Studio riguardante Alessandro Manzoni

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Testo

ALESSANDRO MANZONI
PRIMA DELLA CONVERSIONE: OPERE CLASSICISTICHE
DOPO LA CONVERSIONE: INNI SACRI E LIRICHE
Prima della conversione
Opere composte tra il 1801 e il 1810; sono opere classicistiche nel gusto e nella moda del tempo
• Il Trionfo della libertà: inneggia alla Rivoluzione francese e si scaglia contro la tirannide politica e religiosa, ma rivela già la consapevolezza della delusione degli ideali della rivoluzione francese. (modelli: Monti e Alfieri, venati da un po’ di pessimismo foscoliano alla Ortis)
• L’Adda, poemetto idillico indirizzato al Monti
• Sermoni; sono quattro: il poeta polemizza contro aspetti del costume contemporaneo (modello: Parini)
• Carme in morte di Carlo Imbonati: Manzoni immagina che il compagno della madre, Carlo Imbonati, gli appaia in sogno dandogli preziosi consigli di vita e di letteratura:
- Il Manzoni si rifugia nello sdegnato atteggiamento di ribellione alfieriana contro la delusione storica.
- Compaiono anche accenni del futuro Manzoni: frasi come “Sentir…e meditar” oppure “il Santo Vero mai non tradir”, preannunciano una svolta che ormai è prossima
• Urania, poemetto del 1809 sulle tracce della Musogonia del Monti: gli uomini primitivi iniziati alla civiltà dalle Muse (cfr. Foscolo e Le Grazie).
Dopo la conversione
1) La conversione del Manzoni è e resta un fatto privato di cui abbiamo scarsissima documentazione; tuttavia è possibile ricostruirne un percorso di massima, osservando le sue opere
2) Il primo documento è costituito dalle Osservazioni sulla morale cattolica (1819).
scritte per controbattere le tesi dello storico Sismonde de Sismondi, il quale nella sua opera
Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo
• Tesi del Sismondi: la morale cattolica è stata responsabile della corruzione del costume italiano.
• Controbatte il Manzoni: la religione è fonte di tutto ciò che è buono e vero per ogni tipo di scelta
3) la conversione del Manzoni investe infatti non solo scelte esistenziali, ma anche ideologiche e culturali:
• concezione della storia: revisione storica del periodo classico, basato sul mito dei classici latini: i Romani, lungi dall’essere un popolo modello di virtù, furono un popolo feroce, violento e oppressore; invece, il Medioevo, dai classicisti trattato come un periodo barbaro e primitivo, va rivalutato perché è la matrice della civiltà moderna. Da qui nasce il rifiuto della concezione eroica ed aristocratica che celebra solo i grandi e i potenti; vanno considerate anche le masse degli umili; sono loro che “fanno la storia”.
• Concezione della letteratura: si tratta di un’idea pessimistica: l’uomo è destinato alla caduta: egli è un essere fragile; il male è radicato nella Storia; nel mondo esiste il peccato originale; ecco perché non hanno più senso gli apparati mitologici dei classicisti, impiegati solo per creare una realtà idillica non corrispondente alla verità. L’arte deve guardare non solo al bello (tanto meno al bello fine a sé stesso), ma deve puntare all’utile, morale e civile.
• Il Manzoni si richiama ai principi della borghesia illuminata lombarda (Parini, il Caffè); per lui l’avversione al classicismo trova la sua più grande ragione d’essere perché contrappone al falso, all’ornamentale e all’aristocraticamente eroico, il vero e l’utile e l’umile. Finisce il petrarchismo manierista; ma nemmeno si può ritornare a Dante e alla conciliazione del mondo pagano con quello cristiano grazie all’allegoria. (“Se le lettere dovessero aver per fine di divertire quella classe d’uomini che non fa quasi altro che divertirsi, sarebbero la più frivola, la più servile, l’ultima delle professioni”).
• La letteratura deve avere [cfr. lettera a Cesare d’Azeglio] “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”. Tutta l’opera di Manzoni è ideologicamente e letterariamente innovativa e segna nei confronti del classicismo una rivoluzione.
OPERE: GLI INNI SACRI
1) Storicamente: nati tra il 1812 e il 1815, costituiscono una produzione di rottura nei confronti della lirica precedente e nello stesso tempo mettono in mostra tematiche nuove, romantiche, prima ancora che scoppi la polemica tra classicisti e romantici con l’articolo della De Stael (1816)
2) Motivazione poetica:
• Rifiuto della poesia montiana e foscoliana, basata sul culto del mondo antico, sulla mitologia;
• Si contrappongono temi che siano vivi nella coscienza contemporanea, aderenti al vero e moderni.
• Non più poesia aristocratica, ma poesia dall’orizzonte popolare: ossia, poesia in grado di essere la voce del popolo.
• Ecco perché il poeta non può più essere l’aristocratico vate cantore dell’egocentrismo più esasperato (Foscolo) oppure un abilissimo compositore per tutte le stagioni (Monti): egli sarà solo più un interprete corale della coscienza cristiana che si annulla nella comunità anonima, popolare.
• La sua è una poesia corale (cfr. Carlo Porta); gli Inni sacri sono la rappresentazione di avvenimenti importanti del Cristianesimo, visti nella loro dimensione reale, espressi dal comune sentire popolare; infatti, ciò avviene:
- ritmo agile e popolareggiante (settenari, ottonari, decasillabi) lontanissimi dalla solennità dell’endecasillabo
- caduta del linguaggio aulico, senza però scivolare nella dizione prosastica
3) Dati tecnici: erano stati progettati 12 Inni sacri, che cantassero le principali festività liturgiche della Chiesa; ne furono portati a termine solamente 4, pubblicati nel 1815. Essi sono:
• La Resurrezione, Il Natale, La Passione, Il nome di Maria
• Un quinto inno fu condotto a termine solo nel 1822; si tratta de La Pentecoste.
• Modello letterario: l’antica innografia cristiana
• Schema fisso: enunciazione del tema, rievocazione dell’episodio centrale, commento che chiarisce le implicazioni dottrinali e morali
• La Pentecoste segue uno schema diverso, concludendosi invece che con un chiarimento dottrinale e teologico con un’invocazione allo Spirito perché scenda ancora sull’umanità.
INNI SACRI: LA PENTECOSTE
Tutto l’inno va diviso in 3 parti:
1) vv.1-48: tema: la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa cinquanta giorni dopo la risurrezione di Cristo; l’autore coglie della Chiesa primitiva l’aspetto passivo; l’autore si chiede dove fosse la Chiesa nei momenti più importanti della redenzione portata da Cristo: la Passione (quando il tuo Re, dai perfidi/tratto a morir sul colle,/imporporò le zolle/del sublime altar?); la vittoria sulla morte (e allor che dalle tenebre/la diva spoglia uscita,/mise il potente anelito/dalla seconda vita;); la salita al cielo (e quando, in man recandosi/ il prezzo del perdono,/da questa polve al trono/dal Genitor salì); poi finalmente grazie al dono dello Spirito la Chiesa prende forza e coraggio e diventa attiva (la predicazione in più lingue narrata dagli Atti degli Apostoli).
Riflessione: Chiesa passiva (don Abbondio), Chiesa attiva (Federigo, Fra Cristoforo); per il Manzoni la Chiesa deve avere ruolo attivo nell’umanità; questo ruolo le è dato dalla forza del messaggio di redenzione cristiana. Il Cristianesimo va predicato come fecero gli apostoli quando ricevettero lo Spirito Santo; non è possibile rimanere chiusi in sé stessi, a difesa di un fatto privato; la vera conversione implica necessariamente un nuovo impegno attivo. (cfr. Vita di A. Manzoni).
2) vv. 49-80: tema: messaggio di liberazione portato dal cristianesimo a tutti gli uomini. (Non sa che al regno i miseri/seco il Signor solleva? Che a tutti i figli d’Eva/ nel suo dolor pensò?) Non bisogna più invocare gli dei pagani (Es: donna che sta per partorire sappia che “cresce serbato al Santo/quel che nel sen vi sta”). Il messaggio di Cristo porta una nuova franchigia (libertà) e uomini nuovi: anche se il corpo è schiavo, l’anima è libera. La salvezza eterna, l’aldilà è la vera fonte di gloria.
3) vv.81-144: tema: invocazione allo Spirito, perché anche se il mondo odierno si è allontanato dal suo benefico influsso, possa il mondo tornare a coincidere con lo Spirito: l’alternativa vera è comunque nell’altra vita: in questo mondo predominano il male, l’ingiustizia: l’autore, però, nonostante riveli una concezione pessimistica dell’uomo, ritiene necessario che egli si impegni per contrastare con ogni mezzo il male.
Conclusioni : il cristianesimo di Manzoni ha una fondamentale matrice pessimistica, che non si risolve però nella rassegnazione di fronte al male della Storia: un atteggiamento energico può contrastare il male se è animato dalla fiducia nella possibilità di un relativo superamento dell’ingiustizia. (cfr. Promessi sposi, le parole finali di Lucia: “e io, -disse un giorno al suo moralista [Renzo n.d.r.] – cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che son venuti a cercare me.” (…) “Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato dimetterla qui, come il sugo di tutta la storia.”)
Il Manzoni sottolinea il problema della giustizia sociale; la religione contribuisce a sensibilizzare i ricchi perché diano agli emarginati. Si segnalano inoltre anche i riferimenti a figure che poi diverranno personaggi del romanzo manzoniano (“la casta porpora” = Lucia; “il confidente ingegno” = Renzo, ecc. ecc)
Aspetto formale:
• lirica corale (non più l’io eroico, ma la voce collettiva della coscienza cristiana: (“Noi t’imploriam”).
• Versi rapidi, concitati, incalzanti (non più linguaggio aulico, ma non ancora prosaico)
LA LIRICA POLITICA
Dopo due infelici tentativi di canzone politica (Aprile 1814 e Il proclama di Rimini, entrambi incompiuti), Manzoni compone nel 1821 l’ode Marzo 1821
Dati tecnici:
• Composta nel marzo 1821 quando i patrioti lombardi speravano che Carlo Alberto con l’esercito piemontese venisse in aiuto per combattere l’Austria.
• Manzoni anticipa gli eventi immaginando che l’esercito piemontese abbia già varcato il Ticino e stia giungendo in aiuto.
• L’ode fu pubblicata solo nel 1848; forse il manoscritto era stato distrutto dal Manzoni stesso per paura delle perquisizioni austriache e tenuto a memoria fino ad allora.
• Forse l’ultima strofa (“Or giornate del nostro riscatto/oh dolente per sempre colui/che da lunge, dal labbro d’altrui, come un uomo straniero le udrà!/Che a’ suoi figli narrandole un giorno/dovrà dir sospirando: io non c’era;/che la santa vittrice bandiera/salutata quel dì non avrà”.) fu scritta nel ’48 durante le cinque giornate di Milano.
• Metrica: stofe di 8 decasillabi che conferiscono alla lirica un ritmo cadenzato, da battaglia; questo è dovuto al fatto che gli accenti cadono nell’endecasillabo sempre nelle sedi 3, 6, 9)
Tematiche:
• Dio soccorre i popoli che lottano per la propria indipendenza, perché opprimere un altro popolo va contro le leggi di Dio (come si può vedere nelle sacre scritture a proposito del Faraone egiziano e degli ebrei: “Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia/chiuse il rio che inseguiva Israele)). E questo vale per ogni popolo!
• L’opera è dedicata a Theodor Korner, poeta tedesco morto in battaglia combattendo contro Napoleone: ciò significa che anche gli Austriaci hanno combattuto la tirannide; come ora possono essere gli oppressori?
• L’idea di nazione per il Manzoni: “Una d’arme, di lingua, d’altare,/di memorie, di sangue e di cor”.
IL 5 MAGGIO
Si tratta di un’ode composta da strofe di 6 settenari (1,3,5 sdruccioli, 2,4 piani [con rima], 6 tronco) che si ispira alla morte di Napoleone. L’ode è divisibile in 3 parti principali:
1) vv.1-24: “Ei fu”: si parte subito dalla morte di Napoleone e all’attualità provocata da questa notizia; il Manzoni commenta questo fatto, riservandosi come poeta la libertà di poterlo fare ora, quando non è più possibile che il suo “genio” possa essere accusato di essersi prestato al “servo encomio” o al “codardo oltraggio”; il poeta non ha però intenzione di giudicare solo le imprese della storia (che – ricorda – per Manzoni sono sempre negative) ma di ripercorrere le tappe fondamentali della vita di Napoleone per rivederle in una prospettiva diversa da quella terrena della considerazione o del disprezzo della grandezza umana; non cerca un eroismo alla Foscolo, nemmeno è disponibile al contemptus mundi caro al Medioevo. Tutti questi versi, dal punto di vista formale, mettono in luce una alternanza tra l’immobilità (stette, sta, immobile) e il rapido alternarsi delle vicende (cadde, risorse, e giacque).
2) vv. 25-84: rievocazione della vicenda umana di Napoleone, nelle imprese vittoriose e nelle sconfitte, “altari e polve”. La vicenda si articola in una opposizione spaziale e temporale.
• Spaziale: spazio amplissimo sia geografico (Dall’Alpi alle Piramidi…) contrapposto alla “breve sponda” dell’esilio; sia del paesaggio interiore (la procellosa e trepida/gioia d’un gran disegno…) contrapposta ai “dì nell’ozio/chiuse”.
• Temporale: l’opposizione evidente è quella fra passato e presente; meglio: fra il peso del passato, l’amara constatazione del presente e l’inesistente futuro (in tal senso va interpretata l’impossibilità da parte di Napoleone di scrivere le proprie memorie). L’opposizione temporale riporta all’attenzione il contrasto tra rapidità dinamica dei fatti (fulmine, baleno, scoppiò, fuga e vittoria, reggia e esilio), rapidità evocata dalla memoria (mobili, lampo, onda, concitato, celere) e l’immobilità di Sant’Elena (ozio, stanca man, tacito morir, giorno inerte…).
3) vv. 85-106: i contrasti precedentemente illustrati vengono ora risolti nella nuova dimensione temporale manzoniana dell’eternità. Napoleone davanti al giudizio sul senso della propria vita “forse” disperò, ma “valida/venne una man dal cielo” che lo trasporta in più “spirabil aere”; quest’ultima non è –si badi bene- la morte, pietosa soccorritrice degli uomini che annulla le sofferenze; non si tratta insomma di un concetto foscoliano-illuminista travestito di religiosità (“Povero Napoleone, ha finito di soffrire!), ma l’autore specifica chiaramente che si tratta di quella “Bella Immortal! Benefica/fede ai trionfi avvezza”; solo essa è in grado di dare un senso ad una vita che pure, romanticamente parlando, rivelava il “Massimo/Fattor, che volle in lui/del creator suo spirito/più vasta orma stampar”; attorno al sepolcro di Napoleone non nasce un culto consolatore tipo “A egregie cose i forti animi accendono le urne dei forti” di marca foscoliana; qui “dalle stanche ceneri” si sperde “ogni ria parola”: potremmo con una buona dose di estremismo letterario dire che non c’è posto per Napoleone nei sepolcri gloriosi di Santa Croce: non solo –evidentemente- perché il Foscolo non amava molto il suo vecchio amico Napoleone, ma perché la presentazione di questo destino di sconfitto dalla Storia serve al Manzoni per non incitare all’emulazione eroica (come per il Foscolo possono fare le tombe dei grandi, siano essi Alfieri o Ettore), ma, nella considerazione che il vero premio non è l’essere ricordati; l’Eternità avvolge Napoleone dandogli un premio che non è di questo mondo; un premio che “i desideri avanza” e che è ben più importante del “premio ch’era follia sperar”; il premio è il Cielo, dove non abita l’immortalità foscoliana, perché là si è “dov’è silenzio e tenebre/la gloria che passò”. Il sepolcro, la morte, non comunicano nulla se non un “attonito” smarrimento; ciò che conta è che il Dio che “atterra e suscita/che affanna e che consola” (cfr. L’Innominato) è presente sulla “deserta coltrice” del letto di morte e può avere la sua vittoria e cioè “che più superba altezza/al disonor del Golgota/giammai non si chinò”.
Manzoni non vuole escludere la gloria dal mondo disprezzando il mondo; tuttavia, la vera gloria è quella di chi, consapevole della propria superiorità, la pone al servizio degli altri uomini, combattendo attivamente il Male, che è radicato nella Storia. Ecco perciò che l’espressione “Fu vera gloria?” che riferita alla gloria mortale non poteva che sfociare in una nemmeno troppo nascostamente ironica o quanto meno incerta “Ai posteri l’ardua sentenza”, ora ha una risposta affermativa: Napoleone non abita più il Manzanarre e il Reno, ma i “floridi/sentier della speranza”.
SCRITTI TEORICI
LETTRE A’ M. CHAUVET
1) La lettera nasce come risposta allo Chauvet, il quale contestava al Manzoni il fatto di non aver rispettato la regola delle 3 unità; in realtà la ragione di questo scritto va ben al di là di una polemica su questa questione (che comunque l’autore lombardo ha il merito di sostenere con forza, inserendosi a pieno titolo nelle discussioni romantiche su tale argomento)
• Si vuole dimostrare non solo la possibilità, ma anche la legittimità, anzi, la superiorità artistica di un sistema tragico diverso da quello francese che ubbidisce alle regole.
• Il nuovo sistema è chiamato dal Manzoni “storico” e il più grande autore in questo senso è da considerarsi Shakespeare.
• La tragedia deve ovviamente mirare anche all’utile morale, deve insomma avere uno scopo educativo. Invece di lusingare le passioni degli spettatori, il teatro deve condurre a riflettere sulla propria natura e sul proprio destino, deve mirare “a conoscere nella rappresentazione degli altri il mistero di se stessi”. Questo può essere fatto solo dalla rappresentazione della Storia, di ciò che gli uomini hanno effettivamente fatto, pensato, sentito.
• “il bisogno di verità è l’unica cosa che possa farci attribuire importanza a tutto ciò che apprendiamo”.
• se l’invenzione letteraria rischia sempre di cadere nell’arbitrario e nel falso (e quindi di non avere valenza educativa), non così capita se centro dell’attenzione poetica diviene la verosimiglianza e l’interesse nei caratteri drammatici che derivano dalla verità.
2) Ma se la poesia, per raggiungere i suoi scopi deve basarsi sulla, in che cosa allora si distingue dalla storia vera e propria?
• Mentre la storia ci presenta solo l’aspetto esterno dei fatti e delle azioni umane, la poesia rappresenta tutti quei movimenti interni di pensiero e di sentimento che hanno generato le azioni; non crea un mondo diverso, ma integra socialmente la realtà.
• Dal concetto del “vero” nasce il rifiuto delle regole; esse costringono a creare situazioni fittizie o convenzionali. La realtà è infinitamente più ricca di ogni formula.
LETTERA A CESARE D’AZEGLIO SUL ROMANTICISMO
1) Per Manzoni il Romanticismo è quella corrente letteraria che si è proposta di applicare in forma coerente e sistematica il principio che l’arte ha uno scopo educativo e può raggiungerlo soltanto con la rappresentazione del vero.
2) Per il Manzoni il Romanticismo è soprattutto quel movimento che ha avuto il coraggio di contestare:
• L’imitazione dei classici
• Le regole fondate su fatti speciali e non su principi generali
• L’autorità dei retori sul ragionamento
3) Novità: l’uso della mitologia è ora inquadrato nell’affermazione che “l’uso della favola è idolatria”, nel senso che porta il nostro intelletto a partecipare anche indirettamente a idee pagane.
4) “la poesia deve proporsi per oggetto il vero (…) giacchè il falso può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla né elevarla”. (cfr. “utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”).
DISCORSO SUL ROMANZO STORICO
1) Costituisce un ulteriore sviluppo del pensiero manzoniano sul vero e sul verosimile, sui “componimenti misti di storia e d’invenzione” (il romanzo).
2) In questa seconda fase del suo pensiero, Manzoni vuole dimostrare che non è in realtà possibile coniugare i fatti della storia con gli elementi di invenzione. Egli sembra affermare che:
• Integrare la storia con l’intuizione poetica è un’illusione
• Solo il vero ha una connotazione interamente positiva
• Il romanzo storico è quindi assurdo; il verosimile nulla può aggiungere al vero storico, anzi può solo distogliere:
3) E allora come la mettiamo come “I promessi sposi”? In realtà Manzoni anche per influsso della filosofia del Rosmini arrivò a concepire un vero ideale, diverso dal vero storico, mentre in un primo tempo aveva confuso il vero con l’accaduto e l’ideale col finto.
DELL’INVENZIONE
1) Ma il vero ideale su cosa pone le sue fondamenta?
• Punto di partenza: l’artista a differenza dello storico “inventa”: ma in che senso? non perché crea qualcosa di assolutamente nuovo; egli trova (invenio = trovare) qualcosa che preesisteva, rendere presente un’idea che era, prima che l’artista la rivelasse, nella mente di Dio approdo finale: idealismo trascendente d’ispirazione rosminiana.

IL CONTE DI CARMAGNOLA
• Scritta fra il 1816 e il 1820
• Trama: il conte di Carmagnola, capitano di ventura, ha lasciato, ha lasciato il servizio del duca di Milano, Filippo Visconti, ed è stato assoldato dai Veneziani. Per loro combatte e vince contro i milanesi, i cui capitani sono discordi, la battaglia di Maclodio (1428). Per aver lasciati liberi i prigionieri di guerra (antica consuetudine militare) e per altri episodi non chiari, che si prolungano per quattro anni, viene arrestato ed accusato di tradimento (1432). Invano il suo amico Marco ne prende la difesa presso i Dieci. Prima di morire il conte incontra la moglie e la figlia e le raccomanda al Gonzaga, un altro condottiero; nel frattempo arrivano le guardie che lo condurranno al patibolo.
• La tragedia è bipartita in due tempi:
• nel primo si configura ed esalta la virtù guerriera del Carmagnola
• nel secondo sono messe in rilievo le sue doti di pietà (verso i prigionieri), di fedeltà (verso Venezia), di amore (verso la famiglia), ed infine di confidenza nel “Dio pietoso”.
• Il tema trattato nella tragedia è quello del confronto fra l’uomo d’animo elevato, generoso e puro con la ragione di stato meschina, interamente intenta ad ordire inganni.
• Compare anche qui il tema centrale dell’esperienza narrativa manzoniana della storia umana come trionfo del male, a cui si contrappongono essere inconsapevolmente destinati alla sconfitta terrena.
• La tragedia rimane comunque un tentativo incompiuto di sintesi dei temi cari al Manzoni, a causa della scarsa o convenzionale rappresentazione drammatica degli eventi e dei personaggi; a ben vedere la parabola del Carmagnola è quella di Napoleone, non più liricamente concentrata e retoricamente magnificata, ma narrata con distensione, alla presenza di altri personaggi che incarnano momenti fondamentali dell’esistenza del protagonista: il rapporto coi politici (Marco, il Doge ecc), cogli uomini d’arme (Gonzaga e i capitani viscontei), con la famiglia (Matilde, la moglie, Antonietta la figlia). Personaggi di supporto, concepiti e realizzati come si addice ad un racconto, a suo modo, edificante.
ADELCHI
• Manzoni affascinato dal periodo storico che vide il crollo della potenza longobarda in Italia nel secolo VIII sotto i colpi dei Franchi comandati da Carlo Magno.
• Proprio negli anni precedenti alla pubblicazione dell’Adelchi (1822), Manzoni aveva compiuto delle ricerche terminate nel saggio Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, in cui si sentiva forte l’influsso degli studi di Augustin Thierry che aveva studiato i popoli vinti, gli oppressi.
• La tragedia (cfr. pag. 475 per la trama) si articola intorno a 4 personaggi:
• DESIDERIO: animato dalla volontà di vendicarsi di Carlo e di ritrovare il proprio onore, mirando ad avide conquiste;
• ADELCHI: sogna la gloria di nobili imprese, ma non può realizzarle in un mondo dominato dalla forza, dall’ingiustizia e dal male.
• ERMENGARDA: combattuta tra l’attrazione per il ritiro dal mondo e la passione devastante per il marito Carlo
• CARLO: l’uomo della ragion di Stato, che tacita i suoi rimorsi, presentandosi come campione di Dio e difensore del Papa.
• Dissidi romantici dei personaggi: ragion di stato & dominio/purezza e idealità: nel mondo sono destinati a perdere i secondi; l’unico riscatto possibile è nella Fede
• Novità: i cori delle tragedie: non più un personaggio; non più la personificazione dei pensieri e dei sentimenti che l’azione doveva ispirare; ora, come dichiarato dal Manzoni nella prefazione al Carmagnola, il coro vuole costituire “un cantuccio” dove l’autore possa parlare personalmente; un angolino lirico in cui l’autore possa esprimere il suo giudizio su ciò che viene rappresentato; un momento di autonomia dell’autore nei confronti dei personaggi e del dramma che stanno vivendo; un momento di riflessione per esprimere la propria visione del mondo;
• In tal modo l’autore rimaneva imparziale (come lo storico) rispetto agli avvenimenti che raccontava, abbandonando l’effusione lirica soggettiva, permettendo così al vero di emergere dalla rappresentazione di caratteri e conflitti oggettivati.

PERSONAGGI: ADELCHI
• Adelchi è sicuramente, insieme a Jacopo Ortis, il personaggio più romantico della letteratura italiana; egli è l’uomo del dissidio interiore, dei mille contrasti interiori che lo portano a mille riflessioni sul senso dell’agire umano; attraverso di lui Manzoni approfondisce quel tema a lui sempre tanto caro e già sperimentato nel Carmagnola; quello del Male insito nella Storia e quello dell’eroe che sente dentro si sé l’idealità che potrebbe avere il proprio agire e che invece è costretto a scontrarsi e a cedere alle crude e disumane leggi della prassi storica.
• Adelchi è il portavoce del pessimismo storico del Manzoni: l’eroe che si ispira ai valori più alti non può trovare posto nel mondo e da questo viene automaticamente espulso; la gloria non è di questo mondo…(cfr. “Fu vera gloria?” del 5 maggio).
• Aspira alla gloria/costretto dal padre ad assalire i territori della Chiesa
• Sente di poter essere un eroe/si trasforma in un ladrone
• Superiorità spirituale/destino ineluttabile di sconfitta
• A differenza degli eroi sconfitti, ma grandi, di Alfieri o del Foscolo, Adelchi non reagisce con un atteggiamento di ribellione, di titanismo. Egli preferisce chiudere tutto il suo tormento in se stesso; il suo rifiuto intimo del negativo, però, si isterilisce chiuso nell’interiorità, nella pura contemplazione della sconfitta. Non di titanismo si tratta, ma di vittimismo romantico.
ADELCHI: “la gloria? il mio/destino è d’agognarla, e di morire/senza averla gustata. Ah no! codesta/non è ancor gloria, Anfrido. (…)
Il mio cor m’ange, Anfrido: ei mi comanda/alte e nobili cose; e la fortuna/mi condanna ad inique, e strascinato/vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura,/senza scopo; e il mio cor s’inaridisce,/come il germe caduto in rio terreno/e balzato dal vento. (…)
ANFRIDO: “Alto infelice/reale amico! Il tuo fedel t’ammira/e ti compiange. (…)
“soffri e sii grande: il tuo destino è questo,/finor: soffri, ma spera (…)
• Non c’è altra alternativa che la morte; essa però non è una via di fuga come per Jacopo Ortis; la morte è il riscatto in un’altra dimensione, dove la creatura raggiunge la perfezione; questa altra dimensione non è un’utopia, ma per il cristiano Manzoni è la vera alternativa al mondo ingiusto della Storia. La vera Patria dell’eroe e nell’altra vita (come per Napoleone nel 5 maggio).
• Adelchi muore denunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica; il diritto è solo una parola vana dietro la quale si nasconde la forza feroce. Accettare di agire nella storia significa per forza accettarne queste regole (“non resta che far torto o patirlo”) e, se si è un’anima grande e nobile, patirne le contraddizioni; la ragion di stato soffoca il lato magnanimo dell’eroe.
• Chi sceglie il potere non può che provocare odi e sofferenze; sarà temuto, ma odiato; solo la morte fa comprendere quanto sia vana la ricerca del potere: questo è il segreto della vita. L’unico riscatto possibile è la dimensione dell’eterno.
Resta però aperta una questione: se “omnia vanitas vanitatum”, bisogna lasciare spazio a chi opera il male o opporsi ad esso? In altre parole, il Manzoni si fa la stessa domanda che faceva il Foscolo con I Sepolcri: vale la pena di combattere? La risposta di Manzoni è diversa da quella del Foscolo, perché diversa è l’immortalità cercata dai due: per il Foscolo si tratta dell’immortalità della memoria che sprona ad “egregie cose”, che nell’azione della Storia si vinca o si perda; per Manzoni agire vuol dire perdere sempre; l’immortalità è di un’altra vita e da lassù tutto risulta chiaro.
ADELCHI: Gran segreto è la vita, e nol comprende/che l’ora estrema. (…) loco a gentile,/ad innocente opra non v’è; non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/forza il mondo possiede, e fa nomarsi/dritto; la man degli avi insanguinata/seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno/coltivata col sangue; e omai la terra/altra messe non dà. Reggere iniqui/dolce non è; tu [Desiderio ndr] l’hai provato: e fosse;/non dee finir così?
ERMENGARDA
• Anche Ermengarda è un personaggio combattuto da un dissidio romantico; ripudiata da Carlo, la sua presenza nella tragedia manzoniana è contrassegnata all’inizio da un apparente distacco dalla mondanità; il personaggio appare come tutto concentrato al raggiungimento della pace e della serenità della nuova vita del chiostro; in realtà, man mano che il personaggio viene presentato appare chiaro che in lei perdura con effetti devastanti per la psiche l’amore per il marito Carlo.
• Il personaggio vive di contraddizione e di un’illusione: che Carlo l’abbia ripudiata per motivi di forza maggiore, quasi costretto; Ermengarda vive nell’illusione di essere ancora la sposa di Carlo; l’illusione crolla quando Ansberga rivela che Carlo è passata nuove nozze.
• Tutta la scena del dialogo fra Ermengarda e Ansberga è contraddistinta da un grande conflitto psicologico: c’è un contenuto respinto dalla coscienza, perché accettato sconvolgerebbe, ma che riaffiora mascherato dietro immagini apparentemente innocue; appena i controlli della coscienza cadono, il contenuto emerge impietosamente ponendo fine alle illusioni; il contenuto si rivela nel suo aspetto terribile: “Amore tremendo è il mio”, dice Ermengarda; in questo amore, che appartenendo al matrimonio, dovrebbe essere distante dalle passioni devastanti delle eroine alfieriane, combattute da un sentimento sempre colpevole, il Manzoni evidenzia la tragicità quotidiana, borghese di una passione normale, inserita in un quadro pienamente legittimo. Inoltre la figura di Ermengarda ci rivela un Manzoni profondo indagatore dell’eros, campo da cui nel romanzo dei Promessi sposi si terrà rispettosamente lontano.
CARLO MAGNO
• Questo personaggio, recentemente scoperto dalla critica manzoniana, permette di fare ulteriori precisazioni sulle riflessioni del Manzoni sulla storia e sul concetto di pessimismo storico manzoniano
• Sarebbe ingiusto racchiudere il pensiero dell’autore nelle parole di Adelchi morente; in realtà Adelchi è solo uno dei due poli di una dialettica compresa tra rifiuto della storia e accettazione dell’agire politico.
• Le caratteristiche di Carlo Magno sono:
• Risolutezza e realismo politico
• Convinto assertore della “ragion di stato”
• Convinzione di essere “il campion di Dio”, con la missione di salvare il Papa dalle angherie longobarde.
• Condottiero militare spinto da volontà di espansionismo politico.
• Se è evidente la volontà di potere e di ambizione personale che si nasconde dietro le parole di circostanza di Carlo, è altrettanto vero che Carlo non è personaggio del tutto negativo.
• La conquista dei Latini da parte di Carlo non offre in contropartita la libertà di quel popolo che però non dovrà sottostare alla crudeltà e alle pretese totalmente egemoniche dei Longobardi.
• Anche se per colpa (o merito) di Carlo qualcuno (Ermengarda, Adelchi, i popoli) soffrirà, l’azione di Carlo, che è mosso sostanzialmente da interessi personali, viene riscattata e in parte giustificata dal piano provvidenziale che ne emergerà: i Latini goderanno di una certa libertà, il Papato non cadrà sotto i Longobardi.
I CORI DELLA TRAGEDIA
• La costruzione e il ruolo dei cori nella tragedia manzoniana rivelano una originalità sorprendente: il coro non è più un personaggio collettivo della tragedia; non interagisce con i protagonisti, esso diventa un “cantuccio” che l’autore si riserva per commentare “da fuori” i fatti presentati dalla storia nella Storia.
• Il primo coro [atto III°] “Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti”:
• Ruolo delle masse, dei popoli, ignorati dalla Storia, ma anche dalla Tragedia tradizionale, abituata a parlare solo di re, principi, duchi.
• Evidente l’influsso delle teorie del Thierry; bisogna analizzare anche i vinti; nel rapporto tra conquistatori e oppressi, ci deve essere posto per i diseredati, coloro che sono sempre “i vinti”;
• Dietro il concetto del Thierry, “i vinti” diventano per il cattolico Manzoni “gli umili”
• Questo coro è un esempio di poesia storica; Manzoni definisce ciò che i popoli hanno pensato e sentito nel partecipare direttamente o indirettamente alla Storia.
• Il coro è però anche esempio di poesia politica: il messaggio, assai vicino a quello di un’ode come Marzo 1821 è per i contemporanei italiani: per liberare la patria non bisogna contare su apporti di potenze straniere.
• Il secondo coro [atto IV°] “Sparsa le trecce morbide”:
• La situazione di partenza è simile a quella del 5 maggio (ne fa fede anche la metrica, molto simile): “giace la pia, col tremolo/sguardo cercando il ciel.” La morte di Ermengarda, nella staticità della scena dà avvio alle riflessioni del poeta: ora Ermengarda è veramente libera (“fuor della vita è il termine/del lungo tuo martir.”). La sofferenza (il ripudio di Carlo, l’incertezza dell’amore, la delusione delle nuove nozze del marito) ora ha un senso: Ermengarda è pronta per essere santa.
• Flashback: la vita del passato (cfr. 5 maggio); il passato recente e doloroso contrapposto a quello lontano e felice: punto di arrivo: il presente del chiostro, la morte. Il cerchio si chiude, la purificazione attraverso la sofferenza ha dato un senso a tutta la vita di Ermengarda.
• Viene introdotto il concetto della “provida sventura”: provida, perché:
1. Le consentiva di salire a Dio, purificata e santa
2. Le consente di sottrarsi alla stirpe degli oppressori (i Longobardi)
• Da segnalare l’innovazione del coro manzoniano: non più poesia petrarchesca, soggettiva esposizione dell’Io del poeta, ma poesia epica e drammatica, narrativa: presenta personaggi, individualità oggettivate; la poesia del Manzoni mette in scena i conflitti drammatici. In questo senso l’Adelchi può essere considerata l’antecedente più diretto del romanzo I promessi sposi.

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