Storia del Manzoni e trama de I Promessi Sposi

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Testo

Storia del Manzoni e trama de “I Promessi Sposi”

VITA

Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 Marzo dal conte Pietro e da Giulia Beccarla, figlia di Cesare Beccarla, autore del famoso trattato Dei delitti e delle pene (1764) che contribuì a rinnovare la legislazione penale.
Il matrimonio tra l’anziano gentiluomo e la giovane e vivace Giulia non poteva riuscire felice; ben presto essi si separarono e Alessandro, fin dalla più tenera età visse in collegio: prima presso i padri Somaschi a Merate e a Lugano, poi dai padri Barnabiti nel collegio Longone a castel dei Barzi, e in seguito a Milano, Quando nel 1799 la disfatta dei Francesi rese ai religiosi il loro istituto, gia occupato dai soldati della Cisalpina. A sedici anni, Alessandro nel 1801 lascia il collegio e va ad abitare col padre a Milano. La madre da tempo viveva a Parigi con il conte Carlo Imbonati. Gli anni trascorsi in collegi retrivi a formalistici, conducono, per reazione, il Manzoni alla perdita della fede e alle idee liberali, venate da anticlerachismo giacobino, che informeranno le sue opere liberali. Gia in collegio aveva fatto il ribelle, ostinandosi a scrivere, contro l’uso, senza la maiuscola, re, imperatore, papa; ora a Milano, libero e incoraggiato dal Monti, dal Foscolo, dal Cuoco e dagli uomini più colti e liberali d’Italia, può dar libero sfogo ai suoi pensieri. Dopo un breve periodo di vita dissipata ed amara, della quale sono documento i Sermoni in versi sciolti, egli, desideroso di riveder sua madre, parte nel 1805 per Parigi. Da poco è morto Carlo Imbonati; alla sua memoria scrive nel 1806 il carme In morte di Carlo Imbonati, nobili versi che “quasi un umano decalogo, fissano per sempre l’immagine del Manzoni ventenne e Pariniano”, incline alla meditazione intorno alla natura dell’uomo, in cui è già l’esigenza di verità e di serietà morale che troverà il suo approdo nel ritorno alla fede Cristiana. A Parigi conosce gli intellettuali più aperti, stringe amicizia fraterna con lo storiografo Claudio Fauriel e s’imbeve della dottrina degli enciclopedisti, venendo in tal modo a contatto con la più fiorente cultura europea, quella che aveva promosso la rivoluzione Francese e si era dignitosamente appartata di fronte al dispotismo di Napoleone. Sono anni d’intensa felicità intellettuale e morale, nell’affetto finalmente trovato della madre, che si dedica interamente a lui. La morte del padre lo richiama in Italia e in Italia nel 1807 conosce Enrichetta Blondel, protestante, figlia d’un banchiere ginevrino stabilitosi a Milano. Di lei scrive al Fauriel: “I sentimenti di famiglia l’occupano tutta (in orecchio vi dico che è forse la sola qui), non è nobile, è protestante, infine è un tesoro parla francese, ha sedici anni, è semplice e senza pretese…”
L’anno dopo sposa Enrichetta con rito calvinista, torna a Parigi per restarvi fino al 1810. Nel 1808 nasce la prima figlia, Giulia Claudia, che accresce la felicità dell’affettuosa vita familiare del Manzoni, ma propone il problema dell’educazione religiosa, fin dal battesimo. La serietà della vita religiosa della calvinista Enrichetta non poteva lasciare indifferente il Manzoni, e certo fece rivivere in lui forme lontane della sua educazione cattolica. La nascita di Giulia pone, dunque, la domanda del battesimo: Enrichetta pensa ad un battesimo protestante, il Manzoni e la madre ad un battesimo cattolico. Enrichetta cede al marito e il battesimo viene celebrato secondo il rito cattolico, nel 1809, un anno dopo la nascita della bambina. È il primo passo verso l’accettazione completa del cattolicesimo.
Intanto dal Vaticano giunge l’autorizzazione per il matrimonio cattolico che è celebrato il 15 febbraio 1810 a Parigi.
Enrichetta è intimamente turbata e con lei Alessandro. Da questa crisi vissuta in intenso amore familiare, nasceranno l’abiura d’Enrichetta, il ritorno ad una fede attiva di Giulia Beccarla e la cosiddetta conversione del Manzoni, il quale, in verità, pur avendo perduto la fede fin da ragazzo, non fu mai né materialista né ateo.
L’abate Eustachio Degola, un giansenista che aveva condotto al cattolicesimo molti altri calvinisti di Parigi, è incaricato dell’istruzione religiosa d’Enrichetta, ma le sue lezioni sono seguite anche da Alessandro e da Giulia.
Enrichetta Abiura il 22 maggio 1810.
Il ritorno alla fede, sul quale il Manzoni non disse mai altro che “è stata la grazia”, anche se poté venir favorito da un avvenimento particolare (il cosiddetto miracolo di San Rocco, dove il poeta sarebbe entrato in un momento di disperazione, uscendone illuminato dalla fede) fu certo preparato da una lunga meditazione che condusse Alessandro a ritrovare più profonde e più avvincenti nel Vangelo le parole libertà, fraternità, eguaglianza che egli aveva appreso dai rivoluzionari. Il suo ritorno alla fede significherà mai per lui l’abbandono delle idee liberali, ma ritrovamento di queste nella legge divina del cristiano. Nel 1810 il Manzoni lascia Parigi per Milano e si stabilisce con la famiglia nella villa di brusuglio, ereditata da Carlo Imbonati. Intanto crescono gli altri figli: Pietro nel 1813, dopo un fratello nato morto, Cristina nel 1815, Enrico nel 1819, Clara nel 1821, Vittoria nel 1922, Filippo nel 1926 e infine Matilde nel 1930. Intanto vedono la luce, dal 1812 al 1830 le più importanti opere del Manzoni; gli Inni Sacri, il Conte di Carmagnola e l’Adelchi, le Odi e I Promessi Sposi. Se cultura del Manzoni e si è formata sui classici e le sue opere giovanili sono classiche, Il trionfo della Libertà, gli Idilli, L’Urania, ormai egli ha abbandonato la mitologia e la retorica le personificazioni e le allegorie, care ai neoclassici, per un’arte che rispecchi il vero, divenendo così il capo riconosciuto del romanticismo italiano. Nel 1816, infatti, rifiuta di collaborare alla Biblioteca Italiana, organo dei classicisti fondato dal governo austriaco, cui danno opera il Monti e il Giordani, corifei del classicismo. Segue, invece, con consenso il conciliatore, fondato da Berchet, di Breme, Pellico e da altri romantici e che morirà per la censura e l’ostilità Austriaca nel 1819. Ormai, come diceva il Pellico, romantico era divenuto sinonimo di patriota e liberale.
E la commossa partecipazione spirituale del Manzoni ai moti liberali e nazionali, già intensa fin dai giovanili colloqui col Cuoco, il Lomanaco, il Foscolo al tempo della Cisalpina, sfocia nell’ode Il Proclama di Rimini, ed infine nel Marzo 1821, inneggiante ai moti piemontese e lombardo, pubblicati però solo nel 1848.
Proprio allora nasce in lui l’ispirazione dei Promessi sposi che in due anni di intenso lavoro saranno compiuti nella loro prima stesura intitolata Fermo e Lucia. Sono anni di attività intensa e felice, dai quali nascono la Pentecoste, il 5 maggio, l’Adelchi, la lettera allo Chauvet e la lettera sul romanticismo. Poi, l’intenso rifacimento del romanzo che sarà finito di stampare nel 1827, col titolo I Promessi Sposi. Ma la vita riservava al poeta molte sventure domestiche: nel 1833 muore Enrichetta, la compagna del suo tempo più felice, e nel 1834 Giulia che aveva sposato Massimo D’Azeglio. Egli vive ritirato nella consuetudine di pochi devoti ed eletti amici, senza partecipare attivamente alla vita letteraria e politica. Si stringe in intima amicizia col filosofo Antonio Rosmini, dal quale abbraccerà infine i principi, ponendoli a fondamento del suo dialogo Dell’Invenzione.
Passato a seconde nozze con la contessa Borri vedova Stampa nel 1841, mentre lavorava alla revisione del romanzo, è addolorato dalla morte della madre e della figlia Cristina. Nel 1842 esce la nuova edizione dei Promessi Sposi “risciacquati in Arno” cioè adeguati linguisticamente all’uso fiorentino. Anche se non vistosamente, egli partecipa attivamente alla vita d’Italia ed è presente nei momenti decisivi della storia della sua patria: nel 1848 spinge il figlio sulle barricate milanesi e pubblica le sue poesie patriottiche; nel 1864 approva a Roma capitale e la fine del potere temporale; nello stesso anno è nominato senatore e nel 1872 cittadino onorario di Roma. Gli ultimi suoi anni, addolorati da tanti lutti familiari, lo vedono riprendere con foga la penna per esprimere le sue idee linguistiche alle quali egli attribuiva un compito civile: quello di cementare, nell’unità linguistica , l’unità d’Italia. Si spense a Milano il 22 maggio 1873, circondato dalla venerazione di tutta Italia. L’anno seguente Giuseppe Verdi scriveva per lui la Messa di Requiem. Le generazioni che sono seguite hanno tributato e tributano la loro ammirazione all’artista, al pensatore, all’uomo.

OPERE

Opere giovanili 1801-1809
Rivelano l’acquiescenza del giovane poeta al gusto neoclassico; in seguito saranno ripudiate ma ne indicano la serietà di carattere.
1801: del trionfo della libertà, poemetto in forma di visione, ispirato a idee giacobine; contro ogni tirannide politica e morale, il poeta esalta gli eroi di ogni tempo-Sonetto: autoritratto.
1802: Sonetti: A Francesco Lo Monaco, Alla Musa, Alla Sua Donna.
1803: Adda, idillio dedicato al Monti, in cui riecheggiano motivi alfieriani e pariniani.- Odi: Qual sulle cinzie cime, una delle poche poesie d’amore del Manzoni con il precedente sonetto alla sua donna, scritte forse per Luigia Visconti; Ode alle muse.
1803-1804: sermoni: A Delia, A Trimalcione, A G.B. Pagani, se alcun da furia…
1805: In morte di Carlo Imbonati, carme in forme di visione, imbevuto di motivi moralistici pariniani, esprime la forza morale del futuro Manzoni in alcuni versi famosi.
1809: Urania, poemetto neoclassico foscoleggiante, celebra la forza perenne d’incivilmento della poesia- A Parteneide: risposto al Fauriel che lo richiedeva, anche a nome dell’autore, di tradurre il poemetto tedesco, Parteneide, del poeta danese Baggesen.
1810: le visioni poetiche frammento di un poemetto sull’innesto del vaiolo.

Opere scritte dopo il 1810.
La crisi della conversione(1810) allontana il Manzoni dalle forme poetiche neoclassiche: mentre corregge l’Urania scrive, infatti, al Fauriel: “farò forse versi peggiori, ma, questi, mai più”. La fede tenderà a distruggere la poesia ma la sua poesia sorge dalle passioni vinte dalla sua fede.
1812-1815: gli Inni Sacri: ne progettò dodici, celebrazione delle maggiori festività cristiane e in questi anni ne compose quattro: la Resurrezione (1812), il Nome di Maria (1813), il Natale(1813), la Passione(1814-1815), stampati insieme nel 1815.
1814: Canzone Aprile 1814.
1815: Canzone il Proclama di Rimini(pubblicata nel 1848).
1816-1819: il conte di Carmagnola, tragedia storica, preceduta da un’importante”Prefazione” in cui l’autore contesta il valore delle aristoteliche unità di tempo e di luogo. La tragedia esce a stampa a Milano nel 1820. Argomento della tragedia è la tragica sorte del capitano di ventura Francesco Bussone, Conte di Carmagnola, il quale, dal servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, passato a quello della repubblica di Venezia dopo aver vinto le truppe del suo antico signore a Maclodio, fu sospettato di tradimento per aver liberato i prigionieri e non aver colto i frutti della vittoria, e mandato a morte.
1817: inizia l’inno la Pentecoste compiuto nel 1822.
1819: Osservazioni sulla morale cattolica, trattato contro le idee anticattoliche dello svizzero de Sismondi, che riesce una profonda apologia della visione morale del cattolicesimo romano.
1820-1822: Adelchi, tragedia storica che pubblicò insieme a Discorsi su alcuni punti della storia longobardica. Argomento della tragedia è la storia della caduta del regno longobardo in Italia (774). Desiderio, re dei longobardi, cerca di appropriarsi di altre terre della Santa Sede e di conciliarsi con i Franchi dando in sposa a Carlo Magno la figlia Ermengarda. Carlo ripudia la sposa e intima a Desiderio di restituire le terre al Papa. Scoppia la guerra: i longobardi sono sconfitti, Adelchi, figlio di Desiderio, muore in battaglia, Ermengarda muore di dolore in un convento.
1821: il 5 Maggio ode in morte di Napoleone, commosso tributo alla tomba del Bonaparte. Marzo 1821 ( pubblicato nel 1848 con Proclama di Rimini, dopo le cinque giornate di Milano), ode scritta in occasione dei moti carbonari in Piemonte e della progettata invasione della Lombardia da parte dell’esercito sabaudo.
1821-1823: prima stesura dei Promessi sposi, avviata il 24 aprile 1821 col nome di Fermo e Lucia.
1823: lettera sul romanticismo al Marchese D’Azeglio.
1825-1827: I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni.
1829: lettera filosofica a Victor Cousin.
1832-1837: strofe per una prima comunione.
1835: versi sul Natale del 1833, il Natale della morte della moglie Enrichetta: frammenti.
1836: sentir messa, studio sulla lingua italiana.
1837-1842: nuova edizione risciacquata in Arno dei Promessi sposi, con l’appendice, Storia della colonna infame.
1845: del romanzo storico e, in genere, dei componimenti misti di storia e d’invenzione, cominciato prima del 1830 e poi interrotto.
1850: dell’Invenzione,dialogo filosofico. Lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana.
1854: del sistema che fonda la morale sull’utilità, appendice alla morale cattolica.
1862-1872: la rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, incompiuto e pubblicato postumo da Borghi.
1868: dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla. - Lettera intorno al libro de vulgari eloquentia. – Lettera intorno al Vocabolario. – Sulla lingua italiana, incompiuto.
1872: Dell’indipendenza d’Italia, frammento.

Storia delle edizioni dei Promessi Sposi

1821: idea del romanzo leggendo il de peste mediolani del Ripamonti (1640) e scorrendo le gride.
1821-1823:prima stesura del romanzo avviato il 1824 col nome di Fermo e Lucia, poi mutato in I Promessi Sposi.
1823-1825: rifacimento del romanzo col nome di I Promessi Sposi.
18251827: prima edizione milanese dei promessi sposi: storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni.
Successo strepitoso critiche dei classicisti e dei puristi.
1840-1842: testo definitivo, dopo il soggiorno a Firenze e i consigli del Giusti, del Nicolini e della Luti.

I Promessi Sposi

Il romanzo narra la storia di due umili popolani filatori di seta: Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio è impedito da Don Rodrigo, signorotto di un paese vicino Lecco. Per mezzo di due suoi sgherri, i bravi, intima a Don Abbondio curato del paese, di non celebrare le loro nozze. Don Abbondio non osa compiere il suo dovere e cerca di rimandare la cerimonia con scuse e pretesti: ma Renzo insospettitosi dall’atteggiamento del parroco e da alcune parole di Perpetua, la serva del prete, costringe il curato a dirgli la verità. Il giovane vorrebbe vendicarsi, ma poi segue i consigli di Agnese, la madre di Lucia, e si rivolge al dottor Azzeccagarbugli noto avvocato. Questi in un primo tempo da ragione a Renzo con gride e leggi in sua difesa, ma quando sente il nome di Don Rodrigo, cambia ogni cosa e caccia il giovane a malo modo. Lucia ed Agnese chiedono aiuto a fra Cristoforo, cappuccino del convento di Pescarenico, ed egli va da Don Rodrigo per tentare di convincerlo a lasciar in pace Lucia, ma viene messo alla porta con parole minacciose. Agnese allora suggerisce un’altra via: il matrimonio clandestino. Lucia, da buona cristiana qual è, è riluttante, ma, temendo una sproposito da parte di Renzo, finisce con l’accettare. Occorrono due testimoni e vengono trovati in Tonio, che ha un debito con Don Abbondio, e suo fratello Gervasio. Intanto Don Rodrigo mosso più dal capriccio per Lucia, dal puntiglio per una scommessa fatta con il conte Attilio decide di far rapire Lucia da i suoi Bravi. Nella stessa notte, la famosa notte degli imbrogli, mentre i promessi con Agnese si dirigono verso la curia per sorprendere don Abbondio, il Griso con i suoi sgherri penetra nella casa di Lucia. Nessuna delle due imprese riesce e Ambrogio, sentendo le grida del padrone suona le campane facendo fuggire i bravi e gli sposi per ora solo promessi.questi nel tornare a casa incontrano Menico mandato da fra Cristoforo per avvertirli di andare al convento per sfuggire a don Rodrigo. Giunti a Pescarenico dopo aver pregato insieme col frate che li esorta ad avere fiducia in Dio, si accomiatano da lui e salgono su una barca che li porta sulla riva destra dell’Adda; da qui sono scortati a Monza da un barocciaio. Per i prossimi è giunta l’ora della separazione: Lucia sarà ospitata nel monastero di Gertrude, una suora diversa dalle altre e Renzo proseguirà per Milano con una lettera di fra Cristoforo per il padre Bonaventura. Il giovane non trovando il padre Bonaventura al convento dei cappuccini va in giro per la città: si trova così in mezzo all’assalto dei forni prende parte alla sommossa e per il suo incauto parlare viene arrestato. Riesce però a liberarsi e riesce a fuggire prima a Gorgonzola e poi nel Bergamasco dove trova rifugio dal cugino Bortolo. Intanto don Rodrigo saputo che Lucia si trova a Monza presso la Monaca di Monza e Renzo è lontano e ricercato dalla giustizia, vuole condurre a termine il suo piano scellerato. Il cugino il conte Attilio, per mezzo dello zio del consiglio segreto, fa trasferire fra Cristoforo da Pescarenico a Rimini , mentre don Rodrigo va a chiedere l’aiuto dell’innominato, uomo assai più potente e audace di lui, e ottiene la promessa che gli consegnerà Lucia.gli uomini dell’innominato riescono a rapirla e a portarla dall’innominato con la complicità di Gertrude, costretta a tradire Lucia da Egidio uno scellerato legato a lei da un amore peccaminoso. Lucia è alla disperazione e fa voto di castità alla Madonna perché l’aiuti. Le lacrime di Lucia turbano l’innominato che, dopo una terribile notte in cui arriva al pensiero del suicidio, al suono festoso delle campane che salutano l’arrivo del cardinale Federigo Borromeo, non riesce a resistere all’impulso che lo spinge ad andare anch’egli dal Sant’uomo. Viene subito ricevuto e dal mirabile colloquio tra le due eccezionali persone scaturisce la conversione dell’innominato. Lucia sarà liberata e andrà a darle le consolante notizia proprio colui che, seppur indirettamente, fu la causa di ogni suo dolore: don Abbondio. Lucia trova ospitalità prima presso una buona donna, moglie di un sarto poi presso donna Prassede, moglie di don Ferrante, un pedante erudito; donna Prassede, stimando carità certe sue storte idee, tormenta ogni giorno Lucia, credendo in cuor suo di farle del bene. Agnese torna al paese e dopo qualche tempo messosi in contatto con Renzo gli comunica il voto fatto da Lucia. Per il passaggio dei Lanzichenecchi, scesi in Italia per la guerra nel Monferrato, don Abbondio, Perpetua, Agnese, con altri fuggiaschi si rifugiano nel castello dell’innominato, ormai tutto dedito alle opere di carità. Ma le truppe di ventura lasciano dietro di loro un terribile flagello: la peste. Muoiono don Ferrante, donna Prassede, Perpetua, il Griso, il conte Attilio. Renzo che ne è guarito va a Milano in cerca di Lucia e nel lazzeretto incontra fra Cristoforo che lo accompagna al letto di morte di don Rodrigo perché gli dia il suo perdono. Poco dopo incontra Lucia convalescente dalla peste e fra Cristoforo scioglie il suo voto e prossimo alla morte si accomiata da loro. La monaca di Monza, trasferita per ordine del cardinale a Milano, dopo molte ribellioni, si era accusata e vive una durissima vita di penitenza. Morto don Rodrigo, il Marchese suo successore, sapute le vicende di Renzo e Lucia per mezzo del cardinale, vuole compensarli per i dolori ingiustamente passati e si rivolge a don Abbondio, il quale finalmente rassicurato celebra il matrimonio tra i due. Appena sposi si trasferiscono nel territorio di Bergamo e dopo qualche piccolo dispiacere trascorrono una vita tranquilla rallegrata da molti figliuoli.

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