Divina Commedia, Inferno, canto I

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Testo

La Divina Commedia
INFERNO

CANTO I

Commento critico

Il primo canto della Divina Commedia ha la funzione di prologo generale, e offre al lettore la figura-chiave fondamentale per la comprensione di tutto il poema.
Prima di tutto è importante evidenziare l’analogia che sussiste tra il poema e l’Esodo biblico “In exitu Israel de Aegypto”. Dante nell’Epistola a Cangiante scrisse che intendeva leggere in tale Esodo la conversione dell’animo umano dallo stato di miseria e di peccato allo stato di grazia.
La scena del primo canto è appunto una conversio, come afferma Singleton. Una conversione però non riuscita in quanto Dante necessita dell’aiuto di Virgilio, che in questo caso rappresenta l’intervento di una grazia superiore. Si evince da ciò il legame con la visione religiosa medioevale che rimetteva ogni risoluzione di conversione nella grazia divina. Inoltre il viaggio di Dante oltre ad essere legato alla storia laica è anche legata alla storia sacra e religiosa. Il suo viaggio infatti ha inizio nella settimana santa dove gli influssi delle stelle sono favorevoli ed è il periodo dell’incarnazione di Cristo, dell’unione della natura divina e umana, del supremo mistero dell’universo. Quindi la Divina Commedia è un’opera legata al tempo storico e al tempo sacro, cosi la crisi del mondo contemporaneo è simboleggiata dalla crisi interiore di Dante.
Inoltre il primo canto fissa la dialettica narrativa, la poetica figurale che è alla base della cultura di Dante. Egli narra la sua esperienza quando il viaggio è terminato, in un certo senso rimane legato con la mente al mondo dell’aldilà, la vera realtà perfetta e immutabile, rispetto alla quale la vita terrena risulta come un breve passaggio, il cui adempimento potrà avvenire solo nell’aldilà. Di conseguenza il lettore avverte l’impressione di trovarsi di fronte alla più grande avventura del genere umano il cui linguaggio narrativo è condizionato ad una tecnica figurale e simbolica. Cosi anche i personaggi che Dante incontra sono l’adempimento di personaggi già vissuti che diventano figure implete solo nell’aldilà. In questo modo dal tempo eterno si passa al tempo umano. Ma quasi sempre è il tempo umano a condizionare il tempo eterno; e la drammaticità delle situazioni, la vivacità del linguaggio, l’essenzialità delle immagini, l’alterarsi del dialogato con il narrato, mirano ad evidenziare la dinamica psicologica e morale del viaggio.
Il motivo poetico e psicologico dominante è la paura, soprattutto nella sofferenza morale del poeta. Il termine infatti compare cinque volte in pochi versi, e rivela il senso figurato dell’angoscia per la morte dell’animo. La Divina Commedia quindi va compresa nel suo linguaggio figurato, che non ha da un lato il senso letterale e dall’altro quello simbolico ma linguaggio letterale e simbolico sono l’uno dentro l’altro. Un linguaggio che diventa profetico quando si parla della lupa e del veltro, che non sono descritti nel loro carattere animalesco, ma stanno solo ad indicare due forse avverse. In questo caso ci troviamo nell’allegoria dei poeti.

Giaquinto Martino 3^D

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