Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati

Materie:Scheda libro
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Testo

Schedatura del libro “Il deserto dei Tartari”
di DINO BUZZATI (1906-1972)
Cenni biografici e produzione di Dino Buzzati
Dino Buzzati Traverso nasce il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, nei pressi di Belluno, nella villa ottocentesca di proprietà della famiglia. I genitori dell'autore risiedono stabilmente a Milano, in piazza San Marco 12. Il padre, professor Giulio Cesare, insegna Diritto Internazionale all'Università' di Pavia e alla Bocconi di Milano. La madre, Alba Mantovani, veneziana come il marito, è l'ultima discendente della famiglia dogale Badoer Partecipazio. Secondogenito di quattro figli, dopo aver frequentato il ginnasio Parini di Milano, si iscrive alla facoltà di Legge. Sin dalla giovinezza si manifestano gli interessi, i temi e le passioni del futuro scrittore, ai quali resterà fedele per tutta la vita: la poesia, la musica (studia violino e pianoforte), il disegno, e la montagna, vera compagna dell’infanzia: “Penso” dice Buzzati in un’intervista concessa a Il Giorno il 26 Maggio 1959 “che in ogni scrittore i primi ricordi dell’infanzia siano una base fondamentale. Le impressioni più forti che ho avuto da bambino appartengono alla terra dove sono nato, la valle di Belluno, le selvatiche montagne che la circondano e le vicinissime Dolomiti. Un mondo complessivamente nordico, al quale si è aggiunto il patrimonio delle rimembranze giovanili e la città di Milano, dove la mia famiglia ha sempre abitato d’inverno”. Nel dicembre del 1920 muore il padre per un tumore al pancreas ed egli, a soli 14 anni, comincia a nutrire il timore di essere colpito dallo stesso male. Compie il servizio militare come ufficiale di complemento e, nel 1928 entra, come cronista, al «Corriere della Sera», giornale che non abbandonerà fino alla fine dei suoi giorni.
Nel 1939, il giornale lo manda in Etiopia, come inviato speciale: un anno più tardi, Buzzati pubblica quello che viene considerato il suo capolavoro narrativo: Il deserto dei tartari. L’idea di questo romanzo affermò Buzzati in un’intervista “nacque dalla monotona routine redazionale notturna che facevo in quei tempi. Molto spesso avevo l’impressione che quel tran-tran dovesse andare a vanti avanti senza termine e che m,i avrebbe consumato così inutilmente la vita” […]. Nel gennaio del 1939consegna il manoscritto de Il deserto dei Tartari all'amico Arturo Brambilla perché lo consegni a Leo Longanesi, che stava preparando una nuova collezione per Rizzoli denominata il "Sofa' delle Muse". Su segnalazione di Indro Montanelli, questi accetta la pubblicazione del nuovo romanzo di Buzzati; tuttavia, in una lettera, Longanesi prega l'autore di cambiare il titolo originario La fortezza, per evitare ogni allusione alla guerra ormai imminente. Buzzati considerò il Deserto dei Tartari “il libro della sua vita”. Il deserto del romanzo è proprio della vita nella fortezza del giornale, che promette i prodigi di una solitudine è abito e vocazione.Quello stesso anno si imbarca come corrispondente di guerra.
Nel 1942 pubblica I sette messaggeri, una raccolta di novelle che comprende Sette piani, angosciante viaggio all'interno della decadenza fisica e della morte, presagio di quella che sarà la sua stessa fine. E' la volta, nel 1945 della favola per bambini La famosa invasione degli orsi in Sicilia e de Il libro delle pipe dopo i quali, per ben quindici anni, Dino Buzzati, scriverà solo racconti , opere letterarie , libretti teatrali, divagazioni diaristiche (per citarne alcuni: Paura alla Scala, Il crollo della Baliverna, con cui vincerà il premio Napoli, ex equo con Cardarelli; Ferrovia sopraelevata, racconto musicale in sei episodi; In quel preciso momento). Nel 1958 vince il Premio strega con il libro Sessanta racconti. Nel 1960 pubblica Il grande ritratto, esperimento di romanzo fantascientifico, non molto riuscito dal punto di vista letterario ma importante, dal punto di vista tematico, poiché segna l'inizio dell'esplorazione di un nuovo tema: quello della femminilità, fino a quel momento avulso dalle opere dello scrittore o, quantomeno, marginale. Sembra il preludio del romanzo che Buzzati pubblicherà tre anni dopo, nel 1963: Un amore. Forse vagamente autobiografico, certamente diverso dalle altre opere, oggetto di critiche severe e da parte dei suoi detrattori e da qualche suo lettore: come Antonio Dorigo, il protagonista della vicenda, che incontra l'amore a cinquant'anni, Dino Buzzati prenderà moglie in età alquanto avanzata, a sessant'anni. Nel 1965 esce Il capitano Pic e altre poesie, prima esperienza poetica di Buzzati. A fianco dell'attività giornalistica e letteraria del grande scrittore, ebbe un certo rilievo quella pittorica: autore di bozzetti e di dipinti vari, Buzzati partecipa a numerose mostre , dichiarando di considerare la pittura non come un hobby ma come il proprio mestiere. In un discorso auto ironico, pubblicato nel catalogo della Galleria d'arte Cavalletto, nel 1968, afferma che «Dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie». Con Poema a fumetti vincerà il Premio Paese Sera, nel 1970. Nel 1971 raccoglie in un volume alcuni fra i suoi elzeviri, intitolandolo Le notti difficili. Mentre già lo assedia la terribile malattia che lo porterà alla morte il 28 Gennaio del 1972.

Il deserto dei tartari. – Analisi -
Nel Il deserto dei Tartari, attraverso metafore, più o meno velate , analogie, sottili processi allusivi ed evocativi, Buzzati segue la vita/non vita di Giovanni Drogo, dal suo arrivo, in una giornata di settembre,appena ventunenne, alla fortezza Bastiani, fino alla sua morte. La fortezza è un avamposto al confine con un deserto, in passato teatro di rovinose incursioni da parte dei Tartari: sperduta, sulla sommità di una montagna, retta da regole ferree, microcosmo minacciosamente affascinante che «strega» i suoi abitanti impedendo loro di abbandonarla. I zelanti militari che la abitano e le danno vita sono retti da un'unica speranza, che diviene ragione pura del loro esistere: vedere sopraggiungere i Tartari da quei confini, per combatterli, acquisire gloria, onore, diventare, insomma, eroi. Le vite si consumano, dunque, in questa sterile attesa, cullate dalla pigra abitudine, scandite dall'ignaro trascorrere del tempo. Così per tren’anni Giovanni subisce l’oscuro male dei fortini, delle ridotte, delle casematte. Drogo attende, attende come tutti gli altri che qualcosa dal deserto si muova , ma questo accade solamente quando la sua vita è oramai giunta alla fine ed egli muore solo, in una povera locanda sulla strada di ritorno verso casa.
Giovanni Drogo, che arriva alla Fortezza convinto di ripartirne subito, si trova avvinto, immediatamente, dalla sua malia: è sicuro di sé, sa di avere tutta la vita davanti, di poterne disporre a suo piacimento, aspettando la grande occasione. Avverte subito, tuttavia, una contraddizione ragione/cuore: la prima gli fa desiderare di andar via, convincendolo che nulla di buono verrà da quel confine, il secondo continuerà a presentire, fino alla fine, «cose fatali». Così Giovanni si adatta alla vita della Fortezza, consegnando nelle mani della Disciplina militare, sempre uguale, sempre regolare, la propria esistenza. Trascorreranno quindici anni prima che egli inizi a rendersi conto che il tempo è fuggito, prima che riesca ad individuare, a ritroso, perfino l'attimo esatto in cui la giovinezza gli è sfuggita di mano : «la prima sera che fece le scale a un gradino per volta» (vedi 25). Da quel momento tutto diviene troppo veloce, perfino il ritmo della scrittura del libro accelera (basti pensare che in ventuno capitoli vengono descritti quattro anni, e negli ultimi nove, se ne avvicendano più di venticinque!), per giungere alla fine di tutto, all'amara constatazione che la vita stessa sia stata “una specie di scherzo”: mentre, infatti, i Tartari, tanto attesi, attaccano davvero , Giovanni Drogo, minato da una grave malattia, è costretto a lasciare la Fortezza per andare a morire, da solo, in un'anonima stanza di locanda, in città. Ma non è nella disperazione che muore : superata, infatti, la rabbia, la delusione, la tentazione di rinnegare tutta la sua vita, egli si convincerà che la Missione Suprema è proprio quella che sta affrontando: la morte «esiliato fra ignota gente», solo ed abbandonato. Ha capito che la vita non è giusta come la si vorrebbe, se ne è fatto una ragione insomma. La storia acquista così una sua forza allegorica che investe tutti gli uomini, il senso delle loro azioni e della loro esistenza. L'intero romanzo è caratterizzato, oltre che dai temi buzzatiani (come ad esempio la Solitudine; Montagna; Magia; Morte; Eternità; Mistero; Giovinezza; Fantasia) e da un ritmo alquanto variabile di narrazione, dal continuo mutare di prospettiva del narratore; talvolta questi assume il punto di vista del protagonista, altre volte narra di lui in terza persona, allontanandosi, oppure interloquisce con i personaggi.
Uno degli argomenti principali di questo racconto e rappresentato dal tema dell’ATTESA . Di seguito vengono riportati alcuni passaggi del romanzo; espressioni di tale tematica :
Un presentimento - o era solo speranza - di cose nobili e grandi lo aveva fatto rimanere lassù, ma poteva essere anche soltanto un rinvio, nulla in fondo restava pregiudicato. Egli aveva tanto tempo davanti. Tutto il buono della vita pareva aspettarlo. Che bisogno c'era di affannarsi ? Anche le donne, amabili e straniere creature, le prevedeva come una felicità sicura, a lui formalmente promessa dal normale ordine della vita.
Quanto tempo davanti! Lunghissimo gli pareva anche un solo anno e gli anni buoni erano appena cominciati; sembravano formare una serie lunghissima, di cui era impossibile scorgere il fondo, un tesoro ancora intatto e così grande da potersi annoiare.
Nessuno che gli dicesse: "Attento, Giovanni Drogo!". La vita gli pareva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire. Ma Drogo non conosceva il tempo. Anche se avesse avuto dinanzi a sé una giovinezza di cento e cento anni come gli dei. Anche questo sarebbe stata una povera cosa. E lui aveva invece disponibile una semplice e normale vita, una piccola giovinezza umana, avaro dono, che le dita delle mani bastavano a contare e si sarebbe dissolto prima ancora di farsi conoscere.
Quanto tempo dinanzi, pensava. Eppure esistevano uomini - aveva sentito dire - che a un certo punto (strano a dirsi) si mettevano ad aspettare la morte, questa cosa nota e assurda che non lo poteva riguardare. Drogo sorrideva, pensandoci, e intanto, sollecitato dal freddo, si era messo a camminare
Analisi dei personaggi principali
➢ Tenente Giovanni Drogo: il protagonista
➢ Capitano Ortiz: instaura con Giovanni un bel rapporto di amicizia; infatti capisce quelli che sono i suoi problemi, le sue angosce perché c’è passato anche lui.
➢ Magg. Matti; il soldato modello rigido e rispettoso del regolamento
➢ Sergente Magg. Tronk; duro inflessibile, legato al regolamento; un fissato della fortezza
➢ Colonnello Filimore; è il comandante della fortezza
➢ Tenete Simeoni; alla fine è lui che assieme a Giovanni dirigerà la fortezza
➢ Tenente Morel
➢ Tenente Mori; compare solamente alla fine; sembra essere Giovanni Drogo molto tempo fa.

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