La prima guerra mondiale

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Testo

Prima guerra mondiale Guerra combattuta tra il 1914 e il 1918 da ventotto nazioni, raggruppate negli schieramenti opposti delle potenze alleate (comprendenti tra le altre Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e Stati Uniti) e degli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria). Causa immediata della guerra fu l’assassinio il 28 giugno 1914 a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico, da parte del nazionalista serbo Gavrilo Princip; le cause fondamentali del conflitto vanno tuttavia ricercate nelle contrastanti mire imperialistiche delle potenze europee, cresciute in un clima di esasperato nazionalismo. Soprattutto a partire dal 1898, i contrapposti interessi di Francia, Gran Bretagna e Germania (e in misura minore di Austria, Russia e Giappone) alimentarono uno stato continuo di tensione internazionale che spinse i governi a mantenere permanentemente in stato di all’erta eserciti sempre più armati, e ad accrescere la potenza delle proprie marine militari. I tentativi di fermare questa corsa al riarmo (conferenze dell’Aia del 1899 e 1907) ebbero scarso effetto, e non riuscirono a impedire lo strutturarsi dell’Europa attorno a due coalizioni ostili: la Triplice Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia, e la Triplice Intesa tra Gran Bretagna, Francia e Russia.
Crisi che precedettero la guerra (1905-1913)

Tra il 1905 e il 1913 diverse crisi e guerre locali portarono la situazione al limite del conflitto generale. Due di queste (crisi marocchine) furono il risultato del tentativo tedesco di sostenere l’indipendenza del Marocco nei confronti dell’occupazione francese, questione poi risolta pacificamente dalla conferenza di Algeciras. Un’altra crisi ebbe luogo nei Balcani nel 1908 a seguito dell’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria-Ungheria; in questo caso la guerra fu evitata solo perché la Serbia, che coltivava mire espansionistiche sulla regione, non poteva agire senza il sostegno della Russia, che a quell’epoca non si riteneva ancora pronta per il conflitto. Approfittando del fatto che l’attenzione delle potenze maggiori era rivolta alla questione marocchina, l’Italia dichiarò guerra alla Turchia nel 1911 per annettersi la regione di Tripoli (guerra di Libia), mentre le guerre balcaniche del 1912-13 ebbero il risultato di rafforzare le tendenze aggressive del regno di Serbia nella regione, peggiorando ulteriormente i suoi rapporti con Vienna, e di suscitare desideri di vendetta e di riscatto nella Bulgaria e nella Turchia.
Operazioni militari
L’assassinio dell’arciduca austriaco agì da detonatore in un’Europa così pesantemente lacerata da rivalità nazionalistiche, con effetti catastrofici.
Dichiarazioni di guerra

Il governo di Vienna, ritenendo l’assassinio opera del movimento nazionalista serbo, assicuratosi l’appoggio della Germania, inviò un ultimatum alla Serbia ritenuta responsabile di un piano antiaustriaco. A quel punto le cose precipitarono e in rapida successione si ebbero la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia (28 luglio), la mobilitazione della Russia, le dichiarazioni di guerra della Germania alla Russia (1° agosto) e alla Francia con la conseguente invasione del Belgio (3 agosto) e l’entrata in guerra della Gran Bretagna a sostegno dei belgi (5 agosto) che provocò la reazione tedesca. Mentre l’Italia si dichiarava neutrale, anche il Giappone (alleatosi con gli inglesi nel 1902) dichiarò guerra al Reich il 23 agosto, attaccandone subito dopo i possedimenti asiatici. Nel settembre 1914 la firma del patto di Londra sanciva l’unità tra Francia, Gran Bretagna e Russia.
1914-1915: dalla guerra-lampo alla guerra di trincea

Le operazioni militari si svolsero su tre diversi fronti: quello occidentale, o franco-belga; quello orientale, o russo; quello meridionale, o serbo. Nel novembre 1914 la Turchia entrò in guerra a fianco degli imperi centrali, estendendo così il quadro delle operazioni che giunse a comprendere la regione dello stretto dei Dardanelli e la Mesopotamia. Nel tardo 1915 si aprirono due ulteriori fronti: quello austro-italiano, dopo che l’Italia si unì agli Alleati in maggio; e quello sulla frontiera greca a nord di Salonicco, a seguito dell’intervento della Bulgaria al fianco degli imperi centrali nell’ottobre successivo.
Il fronte occidentale
Il piano strategico tedesco (noto come piano Schlieffen dal nome del generale, vincitore a Sedan, che lo aveva elaborato), che prevedeva una rapida guerra di movimento contro la Francia per poi volgersi contro la Russia, fu bloccato dall’esercito francese comandato dal generale Joffre nella prima battaglia della Marna (6-9 settembre). I tedeschi, costretti alla ritirata sino al fiume Aisne, estesero il fronte fino alla Mosa, a nord di Verdun. Ne seguì una sorta di gara in velocità verso il mare del Nord, con l’obiettivo di acquisire il controllo dei porti sulla Manica, che vide i tedeschi frenati nella loro avanzata dall’inondazione della regione del fiume Yser operata dai belgi e da una serie di scontri con forze inglesi noti collettivamente come battaglia delle Fiandre. Questa segnò la fine della guerra di movimento sul fronte occidentale e portò alla guerra di logoramento, di cui furono protagonisti la trincea, l’assalto con la baionetta, l’artiglieria, la conquista e la perdita di pochi lembi di terreno con perdite umane elevatissime.
Il fronte orientale
Sul fronte orientale nell’agosto 1945 due armate russe attraversarono il confine orientale della Germania, ma furono fermate dalle divisioni del generale Paul von Hindenburg che inflissero agli invasori una sconfitta decisiva nella battaglia di Tannenberg (26-30 agosto). Nel frattempo altre quattro armate russe, invaso il territorio austriaco, avanzarono in Galizia senza incontrare resistenza sino ai confini con l’Ungheria (fine marzo 1915); l’azione venne però bloccata dalla controffensiva austro-tedesca che dai monti Carpazi proseguì in Polonia centrale (maggio), Lituania e Curlandia (settembre), obbligando i comandi russi a richiamare le truppe dalla Galizia.
La guerra in Serbia
Da parte loro i serbi riuscirono a respingere tre tentativi di invasione senza operarne alcuno ai danni dell’Austria-Ungheria, così che il fronte rimase inattivo fino all’ottobre 1915. All’inizio di quel mese, per poter aiutare la Serbia in caso di un attacco bulgaro, giudicato sempre più probabile, truppe anglo-francesi sbarcarono a Salonicco. A quel punto gli austro-tedeschi attaccarono nuovamente le postazioni serbe (6 ottobre), sconfiggendole insieme al corpo di spedizione alleato sopraggiunto in soccorso dalla Grecia occidentale.
Il fronte turco
La Turchia entrò in guerra il 29 ottobre 1914, cooperando da subito con la Germania con il bombardamento navale delle coste russe del mar Nero e l’invasione del Caucaso in dicembre; in risposta, forze navali inglesi bombardarono le fortificazioni turche sullo stretto dei Dardanelli nel febbraio 1915, mentre tra aprile e agosto furono costituite due teste di ponte nella penisola di Gallipoli. L’obiettivo alleato di acquisire il controllo degli stretti fallì miseramente, e fu seguito dal ritiro di tutte le truppe presenti nella regione entro il gennaio 1916.
Il fronte italiano

L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il 23 maggio 1915. Nel corso del suo primo anno di guerra, i più importanti eventi militari che la videro impegnata furono quattro battaglie dell'Isonzo dall’esito incerto (29 giugno-7 luglio; 18 luglio-10 agosto; 18 ottobre-3 novembre; 10 novembre-10 dicembre), che fecero fallire l’obiettivo di spezzare le linee austriache e conquistare Trieste.
1916: la guerra di posizione

Nel 1916, dopo aver trasferito 500.000 uomini dal fronte orientale a quello occidentale, i tedeschi sferrarono un massiccio attacco alla Francia dirigendosi verso la fortezza di Verdun (21 febbraio). Furono ancora bloccati e dovettero subire la controffensiva alleata sulla Somme. Ma né l’una né l’altra operazione furono decisive: la spaventosa carneficina (1.600.000 morti) risultò inutile ai fini della guerra.
Perdite russe e sconfitta rumena
Sul fronte orientale, i russi lanciarono un’offensiva nella regione del lago Narocz per forzare i tedeschi a spostare le truppe da Verdun, ma l’operazione si risolse in un fallimento che costò loro oltre 100.000 uomini. Maggior successo ebbe invece in giugno la risposta alla richiesta italiana di un’azione diversiva che alleviasse la pressione dell’offensiva austriaca in Trentino (vedi oltre): l’avanzata russa da Pinsk verso sud costò tuttavia perdite tali (quasi un milione di morti) da gettare l’esercito in uno stato di demoralizzazione e scoramento che influì non poco sugli sviluppi politici interni russi. La dimostrazione di forza indusse la Romania a entrare in guerra al fianco degli Alleati (27 agosto 1916), ma le operazioni militari si risolsero in una netta sconfitta a opera delle forze austro-tedesche e bulgaro-turche, che assicurò agli imperi centrali il controllo della Romania e delle sue risorse (grano e petrolio).
L’Italia e i Balcani
Sul fronte italiano il 1916 fu segnato dalla quinta inconcludente battaglia sull’Isonzo e dall’offensiva austriaca nel Trentino, i cui risultati furono comunque annullati dalla reazione italiana nella campagna estiva. Tra agosto e novembre altre quattro battaglie ebbero luogo sull’Isonzo, ancora senza risultati a parte la conquista italiana di Gorizia (9 agosto). Nei Balcani le potenze alleate posero sotto il controllo politico la Grecia e scatenarono un’offensiva su vasta scala in Macedonia che li portò al confine con l’Albania.
Tentativi di negoziato
Nel corso del 1916 il presidente degli Stati Uniti d’America (a quel tempo ancora neutrali) Woodrow Wilson cercò di spingere al negoziato le potenze belligeranti sulla base di una “pace senza vittoria”. A fine anno il governo tedesco rese nota la disponibilità in tal senso delle potenze centrali, alle quali tuttavia la Gran Bretagna non diede credito.
1917: l’entrata in guerra degli Stati Uniti e il ritiro russo
La posizione di Wilson riguardo alla guerra mutò decisamente nel gennaio 1917, quando la Germania annunciò che, a partire dal successivo 1° febbraio, sarebbe ricorsa alla guerra sottomarina indiscriminata contro le imbarcazioni in arrivo in Gran Bretagna o in partenza da essa, contando in questo modo di poterne piegare la resistenza entro sei mesi. Gli Stati Uniti avevano già ammonito in precedenza che questo genere d’azione violava palesemente i diritti delle nazioni neutrali, così che il 3 febbraio il presidente americano decise di sospendere le relazioni diplomatiche con la Germania, seguito da diverse nazioni dell’America latina. Il 6 aprile gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Arras e Ypres
Nel 1917 i tentativi degli Alleati di rompere le linee tedesche portarono modesti vantaggi con un costo in vite umane talmente grande da provocare un ammutinamento fra le truppe francesi e la sostituzione del loro responsabile, il generale Nivelle, con il generale Henri Philippe Pétain, che decise di rimanere sulla difensiva fino all’arrivo delle forze americane.
Lo sbarco degli americani
Dopo la dichiarazione di guerra alla Germania nell’aprile 1917, il governo degli Stati Uniti organizzò rapidamente una Forza di spedizione inviata in Europa al comando del generale John Pershing. Entro la fine di maggio, 175.000 soldati americani erano già presenti in Francia; sarebbero diventati quasi due milioni verso la fine della guerra.
La guerra sottomarina
Sempre nel 1917 i tedeschi dovettero riconoscere fallito il tentativo di spingere la Gran Bretagna alla resa mediante il blocco sottomarino delle sue isole. Inoltre, già dagli inizi del 1918 gli Alleati (grazie soprattutto al contributo degli Stati Uniti) producevano nuove navi più di quante i tedeschi riuscissero a distruggerne.
La Russia si ritira
Lo scoppio nel marzo 1917 dell’insurrezione popolare contro il governo imperiale portò all’abdicazione dello zar Nicola II; appena insediato, il governo provvisorio si impegnò a proseguire la guerra, ma la successiva rivoluzione bolscevica del novembre (vedi Rivoluzione russa) ebbe come effetto il ritiro della Russia dalla guerra.
Sconfitte italiane

Durante i primi otto mesi dell’anno, nonostante le carenze in effettivi, artiglieria e munizioni, le forze italiane al comando del generale Luigi Cadorna proseguirono gli inutili sforzi di sfondare le linee austriache sul fiume Isonzo e di conquistare Trieste (decima e undicesima battaglia dell’Isonzo). L’ultimo trimestre dell’anno fu invece segnato da una decisa offensiva mossa da nove divisioni austriache e sei tedesche sopraggiunte dall’ormai inattivo fronte orientale. Attaccando sulla parte alta dell’Isonzo, queste riuscirono a rompere le linee italiane, costrette a ripiegare disordinatamente sul fiume Piave. Nella disastrosa battaglia di Caporetto, oltre alle vittime gli italiani contarono 300.000 prigionieri e quasi altrettanti disertori. In novembre truppe inglesi e francesi giunsero di rinforzo, mentre Cadorna venne sostituito dal generale Armando Diaz.
Il Medio Oriente
In Palestina, sotto il comando del generale Edmund Allenby, gli inglesi spezzarono le linee turche a Beersheba, obbligandole prima a evacuare Gaza (novembre), per poi prendere Gerusalemme (9 dicembre). Nella regione l’anno era stato caratterizzato dalla brillante azione del colonnello T.E. Lawrence (noto come Lawrence d’Arabia), animatore della rivolta araba contro la Turchia. Le truppe arabe da lui guidate presero in luglio il porto di Al’Aqabah, effettuando in seguito diverse sortite contro le linee della ferrovia di Hejaz. Altri successi inglesi furono ottenuti nel corso del 1917 in Mesopotamia, con la presa di Baghdad in marzo e un’avanzata che in settembre li portò ai fiumi Eufrate e Tigri.
1918: la fine del conflitto

Il 3 marzo 1918 la Russia firmò il trattato di Brest-Litovsk, che poneva ufficialmente fine alla guerra con le potenze centrali in termini decisamente favorevoli a queste ultime; il 7 maggio fu la Romania a sottoscrivere la pace, firmando il trattato di Bucarest che cedeva la Dobrugia alla Bulgaria, i passi sui Monti Carpazi all’Austria-Ungheria, e garantendo alla Germania concessioni a lungo termine sui pozzi di petrolio rumeni.
Ritiro della Bulgaria e dell’Austria-Ungheria
Proprio sul fronte dei Balcani, tuttavia, l’esito finale dei combattimenti risultò disastroso per le potenze centrali: in settembre 700.000 soldati alleati avviarono un’offensiva congiunta contro le truppe nemiche di stanza in Serbia che alla fine del mese costrinse la Bulgaria a chiedere l’armistizio; ciò indusse la Romania a rientrare in guerra. Intanto la Serbia continuò l’avanzata nei Balcani sino a occupare Belgrado (1° novembre), mentre l’esercito italiano invadeva e occupava l’Albania. Sul fronte italo-austriaco gli italiani ottennero quindi la vittoria decisiva, mettendo in fuga gli austro-ungarici nella battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre-4 novembre). Il 3 novembre Trieste cadde in mano italiana, così come Fiume il giorno 5. La sconfitta fece precipitare la situazione interna dell’impero asburgico: cechi, slovacchi e slavi del sud proclamarono la loro indipendenza; a nove giorni dalla firma dell’armistizio con gli Alleati (3 novembre), l’imperatore Carlo I abdicò, e il giorno seguente un moto rivoluzionario popolare proclamò la repubblica austriaca, mentre gli ungheresi istituivano un governo indipendente.
Ritiro della Turchia
Anche la campagna in Palestina si concluse vittoriosamente per gli Alleati. In settembre gli inglesi misero in fuga l’esercito turco e il corpo di spedizione tedesco che lo assisteva; nel frattempo il corpo di spedizione francese conquistava il Libano e la Siria. A quel punto il governo del sultano chiese l’armistizio, concluso il 30 ottobre.
Ultimi attacchi tedeschi
All’inizio del 1918, rendendosi conto della necessità di portare a conclusione il confronto sul fronte occidentale prima che gli americani potessero stabilirvisi, i tedeschi decisero un attacco finale che avrebbe dovuto portarli a Parigi. Ma le due offensive lanciate in marzo e in giugno furono bloccate.
Tra la fine di agosto e i primi di settembre inglesi e francesi obbligarono i tedeschi a retrocedere fino alla linea da cui erano partiti in marzo; l’avanzata continuò tra ottobre e novembre, quando forze anglo-americane raggiunsero Cambrai, la foresta delle Argonne, Sedan. Su richiesta del generale Ludendorff il governo tedesco tentò allora di avviare trattative per un armistizio, subito arenatesi però per il rifiuto del presidente Wilson di negoziare con governi non democratici. L’evidenza della sconfitta militare portò all’ammutinamento della flotta tedesca; l’imperatore Guglielmo II abdicò e cercò rifugio in Olanda, mentre la repubblica tedesca veniva proclamata il 9 novembre. Due giorni dopo, nella foresta di Compiegne, la Germania firmava l’armistizio accettando tutte le condizioni imposte dagli Alleati.
La guerra nelle colonie
Nel corso di tutto il conflitto, le scarse forze tedesche presenti nelle colonie in Africa (con la sola eccezione di quelle di stanza nel corno d’Africa) furono costrette a cedere sotto gli attacchi alleati, i quali conquistarono il Camerun, l’Africa del Sud-Ovest e l’Africa Orientale Tedesca. Nel Pacifico, un contingente anglo-australiano proveniente dalla Nuova Zelanda si assicurò sin dalle prime fasi del conflitto i territori tedeschi di Samoa, delle Bismarck e della Nuova Guinea. A loro volta i giapponesi strapparono ai tedeschi la provincia cinese dello Shantung nel novembre del 1914 e, successivamente, le isole Marshall, Marianna, Caroline e di Palau.
La guerra sul mare
Il più importante scontro navale della guerra fu la battaglia dello Jutland, combattuta fra il 31 maggio e il 1° giugno 1916 dalle flotte inglese e tedesca. Seppure le perdite inglesi, sia in navi sia in vite umane, superassero quelle della Germania, la flotta del Reich rientrò nei porti nazionali per non tornare più in azione. Nel 1917 i responsabili militari tedeschi fecero nuovamente ricorso alla guerra sottomarina indiscriminata, convinti che questo fosse l’unico modo per contrastare la Gran Bretagna. Il calcolo non solo non portò il risultato cercato, ma provocò l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Secondo i termini dell’armistizio, i tedeschi consegnarono agli Alleati l’intera flotta (10 navi da guerra, 17 incrociatori, 50 torpediniere e più di 100 sottomarini), che con l’eccezione dei sottomarini fu interamente internata nella base di Scapa Flow, con tanto di ufficiali e di equipaggi a bordo. Quando il trattato di Versailles del 1919 dispose che essa sarebbe definitivamente divenuta di proprietà degli Alleati, i marinai tedeschi la autoaffondarono.
La guerra aerea
La prima guerra mondiale incoraggiò la produzione e l’uso militare di aeroplani, aeronavi e dirigibili, utilizzati per azioni di perlustrazione, osservazione e bombardamento. Una caratteristica della guerra furono le incursioni condotte a mezzo di dirigibili o di aeroplani su importanti centri nemici situati lontano dal fronte di battaglia. La prima incursione aerea tedesca su Parigi ebbe luogo il 30 agosto 1914; la prima ai danni dell’Inghilterra fu invece a Dover, il 21 dicembre dello stesso anno. Durante il 1915 e il 1916 dirigibili tedeschi del tipo Zeppelin effettuarono 60 incursioni sull’Inghilterra orientale e su Londra, con l’obiettivo di danneggiare l’industria inglese e minare il morale della popolazione civile. A partire dalla metà del 1915 i duelli aerei tra singoli aeroplani o tra squadroni nemici diventarono comuni. I tedeschi godettero della superiorità aerea dall’ottobre del 1915 al luglio del 1916, quando la supremazia passò agli inglesi, continuando ad aumentare sino a divenire schiacciante a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti. Tra gli assi del volo più famosi, si ricordano l’italiano Francesco Baracca, abbattuto sul Montello dagli austriaci e medaglia d'oro, l’americano Eddie Rickenbacker, il canadese William Avery Bishop e il tedesco Manfred von Richthofen, noto come “Barone Rosso”.
Bilancio della guerra

La guerra era durata 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime nelle forze di terra furono più di 37 milioni (vedi la tabella “Vittime della prima guerra mondiale”); in aggiunta, la guerra produsse indirettamente quasi 10 milioni di morti tra la popolazione civile. Nonostante la speranza che gli accordi raggiunti alla fine della guerra potessero ristabilire una pace duratura, la prima guerra mondiale pose al contrario le premesse di un conflitto ancor più devastante. Le potenze centrali dichiararono la loro accettazione dei “quattordici punti” del presidente Wilson come base per l’armistizio, aspettandosi che i loro princìpi ispiratori avrebbero costituito il fondamento dei trattati di pace. Al contrario, gli alleati europei si presentarono alla conferenza di Versailles e a quelle successive determinati a esigere dalle potenze centrali riparazioni equivalenti all’intero costo della guerra, nonché a spartirsi tra loro i territori e i possedimenti delle nazioni sconfitte, secondo gli impegni presi in accordi segreti stabiliti tra il 1915 e il 1917, prima dunque dell’entrata in guerra degli Stati Uniti. Il presidente Wilson in un primo tempo insistette affinché la conferenza di pace accettasse il programma delineato in quattordici punti nella sua totalità, ma nel tentativo di garantirsi l’appoggio dei recalcitranti alleati per l’applicazione dell’ultimo, riguardante l’istituzione di una Società delle Nazioni, finì con l’abbandonare questa posizione. I trattati di pace prodotti dalle conferenze di Versailles, Saint-Germain, Trianon, Neuilly e Sèvres risultarono così squilibrati da divenire fattori di instabilità nel futuro dell’Europa.
La soluzione diplomatica che prevalse al termine della guerra disegnò un quadro politico dell’Europa completamente differente da quello del 1914. La scomparsa di tre imperi (russo, tedesco, austro-ungarico) fu colmata dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l’identità nazionale era tutt’altro che omogenea. Per di più lo spirito punitivo con cui vennero decise, da parte della Francia e della Gran Bretagna, le sanzioni contro la Germania portò ad assumere provvedimenti oltremodo pesanti. I tedeschi li percepirono come umilianti tanto più che il loro esercito non aveva mai subìto una reale sconfitta nel corso della guerra. Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si aggiunsero ai problemi derivanti dalla riconversione delle industrie dalla produzione militare a quella civile. Inoltre la guerra aveva innescato profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte: la rivoluzione russa aveva indicato una meta possibile per i ceti operai e contadini, maggiormente colpiti dai costi sociali della guerra. Ma la crisi del dopoguerra travolse anche i ceti medi, predisponendoli a favorire soluzioni autoritarie con le quali liquidare i conflitti ideologici e gli squilibri sociali. La prima guerra mondiale segnò infine il declino dell’Europa, che dopo tre secoli di espansione vedeva il suo ruolo emarginato da nuove grandi potenze, quali gli Stati Uniti e il Giappone.

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