco le farfalle più chiare scomparirono e prevalsero quelle più scure.

Anche gli studi sull’evoluzione del cavallo offrono particolari spunti di riflessione.
Il cavallo attuale, come testimoniano i resti fossili ritrovati, ha un antenato delle dimensioni di un cane, assai diverso da quello attuale anche per la forma delle zampe e per la dentatura.
L’antenato del cavallo viveva nelle foreste dove era utile essere di piccole dimensioni, avere una dentatura adatta a mangiare rami e foglie e possedere arti con tre dita. La graduale scomparsa delle foreste e la maggior diffusione delle praterie ha determinato un’evoluzione di caratteri adatti alla vita in questo ambiente: dentatura adatta a strappare l’erba, zoccolo con un’unghia dura e corpo e zampe allungate, adatte alla corsa.

Come si forma una nuova specie?
La specie è una caratteristica che accomuna gli animali simili, in grado di incrociarsi fra loro producendo una prole che a sua volta è in grado di riprodursi.
Se si incrociano, ad esempio, cani di due razze diverse, nascono cuccioli con caratteri misti, ma comunque in grado, una volta adulti, di riprodursi. Questo avviene perché essi appartengono alla stessa specie.
Se invece si incrociano un asina ed un cavallo, nasce un mulo che non è in grado di riprodursi a sua volta, perché è sterile. Asino e cavallo appartengono a specie diverse.
La differenziazione delle specie avviene in tre fasi.
- Dapprima una specie resta suddivisa, separata da barriere naturali, come ad esempio una catena montuosa, che impedisce gli incroci fra i vari gruppi;
- Nel tempo ogni gruppo si adatta al proprio ambiente e, mediante un processo di selezione naturale dei caratteri più adatti, si modifica. La diversità degli ambienti rende, alla fine molto diverse le varie popolazioni,
- Le due popolazioni sono ora così differenti da non potersi più incrociare fra loro. Si è completata la differenziazione delle specie.

Un esempio della differenziazione delle specie è dato dalla distribuzione dei marsupiali sulla Terra. Dai resti fossili sappiamo che anticamente erano presenti marsupiali sia in America, sia in Antartide, allora ricoperta da foreste.
Oggi tutti i marsupiali, ad eccezione dell’opossum che vive in Nord America, vivono in Australia.
Si può immaginare che, milioni di anni fa, quando l’Antartide era unita al Sud America ed all’Australia, i marsupiali si siano spostati in gran numero dall’America all’Australia. Quando poi queste terre si sono separate, i marsupiali sono rimasti quasi tutti in questo continente, mentre quelli rimasti in America hanno continuato la loro evoluzione fino all’attuale opossum.
L’isolamento risulta un fattore determinante nell’evoluzione.
Un altro esempio di come l’isolamento determini differenze Darwin lo ha rilevato nei fringuelli. Originati da un’unica specie e rimasti separati in isole diverse, non essendo buoni volatori i fringuelli si sono evoluti in 13 diverse specie non più in grado di incrociarsi tra di loro.

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